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Vecchio 23-02-2012, 13:03   #151
Fagòt
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Ciao grande Fagot,
ti stimo e ti ammiro molto per il fatto di aver intrapreso un viaggio del genere da solo.
Non ho ancora letto il tuo report ma me lo tengo lì in attesa come se fosse l'ultimo cioccolatino e non vedo l'ora di scartarlo.
E' possibile che ci siamo incrociati nelle interminabili strade mauritane ?
Mi sarei fermato di sicuro se avessi visto qualche motociclista... credo che ci siamo mancati per uno o due giorni

@Barbablu: purtroppo è un problema tutto mauritano.... se ti consola qualcuno tornando da Oualata , estremo Est ai confini con il Mali, s'è fatto 400 km con un pick up di 4 militari di scorta..... la situazione ora è abbastanza critica in quelle zone.

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Vecchio 23-02-2012, 23:23   #152
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Originariamente inviata da barbablu Visualizza il messaggio
ecco queste cose mi fanno desistere e mi fanno perdere d'animo
Come dice Fagot, la situazione ora è un pò critica in Mauritania ma oggi come oggi quale posto in Africa non lo è ? Il consiglio che posso dare è di non viaggiare soli ( per farlo ci vuole un'enorme esperienza e fegato ), informarsi sui punti caldi prima di partire e "annusare" per bene che aria tira quando si è sul posto. Come ho avuto modo di dire precedentemente, la diffidenza è un problema in Africa. Se ci si arriva con umiltà e voglia di capire, tutti sono disposti ad aiutarti ed a consigliarti ; poi il male si nasconde ovunque, anche poco più in là del nostro giardino.
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Vecchio 24-02-2012, 18:24   #153
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Siamo scampati al famigerato confine di Rosso del quale ho raccontato solo una minima parte ed entrati sul suolo Senegalese. La strada che esce dalla frontiera è in condizioni pietose per i primi 20 km ma d’un tratto, triplica la sua larghezza e l’asfalto, nuovo, è liscio come un biliardo.
Dopo un po’ Cico si ferma e invita la zavorrina dell’RT a salire con lui in quanto a breve dovremo camminare su una trentina di chilometri di pista divisi in diversi tratti che corre di fianco alla strada principale che in questo momento, come si è visto, è oggetto di lavori di rifacimento.
La strada è diritta a perdita d’occhio e per lunghi tratti, si srotola al di sopra di una pianura alluvionale a circa 3 metri di altezza ; la piana è acquitrinosa e si possono vedere una gran quantità di uccelli diversi nel colore e nella dimensione ma su tutti spiccano i Fenicotteri Rosa.
I camion e le ruspe al centro della strada indicano la prima deviazione che scende in una scarpata sconnessa e prosegue al di sotto della strada in una pista tracciata da una ruspa su un suolo polveroso dal colore rosso intenso. La polvere rossa è così sottile che anche procedendo a bassissima velocità, si alza una coltre impenetrabile e per ovviare a questo gli operai passano con un camion a bagnare la pista ottenendo un effetto micidiale per noi motociclisti. Infatti l’acqua forma una densa poltiglia scivolosa e non riesce a penetrare quel “talco” se non per pochi centimetri ed oltre a questo, il passaggio dei grossi camion da cantiere forma delle profonde scanalature e così siamo costretti a scegliere la poltiglia oppure i “canyon ” dove spesso le teste dei nostri boxer contribuiscono a spianare la terra. Dopo qualche chilometro la pista torna repentinamente sulla strada e spesso la rampa è anche inclinata quindi, addominali e chiappe strette, si è costretti a fare lo slalom tra le macchine rimaste impantanate sulla rampa e sgommando e svirgolando si attraversa la strada e di nuovo giù…
Dopo un po’ imparo le regole di questo nuovo gioco e abbandonando la tensione, mi ci diverto davvero parecchio.

Il Senegal dispone di una rete viaria piuttosto capillare e mediamente tutte le strade sono in buono stato ma per fortuna, ancora non è difficile trovare delle piste. Dopo 3000 km di lunghi rettilinei solitari fa specie trovare lungo la strada incroci, biforcazioni e soprattutto paesi ; non i soliti villaggi disperati ma frazioni vere e proprie dove si può distinguere il centro dalla periferia, dove sembra che la qualità delle costruzioni sia, per quanto Africana, migliore e in questi piccoli centri lungo la strada c’è molta gente per strada e tutti sono sorridenti. I ragazzini più piccoli sono in divisa scolastica e a quest’ora stanno rientrando alle loro abitazioni, altri sono radunati in piccoli spiazzi polverosi a giocare a pallone mentre le grosse “mamy” dai vestiti coloratissimi stanno chiacchierando davanti ai negozietti, da qualche parte arriva forte della musica africana e qualcuno accenna qualche passo di danza… Ecco il Senegal che mi avevano descritto ! Tutto è comunque molto povero ma in questa semplicità, sembra che la gente sia felice.

Saint Louis ci accoglie con la fiammeggiante luce del tramonto e attraversiamo un grande ponte in ferro che divide la città sulla terra ferma dal vecchio centro coloniale edificato dai francesi. Le grosse travature ad arco che fiancheggiano e sovrastano il ponte sul largo fiume, creano con la luce radente del tramonto un effetto stroboscopico che disorienta un po' anche perché è gremito di auto, taxi e di caratteristici taxi collettivi che scorrazzano fumanti e sgangherati per le vie della città e sono sempre stracarichi all’inverosimile. I giovani amano rimanere aggrappati all’esterno, sul portellone posteriore, dal quale entrano ed escono a loro piacimento mentre il furgone è in corsa e quando quest’ultimo svolta per le vie, questi giovani ondeggiano pericolosamente verso l’esterno come banderuole rimanendo aggrappati con le mani sull’arrugginita grondaietta del tetto. E’ evidente che questi giovani amano mostrarsi in queste pericolose acrobazie ; prova di forza e coraggio.

Improvvisamente Cico arresta il suo 4x4 e scendendo dall’auto corre ad abbracciare un tipo piuttosto grosso vestito come un Rapper con il berretto dalla visiera esagerata almeno quanto le linguette delle scarpe. Ha un viso solare e sorride a sessantaquattro denti, la sua stretta di mano è poderosa almeno quanto il volume della musica che esce da qualche parte dietro le sue spalle enormi.
Per tutto il tempo che soggiorneremo a Saint Louis sia all’andata che al ritorno, sarà il nostro cambiavalute .

Arriviamo all’albergo, consegniamo i passaporti alla reception ed entriamo nel bar. Siamo stanchi morti, più per lo stress di Rosso che per la strada percorsa ; stanchi, sporchi e assetati.
Il ragazzo del bar arriva di corsa e mentre ci sediamo su dei morbidi ed alti sgabelli di fronte al bancone, dice una frase che non avrei mai sperato di sentirmi dire : << Volete una BIRRA ?>>

Ed è così che tracanno la prima Gazzelle...seguita subito dopo dalla seconda … e dalla terza ...







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Vecchio 25-02-2012, 15:32   #154
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Ancora un po’ stordito per la troppa birra e dopo essermi “docciato” nella decorosa camera dell’Hotel “La Palmeraie”, scendiamo per cena. Solo ora mi accorgo che le ragazze della reception sono semplicemente stupende, vestite all’europea e molto sorridenti. Il sorriso delle donne del Senegal è qualche cosa di particolare; anche i loro occhi sorridono e i loro corpi si muovono dolcemente, con un’eleganza innata e anche il semplice gesto di prendere una penna dalla scrivania, le porta ad eseguire dei movimenti sinuosi con le loro lunghe dita e in generale la loro postura ben eretta e il fascinoso modo di camminare, le circonda di un’aurea particolare.
Oltre la hall c’è una porta che dà su un patio interno contornato dal marciapiede che corre lungo le quattro mura ed è interamente occupato da una piccola piscina sormontata da un ponticello in legno dall’assito un po’ sconnesso. L’acqua in superficie è ricoperta da un sottile strato di polvere rossastra e non invita al tuffo. Nonostante le temperature diurne piuttosto alte a metà gennaio ( 25 / 28° ) di notte la temperatura scende sensibilmente ed essendo la piscina poco o per nulla esposta al sole, l’acqua è molto fredda e così, la manutenzione è tenuta al minimo in attesa di notti più calde. Un lato del patio è interamente occupato dalla vetrata del bar-ristorante, davanti ci sono dei piccoli tavoli in ferro e sparsi qua e là, vi sono dei grossi vasi con una vegetazione rigogliosa . La luce del locale esce dalla vetrata e si infrange sulla superficie oleosa dell’acqua; nel patio non c’è nessuno e l’aria è fresca. Mi siedo nella semi-oscurità godendomi questo attimo di pace assoluta e forse adesso, per la prima volta, realizzo quanto sono lontano da casa e mi invade un fremito come quando da ragazzino fantasticavo davanti al mappamondo o sulle immagini di un libro di geografia … Chi mai l’avrebbe detto…
Finisco la sigaretta ed entro nel ristorante dove qualche attempato turista francese ed i miei compagni di viaggio sono già accomodati ai tavoli in attesa di ordinare la cena.
A capo tavola c’è Cico che, spronato dalle nostre domande, inizia a raccontarsi dicendo di essere uno dei pochi fortunati che grazie alla sua attività può permettersi una casa decorosa ed una famiglia con tre figli anche se purtroppo è costretto a stare lontano da casa per periodi a volte molto lunghi. L’abbiamo incontrato a Rosso perché stava accompagnando oltre frontiera un camion pieno di moto e fuoristrada italiani della provincia milanese i proprietari dei quali sono rientrati via aerea da Dakar ; è lontano da casa da circa un mese e mezzo e stà tornando a Saly dove appunto abita fino a quando non ci ha incontrati e per questo, il suo rientro tarderà ulteriormente di un giorno. Solo per questo, il valore della disponibilità dimostrata nei nostri confronti vale il doppio.
Dice che tutto sommato ce la siamo cavati piuttosto bene a Rosso in quanto nella maggior parte dei casi, non essendoci nessuno che ti spiega tutta la procedura, una volta attraversato il fiume si è costretti a riprendere la chiatta perché manca questo o quel documento. Nel frattempo che ci rinfrescavamo è riuscito a sistemare una parte dei documenti sbagliati e dice che probabilmente domani mattina completerà il lavoro. L’Hotel dove ci ha sistemati rientra tra quelli che usa per i suoi tour e grazie a lui paghiamo un prezzo molto scontato quindi come minimo e per il momento, ci offriamo di pagargli la cena ma, al momento del conto ci accorgiamo della cifra irrisoria e capiamo che lo sconto comprende tutto il pacchetto. Cico ci spiega delle difficoltà del suo popolo e della grande corruzione politica che come in tutto il mondo rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri ; è stato anche impegnato in politica per un anno e mezzo ma dopo ripetuti scontri su muri di gomma ha dovuto gettare la spugna e ritirarsi. E’ molto dispiaciuto del fatto che ancora l’Europa vede l’Africa come un problema e non come una risorsa; al contrario della Cina che invece ne ha capito le potenzialità ma purtroppo la stà sfruttando in maniera vergognosa alimentando la corruzione e lo scontento della popolazione. A breve ci saranno le elezioni presidenziali e spera che con il cambio del vertice al potere, molte cose si possano sistemare …
Ci dà vari consigli su dove andare o non andare e anche sui posti dove alloggiare nei giorni a venire e il suo aiuto si rivelerà davvero prezioso. Ci sconsiglia di andare a Touba, santuario della religione islamica dal carattere piuttosto fondamentalista, proprio a causa di quel fermento politico che stà imperversando un po’ per tutto il paese ma per fortuna, a stemperare la tensione, tra qualche giorno inizia la Coppa d’Africa. Peccato perché ne ho sentito parlare come di una città stupenda ed essere arrivato fin qui senza poterla visitare mi rammarica non poco. E’ meglio evitare anche la zona della Casamanche in quanto è fortemente militarizzata a causa di moti insurrezionalisti già da diversi anni e ora più che mai la situazione è piuttosto calda. I nostri documenti, per quanto “sistemati” non saranno mai al 100% e ci consiglia di evitare rogne. In ogni caso non abbiamo tanto tempo a disposizione per visitare il Senegal anche perché l’escursione nel centro della Mauritania ci ha eroso tre giorni e ora sentiamo sempre più il bisogno di fare base in un posto tranquillo per riposarci qualche giorno. Domani resteremo a Saint Louis in attesa che Cico finisca di sistemare le cose e comunque faceva parte del nostro itinerario la visita in questa bella cittadina ricca di quel fascino coloniale che ormai in pochi posti al mondo si può vedere. La cena finisce con una coppa di gelato e dopo aver fatto due chiacchiere fuori ci ritiriamo presto addormentandoci come sassi ...
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Vecchio 27-02-2012, 15:19   #155
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Nell’ “Hotel la Palmeraie” di Saint Louis, la colazione viene servita all’ultimo piano dell’edificio in una saletta circondata da vetrate. Da un lato la vista dei tetti e sotto la piscina racchiusa nella pianta quadrangolare dell’hotel, dall’altro lato il canale formato dall’oceano che ci divide dal porto dei pescatori. In questi giorni di lungo viaggiare, abbiamo preso l’abitudine a svegliarci presto perché oltre all’impegno di dover rispettare la tabella di viaggio, i Muezzin cominciano a chiamare alla preghiera già dalle 4.30 del mattino e se la moschea con il suo minareto coronato di grossi altoparlanti è vicino al posto in cui dormi, dopo qualche voltolamento nel letto sei quasi costretto ad alzarti. Anche oggi sorprendiamo l’alba nel suo caleidoscopio di colori e dall’altra parte del canale, possiamo vedere l’attività febbrile dei pescatori che si accingono a prendere il mare con le loro enormi piroghe colorate cariche di persone e reti azzurre e verdi ; pronti a dare il cambio alle imbarcazioni che a breve rientreranno in porto dalla battuta notturna. Questo lo si capisce dalla lunga fila curvata di camion a cella frigorifera che si distende a perdita d’occhio verso sud e il sole appena sorto riflette sul vetro di ognuno di quei camion facendoli apparire come una lunga sequenza di lampioni arancio. Consumiamo in fretta la colazione e usciamo nell’aria frizzante mista all’inconfondibile e consueto olezzo di spazzatura che quando diventa davvero troppa, qualche anima buona si prende la briga di incendiare all’alba o dopo il tramonto.
Cico è già pronto e dice che oltre a dover concludere la procedura dei nostri documenti, sarà impegnato in qualche giro di acquisto e nella ricerca di un meccanico per sistemare delle cose nel suo fuoristrada. Il nostro Fabio ne approfitta per cercare delle H7 di ricambio per la sua RT che con gli scuotimenti dei giorni passati, si sono spente definitivamente. La zavorrina è ancora provata dal passaggio sul confine del giorno prima e dice che dormirà ancora un po’ mentre io e Manlio, decidiamo di prendere le moto e farci un giro al villaggio dei pescatori per assistere al rientro dalla battuta notturna. Per come mi è sembrato di capire, Saint Louis è divisa in tre zone: La prima è sulla terra ferma ed è costituita da case e palazzi anche di discrete dimensioni ; attraversando il lungo ponte in ferro sul fiume Senegal si accede all’isola della città vecchia ed è posizionata su una lunga e stretta striscia di sabbia dalla quale, sull’unico ponte in cemento molto malmesso, si accede ulteriormente al villaggio dei pescatori anch’esso edificato su una lingua di sabbia ma in una striscia ancor più stretta e lunga. Il nostro albergo è situato sulla prima isola proprio di rimpetto al canale della seconda, vicino all’unico ponte di accesso all’isola dei pescatori.
Le moto sono parcheggiate davanti all’albergo a ridosso di una lunga siepe che divide in due la strada adornata da altissime palme; il guardiano notturno è seduto su una seggiola in plastica e ci saluta con aria molto assonnata mentre un’inserviente dell’albergo ha già iniziato il suo servizio che consiste nel lavare le auto dei clienti così, ne approfitto per farmi lavare il cupolino che soprattutto nella parte interna è ricoperto dal un impalpabile “talco” rossastro che ormai mi impedisce la visibilità.
Ha fatto un buon lavoro e così gli offro una mancia che rifiuta dicendo che il lavaggio fa parte dei servizi offerti dall’albergo ma, continua a guardarsi intorno. Capisco e così mi sposto fuori dalla vista dell’ingresso e lo chiamo, gli metto i soldi in tasca e ottengo un bellissimo sorriso che mi mette allegria.

L’isola è già sveglia e procedendo a volte contromano nel dedalo di strette vie, incontriamo lunghe file di bambini dai grembiuli azzurri e rossi apparentemente non accompagnati che si mescolano ai gruppi di ragazzi e ragazze delle scuole superiori vestiti con jeans e felpe ; si muovono allegri e urlanti invadendo il centro delle strade in infiniti attraversamenti interrotti dal via vai di carretti trainati da asini e taxi collettivi che strombazzano ed emettono dense scie di fumo nero impazzando già carichi dei loro coloratissimi clienti. Altri vicoli e piazzette sono pieni di altri bambini, dall’aspetto sporco e trascurato, intenti a giocare con sudici palloni bucati quando và bene , altrimenti con palle di stracci o lattine di plastica. Se ne deduce che almeno 2/3 dei giovanissimi non frequenta la scuola e passano le giornate a giocare negli spiazzi occupati dai rifiuti, a fare dell’accattonaggio e i più fortunati a fare qualche piccolo lavoretto soprattutto al villaggio dei pescatori dove si confondono nei cumuli di immondizia che incessantemente svolticano alla ricerca di qualcosa da “riciclare” se non da mangiare. Esistono infatti tanti negozietti nei quali giovani artisti creano le loro opere con materiali riciclati e non avete idea di cosa sono in grado di fare con un pettine rotto, un rasoio usato o qualche lattina di Cola.
La vista di tutti questi bimbetti è penosa ma è impensabile pensare di poter fare qualcosa per loro ; come in tutti i grandi centri Africani, quella dei bambini di strada è una piaga sociale che nonostante gli sforzi di tante organizzazioni provenienti da tutto il mondo, è difficile da debellare.

Passiamo in mezzo ad una grande bidonville di lamiere e tavole spezzate prima di imboccare il ponte in cemento dove sotto e in tutta la riva opposta, sono ormeggiate le barche in un’acqua stagnante densa di rifiuti che credo siano la seconda piaga delle città. Tutta la costa africana è incessantemente battuta da una leggera brezza che a giorni spira dall’oceano ed in altri, dalle infinite distese desertiche dell’interno e per questo ovunque si vada, è un continuo svolazzamento di laceri sacchetti marrone scuro, bottiglie ed altri contenitori in plastica che assediano le strade e la spiagge. Questo quadro così come ve l’ho descritto appare poco piacevole ma, dopo qualche giorno, ci si abitua e ben presto si finisce per non notarlo più tanto si è presi dal luogo, dai colori e dalle persone, dai profumi delle spezie e dalla puzza di pesce lasciato essiccare al sole e si finisce per camminarci in mezzo come se fosse una cosa normale.
L’isola dei pescatori è attraversata in tutta la sua lunghezza da un’unica strada principale che si dirama in tanti brevi vicoli che da un lato, da danno sul canale con le barche e dall’altro direttamente sulla spiaggia opposta, verso l’oceano. Le case, addossate l’una all’altra, sono tutte in pessime condizioni e le pareti scrostate lasciano intravedere i colori di un tempo che fù mentre i marciapiedi sono affollati di persone e merci.
A distanza regolare la strada è attraversata da rallentatori dall’altezza veramente esagerata come è esagerato il bordo dei marciapiedi ; in seguito vengo sapere che quei 30 cm servono ad impedire che le macchine invadano quella che anche loro chiamano area pedonale. Guardando la maggior parte delle auto che circolano e come vengono guidate, si capisce subito che quel gradino è l’unica salvezza per i pedoni che comunque attraversano incautamente e all’improvviso.
Cerchiamo un posto adatto per parcheggiare la moto ma dopo diverse soste riteniamo che sia poco sicuro oppure il marciapiede è troppo pieno di cose e persone quindi, procediamo ancora un po’ fino ad arrivare alla fila dei camion del pesce che, occupando quasi completamente la stretta via, ci impediscono di proseguire. Sulla destra c’è un vicolo che sembra entrare in una piazzetta ma, appena girato l’angolo, ci accorgiamo di essere finiti nello spiazzo della fabbrica del ghiaccio anch’esso occupato dai camion. Passiamo a fatica in mezzo mentre sopra le nostre teste, stanno volando cassette di pesce e ghiaccio che i pescatori si lanciano da camion a camion ; per terra, sul fondo di cemento pieno di buche ci sono quattro dita abbondanti di acqua putrescente che mi fanno rimpiangere il fatto di non indossare i miei TCX. I camion hanno delle valvole e quello che ne percola è “succo di pesce” che la compressione del ghiaccio fà scaturire in rivoli nauseabondi che si riversano sul terreno ; anche qui è impossibile fermarci e così torniamo a stento sulla strada principale e ci fermiamo davanti a quella che sembra essere una piccola officina per motori marini ; di fianco c’è un alto muro che nasconde chissà cosa e il marciapiede è sgombero. Ci arrampichiamo là sopra e ancora prima di spegnere il motore, si fanno avanti un paio di ragazzi sorridenti che dicono che si occuperanno delle nostre moto.
Contrattiamo il costo della prestazione mentre uno dei due è già andato a prendere una lunga panca di legno che posiziona di fianco e a protezione delle nostre moto; decidiamo che ci si può fidare e ci allontaniamo con i due seduti a ridere e scherzare.
Lungo il canale, sulla stretta spiaggia, ci sono centinaia di persone affaccendate a scaricare pesce o caricare reti e attrezzature. Il momento è di gran confusione in quanto chi arriva e chi parte per il mare crea una confusione pazzesca e tutti devono trovare il modo di muoversi tra mucchi di vecchie reti abbandonate, piccoli ripari dove in molti vivono e producono carbone di legna per l’affumicatura del pesce, montagne di conchiglioni svuotati e ovunque scarti di pesce tanto che la sabbia sembra essere composta per più della metà da squame. Ci sono anche molte piroghe rotte ed abbandonate che rendono ancora più difficile muoversi in quella confusione dove tutti fanno fatica anche a sentirsi e li costringe ad urlare. Sono tutti così occupati che non ci notano è così abbiamo modo di confonderci tra di loro riuscendo a scattare qualche foto anche se di nascosto. Più in là si sentono i colpi che i maestri d’ascia imprimono sulla travatura principale di una nuova piroga in costruzione mentre poco lontano si alza il fumo denso del catrame in ebollizione che viene utilizzato, insieme alle tele di vecchi pneumatici, per impermeabilizzare il fondo delle imbarcazioni. Le piroghe pronte a partire inneggiano canti propiziatori e gli imbarcati colpiscono a tempo il bordo delle imbarcazioni con pezzi di legno e alcuni con il piatto dei macete rendendo ancor più coreografica la scena ; quelle appena rientrate scaricano dalle loro profonde pance quantità incredibili di enormi pesci la maggior parte dei quali, pur abitando in un posto di mare, non avevo mai ne visto ne conosciuto mentre gli acquirenti dei negozi si azzuffano per accaparrarsi le forniture migliori … E’ davvero uno spettacolo incredibile, difficile da descrivere...




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Vecchio 28-02-2012, 17:29   #156
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Rientriamo dal giro al villaggio dei pescatori mentre Cico e Fabio sono appena rientrati.
Ora i nostri documenti sono “a posto” anche se ci è costato circa 50 € a testa per ungere gli ingranaggi burocratici e Fabio, ha in mano un paio di H7 pagate poco più di 5 €. in valuta locale ; il CFA. Questa è la terza valuta che ci troviamo a gestire e fatichiamo abbastanza a distinguerne il valore in quanto facevamo appena in tempo ad abituarci ad una, che si passava in un nuovo stato e così, in mezzo alle nostre cose, abbiamo tre valute diverse e la separazione, soprattutto delle monete, diventa complicata. Un po’ come per i documenti che tra entrate ed uscite, vanno tutti separati accuratamente per non rischiare di andare nel pallone una volta giunti alle frontiere che non so perché, ma mi rendono sempre un po’ nervoso e in quel stato d’animo è facile incartarsi .
Attualmente il CFA Senegalese viene cambiato a 1 : 650, la Ouguya Mauritana a 1 : 350 e il Dirham Marocchino stà a 1 : 10.90 . Per fortuna qualcuno di noi ha ben pensato di portare una piccola calcolatrice che abbiamo dovuto usare quasi quotidianamente anche se negli ultimi giorni di viaggio, questa faticava a fare i calcoli in quanto piena di sabbia e polvere. Stessa cosa dicasi per i cellulari, macchine fotografiche e più in generale per tutte le piccole attrezzature elettroniche con le quali abbiamo avuto tutti dei piccoli problemi ma, come sempre, il WD40 ha fatto miracoli.
Sono ancora le 10,30 del mattino e così, decidiamo di cambiare le lampade dell’RT per poi farci un giro a piedi nella 1° isola ; la Ville Coloniale.

Uscendo dall’albergo, la strada che costeggia il canale e prosegue verso il ponte della 2° isola, ha sulla sinistra un muretto alto circa un metro e dietro di esso il canale crea una riva larga circa un paio di metri e lunga 400. Ebbene la gente che abita lì esce da baracche e case, arriva a metà strada e lancia il sacchetto dell’immondizia subito dietro il muretto che ormai per tutta la sua lunghezza, è diventato una fumante discarica permanente dove pascolano allegramente le capre e i gatti si contendono il territorio. Poco importa se nel frattempo macchine e persone stanno transitando; aprono la porta di casa, fanno due passi e lanciano, costringendo i passanti a chinarsi o indietreggiare per evitare il “missile” … L’ignoranza è una brutta bestia …
Intanto stormi di bimbetti giocano a pallone per strada mettendo delle pietre a mò di porta che le macchine (per fortuna poche in questa via ) al loro passaggio fanno a volte schizzare come proiettili sui muri delle case o sul muretto del canale nell’ilarità generale dei piccoli. In Senegal il calcio è molto seguito e secondo me è quasi una malattia ; sarà un caso ma ho notato viaggiando negli ultimi anni, che più la popolazione è povera ed ignorante e più si attacca in modo malsano a questo sport come si può anche vedere in nazioni che si definiscono “civili”. La maggior parte di questi bambini sono quotidianamente vestiti con magliette di famose squadre di calcio, soprattutto di quelle del campionato spagnolo ma non disdegnano quelle delle squadre italiane e quando al nostro passaggio si accorgono che è da lì che veniamo, ci seguono per in po’ continuando a ripetere Milan, Inter e Juventus … alcuni ci chiedono dei soldi e alla domanda sul perché non si trovino a scuola, scappano a gambe levate.
Qui la maggior parte dei giovani sogna di diventare un calciatore con quella visione distorta della maggior parte delle cose che arrivano dall’Europa e questo è un vero peccato.

Arriviamo al ponte dell’isola dei pescatori e guardando dall’altra parte, notiamo che la confusione è al massimo quindi decidiamo di visitare quella parte di Saint Louis dopo pranzo e procediamo nella visita della città coloniale che, nonostante gli sforzi dell’UNESCO tendenti al ripristino degli antichi palazzotti di costruzione spagnola e francese soprattutto per i caratteristici balconi in legno, non riescono a dare un’immagine ordinata. Comunque il colpo d’occhio nei vicoli è davvero notevole e il colore che fuoriesce dai negozi di artigianato locale, dà nel complesso un aspetto allegro.
Buona parte delle vie sono parzialmente insabbiate e su qualche vicolo malandato l’aspetto è un po’ triste ma l’allegria delle persone o meglio, la voce allegra e ridente delle persone che esce dalle piccole finestre e dagli ingressi bui dei portoni, controbilancia la situazione. In quest’ora della tarda mattinata le strade sono quasi deserte e i negozianti si affacciano al nostro passaggio ma per fortuna non ci assillano troppo e qualcuno risulta anche molto simpatico tanto da indurci ad entrare.
Le stoffe multicolori dalla trama finissima e lucida pendono dai soffitti e dalle pareti in un arcobaleno infinito mentre a terra, fanno bella mostra di sé un’infinità di terrecotte dai disegni semplici ma estremamente curati, contenitori metallici con manici a volute delicate vicine a statuette e animali anch’essi in bronzo . A completare il quadro c’è sempre un angolo con l’immancabile artigianato in legno di Ebano, molto simili ma molto più belli di quelli che si possono vedere anche in Italia nei mercatini dei “vucumprà”. Quasi tutti insistono sulla necessità di acquistare il “passaporto Senegalese” che altro non è che una piccola maschera in legno dipinta e decorata con perline e conchiglie ; proprio come quella che ho appesa davanti a me mentre stò scrivendo …
Dicono che il possesso della maschera dà diritto all’accesso e all’ospitalità in qualsiasi casa e al di là dell’oggetto, ho avuto modo di provare che la gente è sinceramente disposta ad accogliere con slancio gli stranieri e in cambio di due chiacchiere e l’immancabile regalino per i bimbi, si può gustare serenamente un buon tè alla menta e, se l’alchimia è buona, ci si può fermare anche a mangiare.
Questa predisposizione dei Senegalesi a vivere con mente e cuore aperto mi disorienta a causa della nostra ormai purtroppo radicata diffidenza che, non mi stancherò mai di ripetere, qui in Africa è un problema ; quindi colgo l’occasione per recepire il più possibile anche questo insegnamento che come sempre, solo le persone semplici ti sanno far capire come se fosse un’illuminazione.
Girovagando per le viuzze, ci si avvicina un ragazzo dai modi educati che ci consiglia un buon posto dove mangiare. Ha lavorato per quattro anni ad Amsterdam dove si è sposato ed ha messo al mondo un figlio ; le cose non sono andate bene ed è tornato al suo paese ma quando parla di quel bambino il sorriso gli muore sul viso e diventa malinconico. Và all’università studiando nella facoltà di Storia Antica ma nei ritagli di tempo prende lezioni di inglese e fà da guida ai turisti ; un suo amico possiede un calesse trainato da un cavallo come tanti se ne incontrano a Saint Louis e così, con questa specie di società, riesce a sbarcare il lunario per lui, i suoi due fratelli più giovani e sua madre.
Acconsentiamo a fare il tour così garbatamente proposto e ci diamo appuntamento per dopo pranzo quando ci sarebbe venuto a prendere davanti al ristorante.
La visita della Ville Coloniale dal calesse di lamiera verde bottiglia intarsiato da sgargianti disegni, diventa se possibile ancora più interessante e il nostro amico ci mostra le antiche ville consolari e le ambasciate ormai abbandonate e decadenti in quanto da parecchi anni si sono spostati giù a Dakar, nella capitale. Gli zoccoli del cavallo riecheggiano quando trotterella sulla strada libera dalla sabbia e le vie nel primo pomeriggio assolato, sono semideserte rendendo l’atmosfera ancora più magica. Ci racconta un’infinità di aneddoti su quelle antiche case e passeremo un’ora veramente piacevole. Passiamo davanti alla vecchia ambasciata spagnola che è in fase di ristrutturazione; dice che sono anni che si trova in quello stato così fasciata di impalcature pericolanti e cornicioni franati. Dice anche che la Spagna manda i soldi ma l’amministrazione cittadina se li mangia tutti e allora noi ridendo, gli parliamo della Salerno -Reggio Calabria, di ospedali ed altre infrastrutture iniziate e mai finite … Lui finge di capire e sorride annuendo. A un certo punto il calesse svolta sul ponte dell’isola dei pescatori e arrivati dall’altra parte ci accoglie un silenzio innaturale ; è l’ora della preghiera. Sull’alto marciapiede alla destra della strada, quello rivolto verso la Mecca, tutte le persone sono disposte in una interminabile fila ; grandi e bambini sono impegnati nelle loro genuflessioni scandite dalla gracchiante voce del Muezzin che cantilena da un minareto lontano. Il calesse non si arresta e nel silenzio assoluto continuiamo per la nostra strada ; noi ci facciamo piccini piccini come per dimostrare segno di rispetto in quel loro momento di preghiera. Svoltati in un’altra via riprendo la parola e gli chiedo il motivo dell’ora inconsueta per la preghiera. Dice che l’Imam dell’isola ha dovuto modificare l’orario delle preghiere basandosi sui tempi della vita dei pescatori … Segno dei tempi e del progresso che avanza …
Il giro è ormai alla conclusione ma prima di riaccompagnarci all’albergo ci fermiamo davanti al Souk dell’isola nel quale entriamo. E’ un lurido groviglio scuro di bazar e attività dove non si riesce a percepire l’inizio di una e la fine dell’altra. Tra una fila e l’altra sono tirate delle polverose coperte, lamiere, vecchi tappeti sdruciti e teli di plastica verde scuro tanto che gli occhi ci mettono un po’ ad abituarsi alla poca luce. Calzolai, sarti con i ferri da stiro a carbone, venditori di spezie e sempre accanto i guaritori con i loro intrugli, bazar di alimentari e botteghe di abbigliamento dove nella maggior parte dei casi, fanno la stridente mostra di sé le magliette dei calciatori e le scarpe Nike. Venditori di carne e di pesce senza frigoriferi dove le mosche la fanno da padrone, venditori di farine e panettieri con infiniti tipi di pane dall’odore delizioso … Anche questa è l’Africa ...



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Vecchio 29-02-2012, 19:10   #157
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Nel Souk dell’isola dei pescatori decido di acquistare un paio di t-shirt per mio figlio ma, per quanto mi sforzo nel tentativo di trovarle, i commercianti non fanno altro che offrirmi magliette di squadre di calcio o quelle delle più note ditte sportive e questo mi innervosisce un po’. Possibile che non si riesce a trovare qualche t-shirt con un disegno simpatico e la scritta Senegal, piuttosto che Dakar o che so io?? Cerco di spiegargli che i turisti non cercano questi tipi di articoli perchè ne hanno le case piene ; mi guardano sconsolati e fanno spallucce rispondendo che nessun turista entra lì dentro … Sì, forse pretendo davvero troppo ma non demordo e chiedo alla nostra guida che in men che non si dica mobilita mezzo souk e mi dice di aspettare dove mi trovo. Nell’attesa, la mia attenzione viene attirata da una botteguccia in cui vengono creati monili e preziosi in oro, argento e corallo, impreziositi nella composizione da parti in ebano, terra cotta ed altre svariate pietre naturali. Entro nella bottega che è un lungo e scuro budello largo al massimo un metro e venti e in fondo, molto in fondo, un baffuto e sorridente artigiano mi invita a guardare nelle vetrinette. Ora io non mi intendo molto di oreficeria ma sono convinto che le nostre donne impazzirebbero in un posto del genere. Oltre ad una lunga sequela di articoli dall’aspetto prevalentemente ridondante come in uso nel nord-Africa, ce ne sono altri di fattura deliziosa, dal montaggio e dagli accostamenti di colore veramente molto moderni e dal gusto europeo ; altri tipicamente africani.

In ogni posto che sono andato nei miei precedenti viaggi, ho acquistato un braccialetto; di quelli semplici in cuoio intrecciato ed alcuni,essendo veramente semplici, non hanno una chiusura e sono legati a doppio nodo ; tuttora ne indosso alcuni da svariati anni. Decido che per questo viaggio ci vuole qualcosa di più serio e mi invaghisco di un bracciale in argento che pur nel disegno semplicissimo è abbastanza pesante. Il commerciante è mauritano e sarà senz'altro un osso duro … i senegalesi sono gente pacifica e di animo buono ed è difficile che ne incontrerete qualcuno che venda cose di un certo valore dove la furbizia e il senso degli affari diventano caratteristiche necessarie ; caratteristiche che invece abbondano nei mauritani e ce ne siamo accorti quando abbiamo soggiornato nel loro paese dove ci hanno praticamente “spellati” ; tutto esageratamente troppo caro.
Devo aspettare la guida e avendo tempo, mi impegno in quel fantastico gioco delle parti che solo gli africani amano condurre in una trattativa estenuante fatta di ultimatum, alzate di voce, velate offese, spinte figurate e finte uscite, pacche sulle spalle e strette di mano fino a che una discreta folla di persone si accalca sul minuscolo ingresso e tra le teste fà capolino quella della guida che con una mano agita un sacchetto con un paio di magliette colorate. Non riesce a resistere e con grande felicità entra e conclude per me la trattativa che era giunta ad un punto morto; il commerciante cede solo perché gli viene riferito che ho fatto altri acquisti nel souk e la prova stà nelle mani della guida.
Un’altra bella esperienza da ricordare.
Le magliette sono proprio come le cercavo anche se il prezzo è evidentemente più alto del normale ; con quello che ho risparmiato (?) nel bracciale, non faccio polemiche e pago.

Mentre il sole comincia ad abbassarsi la guida ci invita a casa sua per prendere un the e dopo un certo numero di zig-zag e svicolamenti, usciamo dalla pancia buia del souk e torniamo a respirare la brezza marina. Ci troviamo su una strada in un punto indefinito e dopo aver attraversato una via piena di donne intente alla fabbricazione e all’imballaggio del carbone di legna, arriviamo ad un portone di legno malandato su un alto muro con finestre solo al primo piano ; entriamo …
Oltre il portone c’è uno stretto corridoio a cielo aperto nel quale si affacciano diverse porte ; appena entrati, sulla destra, il solaio del primo piano è crollato e all’interno di quella che era un’abitazione e in mezzo alle macerie, trovano ricovero alcune capre ed una pecora che fungono da riserva alimentare degli abitanti della casa. In questo vecchio stabile abitano cinque famiglie che fanno parte della stessa parentela e nel silenzio ovattato, da dietro le tende degli ingressi si sentono le voci sommesse delle persone e qualche pianto di bambino. Al nostro arrivo escono quasi tutti insieme a darci il benvenuto e a parte un paio di anziane signore, sono tutti molto giovani. Nel corridoio a cielo aperto vengono stese delle stuoie mentre qualcun altro è impegnato nell’accensione del fornelletto a carbone che dopo dense volute di fumo è pronto a riscaldare la teiera in metallo lucido. Nell’attesa vengono distribuiti a caso alcuni cuscini e, in posizione semisdraiata, chiacchieriamo e scherziamo con i piccoli della casa mentre la nostra guida non dimenticando le abitudini di Amsterdam è intento ad arrotolarne una. Rifiutiamo avendone perso l’abitudine secoli fà e lui con molta discrezione si apparta in una stanzina attigua e ne esce con un’espressione rilassata qualche minuto più tardi : anche oggi a fatto il suo dovere e ha portato il pane a casa.
Il rito del the è una cosa importante e viene eseguito con movimenti inalterati nel corso dei secoli ; sarà per questo che quando lo fanno loro si crea quella schiumetta persistente che rimane sul fondo del bicchiere. Io dopo averne bevuto degli ettolitri non sono mai riuscito a schiumarlo quel tanto che basta per arrivare al secondo sorso. La schiuma ha il duplice scopo di evidenziare la qualità del the e di fare da filtro ad una certa quantità di fibre che dalla teiera si riversano inevitabilmente nel bicchiere. L’acqua, il the, la menta e lo zucchero grezzo vengono riscaldati al calor bianco sui fornelletti a carbone e dopo una lunga ebollizione, con gesti abili e sicuri, viene fatto zampillare dall’alto all’interno dei bicchieri disposti in circolo su un vassoio intarsiato per poi essere di nuovo travasato nella teiera a ripetere diverse volte la sequenza e ho capito che non è la quantità dei travasi a fare la differenza ma la qualità. Quasi sempre, mentre sono occupati nella lenta e calma preparazione che eseguono con gesti eleganti, canticchiano una canzoncina a fior di labbra.
Solitamente se ne bevono tre bicchieri ; il primo è forte e bollente, da uomini, e và bevuto con calma, sorseggiandolo mentre si parla. Il secondo, denso e dolcissimo, è quello delle donne e và bevuto in un paio di sorsi. Il terzo è tiepido e molto aromatico e serve ad augurare una buona prosecuzione del viaggio e preannuncia il commiato. Restiamo non so quanto tempo in quell’atmosfera tranquilla, quasi familiare; sono tutti dei perfetti sconosciuti eppure mi sorprendo a provare dei sentimenti affettuosi nei loro confronti, come se li conoscessi da sempre e mi sento bene, a mio agio.
Finiamo l’ultimo the mentre la striscia di cielo sopra le nostre teste diventa rossa preannunciando la fine di questa stupenda giornata. Ci alziamo e dopo calorosi abbracci e parole di stima, usciamo a malincuore da quella casa ritrovandoci nel vicolo ancora accompagnati dalla guida che dopo un po’ ci saluta e prosegue per la sua strada scomparendo dietro un angolo, garbatamente, così come era arrivato ...

Domani il nostro viaggio prosegue ma, come consigliato da Cico, non ci dirigiamo direttamente a Dakar ma proseguiremo un centinaio di chilometri più a sud, sotto Mbour, dove le spiagge sono più belle e gli alberghi meno costosi. Sono contento di questa decisione perché arrivare a Dakar segna un po’ la fine di questo viaggio anche se si tratta del “giro di boa” ed io, proprio non ho voglia di pensare al ritorno ; sarà la temperatura, il sole, la gente … io qui stò troooppo bene ...


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Vecchio 29-02-2012, 19:30   #158
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Le foto parlano, complimenti davvero per lo splendido viaggio e il bellissimo report.
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Vecchio 29-02-2012, 21:40   #159
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Grazie matteo 10,
sono contento che questi miei racconti ti piacciono.
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Vecchio 01-03-2012, 17:52   #160
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Il mattino presto finiamo di preparare i bagagli e nell’attesa che apra la sala colazioni al 3° piano, scendiamo a caricare le moto ; pronti alla partenza. Ci dispiace un po’ lasciare Saint Louis ma il viaggio continua ed oggi proseguiremo giù, fino a Dakar, e oltre.
Sono le sette del mattino e la saletta sul tetto con le vetrate ha appena aperto i battenti mentre alcuni inservienti assonnati si aggirano per i tavoli e sul buffet, intenti a preparare la colazione. Il silos elettrico del caffé non è ancora sufficientemente caldo e così , usciamo sulla piccola terrazza a goderci dall’alto e per l’ultima volta lo spettacolo che ogni giorno viene allestito sulla riva opposta del canale nell’isola dei pescatori.
Il cielo è leggermente velato e si confonde con il colore dell’acqua che appare di un bel grigio-azzurro , le imbarcazioni colorate che prendono il mare sono illuminate dai primi raggi obliqui del sole e assumono un aspetto quasi irreale così come sembrano fluttuare nell’aria mentre i rumori e la confusione della riva opposta non riescono ad arrivare fino a noi. C’è una leggera brezza proveniente dal mare e a ondate ci arrivano i canti dei pescatori sulle piroghe ; sembra quasi che il loro canto esca dalle morbide onde che si infrangono nella riva, al di là della strada sotto di noi …

L’inserviente spalanca la porta della terrazza e sorridendo ci invita ai tavoli dove si è già accomodata una famigliola di colore ; una coppia sui quaranta elegantissimi e curati nell’aspetto, parlano sommessamente con la loro bambina che si aggira vicino al tavolo del buffet con fare adulto ed educato.
Guardo per un attimo la mia polverosa tuta da moto e gli stivali mentre passo davanti al loro tavolo accennando un timido “Bonjour”, come a scusarmi per il nostro aspetto ; sorridono e ci guardano mentre noi ci accomodiamo dalla parte opposta ridacchiando tra il divertito e l’imbarazzato.
La colazione è di tipo europeo con tutto quello che si può trovare in qualsiasi albergo ma su tutto, spicca la qualità del pane e dei Croissant che sono di un profumo e di una fragranza unica. In realtà tutta la parte di Africa che ho visitato dispone di una panificazione eccezionale che prende le sue origini da quella francese. Oltre alla tradizionale Baguette, ne producono un’infinità di altri tipi differenti nella forma e nel sapore che è molto diverso da tipo a tipo pur non essendo aromatizzato. La differente miscellanea di farine produce sapori completamente diversi e ovunque si vada, il pane è sempre buono.
Solo in Mauritania abbiamo trovato il pane poco gradevole ; piccoli panini allungati attaccati l’uno all’altro, dal colore bruno e con una crosticina morbida ; mangiandolo si sentono gli scricchiolii della sabbia e il sapore è sempre polveroso. Questo la dice lunga sul grado di igiene alimentare che vige da quelle parti.

Oggi non dovremo fare tanta strada, circa 250 / 280 chilometri. Ci dilunghiamo in un’abbondante colazione e quando siamo al distributore per il pieno sono già le 8.30, nella periferia della città si stà alzando un vento teso. Purtroppo quella del vento è stata quasi una costante in questo viaggio e ci ha fatto soffrire parecchio in quanto è sempre stato laterale o di fronte ; sia all’andata che al ritorno.
Oltre al disagio di viaggiare con forti venti laterali si deve aggiungere l’enorme aumento dei consumi delle nostre moto. In condizione ventosa, il mio Gs non è mai riuscito a percorrere più di 240 km con un pieno, arrivando a punte minime di 220 km quando normalmente supera abbondantemente i 300 km. Me ne sono accorto da subito, quando sbarcato a Tangeri e imboccato l’autostrada in direzione Marrakhesc con forte vento frontale e prevalentemente in leggera salita, arrivo all’altezza di Kenitra con il computer di bordo che segnala la riserva e, non avendo percorso nemmeno 200 km, penso ad un errore e proseguo. Tengo comunque d’occhio il display e mi accorgo che l’autonomia residua scende in modo contrastante ai chilometri percorsi così decido di fermarmi a controllare. Apro il serbatoio e quello che esce dal foro scuotendo la moto è un sinistro suono cavernoso. Le taniche supplementari sono ancora vuote e pur percorrendo un’autostrada, le stazioni di servizio sono molto distanti l’una dall’altra ma per fortuna facciamo ancora in tempo a prendere l’uscita di Kenitra e arriverò al distributore con 2 km di autonomia residua. In seguito, per tutto il viaggio a parte il nord del Marocco e il Senegal sono dovuto ricorrere diverse volte ai miei tank che hanno fatto egregiamente il loro sporco lavoro. Sporco perché ad ogni pieno fatto con quelle pompe scassate, venivamo letteralmente dilavati con la benzina che usciva a fiotti dal serbatoio e dalle taniche in quanto quasi tutti gli erogatori avevano il meccanismo del blocco pompa avariato e la maggior parte non sapevano neanche che cosa fosse. Abbiamo visto benzine di tutti i colori : da quelle quasi trasparenti del Sahara Occidentale a quelle rosso mirtillo della Mauritania che oltre ad essere poverissime di ottani facendo bestemmiare le valvole, lasciava sul serbatoio e sui vestiti un odore persistente e un deposito denso, colorato e oleoso … al ritorno prevedo un tagliando mooolto costoso …!



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Anche la gente dei paesi che abbiamo attraversato dice che è atipico questo forte vento quasi continuo ; normalmente ci sono giorni di tempesta seguiti da lunghi periodi di calma relativa ma, da un paio d’anni, anche la loro situazione meteorologica è cambiata. La quantità di acqua che cade nelle sporadiche piogge è aumentata esageratamente e non essendo abituati, non dispongono di canali sufficientemente pronti ad arginare questa nuova situazione e spesso si ritrovano con vaste aree allagate anche se per pochissimo tempo. L’inverno è diventato più rigido procurandogli i tipici mali da raffreddamento che fino a pochi anni fà non conoscevano.
Io mi sento un po’ come i turisti tedeschi quando alla fine di Aprile, scendevano in riviera con maglietta, pantaloncini e sandali. Nonostante i 28° l’aria è fresca e loro sono vestiti con abiti pesanti mentre noi che siamo abituati, stiamo benissimo in maglietta.
Credevo di essermi lasciato alle spalle i territori desertici ed invece, ci ritroviamo a guidare in una savana secca e irta di acacie spinose mentre in lontananza si cominciano a scorgere le sagome di colossali Baobab velati dalla polvere alzata dal vento . La rotta che seguiamo ci porta verso Thies, una grande città che proprio per questo, decidiamo di non attraversare e anzi, la mappa indica una specie di circonvallazione che aggira la città e ci permetterà di evitare il caos …



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Vecchio 02-03-2012, 13:16   #161
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Bello bellissimo! Continua io faccio copia e incolla e appena finito pubblicherò un libro con i tuoi racconti e foto , ovvio ti darò una piccola percentuale sui profitti.!!!
A presto ciao boxer
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max800gs non è in linea   Rispondi quotando
Vecchio 02-03-2012, 18:33   #162
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Grande Max !!!
Non credo di essere all'altezza per fare quello che tu dici ma se ti và di rischiare ...
Mi metto davanti alla tastiera e cerco di condividere alcune delle tante emozioni che ho avuto la fortuna di provare in questo viaggio.
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Vecchio 02-03-2012, 21:58   #163
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… La strada è a tratti insabbiata e spazzata dal vento.
Anche oggi incontriamo qualche carcassa di animale sul bordo della strada ma adesso c’è una novità che dà la misura di quanto stiamo scendendo a sud; nel cuore dell’Africa nera.
In lontananza vedo una sagoma scura e penso ad un asino che se ne stà pigramente sdraiato all’ombra di un’acacia e man mano che mi avvicino con cautela per scongiurare come sovente avviene i repentini attraversamenti, la sagoma scura appare strana, quasi brulicante. Sono ormai a 50 metri dall’asino quando tutto d’un tratto, questo si alza in volo e stupito, faccio il mio primo incontro con questo temibile animale : l’ Avvoltoio.
Ci fermiamo immediatamente dopo la carcassa di una Antilocapra e scendendo al volo, cerchiamo di fare qualche foto agli enormi uccelli che per niente intimiditi, si sono posati sopra e sotto una grossa Acacia una ventina di metri più in là e ci stanno osservando guardinghi con il collo e la testa abbassati e le ali semiaperte in un atteggiamento che a noi sembra minaccioso. Sono proprio enormi, ma le basse Acacie davanti a noi ci impediscono una inquadratura decente e così ci muoviamo molto lentamente verso di loro cercando il più possibile di evitare movimenti bruschi e rimanendo nascosti dietro gli esili tronchi. E’ un momento molto emozionante ; è la prima volta che mi cimento nella caccia fotografica e l’adrenalina è a mille anche perché adesso siamo veramente vicini e possiamo vederne chiaramente le striature del ruvido piumaggio e l’occhio vigile e attento. L’incanto dura pochi attimi poiché come se si fossero dati un muto segnale di allarme, quelli sulla chioma volano sull’albero successivo mentre quelli rimasti a terra zampettano di sghembo e in modo sgraziato più avanti, guardandosi alle spalle e senza perdere di vista la carcassa.
Tentiamo ancora la manovra di avvicinamento ma ormai si sono innervositi e ogni volta, la distanza si fà sempre più lunga. Scattiamo qualche foto e torniamo sulla strada.

Proseguiamo e dopo un po’, le balise ai lati della strada indicano che mancano poco più di cento chilometri a Dakar quindi decidiamo di fermarci a quella dei cento dove ci avremmo fatto sopra il nostro caffè e scattato qualche foto ; non come abbiamo fatto con il Tropico del Cancro.
Eravamo a sud del Sahara occidentale e avevamo lasciato Dakhla da una cinquantina di chilometri diretti verso Nouadibou, la prima città che si incontra entrando in Mauritania. Sul lato della strada c’è una pietra posata a terra, scritta malamente con della vernice azzurra che dice “Tropique du Cancer” e poco più avanti altre con scritto “Arretè Vous !!” ; rallentiamo ma pensiamo ad uno scherzo o ad uno stratagemma per fermare i turisti e tentare di appiccicargli qualche oggetto ma, sebbene non ci fosse nessuno nei paraggi, proseguiamo con la fretta di superare il confine. Quando ci siamo resi conto dell’errore eravamo già un centinaio di chilometri più avanti e ci siamo dati i pugni in testa a vicenda.
Al ritorno passeremo di lì con un altro stato d’animo e l’ultima cosa che ci sarebbe venuta in mente, sarebbe stata quella di fermarsi a fare delle fotografie … Peccato, ci sarà un’altra occasione.

Avvicinandosi a Thies la strada diventa a “quattro corsie” e la cosa ci fa sorridere.
Tutte le strade sono abbastanza rialzate rispetto al terreno e quando la strada fù costruita, vennero spianati malamente anche i due lati della strada lasciando a intervalli regolari i mucchi di terra. Per la pericolosità dei lunghi rettilinei la gente a piedi e con i carri trainati ha preso l’abitudine di passare in quelle piste e con il tempo i mucchi di terra rossa come quella dei campi da tennis si sono arrotondati
come panettoni e i carri hanno lasciato solchi profondi ; ridiamo sul fatto che i conduttori potrebbero addormentarsi e andare avanti per ore dentro quei binari. Anche i ragazzi passano di lì e ci troviamo a passare in mezzo a due file quasi interminabili di giovani che stanno andando a scuola e tutti ci salutano o battono le mani o alzano il pollice. Qualcuno dei più piccoli fà il verso di tirarci un sasso ma è solo uno scherzo perché lo fanno ridendo e a mano vuota ; ci spiegheranno poco dopo che la scuola inizia a mezzogiorno per permettere quelli che abitano a molti chilometri di distanza di frequentare le lezioni.
Nel frattempo la balise dei 100 chilometri a Dakar è davanti a noi e ci fermiamo per festeggiare simbolicamente il traguardo. Baci, abbracci e pacche sulle spalle mentre i ragazzi si fermano incuriositi a chiacchierare. Dopo un pò ci chiedono esplicitamente di essere fotografati con noi vicino alle nostre moto e la cosa ci sorprende non poco in quanto fino ad ora, siamo stati costretti a “rubare” le fotografie con soggetti umani che solitamente si arrabbiano moltissimo quando si accorgono di essere inquadrati ; i bambini si coprono il viso e le donne per quanto velate si girano dall’altra parte infuriate, urlando chissà quali improperi. Ho sentito dire che gli anziani insegnano ai nipotini di non farsi fotografare perché quando gli europei li inquadrano, nello stesso istante gli rubano l’anima e senza di quella Allha è costretto a gettarli in un limbo pauroso. Sembra che questa favoletta abbia molta presa sulla maggior parte dei bambini e forse questo è un bene se pensiamo a che razza di persone si aggirano tra i turisti. Comunque questa fobia si nota soprattutto in nord Africa dove anche i non più giovanissimi evitano l’inquadratura ma qui il discorso è diverso e in molti casi penso che sia più da attribuire ai loro trascorsi all’estero e hanno paura di essere identificati ; dovreste vedere che facce !!
Per quello che riguarda le strutture, i ponti, le macerie e qualsiasi altra cosa di costruito, c’è sempre qualcuno che si avvicina ammonendoti che è vietato e così, capirete come sia difficile fare dei buoni scatti non avendo il tempo ne per eseguirli, ne di conoscere la gente ed entrare un po’ in amicizia perché, se si riesce a fare questo, tutte le foto sono possibili.
A parte il colore della pelle, i ragazzi e le ragazze somigliano molto ai nostri studenti sia per come si vestono che per come si muovono e tra quelli che si sono fermati con noi, spicca una ragazza dai lineamenti molto belli ma la cosa che fa specie, sono i suoi jeans di un bianco candido. Più tardi durante il viaggio, mi sorprenderò a ripensare a lei e mi piace credere che sicuramente sarebbe tornata a casa la sera con i pantaloni ancora immacolati.
Siamo ormai alle porte di Thies e come da mappa, aggiriamo la città svoltando a destra e passiamo davanti ad una enorme moschea in costruzione tutta in cemento armato dalle dimensioni incalcolabili.
L’architettura è quella tipica data dai dettami mussulmani ma dalle curvature dolci si nota un tratto molto moderno, quasi avveniristico e nel complesso nonostante le dimensioni risulta gradevole.
Dalla parte opposta c’è una enorme spianata dove è stato posizionato un grande palco nel quale si affaccendano una quantità di tecnici nell’allestimento delle luci. Dai cartelloni appesi agli alberi sembra che vi si svolgerà un festival internazionale di musica africana e già nutriti gruppi di giovani si accalcano sotto il palco nonostante il sole cocente.
Thies deve essere veramente grande perché la strada continua per molti chilometri in un morbido e lunghissimo semicerchio e in mezzo alla bruma, sulla sinistra, si vede la sagoma della città.
Più avanti in lontananza c’e un’altra spianata piena di puntini bianchi e penso che sia il solito cimitero a cielo aperto ma avvicinandomi, vedo che i puntini bianchi non sono lapidi ma piccoli casottini con la parte superiore inclinata e uno sportello rosso ruggine ; dietro la spianata una zona residenziale di nuova costruzione e dall’aspetto ordinato e piacevole. Le costruzioni sono tutte a due piani, del tipo villetta a schiera e anche qui l’architettura è di stile moderno anche se nel rispetto dei canoni africani. Sono tutte con il tetto a terrazza e i colori sono quelli della terra che si integrano alla perfezione nel territorio circostante conferendo un’immagine da ricercato villaggio turistico. Credo che molti dei nostri famosi architetti avrebbero qualcosa da imparare sotto questo aspetto : semplicità, funzionalità e soprattutto grande fruibilità ; le nuove urbanizzazioni di pianta quadrangolare sono servite da grandi strade interne paragonabili in dimensione alle nostre superstrade.
Per quanto riguarda i casottini bianchi dallo sportello rosso, altro non sono che gli allacci all’acqua e all’ energia elettrica ; questi minuscoli appezzamenti servono alla costruzione di case unifamiliari. Qualche giorno più tardi mi spiegheranno il singolare funzionamento di queste nuove aree edificate :
La totalità dei terreni disponibili sono di proprietà del demanio salvo qualche rara eccezione e l’autorità del luogo decide come, dove, quando e a chi far costruire le palazzine che rimangono di proprietà comunale per poi essere vendute e affittate a prezzi molto abbordabili. Queste palazzine sono per chi può permettersi l’acquisto o ha un lavoro sufficientemente fisso da pagare l’affitto. I piccoli appezzamenti invece sono per i poveri che si mettono in lista di attesa e ai quali questi terreni vengono donati con la clausola che impone la costruzione della casa entro cinque anni. Questa operazione serve a sgomberare i centri cittadini dalle vecchie e malandate baracche occupate dai poveri e al loro posto vengono costruite banche, uffici, centri commerciali ecc .
Se ci si ragiona un attimo si capisce che questo sistema si presta un po’ troppo alla corruzione e ai favoritismi ma per il momento ottiene il duplice risultato di avere da un lato delle città più ordinate e con più servizi per la comunità ed dall’altro, di ridare dignità alla moltitudine di estremamente poveri.
Temo però che nel giro di qualche anno queste aree si trasformeranno in nuovi ghetti in quanto chi popolerà quelle case non dispone né di sufficiente cultura né di senso civico per mantenerle in maniera decorosa e così, tutto rincomincerà daccapo. Spero tanto di sbagliarmi.
Anche qui il progresso fà passi da gigante portandosi dietro anche tutto quel fardello di ingiustizie che anche noi, malgrado la dichiarata civiltà, conosciamo ….





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Ultima modifica di Boxer Born; 02-03-2012 a 22:02
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Vecchio 04-03-2012, 10:41   #164
Boxer Born
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Sbagliamo la deviazione per Mbour che è subito prima di entrare nella penisola di Dakar e la polizia ci ferma. Dakar è ancora parecchie decine di chilometri più avanti ma negli anni la periferia si è estesa in maniera disordinata inglobando anche la città di Rufisque e così da questo punto in poi, le abitazioni si susseguono senza soluzione di continuità per una sessantina di chilometri fino alla capitale.
Il militare è un uomo robusto con la testa calva coperta da un basco verde e buona parte del viso è nascosta da un paio di Ray Ban a specchio dalla montatura color oro ; un brutto muso. Non posso fare a meno di notare la sua pelle levigatissima , ricoperta da un leggero strato di polvere solcata da qualche rivolo di sudore. A differenza di tutte le altre volte che ci hanno fermato questi non è ne cortese ne simpatico e si rivolge a noi bruscamente con un’espressione di pietra ; ci chiede rudemente i documenti e immagino che ora iniziano i guai. Da una baracca al bordo della strada che poteva benissimo essere il ricovero delle pecore si sente un fischio e dall’ombra esce il collega che fà un gesto con il braccio come per dire : ma lasciali in pace ! Non gli rompere i C …!
Ray Ban non si gira nemmeno, resta in piedi davanti a noi con le gambe divaricate e tamburella sul palmo della mano il primo passaporto che gli era stato consegnato mantenendo impassibile la stessa espressione marmorea … I secondi passano …

La strada di fianco a noi è preda di un traffico infernale ; un carretto trainato da un asino scarta improvvisamente verso il centro della carreggiata e il piccolo e malandato minibus che lo segue è costretto a frenare bruscamente ma si inchioda soltanto la ruota anteriore sinistra. Il mezzo devia con la gomma fumante salendo sullo stretto ed alto marciapiede centrale rischiando di cappottarsi mentre si alza una enorme e densa nuvola di polvere grigia che ci fa pensare al peggio. L’animale terrorizzato e con gli occhi fuori dalla testa ormai non risponde più a nessun comando e nonostante il conduttore lo bastoni come un forsennato, scarta di nuovo repentinamente perdendo una buona metà del carico e provocando il caos più totale.
Ray Ban lancia il passaporto e strappandosi il basco dalla testa si dirige a lunghe falcate verso il gruppo di persone che si stà formato qualche decina di metri più in là. Il collega è uscito di un passo dalla baracca mentre l’aria vibra di clacson e nell’attimo che si gira dalla mia parte, legge il labiale che dice “Mbour”; fa un cerchio in aria con il dito e poi indica nervosamente un punto dietro di noi mentre indossa il basco e a sua volta si dirige verso il luogo dell’incidente. Sono proprio felice che almeno per oggi non dovremo proseguire per quella strada . Lo stretto marciapiede nel mezzo è troppo alto per essere scavalcato con le moto e siamo costretti a passare di fianco al carretto mentre Ray Ban stà abbaiando sul viso del malcapitato e con una mano lo tiene semi-sospeso per il colletto della giacca...
Di scene come quella che ho appena descritto se ne vedono continuamente ; basta appostarsi in luogo sicuro lungo una strada trafficata e non ci sarà molto da attendere. La gente guida veramente molto male ma dalla loro c’è il fatto che per la qualità dei mezzi, le velocità sono piuttosto basse e questo gioca a nostro sfavore in quanto siamo costretti a sorpassare quasi continuamente. Per paura delle buche o di quant’altro si muova ai bordi della strada, guidano nel mezzo ma di distraggono, guardano in giro, e spesso sono attaccati al telefono. Le convergenze sopraffine dei loro mezzi li porta piano piano o contromano o contro qualche ostacolo sul lato e spesso mi trovo a urlare nel casco: … Eccolo … Eccolooo!!!! tra nuvolosi di polvere e clacson impazziti.

Tornando indietro brevemente intercettiamo la deviazione per Mbour e la strada torna di nuovo tranquilla ; tiro un sospiro di sollievo. Il paesaggio è sempre quello della savana ma procedendo verso Mbour diventa più boscoso e la strada si adagia su basse colline sempre mantenendo la sua andatura rettilinea. Nella corsia opposta transitano dei camion, molti dei quali hanno il carico pieno di boccioni azzurri di acqua minerale del più grande stabilimento del paese ; la Kirene. Altri sono carichi di terra, sabbia o pietre piuttosto che ortaggi o prodotti chimici per la pulizia e sono tutti diretti verso la capitale per soddisfare le esigenze di diversi milioni di persone.
Mezzogiorno è passato da parecchio tempo e la fame ci attanaglia così, decidiamo di fermarci.
Abbiamo sempre fame e devo dire che se c’è una cosa che davvero non ci è mai mancata in questo viaggio è il cibo. Per precauzione nei miei viaggi porto sempre con me delle barrette energetiche e in diverse occasioni, si sono rivelate davvero utili ma questa volta, ne ho riportato a casa più della metà.
E dire che quando prima di partire le avevo assaggiate, mi erano sembrate buonissime con quel morbido ripieno di mirtilli ; dopo venti giorni di cucina africana ho provato per sfizio a mangiarne una e il suo sapore era … come dire … terribilmente sintetico.
Nonostante diversi giorni molto faticosi nei quali si arrivava alla sera davvero spossati con un’enorme dispendio di energie, credo che in questo viaggio io sia riuscito addirittura a prendere almeno un chilo.
Un viaggio come questo implica degli spostamenti piuttosto lunghi per cui quando ci si ferma a mangiare si trovano sempre piatti diversi e normalmente ti propongono quello che gli riesce meglio.
In altri casi, quando il menù era intelligibile in quanto scritto in lingua locale, mi guardavo intorno ad osservare quello che prendevano gli altri ; non ci siamo mai sbagliati. A parte qualche resistenza della zavorrina nei confronti della Curcuma, ci siamo sempre gustato tutto. Ovviamente bisogna essere tremendamente curiosi in fatto di cucina e non bisogna soffermarsi troppo a guardare la pulizia del locale o ad analizzare i bicchieri perennemente appannati o anche a contare le mosche che si posano sul piatto, sulle mani e sul viso. Una giorno a pranzo, stavo fissando un mio compagno di viaggio che era seduto davanti a me intento a sgranocchiare un piatto di crostacei e mi chiedevo come non potesse essere infastidito dalla quantità di mosche che erano posate sul suo viso. Accortosi dello sguardo insistente e incuriosito mi apostrofa con uno scherzoso “ … zzo vuoi ?” e cosi lo metto al corrente di quello che stà accadendo sulla sua faccia ; lui ridendo a bocca piena risponde che è meglio che penso per la mia.
Guardando con avidità i documentari trasmessi in televisione, ho sempre cercato di immaginare a quale specie di supplizio siano quotidianamente sottoposte le persone a causa delle mosche e, adesso che ci sono dentro, mi accorgo che la loro invadenza è sì fastidiosa ma molto meno di quanto si possa pensare. E’ chiaro che si tratta di una razza molto diversa da quelle che ormai raramente ( per fortuna ) si trovano da noi ; sono molto più piccole e hanno sviluppato la capacità di camminare sulla pelle in modo quasi impercettibile tranne quando, essendo ghiotte di sale, si infilano negli occhi o passeggiano sulle orecchie. Dopo un po’ ci si abitua anche a questo e più di una volta, in altre situazioni, mi sono stupito nel constatare il livello del mio spirito di adattamento o di resistenza alla fatica.

Ci fermiamo quindi per mangiare in un breve paesino con le case “adagiate” disordinatamente ai lati della strada. La nostra attenzione è stata attratta dallo spazioso parcheggio di sabbia e dal porticato con qualche tavolo sotto la costruzione in muratura che mostra con orgoglio un’insegna che dice “Cafè Restaurant ouvert 24 sur 24”. Parcheggiamo e ci incamminiamo sotto il porticato ; l’ingresso alla sala ristorante ha due serrande avvolgibili in lamiera, come quelle che ancora si possono vedere in certi vecchi negozi di antiche città, e non c’è presenza di altro infisso. Il salone è molto grande ed in fondo c’è una piccola porta in lamiera spalancata dalla quale entra la luce ardente del sole e sgaiattolano una quantità non ben definibile di gatti dal pelo opaco e arruffato. I quattro grandi tavoli rotondi dalle pesanti sedie in legno bianco stonano e si perdono nella vastità della sala che mostra tutta la struttura di cemento armato del soffitto annerito in maniera incredibile da una spessa crosta di fuliggine proveniente dalle fauci spente di un grosso camino da cucina dal quale straborda un’enorme mozzicone di tronco. Su tutto mezzo centimetro di polvere che soprattutto sui tavoli e sulle seggiole, viene trattenuta da un’abbondante strato di unto sudicio. Rimaniamo qualche secondo interdetti contemplando a bocca aperta questo assurdo quadro e senza dire una parola ci giriamo contemporaneamente cercando la via di fuga ma quei pochi secondi, ci sono stati fatali. Dalla porticina in fondo alla sala entrano di corsa un uomo ed una ragazzetta che a voce alta ci invitano ad accomodarci mentre, spaventato dalle grida, l’ultimo gatto nascosto sgomma e derapa sul pavimento infilando l’uscita.
Ci guardiamo negli occhi con espressione sconsolata che vale a dire : siamo fregati !
Ricorderemo per tutta la vita questo episodio ; il giorno del pollo alla carta del cemento ...
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Vecchio 04-03-2012, 11:07   #165
francesco77
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Grande boxer, dai tuoi racconti e dalle tue immagini si capisce chiaramente che è un' avventura a dir poco meravigliosa.
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Vecchio 04-03-2012, 19:17   #166
moretto
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....non so che mestiere tu faccia....ma se ti metti a scrivere libri fai una fortuna!!
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Vecchio 05-03-2012, 12:33   #167
Boxer Born
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Grazie Moretto ma non credo di meritarmi questi elogi.
Come ho già detto cerco soltanto di condividere questi ricordi con persone che i qualche modo possono capire o leggere tra le righe l'emozione di un viaggio e il piacere della scoperta.
Comunque, grazie.
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Vecchio 05-03-2012, 19:08   #168
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… Ci ricorderemo per tutta la vita questo episodio ; il giorno del pollo alla carta del cemento …

Nel frattempo l’uomo ci è già addosso e ci spinge per i gomiti verso i tavoli … restiamo in piedi e non abbiamo sufficiente presenza di spirito per rifiutare ed uscire … fà caldo e qualcuno chiede una bottiglia d’acqua … non abbiamo più scampo.
L’uomo ci chiede cosa vogliamo mangiare e prima di poter dire qualcosa ci assicura di avere dell’ottimo pollo alla brace ; guardiamo il camino spento e ci stringiamo nelle spalle ma l’uomo è già andato mentre la ragazzetta ci porta la bottiglia d’acqua con dei bicchieri. Da quando siamo entrati non abbiamo aperto bocca e il primo è Fabio che sentenzia : << Io qui non ci mangio … >>
Non potendo fare altro ci sediamo ( tranne Fabio ) e ordiniamo due bottiglie di Gazzelle mentre la sala viene letteralmente invasa dal fumo acre del camino che molto probabilmente non dispone di canna fumaria. Poco convinti riusciamo a scherzare sulla possibilità che un avvoltoio abbia fatto il nido sul comignolo. Il fuoco comincia a crepitare e con un pezzo di carta gialla avanzata dall’accensione l’uomo pulisce un tagliere e fa spuntare fuori non so da dove quattro polletti che adagia sul pezzo di legno per poi accanirsi su di essi con una specie di corto macete. Ora la fiamma è viva e dopo aver assestato un calcione al tronco vi appoggia un pezzo di rete metallica a maglia fine e sopra di essa i pezzi di pollo mentre con lo stesso attizzatoio con cui smuove il fuoco, rigira la carne sulla griglia .
<< Io qui non ci mangio >> ripete Fabio mentre l’uomo prende diverse grosse cipolle che spezza in modo grossolano e poi gettarle sul pollo irrorando abbondantemente il tutto con una polvere di spezie e olio. Le fiamme si alzano per almeno un metro e mezzo e sperando che si incendi anche il locale ci guardiamo attoniti. Dopo qualche minuto lo pseudo cuoco prende la rete infuocata e travasa il contenuto su un largo vassoio metallico poi, raccoglie da terra un sacco di carta a doppio strato che apre accuratamente separandolo dal foglio interno … Non ci sono dubbi, è proprio un sacco di cemento vuoto, certificato dalla scritta in blu “ Ciment Portland “.

Come in un mantra sentiamo << Io qui non ci mangio !! >> ; Fabio lancia uno sguardo torvo all’indirizzo del cuoco che ricambia con un sorriso. La parte esterna del sacco di cemento viene appoggiata sulla griglia per poi essere bagnata con il liquido di prima che noi pensavamo fosse olio ... ma forse lo è … ma no, non può essere olio ... è qualcos’altro ... Ci alziamo incuriositi ed andiamo a vedere da vicino ; la fiamma sotto arde allegramente e il calore della brace è a mille eppure, la carta non si incendia e il pollo e le cipolle sfrigolano cominciando ad emettere un buon profumo.
Alla fine Fabio non assaggerà nemmeno un boccone ed io, credo di aver mangiato il miglior pollo alla brace del viaggio … Ma quel liquido … cosa era …?!

Ripartiamo nel pomeriggio assolato e lungo la strada incontriamo un grande parco naturalistico che diverse volte ho visto nella famosa trasmissione televisiva “Alle Falde del Kilimangiaro “.
L’ingresso è costituito da immensi e antichi tronchi sormontati da una tettoia ricoperta da lunghe fibre vegetali e sotto un grande cancello anch’esso in legno. La parte del parco che confina con la strada è protetta da una recinzione in rete metallica coronata da tre corsi di filo spinato ed è lunga diversi chilometri lasciando intravedere una gran quantità di alti alberi ed una fitta vegetazione che immagino celi chissà quali animali mentre sulle cime più alte si può vedere il movimento di tanti uccelli diversi.
E’ reale, e lo sto vedendo proprio con i miei occhi ... sono qui nel cuore dell’Africa … come tante volte fin da bambino mi ero immaginato e mi metto in piedi sulla moto facendola molleggiare per la felicità mentre tutti i miei sensi sono impegnati a recepire più messaggi possibili per fissarli nella mente …
Adesso ho proprio voglia di fermarmi per godere di questa natura prorompente dai mille colori e profumi e misteri. E’ qualche tempo che penso a come mi piacerebbe potermi fermare qualche giorno di seguito per riposarmi e avendo ormai raggiunto l’obbiettivo del viaggio, credo che questo sia proprio il luogo giusto. Nei precedenti mesi prima della partenza mi sono spesso fermato a fantasticare su come sarebbe stato bello fermarsi in un villaggio tranquillo vicino al mare, sdraiarsi e crogiolarsi al sole sulla spiaggia bianchissima e ascoltare le onde dell’oceano che si infrangono sulla secca poco distante e ora se qualcuno mi dicesse che quel posto è proprio qui, a poche decine di chilometri dal posto in cui mi trovo, potrei anche credergli.

Siamo ormai all’ingresso della cittadina di Mbour e mi accorgo che la strada rimane uguale a se stessa ; pensandoci bene, questo succede da quando siamo entrati in Senegal. Nel senso che sia nel Sahara Occidentale che in Mauritania e più generalmente in tutto il nord Africa quando si entra in cittadine di discrete dimensioni, la strada diventa a quattro corsie e sempre vi si accede passando sotto imponenti archi dallo stile arabeggiante ; molti di questi archi sono veramente belli e finemente decorati. Sui lati della strada ci sono spaziosi marciapiedi lastricati con panchine posizionate a intervalli regolari così come al centro delle quattro corsie dove vengono installati in modo ravvicinato dei luminosi lampioni dalla foggia decorativa intervallati da alte palme. Queste strade sono lunghe circa due o tre chilometri e terminano sempre con una larga rotonda verdeggiante e ben curata dove al centro vi è posizionato un busto o una fontana oppure una statua di qualche antico notabile locale ; dopo la rotonda iniziano le prime case che purtroppo , per il loro degrado , contrastano sempre in modo stridente con l’immagine di ordine e magnificenza che si è voluto imprimere alla città al momento dell’ingresso.
In Senegal tutto questo non esiste ; rispecchia in qualche modo l’indole pacifica della popolazione, quel modo di prendere la vita semplicemente evitando scrupolosamente di complicarsi la vita in inutili dimostrazioni di finto potere o ricchezza.
Così anche Mbour che ha l’aspetto di un grande paesone dalle costruzioni semplici e povere ma, nonostante la confusione di persone per strada e macchine rotte in transito , l’atmosfera risulta gioiosa e non ci infastidiscono più gli animali fermi in mezzo alla strada o le persone che attraversano all’improvviso o le macchine che si fermano e ripartono senza preavviso. Ora tutto sembra normale e ripensando al nervosismo che provavo nelle settimane precedenti quando guidavo in mezzo al traffico, mi accorgo che è solo questione di assuefazione. Il fatto è che noi europei viviamo ad una velocità completamente diversa dalla loro e per questo ci aspettiamo prontezza e tempi di reazione che gli africani non conoscono in quanto la loro vita è scandita dal lento passaggio del sole sulla volta celeste, dall’avvicendamento delle maree e il tempo che separa il mattino dal pomeriggio è per loro un tempo indeterminatamente lungo, abituati come sono a vivere alla giornata e così, ora che comincio a riconoscere il meccanismo cercando di agire con i loro ritmi, inizio a godere dei singoli momenti nel corso della giornata e cerco di impedire che il domani irrompa nei miei pensieri ; questo fa sì che anche attraversare una piccola cittadina come Mbour , sia una occasione per capire meglio la loro mentalità e le immagini che scorrono ai lati della visuale del mio casco diventano interessanti ; come un allegro video-clip la cui colonna sonora è data dalla vita che qui sembra scaturire anche dalle cose inanimate.

C’è tantissima gente in giro e sarà perché forse oggi è domenica, non so, sono diversi giorni che ho perso la cognizione del tempo e dello spazio ; mi piace questa sensazione.
Ora la strada sembra terminare in un giardino pubblico dove molte donne vi passeggiano con i piccoli
ma qualche macchina, per aggirare il traffico lo attraversa diagonalmente sollevando nuvole di polvere e costringendo le donne ad agitare il braccio in direzione del maleducato anche se l’espressione del viso non è mai eccessivamente arrabbiata e mi immagino cosa potrebbe accadere se una cosa del genere succedesse in Italia …
La strada circonda il piccolo parco pubblico restringendosi improvvisamente e formando un incrocio a T dal quale svoltando a sinistra si procede verso Kaolack mentre a destra, la strada prosegue in una piccola strada costiera a trecento metri circa dal mare anche se questo è nascosto per lunghi tratti dalla vegetazione. Kaolack è purtroppo per noi una zona preclusa perché i nostri documenti non prevedono la circolazione nel compartimento del sud ma potremmo sempre giocare la carta del finto tonto esibendo il permesso di circolazione e dicendo che non lo sapevamo. In ogni caso non vale la pena rischiare in quanto Kaolak è l’ultimo centro di una certa rilevanza prima del confine e funge da pre-filtro per coloro che intendono superare la frontiera con il Gambia che da lì dista una cinquantina di chilometri. Se per errore si imboccasse l’ultimo ponte a sud della città, incontreremmo un posto di blocco dove i controlli sono serrati e prevedono anche un riscontro via radio con la frontiera di ingresso ; si rischierebbe non solo di essere mandati indietro, ma anche di essere riaccompagnati dai militari fino a Saint Louis … Maledetta frontiera di Rosso…
In ogni caso i giorni a disposizione non sono così tanti per cui abbiamo deciso di concentrare i nostri spostamenti nella zona di Dakar dove per l’attività frenetica degli organi di controllo questi si limitano a verificare il possesso dei singoli documenti senza andare troppo a fondo sul contenuto.
Prendiamo quindi, come da programma, la stradina costiera e tra Mbour e Joal-Fadiout che dista circa quaranta chilometri ; dovremo trovare un posto in cui fare base per qualche giorno.

La strada è molto piccola e se si venisse catapultati all’improvviso in quel luogo, si direbbe che si stà marciando su di una nostra stradina di campagna se non fosse per la vegetazione che apparirebbe strana ; alte piante di Platano, Manghi e un altro tipo che non riesco a riconoscere ma che nella forma e dimensione somiglia alle nostre querce. Sul lato destro, verso il mare, si incontrano vaste aree acquitrinose e i cartelli elencano una lunga serie di parchi ornitologici e riserve marine protette mentre lungo la strada si incontrano diversi piccoli paesi dall’aspetto ordinato. La nostra attenzione viene attirata da uno di questi che porta un nome curioso e potrebbe benissimo collocarsi in qualche punto del sud-est asiatico : Nianing.
Ci affianchiamo per parlarci e la battuta che a tutti è venuta in mente è se per caso fossimo arrivati in Vietnam ; ridiamo divertiti mentre ci fermiamo “scendendo” dall’asfalto sulla sabbia di un luminoso rosso-arancio.
Davanti a noi c’è un lungo muro alto un paio di metri dello stesso colore della sabbia, una fascia decorata a mosaico composto da gusci di conchiglie lo divide a mezza altezza ed abbraccia un portoncino in legno sotto una tettoia di frasche di palma. Oltre il muro, una vegetazione inestricabile ed ombrosa di alti alberi e canne di bambù dai quali provengono acuti sibili, versi rauchi, ciangottii dalla vibrazione molto bassa e cinguettii di una miriade di uccelli di chissà quali specie tanto da far sembrare di essere davanti all’ingresso di una ideale giungla. Un cartellone dai colori sgargianti e dipinto a mano con innegabile maestria ci spiega dove il caso e la curiosità ci hanno fermati : Nianing, Maison de vacance “ Le Bientenier ” de Madame Diopp .



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Vecchio 06-03-2012, 19:32   #169
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Il posto è molto affascinante e decidiamo di entrare.
Mentre ci avviciniamo al portoncino a due ante, ne valutiamo la larghezza perché eventualmente è da lì che dovremo far passare le nostre moto in quanto lungo il muro non c’è traccia di altro ingresso.
Dovremmo passarci di misura e bussiamo su un’anta socchiusa … nessuna risposta …
Spingiamo l’anta che reagisce con un acuto stridore di cardini e per un momento tutti i suoni che provengono dalla volta verde sopra le nostre teste ammutoliscono … all’interno un basso rumore di tamburi proviene dal fitto della vegetazione mentre ai nostri occhi appare quello che io definirei un paradiso.
Stretti sentieri contornati da basse siepi si perdono nella vegetazione e le casette degli ospiti sono di terra rossa con il tetto di paglia ; tutte dispongono di un giardinetto con tavoli e seggiole e la ghiaia che ricopre i vialetti di ingresso è composta da un fine tritume di conchiglie e tutto ha un aspetto molto semplice e pulito mentre poco lontano una grossa “mami” dal vestito colorato è intenta a spazzare le foglie . Gli altri entrano in un basso edificio mentre resto in estasiata contemplazione sotto un alberello dai frutti verdi grossi come un pallone da calcio e dalla curva di un sentiero, sbuca una donna europea. Ci salutiamo e approfitto per fargli qualche domanda sul posto .
E’ francese e dice che al momento gli ospiti sono una quindicina di suoi connazionali ; si stà bene e si mangia benissimo ; questa sera a cena ci sarà un concertino tenuto da un gruppo musicale del posto … Non avrei neanche immaginato qualcosa di meglio e il pensiero è rafforzato dall’espressione felice dei miei compagni che uscendo dalla reception mi dicono che alloggio, colazione e cena costano circa ventidue euri al giorno. Che botta di fortuna !
Come previsto riusciamo a passare con qualche piccola manovra e portiamo le moto all’interno dove, non essendo previsto l’ingresso di veicoli, ci fanno parcheggiare nel giardinetto di un alloggio al momento libero e usato come magazzino. Il soffice pavimento di conchiglie cede scricchiolando sotto il nostro peso e il cavalletto centrale sprofonda ma per fortuna poco prima di partire ho dotato il laterale di un allargamento al quale ho anche applicato uno spessore in teflon per ridurre l’inclinazione e questo accorgimento si è già dimostrato veramente utile soprattutto in Mauritania dove è molto difficile fermarsi su qualcosa che non sia sabbia. Dopo qualche faticosa manovra di assestamento libero l’enorme borsa a rollo nera e sgancio le valige laterali ; non posso fare a meno di guardarmi di nuovo intorno per quanto il posto mi piace e i miei compagni ridono della mia espressione estasiata. Un portachiavi in legno scolpito raffigurante una statuetta penzola davanti ai miei occhi riportandomi alla realtà mentre un magrissimo inserviente raccatta la pesante rollo nera dicendomi di seguirlo.

Ci incamminiamo nel sentiero che poco dopo si divide in una biforcazione che aggira un edificio rotondo completamente circondato da vetrate in plexiglas un po’ ingiallito : la sala comune con la tivù.
Passiamo in mezzo a dei giardinetti con divani in ferro ricoperti da morbidi cuscini dalle stoffe colorate e dai disegni tipicamente africani con motivi geometrici e animali stilizzati ; piccoli salottini con al centro un basso piano d’appoggio dove alcuni ospiti sono già seduti a bere Gazzelle in attesa della cena e tutto intorno una serie di casette rotonde sempre con il tetto in paglia. Ancora più avanti la volta verde brillante si squarcia, lasciando entrare il sole che cade dentro una piscina azzurra attorniata da un basso edificio a elle con un porticato nel quale si affacciano diverse porte che conducono agli alloggi più grandi ; di fronte c’è la sala ristorante con uno spiazzo esterno pieno di tavoli già allestiti per la cena e ancora più in fondo, il sentiero finisce in un minuscolo cancelletto di legno invaso da rigogliose Buganvillee porpora e bianche che lasciano intravedere appena il blu dell’oceano e la spiaggia in parte occupata dalle colorate piroghe di pescatori … La coppia viene alloggiata nell’edificio a bordo piscina mentre, come avevo vivamente sperato , a me viene assegnata una delle casette rotonde con il tetto in paglia che divido con un mio compagno . Lo ripeto; un paradiso terrestre.
Questo piccolo villaggio dentro il villaggio di Nianing è gestito da Madame Diopp, una corpulenta donna dall’età indefinibile con la pelle d’ebano e un sorriso disarmante insieme a Nadine, una francese di mezza età approdata in questi luoghi diciassette anni fa' e che i casi della vita hanno portato a trascorrere questa parte di esistenza nel curare l’aspetto estetico e l’accoglienza del “ Bientenier ” e nel coordinare le varie attività di una decina di inservienti che si danno veramente molto da fare.
La mia casetta ha una porta di tavole dipinte di verde e all’interno vi si trovano un letto matrimoniale in muratura ; con la stessa fattura, sull’altro lato, uno spazioso letto singolo. Il passaggio in mezzo ai due letti porta verso una piccola apertura con una tenda oltre la quale si trova il bagno con un minuscolo lavandino, il water e nell’angolo opposto la doccia. Un esile filo scende dal cono del tetto sorreggendo una debole lampadina, una appenderia con due piccoli scaffali dai ripiani in vimini completano l’arredamento . I due letti sono provvisti di zanzariera che dopo averne apprezzato il gradevole aspetto estetico, mi ricordano che siamo entrati in territori dove la malaria è endemica e avendo deciso di non fare la profilassi, la vista di questo fine tessuto bianco desta in me qualche preoccupazione ; la prima cosa che faccio è cercare il flacconcino di Deet del quale non ricordo la posizione all’interno dei bagagli. Non ci sono finestre vere e proprie a meno che non si vogliano chiamare tali due piccoli quadrati protetti da una griglia in terracotta dove, all’esterno, le Buganvillee hanno trovato un sicuro punto di presa e non invadono l’interno solo perché protetto da una zanzariera. Provo il rubinetto e la pressione è molto bassa ma è direttamente proporzionale alla grandezza del lavandino; poco più di un lavamani. Tiro lo sciacquone che funziona e contemporaneamente controllo la doccetta che risulta essere rotta e inutilizzabile. Intanto la cassetta del water continua a scaricare emettendo un fastidioso gocciolio e non avendo voglia di scocciare nessuno appena arrivati, ci mettiamo ad armeggiare senza successo nella cassetta e ridendo ci diciamo che questa è l’Africa ed era strano che fosse tutto così perfetto; più tardi avremmo trovato certamente la soluzione.
La “soluzione” si chiama Sebastian che aggancio mentre stò disfacendo i bagagli con la porta spalancata ; è un omino minuscolo dai modi molto gentili e prima di entrare chiede il permesso. Gli spiego qual è il problema e mentre noi continuiamo a sistemarci, lui armeggia nel bagno e ne esce dopo qualche minuto ; gli chiedo se è tutto a posto e lui fà un gesto affermativo ma l’espressione del suo viso è strana e mentre si congeda dice “ C’est l’Afrique …”. Lo ringrazio e vado a controllare …
Lo scarico funziona ma non si ricarica più … Non sapendo cosa fare Sebastian si è limitato a chiudere il rubinetto di arresto. Ridiamo della cosa con la consapevolezza di avere un bagno inutilizzabile ma per fortuna, la zona comune dispone di comodi e spaziosi bagni muniti di doccia proprio a due passi dalla casetta e del resto, ci siamo ormai abituati al fatto che i bagni in Africa non funzionano quasi mai. Più di tutto abbiamo sofferto le docce che immancabilmente o hanno il tubo rotto alla base della doccetta, o il gancio che la sostiene al muro non è snodato e le incrostazioni di calcare fanno sì che l’acqua esca in lunghi getti sottilissimi costringendoti a fare la doccia dalla parte opposta del bagno ma il vantaggio è che così facendo, si contribuisce alla pulizia del locale.
In Africa l’aria è molto asciutta e si suda veramente poco ; in Mauritania mi è capitato di non potermi fare la doccia per diversi giorni e a parte la necessità di doversi togliere la polvere di dosso lavandomi almeno il viso e i capelli, l’abbigliamento intimo non aveva il caratteristico odore di una giornata di viaggio e a parte il collo della maglietta che assume un colore indefinito, la necessità di lavarsi può veramente ridursi al minimo. I turisti si lavano frequentemente e gli africani ritengono che questa sia una nostra mania. Un giorno, affrontando l’argomento con un locale, mi spiegava che per quello che aveva sentito dire da noi tutto è pulito e ordinato e si chiedeva come mai ci portassimo dietro questa insana abitudine di sprecare l’acqua avanzando anche il dubbio che tutto questo sciacquare ci potesse fare male.
Non è stato facile cercare di spiegargli quanto siano differenti le nostre culture e abitudini e, ne sono convinto, pur annuendo è rimasto nelle sue convinzioni.

Dopo la lunghissima doccia mi addormento risvegliandomi che fuori è già buio e uscendo dalla capanna, il villaggio mi offre una ulteriore piacevole sorpresa : In mezzo ai cespugli e dagli alberi, scendono lunghe file di piccole lampadine colorate del genere che noi utilizziamo sugli alberi di Natale e forniscono l’unica illuminazione disponibile ; quei puntini colorati in mezzo al fogliame conferiscono un aspetto elegante, simpatico, quasi magico. Le aiuole sono state appena innaffiate, l’aria è tiepida e mi sento davvero bene. Mi stiracchio e ancora in mutande, attraverso il sentiero che porta nei salottini all’aperto e raggiungo i miei compagni che sono seduti davanti ad un paio di bottiglie di Gazzelle ghiacciate mentre la zona ristorante si anima preannunciando la cena.
E’ il 20 Gennaio, sono fuori in maglietta e mutande bevendo birra ghiacciata in un posto meraviglioso … Cosa si può volere di più dalla vita ?




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Vecchio 07-03-2012, 23:33   #170
Boxer Born
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… Cosa si può volere di più dalla vita ? …

Una cena a buffet accompagnata da un gruppo musicale del luogo ; anche molto bravi direi.
La giusta cornice necessaria che come un benvenuto ha reso perfetta anche la cena malgrado il nostro tavolo fosse circondato dai francesi che ci guardavano come se fossimo un corpo estraneo. Nei pochi giorni che resteremo al villaggio non legheremo mai veramente anche se, devo riconoscerlo, all’inizio abbiamo fatto ben poco per essere accettati e comunque non ci interessava nemmeno esserlo. Tra l’altro non siamo stati quasi mai al villaggio così, ci si incontrava nel tardo pomeriggio e a cena, al ritorno delle nostre escursioni e oltre agli istituzionali Bonnesoir e Bonjour, sembrava che non destassimo in loro un grande interesse e noi per questo gli eravamo grati, perdonandogli quello che a noi sembrava assoluta sufficienza francese e che invece nascondeva una enorme curiosità per questi quattro italiani arrivati con le moto infangate e diretti chissà dove …

Anche in questo posto la vita inizia piuttosto tardi mentre noi continuiamo a svegliarci presto e in diverse occasioni nelle settimane precedenti, abbiamo dovuto contrattare anche sull’orario della colazione che se fosse dipeso da loro, sarebbe stata servita non prima delle nove così, ci divertiamo ad abbassare sempre di più l’ora della colazione per poi ridere dell’espressione costernata dell’addetto che da un lato non vuole venir meno ai doveri dell’ospitalità e dall’altro, non può accettare di svegliarsi alle sei del mattino. Per avere un termine di paragone è come chiedere al barista di un nostro hotel di svegliasi alle due per servirci la colazione ; impensabile. Il massimo che siamo riusciti ad ottenere sono state le 7.15 del mattino e nelle diverse occasioni che abbiamo avuto la necessità di partire all’alba, ci siamo affidati all’amica moka e al barattolo dell’ Illy Caffè .
Oggi non è uno di quei giorni, possiamo prendercela con calma in quanto la strada che abbiamo deciso di percorrere è lunga “appena” centoventi chilometri. La meta che abbiamo scelto per oggi è un isolotto al largo della costa di Dakar : Goree, l’isola degli schiavi.
Il mio navigatore sulla moto è caricato con una World Mapp che fino ad ora si è rivelato molto affidabile nelle immense distese desertiche ma, nei grandi centri urbani ha qualche difficoltà quindi, diamo uno sguardo alla Michelin 742 per memorizzare qualche nome sul tracciato che valutiamo come difficile per il traffico caotico che dovremo subire attraversando tutta la capitale .
Nadine ci dà dei buoni consigli su come arrivare al porto e così, dopo qualche manovra per uscire dal portone, ci arrampichiamo di nuovo sull’asfalto e iniziamo una nuova giornata di scoperte.
La strada la conosciamo in quanto è la stessa che abbiamo già percorso quindi non ci sono molti problemi a parte il traffico di mezzi pesanti che avevo notato anche il giorno passato. Molti sono soprattutto carichi di inerti da cantiere e non so spiegarmi il motivo per il quale caricano i mezzi a quel modo ; che sia sabbia o pietra il carico è più alto delle sponde di almeno un metro e piano piano scende a piramide riversandosi lungo la strada in grandi quantità e anche in questo momento, una grossa pietra è in bilico e stà per cadere rendendo il sorpasso pericolosissimo. Mentre eseguo la manovra e sono di fianco al camion fumante cerco di avvisare a cenni l’autista che pur dovrebbe vedere la grossa pietra in bilico dallo specchio al suo fianco … se solo ce lo avesse lo specchio !!! Ne ricavo una strombazzata e un esagerato saluto con mezzo busto fuori dal finestrino. Ancora più avanti la strada è ricoperta da un abbondante strato di sabbia rossa perduta da un camion al quale probabilmente si è rotta la sponda ma per fortuna il fatto deve essere accaduto almeno un’ora fa perché è già presente una macchina della polizia … Un momento … Se c’è la macchina della polizia, allora è successo almeno tre ore fa … Adesso ci scherzo su ma quel mattino guardavo ogni camion con terrore mentre mi avvicinavo per sorpassarlo, e vi assicuro che ne abbiamo passati veramente tanti. Ora non starò a raccontare quello che abbiamo patito nell’attraversare la capitale ma, per dovere di cronaca, và riportato che in prossimità della zona ricca (che ricca lo è veramente ) , hanno da poco aperto una autostrada a pagamento lunga una ventina di chilometri che conduce al porto e alla zona degli uffici commerciali, delle banche e dei palazzi istituzionali. Entrando in quella strada ci si sente disorientati in quanto, essendo a pagamento ci siamo ovviamente soltanto noi e passare dal caos più assoluto su strade ingolfate, alla larga strada a sei corsie senza alcun traffico nel giro di un minuto fanno ricordare che qui anche pochi (per noi) spiccioli hanno un grande valore.

Troviamo abbastanza facilmente l’ingresso al porto di Dakar nonostante la sommaria segnaletica e la strada interna che conduce al piazzale è quasi interamente attraversata da un groviglio di binari che continuamente si incrociano in tutte le direzioni e la scanalatura fra rotaie e asfalto franato è così larga e profonda da poter accogliere una gomma da auto. Niente è facile da queste parti e ci facciamo una bella sudata per percorrere quei duecento metri di strada tra sbandate e perdite di equilibrio ma, girato l’angolo, c’è il bel parcheggio del terminal con un corpo di guardia nel quale c’è la rassicurante presenza di diversi uomini in divisa completamente blu. Parcheggiamo proprio sotto di loro facendo lo slalom tra diversi personaggi che si stavano già candidando ad abusivi guardiani dei nostri mezzi ; ovviamente a pagamento. Un po’ di esperienza l’abbiamo acquisita in questi giorni e la stiamo mettendo a frutto cercando di non farci spillare soldi in continuazione. Per dimostrare l’intenzione di non volere la “ protezione “ di nessuno vado dai militari e dichiaro di voler parcheggiare sotto la loro postazione ; dopo una richiesta cosi determinata non possono far altro che acconsentire e mentre mi incammino faccio questa considerazione : Sono tutti alti e grossi e mi mettono un po’ di soggezione ma se dimostri determinazione e sicurezza, anche un “piccoletto” come me può tenergli testa a questi qua .

Entriamo in un terminal di discrete dimensioni con un altissimo soffitto a volta che serve da stazione per chi proviene o stà andando alle isole di Ziguinchor e Goree dove appunto siamo diretti. Il grande atrio è quasi interamente ricoperto da lunghe file ordinate di seggiole azzurre che guardano la grande vetrata sul molo di attracco. Un settore di seggiole è recintato da una banda estensibile sorretta da paletti che delimitano l’area di attesa per gli abitanti delle isole che evidentemente mal sopportano il fatto di doversi mescolare con orde di turisti che quotidianamente si riversano sulle due isole.
Molto in alto sulla parete c’è un enorme disegno dai colori luminosi che dovrebbe fare da cornice ad un minuscolo orologio che per forma e dimensione viene solitamente collocato nelle nostre cucine e non possiamo fare a meno di discutere sul senso delle proporzioni dell’architetto che, speriamo, ha progettato la struttura. Speriamo che qualcuno abbia progettato perché, sopra le nostre teste c’è una parte a soppalco piena di seggiole e tavoli ammonticchiati in un angolo ; per comodità è ovvio che i bagni pubblici siano sul soppalco dal quale vi si accede tramite una lunga e ripida scala. Mentre valutiamo la robustezza di quella struttura semi-sospesa, inconsciamente ci spostiamo da lì sotto e in fondo, di fianco alla scala c’è un lungo bancone da bar dove ci dirigiamo per prendere un caffè. Siamo arrivati con un discreto anticipo e il terminal è quasi vuoto così abbiamo modo di osservare l’attività dietro l’alto bancone con il ripiano in acciaio lucido come usava dalle nostre parti negli anni ‘70 . Il bancone è desolatamente vuoto a parte un piccolo espositore in plastica trasparente che contiene qualche merendina imbustata ; sul ripiano non si vede né la macchina del caffè né lo zucchero eppure, abbiamo visto qualcuno allontanarsi con dei bicchierini di plastica bianca e ne abbiamo anche apprezzato il profumo. Sulla parete dietro il bancone c’è il nulla assoluto della parete bianca, spoglia di qualsiasi scaffale o mensola se non per un tavolinetto malandato che sta' in piedi più per l’affastellamento delle bottiglie di acqua minerale che per la robustezza delle gambe e sul quale è appoggiata una macchinetta a cialde per il caffé espresso … Alla richiesta dei caffè i due ragazzi dietro al banco ci dicono che prima si deve fare lo scontrino e vedendo la nostra faccia interrogativa, indicano un punto lontano circa quaranta metri dove una ragazza su un altro piccolo tavolo zoppo lavora al registratore di cassa …
Più tardi, quando il terminal si riempirà di centinaia di turisti, mi girerò più volte sopra la mia seggiola azzurra per vedere le persone in ottava fila con le braccia tese, lo scontrino in mano e la faccia buia mentre chiedevano il caffé …

Il battello per Goree stà ormeggiando e dentro la sala tutti i posti a sedere sono occupati ; la stragrande maggioranza dei turisti è arrivata via aerea dalla Francia e dal Belgio con la loro pelle bianchissima che suscita l’ilarità delle signore sedute nell’area riservata agli isolani. Paese che vai, razzismo che trovi.
Improvvisamente la vetrata si apre e veniamo risucchiati dalla folla fino al bordo del battello dove due marinai aiutano le persone a saltare a bordo. La giornata è calda e assolata ; i i francesi si accalcano sulla fila di panchine esterne a prua mentre noi, decidiamo di imitare i locali che nonostante il caldo si affrettano ad occupare i posti interni ; capiremo poi il perché.
In breve il battello è colmo e il continuo dondolio dello scafo dato dalle persone che continuano a salire inizia a sconvolgermi lo stomaco e così decido di alzarmi in piedi a fissare il pavimento con la schiena appoggiata ai tubi di sostegno del corridoio centrale. Ormai tutte le panche interne sono piene ma nonostante ciò, alcune grosse signore del posto pretendono di sedersi e senza tanti complimenti mettono in atto tale proposito. Le grandi borse in paglia stracolme, le voluminose chiome di treccine raccolte con difficoltà da foulard coloratissimi della stessa stoffa dei vestiti che nonostante l’ampiezza sono gonfi di grandi schiene e poderosi sederi, si incuneano tra le comitive di anziane e nevrotiche signore nord-europee che manifestano il loro disappunto con sonori sbuffi e scatti nervosi ai quali le grosse mami dal trucco accurato rispondono alzando il mento con una deliziosa espressione imbronciata mentre assestando il corpo costringono le rinsecchite a mettersi con le spalle di traverso. Una turista particolarmente agguerrita si ribella a questa situazione e con le spalle cerca di rientrare al suo posto dando uno scossone alla mami … Una quantità imprecisata di treccine scende sul viso della donna che dopo essersi girata di scatto, appiattisce contro il vetro tutta la fila delle nonnette scagliandogli contro una velocissima e potente bordata di frasi in senegalese poi, dopo essersi data una sonora pacca a mano piatta sulla coscia, fà un sospiro, riassesta i capelli e riacquista la posizione con espressione imperturbabile. Per un attimo il silenzio serpeggia tra le file interrotto solo dalla mia risata che per fortuna è contagiosa e mi toglie dall’imbarazzo ; stò ancora osservando la mami che altezzosa alza i suoi occhi neri su di me e mi fa dono di un fugace sorriso con gli angoli della bocca ; mi piace pensare che lei abbia capito che sono dalla sua parte.

Fuori dal porto il vento è freddo e il mare è piuttosto agitato ; le schiumose onde superano la bassa prua del battello andando ad infrangersi sui turisti seduti li fuori che , semi-annegati, cercano rifugio all’interno che non può contenere più nessuno. Anche oggi ho imparato un’altra lezione : Guardare sempre ciò che fà la gente del posto; sarà sempre meglio che usare la nostra logica che quasi sempre in Africa è totalmente inadeguata.
L’isola di Goree è già davanti a noi e a breve si sbarca ...

( Scusate ma non riesco più a inserire le foto; perchè? )
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Ultima modifica di Boxer Born; 08-03-2012 a 11:26
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Vecchio 08-03-2012, 00:16   #171
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Complimenti grandi occhi e ottima penna
Davvero avvincente!
Ti consiglio di inviare il tutto a TIziano CAntatore direttore di MOtoturismo sicuramente tutti i motociclisti viaggiatori non potranno che apprezzare la tua sensibilità
E belle foto davvero
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Vecchio 08-03-2012, 21:58   #172
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Grazie briscola,
ma non sono pronto per sottoporre i miei racconti a Tiziano e ne sono certo, per queste cose ci sono persone molto più preparate di me.
Cerco di raccontare momenti di vita vissuta più fedelmente possibile anche se a volte è molto difficile trasmettere certe sensazioni.

Ora però ho un problema : non riesco più a caricare le foto.
Quando apro Imageshack compare questo avviso :

You must provide a valid auth token or dev key. see
http://code.google.com/p/imageshackapi/

Come si risolve, qualcuno mi aiuta?
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Vecchio 08-03-2012, 23:45   #173
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riprova qua:

http://imageshack.us/

credo solo tu debba creare un account
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Vecchio 09-03-2012, 10:22   #174
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Grazie mille,
Credevo di avercelo già un account ma comunque ha funzionato.
Posto quà alcune immagini del precedente racconto.



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Vecchio 10-03-2012, 11:08   #175
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… L’isola di Goree è già davanti a noi e a breve si sbarca ...

Attraversiamo il lungo pontile sulla scia degli altri turisti e arriviamo su di uno slargo in pendenza dal fondo naturale di sabbia e lastre di pietra che sembrano scivolare sotto, fino alle fondamenta dell’isola.
Tutto intorno le prime case e diversi stand all’aperto coperti da tende che altro non sono che piccoli ristoranti all’aria aperta per i turisti che in questo momento si dirigono tutti quanti verso una stradina sulla sinistra, probabilmente al seguito di una guida, con l’intenzione di fare il giro dell’isola in senso antiorario. Odio la confusione e pur immaginando che sicuramente è meglio fare la visita cominciando da quella parte, sono abbastanza testardo da convincere il mio gruppo a fare l’esatto opposto e, guardando la calca che si ammassa nell’imbuto della stretta via, loro accettano di buon grado e mai scelta fù più azzeccata in quanto abbiamo potuto visitare l’isola in completa solitudine, gustandoci ogni scorcio tra i vicoli. L’isola è piuttosto piccola e su un lato c’è una altura verdeggiante alla quale si accede per sentieri che serpeggiano tra gli arbusti ed essendo un percorso quasi obbligato, funge da vetrina ad una infinità di artisti che dipingono quadri dai colori vividi nel semplice stile africano ; sotto l’altura, il paese occupa quasi tutto lo spazio rimanente incrociandosi in piccole vie con edifici dell’epoca coloniale. A Goree non circolano automezzi e la gente del luogo si sposta a piedi o con qualche rara bicicletta mentre la movimentazione delle cose avviene tramite carretti dalle lunghe stanghe trainate a mano su selciati di che hanno vissuto tempi migliori.
Anche questo sito è sotto la tutela dell’UNESCO ma purtroppo sembra che neanche questa grande organizzazione riesca a dare un aspetto pulito e ordinato all’isola ; proprio non ce la possono fare. Le case diroccate sono rimaste tali da tempi immemori e se mai sono anche peggiorate diventando contenitori di rifiuti ; dove c’è un po’ di spazio, questo è occupato da altre macerie provenienti dalle piccole opere di consolidamento delle abitazioni che i proprietari eseguono quel tanto che basta a far sì che tutto non gli crolli addosso. Eppure lungo le vie e gli spiazzi aperti sulla costa, incontriamo persone intente a spazzare e raccogliere ma non ci spieghiamo la quantità di rifiuti e nonostante l’alta densità di turisti non si vede alcun cestino anche se non credo che siano i turisti la causa di questa immagine trasandata. E’ un vero peccato perché il paese è veramente carino e ci sono antiche costruzioni coloniali davvero molto belle dove si possono vedere gli sforzi dell’UNESCO tesi al recupero di queste strutture. Lunghi porticati ad arco rivolti verso il mare in cui le grida dei gabbiani giocano a nascondino tra le colonne mentre i nostri passi sui pavimenti sconnessi, riecheggiano sulle volte a croce dei soffitti dai quali penzolano resti di catene che un tempo trattenevano lucerne di ferro e vetro. Al piano terra di questi edifici si trovano enormi saloni completamente spogli e con le pareti corrose dall’umidità che un tempo remoto servivano ad ammassare gli schiavi in attesa di essere caricati nelle stive delle navi dirette verso le americhe.
In quei tempi chiunque sbarcava in Africa, si alternava nella conquista dei territori sia che fossero Inglesi, Francesi, Portoghesi piuttosto che Olandesi . Per centinaia di anni si sono diretti verso l’interno a rapire migliaia e migliaia di persone riducendole in schiavitù e solo per arrivare sulla costa dell’attuale Dakar, ne morivano di stenti più del 50%. Così avveniva la prima selezione mentre la seconda, si sarebbe attuata all’interno delle navi durante l’attraversamento dell’oceano del quale i più famosi in senso negativo sono stati gli inglesi che registravano perdite superiori al 30% e che per compensare tali perdite, si limitavano a caricare un maggior numero di esseri umani costringendoli per settimane a rimanere legati nelle stive. Il silenzio è assoluto nel centro del grande salone e mi giro a 360 gradi abbagliato dai flash delle aperture che un tempo dovevano avere delle imposte e rimugino sulle miserie umane fino che mi sembra di udire gli strazianti lamenti dei poveretti che sono transitati in catene per queste sale e allora preferisco uscire di nuovo all’aperto in una piazza che dà sul mare e mentre sospiro profondamente guardo sullo sfondo il velato skyline di Dakar, al di là della striscia di mare che ci separa...
A nord dell’isola c’è una grande fortezza circolare oggi adibita a museo storico e al piano superiore, dai terrapieni pensili con la balaustra in pietra, spuntano ad intervalli regolari vecchi cannoni settecenteschi. S accede alla fortezza passando sotto un ardo e all’interno,c’è una piazza rotonda interrotta soltanto dalla scala che porta al camminamento superiore ; al centro due altissimi alberi di palma che svettano sopra la costruzione e le chiome sono incessantemente agitate dal vento. Tutto intorno ci sono tante sale piene di vecchie foto di antichi governatori, re e sultani ; in altre sale si racconta la storia di questa piccola isola fin dai primi del ‘400 e vi sono illustrate tutte le vicende accadute in virtù della sua posizione strategica. In una sezione si spiega come avveniva la tratta degli schiavi, come venivano trasportati e le condizioni inumane in cui tutto ciò avveniva. Ci sono spaccati di velieri in cui si mostra come venissero stipati legandoli al pavimento con una catena che fermava collo , polsi e caviglie in posizione sdraiata sul fianco in modo che la naturale curvatura del corpo potesse ospitare un altro disgraziato che veniva legato allo stesso modo ma al contrario : testa contro piedi … come sardine in scatola …
Dopo un po’ questa visione ci mette tristezza e passiamo velocemente davanti a teche impolverate piene di antichi libri logori, punte di frecce risalenti all’età del ferro ed altri reperti archeologici, vecchie divise di tutti gli eserciti passati da queste parti compreso le attrezzature e le selle dei militari a cammello corredati da fotografie ingiallite e tanta altra roba vecchia, grigia, morta ...
L’odore della muffa mi stà dando alla testa e comincio a capire cosa non mi piace di questo posto e di tutta l’isola in generale : non c’è “l’odore” dell’Africa.
Questo posto è Europa, costruito dall’Europa in stile europeo e ora mette in evidenza tutto quello che noi abbiamo sempre fatto e purtroppo continuiamo a fare in Africa : nefandezze ed errori .
Usciamo dalla fortezza e la mia è quasi una fuga ; mentre passo davanti ai due custodi annoiati mi sento quasi in imbarazzo pensando alla mia pelle bianca e a quello che questo rappresenta per loro che tutti i giorni ospitano i pronipoti dei loro aguzzini ma, buon per loro, l’Africa ha la memoria corta e i problemi di oggi non consentono di rimuginare troppo sul passato. Per quanto riguarda noi, credo che proprio in questi anni stiamo scontando la giusta punizione ma questa, è un’altra storia ...
Continuiamo il giro e saliamo sulla collina ; arrivati sulla sommità che termina a strapiombo sul mare mi accorgo che anche questo angolo di natura non è stato risparmiato seppure in un periodo più recente : La 2° Guerra Mondiale.
Sotto i nostri piedi si snoda un reticolo di bunker e cunicoli nascosti che si affacciano sullo strapiombo mettendo in mostra gli obici dalla potenza terribile mentre sopra in posizione più elevata ci sono un paio di grossi cannoni a lunga gittata dalle canne lunghissime e dietro a tutto questo armamento, sullo spiazzo pianeggiante, qualcuno ha avuto la pessima idea di costruire un enorme monumento che più che altro è un eco-mostro a forma di vela ; la colpevolezza è aggravata dal fatto che è stato eretto recentemente in memoria di qualche cosa o qualcuno del quale non mi sono neanche dato la pena di informarmi leggendone la targa .
Quest’isola comincia a starmi stretta e riscendiamo il pendio sul sentiero pieno di venditori di chincaglieria, quadri e artigianato in legno e nessuno ci disturba più di tanto mentre ci guardano passare assenti, quasi rassegnati, come se fossimo un gruppo di pecore. Qualcuno fà un cenno poco convinto e ci invita a guardare la propria esposizione ma noi tiriamo dritto giù per il sentiero mentre da questa posizione elevata il riflesso del mare ci ferisce gli occhi ; vento, canto di cicale e lo stridio dei gabbiani. Dal basso della collina sale un altissimo palo in acciaio mascherato da palma la cui sommità nasconde una selva di antenne e ripetitori … cerco di distogliere lo sguardo e mi concentro a guardare i tetti del paese sottostante dove, come formiche, si vedono i turisti che per fortuna non abbiamo mai incrociato e che evidentemente hanno terminato il giro dalla parte opposta. Il museo “La casa degli schiavi” in questo momento è chiuso per pausa, ma non me ne dispiaccio affatto mentre passo davanti ad una statua che ne rappresenta la liberazione ; donata dai Fratelli della Guadalupa ai Fratelli d’Africa, la statua raffigura un uomo con le braccia sollevate al cielo dalle quali penzolano delle catene spezzate mentre la sua donna lo abbraccia teneramente.
Un paraplegico sulla sedia a rotelle si affretta dal fondo di una stradina per chiedermi l’elemosina ma io non me la sento di aggiungere tristezza alla mia malinconia così forzo la mia indole e allungo il passo svicolando subito dopo e trovarmi di nuovo sullo spiazzo davanti al molo dove la gente inizia a radunarsi nell’attesa del battello che ci riporterà sulla terra ferma. Qui i venditori sono soprattutto donne che cercano di sfruttare gli ultimi momenti di permanenza dei turisti e sono molto agguerrite, fino quasi a raggiungere la molestia ma per qualche motivo inspiegabile non ci disturbano e sembra che il loro bersaglio siano più le anziane signore francesi. Per fortuna l’attesa è allietata da ragazzi venditori e suonatori di “Kezen-Kezen” che con maestria, agitano uno strumento artigianale che emette un suono cristallino intervallato da cupi schiocchi … tk .. zen, tk .. zen, tk .. zen ...
Ne acquisto uno per pochi euro e facendomi spiegare l’uso il giovane si esibisce in un concertino che attira l’attenzione dei più, mettendo in evidenza come il ritmo e la musicalità faccia parte della loro natura. Si tratta di due frutti legnosi dal colore bruno, poco più grandi di una pallina da ping-pong ; vengono forati alle due estremità e uniti insieme da un cordino lungo una ventina di centimetri. I semini all’interno producono il suono cristallino che determina il ritmo mentre con un particolare movimento della mano i due grossi semi sbattono l’uno contro l’altro dando il tempo della musica che viene accompagnata dalla voce in canti popolari a volte tristi e a volte molto allegri e ritmati.

Il battello attracca vomitando sul pontile una nuova ondata di turisti che ci sfilano accanto con le facce piene di curiosità e aspettativa mentre osservo i venditori che si preparano al nuovo assalto che giorno dopo giorno, si ripete immutabile come la marea. Osservo i due grossi frutti bruni nella mia mano e penso che questo strumento, sarà il miglior ricordo di questo posto ...




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