Mukkista
Registrato dal: 14 Jul 2006
ubicazione: Milano
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Ho assistito a un brutto incidente, ho paura. (lungo)
Domenica pomeriggio, vista la bella giornata di sole, ottengo tre o quattro ore di “permesso libera uscita” dalla mia ragazza (era il suo compleanno, è proprio un angelo) e decido di andare a trovare un caro amico che abita nel Monferrato per presentargli la mia mucca. Strade deserte in mezzo alla campagna, mi godo il sole e il panorama fino a Casale. Sto proprio bene a spasso con la mia moto, evito l’autostrada e faccio tutto il tragitto sulle statali alla mia solita andatura bradipa. Verso le 4 mi rimetto in strada verso Milano e all’altezza di Mortara vengo affiancato da un ragazzo in sella a un’Aprilia 250 (credo RS o simili) che trotterella con me per una decina di km sul filo dei 50 km/h. Tuta in tinta con la moto, stivali e casco integrale, il rumore del suo 2 tempi non disturba perché sta andando davvero piano, come me. All’uscita da un paesino il ragazzo si mette davanti a me e inizia la manovra di sorpasso del veicolo che ci precede. In una frazione di secondo mi rendo conto che mentre scala per prendere giri e superare, l’auto mette la feccia e sta per svoltare a sx in un piazzale senza che nessuno dei 2 abbia capito la manovra dell’altro. Capisco subito che l’impatto è inevitabile, il ragazzo inchioda bloccando la ruota post e si sposta il più possibile a sx sull’altra corsia, ma l’auto non l’ha visto e svolta tagliandogli la strada. Il botto è fortissimo. La moto colpisce le 2 portiere laterali e con la testa gli sfonda entrambi i finestrini piegando il montante centrale dell’auto da cui parte l’airbag. Io seguo la scena attonito e impotente, mollo il gas e la moto comincia a singhiozzare perché sono in quinta a 1000 giri. Il ragazzo rimane in sella e striscia sull’alsfalto del piazzale fino a colpire (sfondando) un muretto di cemento. La moto è distrutta e perde benzina. Io accosto sul piazzale e scendo dalla moto ma sono terrorizzato e non ho il coraggio di avvicinarmi al corpo immobile del ragazzo. Chiamo il 118 e gli farfuglio l’indirizzo dell’incidente. L’autista scende sconvolto e a fatica, perché la portiera non si voleva aprire, visibilmente danneggiata dall’urto. Non si era accorto di nulla, ha sentito lo scoppio dell’airbag e basta. Penso che il motociclista si trovasse proprio nella zona morta del suo specchietto. O magari non ha nemmeno guardato prima di svoltare. Il ragazzo è immobile, pensiamo che sia svenuto, o peggio. Poi muove un braccio, ha la gamba incastrata sotto la moto. Si fermano delle persone che lo avvicinano, io non ne ho il coraggio e me ne vergogno. So che se non fosse arrivato nessuno avrei dovuto soccorrerlo, ma mi sarei dovuto fare una violenza. Per fortuna arriva un medico che passava di lì in macchina, il ragazzo muove l’altra gamba a scatti e scoordinato, come in preda a convulsioni. Non riesce a parlare, mugugna qualcosa ma non parla. Il medico gli blocca la lingua e decide di prendersi la responsabilità di togliergli il casco. Non ha ferite, credo che la tuta abbia fatto il suo dovere da questo punto di vista, ma la botta è stata talmente forte che i traumi interni sono inevitabili. Arriva l’ambulanza, gli tolgono la moto di dosso e lo immobilizzano sulla barella. Non riesce a parlare ma urla di dolore. L’autista è sotto shock e io sono l’unico testimone, l’incidente è avvenuto a meno di 10 metri davanti a me, quindi devo aspettare l’arrivo della Polstrada per il verbale. Intanto si sono fermati diversi curiosi, compaesani della vittima che riconoscono la moto. Sono sconvolti, meno di un anno fa il padre di questo ragazzo ha perso la vita in un incidente in moto. Poi arriva un’auto sgommando, scende una ragazza, guarda la moto e scoppia a piangere chiedendo dove lo avessero portato. Io rimango immobile, appoggiato alla mia moto aspettando la polizia, ma in quel momento la mia mente è affollata di pensieri. Il sole tramonta, comincia a fare freddo e io devo ancora tornare a Milano. La mia ragazza mi sta aspettando, dobbiamo uscire per festeggiare il suo compleanno. E se avessi iniziato io quel maledetto sorpasso? Arriva la polizia, compiliamo il verbale e prendono le misure in terra. Mi chiedono se l’autista ha messo la freccia con sufficiente anticipo ma io non me lo ricordo. So solamente che ho capito che si sarebbero scontrati con qualche secondo di anticipo ma non saprei dire quanti. Ho la percezione temporale sfalsata. Il volo dopo la botta mi è sembrato interminabile. Mi dicono che viste le condizioni dovrò probabilmente testimoniare sull’accaduto. Ora vado pero, ormai è buio e ho freddo, devo ancora arrivare a Milano e il traffico è diventato intenso. Faccio tutta la statale a 40 all’ora dietro le macchine, non supero, guardo solo la strada e penso. Poteva succedere a me, quel ragazzo non aveva fatto nulla di così azzardato, ha solo avuto la sfortuna di mettersi nell’angolo morto dello specchietto. Adoro andare in moto ma è troppo pericoloso, la vendo. Questo è l’unico pensiero che ho avuto per i 50 km che mi separavano da casa. La notte ho dormito male, ho sognato più volte quella scena. Poi ieri mi sono fatto forza e ho preso la moto come ogni giorno per andare al lavoro. Vado ancora più piano di prima e ho un po’paura, ma non la vendo. Almeno non adesso, prima voglio vedere se mi passa. Scusate lo sfogo ma ne avevo proprio bisogno, ieri ero ancora troppo sconvolto per scriverlo e oggi ho la pelle d’oca solo al pensiero. Amo andare in moto, mi piace davvero tanto e non voglio rinunciare a questo piacere, ma mi chiedo se il gioco vale la candela.
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