SECONDO GIORNO (Km 353)
Da Kostanjevica na Krki arriviamo a Vukovar verso l’una. Passato il confine croato e girato attorno a Zagabria, abbiamo fatto una lunga corsa verso est sulla A3 fino a Slavonski Brod e a Zupanja, dove abbiamo abbandonato l’autostrada e deviato a nord verso il Danubio.
L’appuntamento con Jelena è al bar dell’hotel LAV di Vukovar. Abbiamo preso contatto con lei attraverso l’Ufficio Turistico della città ed Jelena, che parla italiano, si è gentilmente prestata a guidarci in una visita della città e ad aiutarci a capire i tragici avvenimenti che ne hanno fatto un monumento dell’indipendenza croata.
Nel 1991, la città fu praticamente rasa al suolo nel corso degli ottantasette giorni di assedio e, sebbene la maggior parte degli edifici pubblici e delle abitazioni siano stati ricostruiti, sono ancora molto evidenti i segni dei combattimenti e del bombardamento che raggiunse l’intensità di 12.000 colpi di artiglieria al giorno.
L’assedio opponeva 36.000 fra effettivi dell’esercito iugoslavo e miliziani serbi a 1.800 volontari della Guardia Nazionale Croata. Oltre ai morti e ai feriti fra i combattenti, le stime riportano circa 1.700 vittime civili fra morti e dispersi. Il momento più tragico dell’assedio fu raggiunto il 18 Novembre quando la città cadde ed i Serbi raggiunsero l’ospedale in cui erano asseragliati gli ultimi difensori e gli ultimi civili rimasti.
È dall’ospedale che comincia la nostra visita e il racconto di Jelena che, lo scopriremo man mano che aumenta la confidenza fra di noi, era nell’ospedale con il padre, la madre e il fratello.
Oggi nel seminterrato è stato ricostruito un memoriale delle condizioni di vita nell’ospedale e i muri del lungo corridoio sono piastrellati con i nomi delle vittime e con la cronaca degli avvenimenti.
Sgomberato l’edificio, i Serbi divisero gli uomini dalle donne e dai bambini. Donne e bambini furono caricati sui camion e per loro cominciò un lungo esilio fra Serbia e Croazia prima di potere ritornare alle proprie case. Gli uomini, più di duecentocinquanta, vennero portati in una porcilaia ad Ovcara e seviziati per l’intera giornata mentre in un campo vicino venivano preparate le fosse comuni per la loro esecuzione sommaria.
Oggi, la porcilaia di Ovcara è un monumento commovente al dolore di un popolo e di tutta l’umanità straziata dall’odio. Le porte del capannone sono state bloccate a metà a simboleggiare la volontà che la memoria non si chiuda sulla strage, da un lato, e che esse non possano riaprirsi a ripetere gli orrori del passato. Nel cemento del pavimento sono annegati migliaia di bossoli delle pallottole sparate durante l’assedio e i muri sono costellati delle immagini dei caduti. Al centro dello stanzone brilla un’unica candela accesa mentre attorno ruotano i nomi dei caduti che vengono scanditi senza sosta da un altoparlante.
Ci spostiamo nel campo del massacro. Poche, semplici pietre e la pietà dei rimasti marcano il ricordo.
Infine, eccoci al memoriale dove duecentosessantotto croci, assediate dalle tombe degli uomini trucidati, sono erette attorno ad una fiamma perpetua.
Ogni anno il 18 Novembre l’itinerario fra l’ospedale, la porcilaia, il luogo del massacro e il memoriale si rianima di una lunga marcia per non dimenticare.
Chiediamo a Jelenia come coesistano oggi Croati e Serbi nella città. Ci risponde che perlopiù non c’è comunicazione fra le due comunità: i bambini frequentano scuole differenti e i locali di ritrovo sono nettamente separati, sebbene qualche apertura cominci ad esserci. Le ferite sono troppo recenti come anche il ricordo di vicini di casa che da un giorno all’altro divennero nemici e fautori di terribili atrocità.
Salutiamo Jelenia con un forte abbraccio e giriamo fra le strade in cui la ricostruzione sta terminando di sanare le profonde ferite della guerra, ma risuonano ancora in noi le sue ultime parole: “sto scrivendo un libro per lasciarmi alle spalle quello che è successo, ma non è facile; ci sono giorni in cui dormo troppo e giorni in cui non riesco ancora a dormire”.
Lei ed altri hanno fondato un’associazione dei figli delle vittime di Vukovar. Hanno un sito (
http://www.udpnhbdr.hr/) scritto in croato e io non ci capisco nulla, ma ci torno spesso come se aumentando il numero delle visite mi illudessi di tornare ad abbracciare Jelena e i suoi concittadini.
Fortunatamente, Vukovar non è solo il ricordo di una bruttissima pagina di storia, ma anche una città in cui è bello stare e che sta ritornando ad uno splendore che forse non conosceva più da molti anni. La passeggiata lungo il Danubio, la spiaggia dell'Isola delle Aquile e gli splendidi edifici barocchi e primo novecento ne fanno un luogo che merita di essere visitato e vissuto per qualche ora o per qualche giorno.