È presto e salendo da Calliano non ho incontrato anima viva. Alla grande rotonda di Folgaria seguo le indicazioni per Passo Coe, raggiunto il quale proseguo fino al Passo Valbona. La vecchia strada militare mi conduce a Cima Campomolon e ai resti del Forte in una mezzoretta di cammino.
La luce è polverosa e il calore della pianura sta già portando in alto l’umidità; le montagne intorno sono pallide silhouette azzurrine coronate di cumuli scuri. Mi siedo e mi guardo intorno; cerco di indovinare la posizione dei Forti nemici. Il pensiero vaga, immagina. Uno sbuffo di vento umido mi riporta per un momento alla realtà, ma subito riprendo a scorrere il ricordo di una lettura.
“La nebbia ritorna, quando d’improvviso un urlo immenso, angoscioso, terrificante sopraggiunge e si prolunga, si estende e si avvicina, sempre più forte, sempre più rabbioso, crudele, feroce; e mentre l’aria tutto interno ne trema, e il cuore sospende i suoi battiti e il petto trattiene il respiro, e gli occhi si aprono trasognati al terribile prodigio, l’urlo ha tempo di finire in uno schianto e in un nembo, e dallo schianto e dal nembo si sprigiona un turbine di polvere, di pietre, di ferro, onde l’aria resta a lungo oscurata e una pioggia d’innumerevoli schegge si irradia e discende quasi lentamente per ampio raggio all’intorno. È il 305. Che affare!
Dall’accampamento di fanteria, posto a ridosso del forte, fuggono i fanti a cercare riparo sotto le rocce e nelle poche caverne. Subentra un silenzio di morte. Il dominio del piccolo mondo di Campomolon in questo momento è serbato al mostro invisibile e lontano che dai penetrali boscosi di Sommo Alto si ostina a cercar vittime.”
Diario di un fante di Luigi Gasparotto, Treves 1919.
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