In difesa dei goliardi



Signori della Corte, alla luce delle notizie che descrivono la gioventù in preda a drammatici eccessi di scostumatezza, vorrei rendere una piena e completa confessione. Sono stato anch'io un bullo. A undici anni ho partecipato alle Olimpiadi rionali di tiro al lampione, classificandomi ultimo a causa di uno sfortunato incidente: invece del palo, il sasso colpì la nuca di un passante, forse Fassino, la cui magrezza mi aveva indotto in confusione. A tredici ho appoggiato una gomma da masticare già masticata sul seggiolino del tram, poi mi sono distratto e ho finito col sedermici sopra, ma lo spiacevole contrattempo non attutisce l'asocialità dell'intenzione. A quattordici ho stantuffato una pernacchia in faccia al prof di italiano che mi accusava di scrivere «come un giornalista». Non ho ripreso la scena col videofonino, ma solo perché a quei tempi non esisteva: mi limitai a raccontarla, opportunamente dilatata, a tutte le fanciulle che conoscevo, convinto del potenziale seduttivo che emanava dal mio gesto di ribellione.
Terminato l'elenco delle nefandezze, mi rivolgo a voi per implorare un atto di clemenza da estendere ai ragazzi coinvolti ingiustamente in uno di quei ciclici impazzimenti che si verificano quando, scoperto un filone nefasto, si tende a infilarvi dentro anche ciò che dovrebbe restare fuori. Non si può far rientrare nella stessa categoria chi umilia un down e chi s'abbassa le braghe davanti all'insegnante, chi sevizia una bambina e chi si bacia in classe per far arrabbiare la preside. Esiste un confine fra bullismo e goliardia. Quel che sembra mancare è il buonsenso per distinguere l'uno dall'altra: la mala gioventù da quella che ripete, con strumenti moderni, le smargiassate adolescenziali che hanno attraversato la crescita di ogni generazione.
MAssimo Gramellini
"la stampa"