Quote:
Originariamente inviata da AlexGrey
Interessantissimo...
Guanaco perchè non provi a buttare già qualcosa di comprensibile al grande pubblico sul "teorema d'incompletezza" ?
Credo potrebbe interessare a molti, a me personalmente incuriosisce parecchio 
|
Difficilissimo spiegarlo in due parole su un forum di motociclisti...
E dubito che interessi i più...
Comunque, caro AlexGrey, ci provo, condensando all'inverosimile.
Però, poi mi pagate...
Partiamo dalla famosa "antinomia del mentitore" (di Epimenide, personaggio semi-leggendario).
Prendiamo questa frase: IO SONO UN BUGIARDO.
Chiediamoci se l'asserto sia vero o falso. Qual'è la risposta?
Se la frase è vera, cioè se è vero che chi la prouncia è un bugiardo, allora essa deve essere una menzogna, ossia deve essere falsa.
Se viceversa la frase è falsa, cioè se colui che la prununcia non è un bugiardo bensì uno che dice la verità, allora essa deve essere vera.
In conclusione: se l'enunciato è vero, allora è falso; e se è falso, allora è vero.
In altre parole: se chi pronuncia la frase è un bugiardo, allora non è un bugiardo; se invece non è un bugiardo, allora è un bugiardo.
Un bel casino! Trattasi di una frase che si autonega.
Da cosa dipende questa stranezza? Semplice: dal fatto che l'asserto ricade su sé medesimo, ossia è autoreferenziale.
Abbiamo insomma un percorso logico non stratificato, ma chiuso su sé medesimo. Quello che si chiama un circolo vizioso.
Cosa ha tutto questo a che vedere col teorema d'incompletezza di Gödel?
Per capirlo occorre ricordare che i maggiori matematici della fine del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo stavano cercando di "meccanizzare" completamente il ragionamento logico, cioè il procedimento atto a DIMOSTRARE qualcosa. Questo significa che tentavano di ridurre l'intera matematica a una serie di premesse (assiomi) e a delle regole di derivazione (dimostrative) esplicite passo-passo, prescindendo completamente dall'intuito. L'intuito era infatti giudicato pericoloso e possibilmente fallace per i suoi aspetti impliciti.
Insomma, gli studiosi di punta stavano cercando di ridurre la dimostrazione matematica a una serie di ruotismi, di cinghie di trasmissione e di leve, mi spiego? Questo tipo di matematica si chiama MATEMATICA FORMALE. Conta solo la forma esteriore, non il significato annesso alle formule e ai loro segni. Si tratta della matematica che sanno trattare i calcolatori. E, infatti, alcuni computer vengono impiegati per la generazione automatica di teoremi. La domanda è: può l'intera matematica essere ridotta a puro formalismo? I formalisti credevano di sì. Si trattava di codificarla per benino.
Costoro sapevano bene che i circoli viziosi potevano minare alla base i loro sforzi. Infatti, se fosse stato possibile creare delle condizioni autoreferenziali con le regole dimostrative, beh allora patatrac, tutto sarebbe andato a quel paese, perché sarebbe stato possibile ottenere formule che non erano tassativamente solo vere o solo false, proprio come capita alla storica
frase di Epimenide. Pertanto, le regole dimostrative furono scelte in modo tale da garantire la massima chiarezza e impedire qualunque percorso logico chiuso su sé stesso. Questo almeno negli intenti.
Venne Kurt Gödel è scombinò tutto con un lavoro steso a soli 25 anni.
Come fece questi a schiantare le ricerche dei formalisti? Lo fece stabilendo un circolo autoreferenziale, proprio il diavolo che tutti temevano.
Il procedimento non lo posso riportare qui (prevede una speciale numerazione con i numeri primi), ma posso dire che si fondava sulla METAMATEMATICA.
Cosa è la metamatematica? E' matematica che parla di matematica.
Per intenderci: se io uso le parole per discutere di un certo linguaggio, ad es. delle sue regole sintattiche, ortografiche, ecc, ebbene io adotto un METALINGUAGGIO, insomma un
linguaggio che parla di un linguaggio. Per non confondere i livelli, basta ricordare quale sia il criterio di rappresentazione. Ad esempio, il linguaggio che descrive lo riporto in nero e quello
descritto in rosso; oppure, uso le virgolette... Una cosa simile fece Gödel: usò il rigore della matematica per discutere della matematica stessa.
Nella metamatematica di Gödel le formule sono formule abituali, ossia hanno un aspetto del tutto normale, ma hanno anche un altro ruolo: parlano di altre formule.
Basta ricordare il criterio che uno assume per rappresentare con segni e variabili non già quantità, ma, appunto, altre formule.
In questo modo egli trovò una formula che diceva qualcosa a proposito di un'altra formula la quale, guarda caso, era identica alla prima!
Insomma, la formula che decriveva e quella descritta coincidevano.
Così, Gödel costruì una formula autoreferenziale, cioè una formula che diceva qualcosa su sé medesima!
Che diceva quella formula? Diceva implicitamente: "Io non sono dimostrabile".
Per il procedimento di rappresentazione stabilito da Gödel, chi interpretava quella forumula si rendeva conto fuori da ogni dubbio che quella formula era VERA.
Un formalista mai e poi mai avrebbe voluto basarsi su un'interpretazione, cioè su qualcosa di implicito, ma persino un formalista doveva riconoscere che quell'attribuzione di significato era sicura al 100%.
La conclusione era questa: IN QUALUNQUE FORMALISMO MATEMATICO ESISTONO FORMULE VERE CHE NON SONO DIMOSTRABILI COME TALI ALL'INTERNO DEL SISTEMA.
Vuol dire in pratica che le cinghie e le leve non riescono a mettere in moto tutti i ruotismi; c'è qualche ingranaggio che resta inevitabilmente "in folle".
Vuol dire che la matematica formale, privata cioè dell'intuito e dei significati, è INCOMPLETA.
Era una sorta di rivincita del platonismo, cioè delle capacità mentali umani di "vedere" direttamente la verità (o la falsità), al di là di ogni convenzione formale.
Fu una bomba.