Strade bianche e polverose si alternano a tratti neri d'asfalto. Le aspre Crete della Valdarbia, nel susseguirsi di aridi calanchi e biancane mitigate del verde gentile dei germogli, lasciano il posto alle opulente colline del Chianti, disseminate di borghi fortificati e delle file di preziosi ceppi della vite ancora spogli di vegetazione. La Val d’Orcia, ingentilita dal cipresso nero e vigilata dalla mole cupa del Monte Amiata, conclude il circuito con il senso di pienezza e perfezione degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena.
I motivi per cui ci troviamo qui sono molti: voglio cimentarmi con strade che mi sfidano e mi attraggono; vogliamo immergerci ancora una volta nella bellezza e nell’eleganza di questo angolo di Toscana; vogliamo approfondire la conoscenza di persone di cui intuisco la ricchezza umana e l’esperienza profonda; vogliamo godere di una cucina fatta di odori e sapori antichi; voglio onorare un amico che la sorte ha rubato a Sandra, la sua compagna, e a tutti noi.
Ci ritroviamo la sera precedente in un albergo confortevole e curioso che Giorgio aveva individuato in zona. A cena, l’atmosfera è allegra e ricorda l’attesa e la complicità di tante sere passate nei rifugi alpini prima di un’escursione; quell’atmosfera in cui si parla e si scherza su tutto, ma ogni tanto il discorso ritorna sulle difficoltà che si incontreranno il giorno successivo e l’attenzione si trattiene per diluirsi subito nell’ammiccamento tranquillizzante di chi ci è già passato.
Si va a letto presto e la mattina ci si ritrova a gironzolare intorno alle motociclette ben prima dell’orario convenuto. Si controlla l’attrezzatura. Una colazione rapida che la mente è già in strada e via.
Difficile ricostruire la giornata e le emozioni che la riempiono. Rimangono alcune immagini negli occhi e nel cuore, frammenti di una melodia che si vorrebbe ricostruire nel suo dipanarsi, ma che tornano e ritornano isolate come un moto perpetuo. Rimane il rammarico di non potere inseguire la malìa di uno scorcio in cui si potrebbe perdersi come Ulisse nell’isola di Circe. Rimane la soddisfazione di sentirsi tutt’uno con il mezzo, senza esitazioni e senza tentennamenti, nell’affrontare curva dopo curva salite e discese, la gola irritata dalla polvere sottile sollevata da chi ti precede. Rimane il sorriso che vedi sul viso del centauro vicino a te nei punti di sosta e che rispecchia quello che anima il tuo viso. Rimane la comunione con la compagna di una vita che corre con te e dietro di te questa corsa fuori dal tempo e dallo spazio. Rimane la gratitudine verso chi ha reso possibile tutto questo e la mestizia per chi non potrà più esserci, ma continuerà ad illuminare questi incontri con il suo sorriso buono.
La sera, la cena è il banchetto di chi ha condiviso un’esperienza indimenticabile e si ripromette altri giorni come questo a scacciare il ricordo di quanto scriveva Lorenzo De’ Medici, principe di questa terra:
Quant'è bella giovinezza,
Che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
Del doman non v'è certezza.
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