Veronesi e limitrofi conosceranno tutti il breve itinerario che sto per descrivere, ma vuoi mai che qualche “foresto” capiti da queste parti e possa trarne spunto per un giretto molto remunerativo dal punto di vista paesaggistico e per buona parte divertente. La giornata è tiepida e fa pensare che forse l’inverno sta perdendo vigore. E dunque via, lungo le ampie curve che risalgono la valle da Negrar. Due tornanti e ci lasciamo alle spalle la frazione di Fane. La strada sale al crinale che si apre sull’altopiano dei Lessini e si alza veloce a Sant’Anna d’Alfaedo per scendere nella verde conca di Fosse, dominata dal Corno d’Aquilio. Le curve a nord conservano qualche traccia della lunga nevicata di qualche giorno fa, ma appaiono asciutte e comunque innocue. A Fosse, svoltiamo a sinistra e ci tuffiamo sulla strada provinciale 57 che precipita in Val d’Adige. Di fronte, incombe la massa del Monte Baldo, intonacato di bianco e reso impalpabile dalla foschia. Sono otto chilometri ed otto tornanti intervallati con lunghi traversi che tagliano la costa ripida. In alto la strada è sporca del ghiaino sparso generosamente per renderla transitabile e richiede prudenza, ma diventa divertente mano a mano che si scende e sul fondo si intravedono il fiume e l’autostrada che corrono fianco a fianco. A Peri svoltiamo a sinistra e subito dopo a destra per raggiungere la destra Adige in cui finalmente possiamo dare gas e correre sulla strada deserta. Oltrepassiamo i resti della Tagliata di Incanal e saliamo a Zuane per svoltare verso il Platano dei Cento Bersaglieri. Si tratta del Platano più grande d’Italia, piantato nell’estate del 1574, con un’altezza di 25 metri e una circonferenza di oltre 15. La strada invita alla velocità e rapidamente giungiamo a Caprino Veronese, proprio ai piedi delle prime pendici del Monte Baldo. Ci alziamo a Lumini, ancora immersa in un’atmosfera invernale, e pregustiamo la vista del lago di Garda che dovrebbe aprirsi di fronte a noi all’altezza di San Zeno di Montagna. Purtroppo, la foschia la fa da padrona e affoga la grande conca in un mare lattiginoso. Attraversiamo con cautela l’abitato, affollato di pedoni sfaccendati, e dopo due tornanti svoltiamo a destra verso Albisano, un salotto che si sviluppa intorno ad una stretta via acciottolata fra belle case e giardini ancora spogli. Il lago continua a celarsi nell’aria resa a tratti più densa dal fumo che si alza dalle potature di olivo in fiamme. Superato l’abitato, occorre ancora tenere a freno la voglia di correre perché la strada che scende a Torri del Benaco è stretta e ripida. Una sosta in riva al lago e poi la gardesana che si affolla di automobili. A Bardolino, sgusciamo a sinistra su per la collina in direzione di Albarè e sull’ultimo tornante lo sguardo si sofferma per l’ultima volta sull’orizzonte in cui acqua e foschia si confondono, segnati solo dallo scarabocchio rosso del sole che si riflette nel lago. Un centinaio di chilometri che vivono il loro splendore fra ottobre e marzo e cedono poi il passo alle strade di montagna con l’avanzare dell’estate.