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Prinz Eugen
17-06-2011, 09:40
Personaggi ed interpreti.
Le moto. Due Rt gemelle, perfette per tutto il viaggio, non hanno mai perso un colpo, ovviamente ottime sulle strade veloci, ma anche sulle sconnesse strade dell'est della Turchia e della Georgia, dignitose sugli sterrati - anche lunghi -dei lavori in corso. Grandi moto. Una Gs, quella di Antonio, veloce sull'asfalto e stabile sullo sconnesso, ovviamente più a suo agio sugli sterrati. Un problemino alla frizione che non ha causato alcun problema al viaggio, risolto - forse non definitivamente - da un meccanico di Urgup, in Cappadocia.
i motociclisti. Aldo, battezzato da subito "il capogita", depositario del road book mentale che tutti - più o meno- avevamo in testa. Più o meno perchè il nostro è stato un viaggio "aperto" ed i cambi di percorso non sono mai stati un problema. A Uchisar, la mattina, in giro per il paesino, un grido: "Aldo!". E' Farouk, il venditore di tappeti - gran personaggio e titolare di uno splendido negozio sulla piazzetta - che esce di corsa dal negozio del barbiere con la faccia ancora mezzo insaponata per abbracciarlo. Questo è Aldo.
Antonio, da Casarano, Lecce, incontrato, diciamo, per caso, è diventato un vero compagno di viaggio, anzi un amico. Ha condotto il gruppo per un sacco di chilometri. Mitico il suo approccio: scendeva dalla moto, si arrotolava una sigaretta ed in due minuti era circondato da un sacco di gente, con la quale riusciva sempre, in qualche modo, a comunicare. Battezzato "Jaeger", lui, uomo del sud, con un buon soprannome tedesco.
Gianni, io. Sempre stato l'ultimo della fila (terzo...sempre sul podio). Ho adattato la velocità, seguito le scie, copiato le traiettorie: ho quindi avuto un sacco di tempo per riempirmi gli occhi ed il cuore, che era ciò che volevo da questo viaggio. La mia prima moto è solo del 2005: sono un apprendista, un apprendista motociclista.
La colonna sonora. Jersey Girl, Tom Waits: mi sono scoperto a canticchiarla nelle curve sconnesse del Kurdistan turco e attraversando a 120 all'ora, con le auto a un metro, il ponte sul Bosforo. "...don't you know that alla my dreams come true, when I'm walking down the street with you, sing sha la la la..." qui attaccano i violini ed io godo. Sono tornato da dieci giorni e non hoi smesso.
La Turchia. Non ci vuole molto ad accorgersi che lo sviluppo è vorticoso e che le cose cambiano molto in fretta, con tutte le distorsioni e le contraddizioni. Così si passa, in pochi chilometri, dalla folla disordinata al deserto, dai grattacieli alle case con il tetto fatto di teli di plastica, dal traffico caotico alle greggi, dal benessere alla povertà. La Turchia "esotica" si riduce velocemente, la tradizionale ospitalità turca rischia di ventare sempre più un atteggiamento di maniera, un mestiere. Quindi, chi vuole, si affretti: anche se riuscirà a schivare tante buche, tante altre di sicuro le prenderà, ma ne varrà la pena.
Il percorso.
21 maggio: Gorizia (Italia, Slovenia, Croazia, Serbia) Pirot km. 932
22 maggio: Pirot (Serbia, Bulgaria, Turchia) Kumburgaz km. 599
23 maggio: Kumburgaz - Uchisar (Cappadocia) km 819
24 maggio: Uchisar km. 58
25 maggio: Uchisar lm. 128
26 maggio: Uchisar - Nemrut Dagi km. 605
27 maggio: Nemrut Dagi - Mardin km. 256
28 maggio: Mardin - Ahlat (Lago di Van)
29 maggio: Ahlat - Igdir km. 275
30 maggio: Igdir - Kars km. 142 (+ Ani km. 90)
31 maggio: Kars - Valle di Vardzia (Georgia) km. 275
1 giugno: Vardzia - Batumi km. 410
2 giugno: Batumi (Georgia, Turchia) Erzurum km. 305
3 giugno: Erzurum - Amasya km. 556
4 giugno: Amasya - Safranbolu km. 385
5 giugno: Safranbolu (Turchia, Grecia) Alexandroupolis km. 712
6 giugno: Alexandroupolis - Igoumenitsa km. 644
7 giugno: Imbarco sul traghetto Lefka Ori (Anek Lines)
8 giugno: Sbarco a Venezia - Gorizia km. 135
In tutto, con qualche giretto fuori lista, 7922 chilometri.
In seguito, per chi avrà voglia e pazienza, il viaggio visto dai miei occhi e sentito dal mio cuore, nelle varie tappe.
Questo prologo è dedicato alla ragazzina down che nel ristorante dell'albergo nel quale abbiamo alloggiato ad Amasya ci ha apparecchiato la tavola con dolcezza, allegria, soddisfazione, competenza; a quel ragazzino kurdo che, in una festa di matrimoio a Ercis, sul Lago di Van, mi ha tenuto il casco come se fosse stato una reliquia; ad Ananut, bambina kurda, i cui occhi scuri hanno portato emozione e smarrimento in quelli profondi di Aldo.
Auguro a tutti loro una vita ricca di soddisfazioni, realizzazioni, dignità: se Allah è grande, farà della loro vita una vita pienamente degna di essere vissuta.

pv1200
17-06-2011, 09:49
Giovanni... bravi per il viaggio innanzitutto e per il post diciamo che in poche righe sei riuscito a condensare le emozioni che si provano lungo strada Aspetto dopo il trailer di vedere il vs film e di leggere ancora delle righe di vita come già hai descritto

trottalemme
17-06-2011, 09:50
Bellissimo racconto Giovanni... spero che prosegua presto! :D:D:D

GS3NO
17-06-2011, 14:11
Ricordi del mio, stimoli per prossimi!

fernweh
17-06-2011, 18:47
dai Gianni, fammi rivivere tutto, metti ordine ai nostri ricordi arruffati e racconta finchè la realtà del viaggio non diventi ( il nostro) mito.
Ciao A

ntonyee
17-06-2011, 21:05
Aspettavo con ansia che "il compagno poeta" ci regalasse un po di fernweh...
Grazie giovanni... con il buon aldo restero' in attesa delle nuove puntate cosi' da rivivere ancora le splendide emozioni di questa fantastica esperienza...
( nel frattempo ... preparo un po di foto :-)))))

Jaeger

Ps. Jaeger e' anche il nome del gatto che ho adottato ... pochi minuti fa :-)))

ennebigi
17-06-2011, 22:29
Complimenti !!! attendiamo foto e tutte le altre emozioni che in qualunque modo ci vorrete trasmettere. Grazie.
Bruno

Prinz Eugen
17-06-2011, 23:34
Notte del 20 maggio scorso: non riesco proprio a dormire. E' ormai tardi, sono stanco morto, domani dovrò svegliarmi prestissimo, eppure non riesco a dormire. L'adrenalina continua a pompare e lo so io il perchè: "domani si parte" mi romba in testa "dopo tanto aspettare domani si parte davvero". Sabato 21 maggio inizia Fernweh 2011, dal Mangart all'Ararat.
L'idea appena abbozzata di un progetto che sognavo da tempo, un viaggio che nella mia mente (ed in quella di altri che mi avrebbero accompagnato, ma allora non lo sapevo ancora)era un viaggio dell'anima, si stava realizzando.
Ricordi confusi nel dormiveglia: il primo incontro con Aldo, per scoprire, davanti ad un bicchiere di Cabernet ed un caffè, che "sentivamo allo stesso modo, lunghi mesi di idee buttate là e subito abbandonate, piccoli dettagli che si ingrandivano e diventavano articolazioni importanti del viaggio, percorsi che piano piano si definivano, consigli da valutare e sviluppare. Telefonate, messaggi, altri incontri, un giro in moto a Longarone per incontrare Hasan, amico turco di Aldo, una lunga e dolce sosta all'ombra del grande gelso da Ridolf, a Nimis, due bicchieri di Verduzzo a testa, quel giorno...
Così si andava avanti, ma la partenza sembrava lontanissima. Parti importanti del viaggio erano state abbandonate per mancanza di tempo. Alcune mete erano state mantenute (il monumento ad Annibale a Gebze, che vi era morto suicida nel 183 a.c., Annibale che "non si prostrava davanti a nessun dio, credeva solo nella memoria delle cose fatte"), altre se ne erano aggiunte.
Il Nemrut Dagi, con le sue ciclopiche teste di re e di dei e - ora lo so - con i suoi tramonti infiniti, il Monte Ararat, mito di tutte le culture, che si innalza - ora so anche questo - come un miraggio lontano e si può vedere fin dalle rive del Lago di Van, la valle di Vardzia, in Georgia, per un pesce di fiume cotto alla brace e una bottiglia di vino georgiano, un luogo fuori dal tempo, temo, ancora per poco.
Infine la novità: s'era aggiunto, al 90° minuto, Antonio.
Messaggio personale su QdE, un paio di sms, qualche telefonata. Doomanda mia "che moto hai?" "Un Gs blu e grigio". Un altro col Gs, penso, che vuol provare l'avventura. Domanda sua "quanti anni avete?" "Sessantuno e sessantaquattro". In che avventura mi sto imbarcando, deve aver pensato, in viaggio con due vecchi, mi toccherà mettergli la moto sul cavalletto. Comunque, appuntamento telefonico in Turchia ed incontro dalle parti di Istanbul. Ci è andata bene: tre amici. Ora so anche questo.
La moto era stata controllata da Tomi, alla Bmw di Kronberk, in Slovenia. "Pensi che debba portare qualche pezzo di ricambio" ho chiesto. "La moto è a posto così, con questa vai e torni" mi ha risposto, e deve aver pensato "tanto non sapresti metterci le mani". Ha continuato con ilsorriso furbo di chi conosce le moto ed i motociclisti: "Porta la carta di credito. Se succede qualcosa, ma non succederà, vai alla Bmw".
I bagagli erano a posto? Dimenticavo qualcosa? Tagliavo corto: "Se manca qualcosa lo comprerò in viaggio e se non lo trovo ne farò a meno". Ora lo posso dire: non mancava nulla, anzi avanzava qualcosa, ed anche ciò che ho dimenticato da qualche parte verso il Nemrut l'ho recuperato facilmente in un supermercato di Kars.
Soldi, documenti miei e della moto, assicurazioni, bancomat, carta di credito: c'è tutto, ora si può partire.

pv1200
18-06-2011, 09:15
uno dei momenti più intensi è la vigilia Tutte le vigilie se ci pensate condensano in un attimo timori e speranze di quello che sarà c'è la consapevolezza che molto è stato messo in gioco e che non c'è più tempo per ripensamenti C'è solo la notte che ci separa dal momento dello start la sveglia a volte è notturna si è già preparato tutto ma ciò nonostante qlc dubbio ti sale alla testa anche se è tutto a posto l'ansia per affrontare la ns sfida ti porta a pensare che tutto debba essere perfetto E' sempre così che ci si sente quando la passione pulsa tanto quanto i cilindri della moto in movimento Avanti così Giovanni

yankee66
18-06-2011, 12:51
:D:D Bellissimo racconto....... aspettiamo le prossime puntate!!! Bravi e complimenti :D:D

lonelybiker
18-06-2011, 14:16
Complimenti a Giovanni, Aldo e Jaeger per il bel viaggio, ma soprattutto a Giovanni per il suggestivo report che mi ha fatto emozionare.

Prinz Eugen
18-06-2011, 22:42
Partenza da Gorizia alle 5.50, Aldo è partito da Udine una mezzoretta prima ed io sono un po' in ritardo. Quando ci incontriamo siamo un po' emozionati: ci stringiamo la mano, ci auguriamo buon viaggio. Pronti? Si parte. Entriamo subito in Slovenia - ho comprato le vignette il giorno prima - per percorrere una bellissima autostrada. Poco traffico, ampi curvoni, colline coperte di boschi e punteggiate da paretine di roccia. Planiamo sulla zona di Lubiana coperta da una bassa bruma, dalla quale le cime degli alberi emergono come cime dolomitiche da un mare di nuvole, come scogli da un mare grigio e calmo.
Andiamo veloci, usciamo presto dalla Slovenia per inoltrarci nelle pianure noiose della Croazia e della Serbia. In Serbia la qualità del manto stradale peggiora di colpo, con lunghi tratti rattoppati alla meglio, ed anche il parco macchine sembra in gran parte risalire alla vecchia Jugoslavia. L'attraversamento di Belgrado è difficoltoso: autostrada interrotta, deviazioni non segnalate, camion fumosi, ma in qualche modo ce la facciamo. Autostrada e noia fino Nis.
Dopo Nis la strada si inoltra verso la Bulgaria nella valle del fiume Nisava, un tratto bellissimo per gli occhi, la guida ed anche l'olfatto, per quel suo inebriante profumo di fiori d'acacia. Piccoli appezzamenti coltivati da gruppi di donne, sembrano immagini fuori dal tempo.
Pirot, vicino al confine con la Bulgaria, ha circa 25 mila abitanti ed un aspetto dimesso e poco invitante: centro in puro stile ex comunista, con evidenti segni di abbandono. Cena in un ristorantino in riva al fiume, dove incontriamo un italiano impegnato nella costruzione dell'autostrada, la famosa E80. In hotel, una stanzetta piccolissima ma pulita: in compenso, festa di fine anno scolastico nel salone ed una festa privata nel saloncino sotto la nostra stanza: musica a tutta - tipo Goran Bregovic, solo un tantino più ruspante, ma non per questo meno coinvolgente - fino alle due di notte. Ci facciamo un timido passaggio, nesssuno bada a noi, ma lasciamo perdere.
Si va a nanna.
Aldo russa alquanto, eppure nessun fastidio: sarà la stanchezza, oggi 932 chilometri.
Va peggio con quelli che si alzano alle cinque di mattina, quelli sì che danno fastidio.

Prinz Eugen
18-06-2011, 23:09
Seconda tappa di trasferimento. Partiamo pieni di entusiasmo, continuiamo colmi di ottimismo fino alla periferia di Sofia, dove una pattuglia di poliziotti ci spegne l'uno e l'altro. Siamo senza vignetta per le strade principali, dicono, ritirandoci subito patente, passaporto e documenti della moto. Se non paghiamo subito la multa dovremo andare alla sede della polizia, in centro a Sofia, non chiediamo se con le moto o a piedi, dove troveremo loro ed i nostri documenti solo alla fine del turno di lavoro. E' evidente che qualcosa non va: sono disposti a multare solo uno di noi, insomma, sono 75 euro da pagare sull'unghia, ma noi non siamo in vena di reggere il gioco. Paghiamoli e mandiamoli in mona, ci diciamo, e smammiamo in fretta. Detto e fatto e buonanotte. Abbiamo la conferma dell'inesistenza dell'infrazione poco dopo, ad una stazione di servizio dove è esposto in bella mostra un cartello con le disposizioni per le vignette.
"They needed some cash" ci dice una ragazza con un sorrisetto ironico e senza fare una piega: ci sarà abituata, noi no. Per ore mi si attorciglia lo stomaco per il nervoso e non posso negare di avergli augurato un sacco di volte - ed ancora oggi, quando ci penso - che gli venga un canchero.
Al confine turco quattro controlli, poi una buona autostrada: siamo ancora in Europa.
Incontriamo Franz, austriaco, su Yamaha 660: ha un nastrino legato al casco, regalo della moglie, lo zaino sulla schiena, la posizione in sella un tantino sbilenca e va come un fulmine.
Finalmente - Gold Hotel di Kumburgaz, periferia ovest di Istanbul - incontriamo Antonio: simpatia immediata. Sarà nostro compagno di viaggio per migliaia di chilometri ed amico per sempre.
Tutti insieme, Franz (che il giorno dopo andrà per la sua strada, verso il Mar Nero), Antonio, Aldo ed io ci facciamo il nostro primo kebab: il primo di una lunga serie.
Franz è di Hainburg, una città austriaca sul confine slovacco, vicino a Bratislava, dove Aldo ha lavorato ed abitato per sei anni. Si lanciano in lunghi dialoghi in tedesco, si divertono un mondo, e noi altrettanto ad osservarli, senza capire un acca.
Andiamo a dormire presto: siamo stanchi, ora che il nervoso per la multa di Sofia è passato, anche di più.
Buonanotte, domani inizia il nostro viaggio.

pv1200
18-06-2011, 23:41
bravo Giovanni il tragitto che hai fatto è il medesimo da me percorso fino a sofia poi noi girammo la bulgaria per poi scendere ad istanbul. Quando hai raccontato dell'incontro con la polizia immaginavo andasse a finire così. Purtroppo il trucco è sempre quello tenere nel portafoglio soli 10/20 euro e mostrare al limite le carte di credito

ntonyee
20-06-2011, 22:45
Come promesso ... dopo un arduo lavoro di selezione ... le foto ... :

https://picasaweb.google.com/115692649262190283915/FERNWEH2011?authkey=Gv1sRgCOPFmZzL682VlQE&feat=directlink

... Buon viaggio :-)))

Prinz Eugen
20-06-2011, 23:14
Kumburgaz è un sobborgo di Istanbul, una lunga fila di alberghi sulla costa, tutti più o meno uguali: siamo nella periferia occidentale, ancora in Europa, già nel pieno di un traffico caotico. Attraversiamo Istanbul su strada normale, possiamo osservare la vita animata, i modernissimi grattacieli di quello che è ormai il centro della metropoli, intravvediamo da lontano la penisola sulla quale è situata Sultanahmet, la zona di Santa Sofia, della Moschea blu, del Topkapi e del Gran Bazaar. Non puoi lasciare un metro davanti a te che viene subito occupato da qualche automobile, ma tutti stanno per i fatti loro, non ci sono atteggiamenti volgari, azioni aggressive, intrusioni violente. Insomma, ci vuole grande attenzione, ma il traffico di casa nostra è spesso più pericoloso.
In compenso non si finisce mai di guidare tra le case: Istanbul è una città enorme. Kumburgaz dista circa 40 chilometri dal Bosforo, quaranta chilometri di città. Per uscire da Istanbul dovremo percorrere un'altra quarantina di chilometri, gli ultimi quartieri li troveremo oltre ottanta chilometri dal Bosforo. Una città immensa di oltre 12 milioni di abitanti. Vediamo dei cartelli che riportano il numero degli abitanti: 12.....936. esatti all'unità: ma come fanno, quando piantano il cartello gli abitanti sono già aumentati di qualche migliaio.
Cerchiamo Gebze, chiediamo un paio di volte per il Tubitak Gebze Yerleskesi, il centro scientifico nel cui parco sorge il monumento ad Annibale. Lo troviamo facilmente e, consegnato il passaporto, non c'è problema ad entrare. Anzi, sono proprio le guardie al cancello a consigliarci di entrare con le moto.
Il monumento, una grande roccia con il bassorilievo di un volto posta in mezzo ad un grande spiazzo circolare circondato da cipressi, è situato su un'altura dalla quale si scorge - in lontananza ed ormai tra le case - il mare.
Siamo emozionati: la prima delle mete di questo viaggio è stata raggiunta. Tavole di pietra riportano, in varie lingue, anche in italiano, le vicende e le motivazioni di quel monumento.
Di Annibale, oltre ad innumerevoli nomi di luoghi, non sono rimasti monumenti, nè tantomeno è noto il luogo della sue sepoltura: sono rimaste le sue gesta ed il suo modo di condurre la vita, il cui ricordo è degno di essere conservato in un luogo come questo, inondato di luce. A questo abbiamo inteso dedicare il nostro omaggio.
Raggiungiamo veloci l'ottima autostrada per Ankara, superiamo la capitale, anch'essa ormai una metropoli, con la sua corona di quartieri satellite, costituiti da una motitudine di palazzi tutti uguali di una decina di piani, addossati l'uno all'altro, i terrazzini distanti pochi metri.
Passiamo veloci, filiamo verso la Cappadocia: siamo ormai nel pieno dell'altopiano anatolico, fra colline tondeggianti ma ad una quota sul mare piuttosto elevata. Il primo temporale - indossiamo le tute da pioggia - ci coglie all'improvviso, ma dura poco. L'autostrada diventa una strada a due corsie, continuamente rappezzata e con cantieri stradali sempre più numerosi e lunghi: ormai fa buio ed i fari delle nostre moto incrociano quelli degli innumerevoli mezzi al lavoro. Insomma, la velocità autostradale è un ricordo e la frescura del vento in faccia è sostituita dal polverone.
Poco oltre Aksaray ci fermiamo per un boccone: il primo assaggio di una Turchia rurale e genuinamente ospitale. La cena, per quanto frugale e veloce, è una festa: ne conserviamo, con le foto, un affettuoso ricordo. Ancora una settantina di chilometri su buon asfalto dalla grana grossa, ruvido ma senza buche, e siamo in Cappadocia. Arriviamo a Uchisar che è tardi, perdendoci il mitico primo impatto con la Cappadocia. Al Kale Konak, che Aldo ha scelto per noi, ci hanno aspettato: un momento per apprezzarne il buon gusto e l'originalità (le stanze sono scavate nella roccia), una doccia e a nanna. Ci godremo tutto, con calma, domani. Ottocentodiciannove chilometri, troppi: non serve la buonanotte, stiamo già dormendo da un pezzo.

Prinz Eugen
20-06-2011, 23:29
Il risveglio è stupefacente. Non avevo realizzato, ieri sera, che la stanza in cui abbiamo dormito, scavata nella roccia, una specie di tufo dal candido colore bianco, fosse così confortevole, accogliente e particolare. Nelle pareti sono ricavate - dal pieno, si potrebbe dire - le nicchie che dovevano in passato servire per le lampade, il camino, le mensole, insomma tutto ciò che serve. Il pavimento ed i pochi ma bellissimi mobili sono di un bel legno scuro e caldo, se non sono antichi ne hanno tutto l'aspetto.
Colazione all'aperto, con uno splendido cielo azzurro ed il sole caldo, le ultime mongolfiere coloratissime che ci passano sopra la testa e la rocca di Uchisar che ci sovrasta elegante e misteriosa.
Ricca colazione (dolce o salata, a proprio gusto, ne facciamo fuori l'una e l'altra), poi in giro. Incontreremo subito il mitico Farouk, un gran personaggio. Faremo poco più di una cinquantina di chilometri in moto: Urgup, un bel paesone molto animato, anche per cercare un meccanico per curare la frizione del Gs di Antonio e per farci una bella lunga chiacchierata in un bar, bevendo tè come veri turchi, Goreme, la Cappadocia più vera e profonda ma, forse, anche la più turistica, le piccionaie, i camini della fate, le chiese affrescate. Poi Zelve ed Avanos, a visitare un istituto nel quale i tappeti li vendono ma ti fanno anche vedere come si fanno: non siamo diventati degli esperi, ma abbiamo capito perchè siano così belli, resistenti e, ovviamente, cari.
Cena da Mustafà a Uchisar, sulla piazzetta, di fianco al negozio di Farouk: piatto forte il "Guves", una specialità tradizionale a mezzo tra il kebab e lo stufato, cotto per ore in una pentola di terracotta, una delizia.
Chiacchierata digestiva nel fresco della sera, poi sazi e stanchi, a nanna.

Prinz Eugen
22-06-2011, 23:00
Meta della mattina è la città sotterranea di Kaimakli, a dir la verità un po' inquietante, poi la valle di Soganli con i bastioni di roccia rossa e le finestre della case scavate che ti guardano dall'alto, poi luoghi meno particolari ma non per questo meno interessanti. Pranziamo a Mustafàpasha, sulla piazza, con un traffico inesistente ed un gran via vai di scolari che ritornano a casa dopo le lezioni, tutti con la loro bella divisa della scuola. Incontriamo una coppia di italiani, scambiamo qualche parere ul luogo, sulle strade, sulle moto, per noi puoi andare quasi dappertutto anche con un Ciao, non c'è da preoccuparsi; ci facciamo un giro, c'è un'antica chiesa affrescata, mi prendo una zuccata sullo stipite in pietra di una porta di cui porterò per giorni il segno, accompagnamo Aldo a far compere in uno dei negozi che si affacciano alla piazza e vendono praticamente di tutto. In direzione di Ibrahimpasha percorriamo una strada sull'altopiano - dispersi nel nulla su una strada perduta nel nulla, penso - ammirando la bellezza del panorama. In lontananza un canyon di rocce rosse nel quale precipitano ripidi uadi, Colorado e maghreb fusi insieme. Senza un gesto ci fermiamo, ci guardiamo quasi impauriti da quello scenario che ha il sapore dei lunghi viaggi.
Sosta un chilometro prima di Uchisar per ammirare dall'alto la Valle dei Piccioni, con le sue innumerevoli, inaspettate guglie chiare. Cena a Uchisar, poi da Farouk per il tè: veniamo battezzati "Kahraman motorcuk", grandi motociclisti (o motociclisti valorosi, se volete) e questo nome ce lo ripeteremo spesso in tutto il viaggio. Mustafà fa notare che "motor" significa motocicletta ma anche trattore: potremmo quindi essere anche "Grandi trattoristi", ma noi e le nostre moto non ci sentiamo offesi, va bene anche così. L'unica cosa che conta è che la moto vada perchè, com e dice Aldo "se la machina no va, no 'ndemo nanche noi".

Prinz Eugen
22-06-2011, 23:26
Dopo due giorni di stop, eccitazione per la partenza. Un ultimo giretto fino alla piazzetta di Uchisar e poi via, su strada buona, dal solito fondo grossolano, larga e veloce.
Percorriamo l'altopiano anatolico: hai l'impressione che per chilometri, davanti e dietro di te, non ci sia nulla. Invece si intravvede, dietro qualche balza del terreno, un piccolo e povero gruppo di case, un gregge, un traliccio dell'energia elettrica, un pastore che saluta da lontano.
Siamo intorno ai 2000 metri, saliamo e scendiamo un valico con ampi curvoni che invitano a correre un pochino: buona strada, con due corsie per senso di marcia, limite per le moto 100 all'ora (a proposito, strada con una corsia per senso di marcia limite 80, autostrada a pagamento limite 120). Macchina della polizia su ciglio, trecento metri dopo una pattuglia ci "invita" ad accostare. Quello della prima auto, arrivato nel frattempo, ci mostra la ripresa al computer: leggera curva a destra, uno dietro l'altro, "buttati" come si deve, siamo proprio belli da vedere. Sembra un gran premio alla tv, si fa per dire...
115, 117, 119 chilometri all'ora, 140, 140, 290 Turkish Lire. Ma come, dico, più del doppio di multa per due chilometri all'ora in più: così è, i poliziotti sono gentili ma professionali, abbiamo un mese di tempo per pagare e loro non accettano pagamenti diretti. Dopo i poliziotti bulgari (magari con l'amaro in bocca, che però non mi ha fatto cambiare idea su questo splendido paese) rivedo la luce. E' stata l'unica occasione nella quale la mia cronica terza posizione mi è pesata alquanto.
Da Malatya, dopo un milione di curve, arriviamo a Kahta e da lì dritti al Nemrut Dagi. Nei due possibili alloggi tutti i posti letto sono occupati - è arrivata una comitiva di australiani - e noi dormiremo nella casa di una famiglia kurda che ha una stanza libera. Quattro materassi sul pavimento, mancano alcuni vetri alle finestre, ma è pulito.
Intanto saliamo, una decina di chilometri su strada lastricata (blocchetti autobloccanti in cemento, ce ne saranno milioni!), paghiamo alla sbarra e via. Parcheggio in salita, auto e pullman, poi per un quarto d'ora a piedi su una mulattiera pietrosa.Ma sopra c'è tutto! Un panorama infinito, i grandi laghi artificiali, un mare di cime più basse; le grandi teste di dei, di re, di eroi, di animali, aquile e leoni. La luce al tramonto indora le sculture e le pietre e, nonostante il centinaio di persone che aspettano, il silenzio è impressionante quando l'ultimo raggio di sole scompare a ovest. L'energia del lugo è fortissima, l'emozione traspare negli occhi di tutti, sento un groppo in gola: ci abbracciamo. Siamo fratelli.

Prinz Eugen
23-06-2011, 22:20
Dormito da dio: notte quieta, temperatura fresca, stanchezza quanto basta, Abbiamo contemplato la nostra stanzetta senza mobili ma con le pareti dipinte di fresco di un bel colore azzurro, i tappeti sul pavimento, le lenzuola bianche profumate di pulito. Una vera casa curda, povera quanto si vuole, ma pulita e dignitosa. Indugiamo a colazione per guardarci intorno ancora un po' e goderci la frescura del mattino: ogi si va nel profondo sud, ai confini della Mesopotamia, al limite della Mezzaluna fertile, ma anche alle porte del deserto.
La strada è buona e corre su un ampio altopiano, tra colline che si innalzano basse. Raggiungiamo un grande lago artificiale sul corso dell'Eufrate, lo attraverseremo in traghetto, Il posto è segnato sulla carta con il nome, guarda un po', di "Feribot". Aspettiamo sotto la tettoia di frasche di un bar, insomma qualcosa di simile, godendoci il piacere della sosta e chiacchierando con tre giovani con una motocicletta cinese tutta colori sgargianti, tubi cromati e ciondoli: eppure va, eccome, li troveremo più tardi, in tre con una sola moto, nel pieno dell'altopiano.
La strada corre veloce, sosta a Sivenek, in una disordinata stazione di servizio dove però non manca il consueto rito del te e della folla che si raccoglie intorno alle moto: tutti toccano, tutti tastano, ma non ci è mai mancato nulla.
Passiamo Diyarbakir senza neppure intravvedere le sue famose mura nere, per noi la capitale del Kurdistan turco è solo la disordinata periferia di una grande città, ma abbiamo fretta di raggiungere Mardin e la sua vista sulla Mesopotamia infinita.
Infine, eccola, distesa sul fianco di un'alta collina. Ci accorgeremo poi che dalla parte nord della collina c'è la Mardin nuova, quella degli hotel, delle strade ampie, del traffico veloce: molto più intrigante la Mardin distesa sul fianco meridionale della collina, una città quasi araba, con moschee e minareti, strade strette ed affollate, un bazaar, locali angusti nei quali gustiamo un ottimo ayran preso al volo, terrazze dalle quali ci gustiamo il panorama, una piatta distesa color ocra che si perde nella foschia all'orizzonte e fa immaginare meraviglie da Mille e una note e paesaggi alla Lawrence d'Arabia. Atmosfera calda, eccitante ma anche rilassata. Giriamo a piedi in lungo e in largo, e non ci basta mai. Tentiamo qualche acquisto nei bei piccoli negozietti sulla strada principale.
Il mio primo hammam, magari non del tutto tradizionale, nell'hotel dove alloggiamo: sauna invece del bagno turco e saltiamo il massaggio finale, ma la vigorosa strofinata del lavaggio mi rimette veramente a nuovo. Cena sontuosa sulla terrazza di un palazzo, perduti a contemplare la pianura che, nel buio, si è animata di mille luci. Non possiamo non pensare che sarebbe bello proseguire ancora "per di là". Va a sapere...

sarete
23-06-2011, 23:10
adoro questi racconti e questo tuo modo di raccontare questa bella esperienza,
sono racconti scritti con il cuore che mi attanagliano al video, pieni di pathos,
complimenti e continua a emozionarci........
( bella jersey girl, non la conoscevo )

Prinz Eugen
23-06-2011, 23:11
Sveglia presto, ormai ci siamo abituati: ma oggi riceviamo in dono la luce della mattina di Mardin, una luce dorata che ammorbidisce tutti i contorni e rende più dolce da guardare ogni panorama. Deve essere così nel deserto, forse anche per questo ci sentiamo attratti dal proseguire "per di là". Ed in effetti, almeno un pochino, "per di là" ci andremo, L'uscita dalla città è facile, il nostro albergo è nella città nuova e la razionalità dei nuovi quartieri ci facilita almeno un poco le cose. Scendiamo dagli ultimi colli e ci inoltriamo ancora a sud - sempre in Turchia - verso la pianura mesopotamica. Da Akinci la strada corre per un centinaio di chilometri lungo la frontiera con la Siria, affiancata da una linea ininterrotta di reticolati e di torrette di osservazione. Anche se siamo un po' a corto di notizie, sappiamo dei problemi in Siria, ma da qui la situazione sembra tranquilla e nulla lascia presagire l'esodo di profughi di una settimana più tardi. A Cizre attraversiamo il Tigri - ci impressiona più la fama che la larghezza - e viriamo decisamente a nord, verso Sirnak, Siirt ed il Lago di Van, in un territorio che si fa via via più montagnoso. Incominciano i controlli della Jandarma, una sorta di polizia militare, sono numerosi i posti di blocco presidiati da autoblindo con la torretta della mitragliatrice minacciosamente puntata verso la strada: subiamo un controllo, ci prendono i passaporti e controllano in una casermetta lì accanto, ma tutto sommato sono molto tranquilli, professionali, e perdiamo poco tempo, giusto quello che ci vuole per un tè. Dopo Sirnak la sosta in un bar sperduto tra i monti ci riserva una piacevole sorpresa. Dopo un minuto siamo circondati da gente sorridente, allegra, con la quale passiamo - quando si sta bene ci si intende più facilmente - una piacevole mezzoretta. Sono kurdi, uno di loro ricorda ancora la vicenda Ocalan e perfino il nome del politico italiano che vi ebbe parte: D'Alama, dice lui, e unisce i polpastrelli delle dita di una mano verso l'alto, che in Turchia significa "molto buono", "ok". Così, dopo le nostre Bmw, in Kurdistan anche D'Alema è ok: se non altro qualcosa di diverso dagli infiniti accostamenti Berlusconi-bayan (donna, una parola che si impara subito, c'è scritto nelle toilettes, dall'altra parte di bay (uomo), che fanno sganasciare i turchi dal ridere.
Conosciamo Masud, che ci accompagnerà con il suo pick-up fino a Siirt, dove pranzeremo alla grande in sua compagnia, trattati come veri personaggi. Procediamo spediti su una strada sconnessa e tutta curve, fa caldo, ma darci dentro un pochino è di grande soddisfazione. Questo non ci impedisce tuttavia di ammirare il panorama, ma anche il dramma di una grande miseria, con villaggi poverissimi e bambini che rovistano nella spazzatura abbandonata ai bordi della strada. Rimane, di questa giornata, oltre al nostro amore per la Turchia, anche l'amarezza per ciò che abbiamo visto e l'affetto solidale per il popolo kurdo.
Quasi all'improvviso siamo al Lago di Van. E' sera, dirigiamo per Ahlat, eletta a tappa di giornata, quando all'orizzonte emerge dalla bruma della sera un fantasma bianco coperto di neve e di nuvole: il monte Ararat. Accelero e mi affianco ad Aldo per vedere che anche lui ride sotto il casco, proprio come me, scrollando le spalle dalla gioia.
Serata ad Ahlat, città un po' turistica e molto agricola, a goderci l'ennesimo kebab e quattro chiacchiere con un paio di studenti curiosi di novità. Dicono di creder in Patria, Religione e Bandiera. Pensiamo che magari ci sarebbe anche la questione curda, ma ci convinciamo a lasciar perdere. Siamo a casa loro, meglio così.

pv1200
24-06-2011, 09:39
ragazzi chapeau
bellisime foto solo con quelle siete risusciti a trasmettere delle belle emozioni di uno splendido viaggio ed il racconto di giovanni rende le vostre esperienze ancora più realistiche non saprei cos'altro aggiungere se non un grazie

Prinz Eugen
24-06-2011, 23:16
Piove, ma questo non ci impedisce di consumare una abbondante - se non ricca - colazione nel disadorno grande salone dell'hotel. In effetti la sensazione di squallore aumenta con l'aspettare che la pioggia smetta o almeno diminuisca d'intensità: scopriamo una sala con un tavolo da ping pong, ma non ci sono palline e racchette e ci adattiamo quindi a giocare - abbiamo già addosso la tuta da pioggia - sul macchiato panno blu di un biliardo (strano, non è verde, forse qui usano così), con tre palle ed una sola stecca. Ma c'è eccitazione nell'aria, oggi vogliamo arrivare a Dogubayazit, ai piedi dell'Ararat, che abbiamo intravvisto ieri sera. Così partiamo che pioviggina ancora e ben presto il tempo ci dà ragione, virando la giornata decisamente al bello.
Un sacco di chilometri costeggiando il lago, qualche rischio per automobilisti indisciplinati e pericolosamente distratti, l'incontro con un motociclista turco con mocassini portati a ciabatta ed una moto cinese stile Easy Rider: la strada scorre veloce e ci porta ad uno dei momenti più intensi ed emozionanti dell'intero viaggio. Bivio a Ercis, in prossimità di un bar pieno di gente. E' Antonio che va a chiedere informazioni, Aldo ed io rimaniamo sul ciglio della strada, ma ci mette un sacco di tempo, le sue cicche arrotolate non devono aver fatto il solito effetto e decidiamo di avvicinarci. Ci troviamo nel bel mezzo di una festa di matrimonio, con un sacco di invitati, gli anziani seduti in fila a prendere il sole, le donne raggruppate insieme in disparte, le ragazze più giovani che ridono e si coprono la bocca con aria civettuola se facciamo il gesto di fotografarle, un nugolo di ragazzini che circondano noi e le nostre moto, si fanno fotografare in sella, ci chiedono timidamente ma per decine di volte "where are you from?".
Il padre della sposa, deve essere lui che paga e si preoccupa per tutto, ci invita con grandi gesti a restare, per un'oretta saremo gli ospiti d'onore. Fotografiamo tutti, gli anziani, la coppia degli sposi con i genitori, le ragazze, uomini e bambini, scene da un matrimonio.
L'emozione è al massimo - anche la nostra - quando il poadre della sposa intona quello che ci sembra un canto tradizionale kurdo: comincia timidamente, ma quando tutti fanno silenzio prende coraggio e rinforza la voce. Il ritornello (kurdum, kurdum, kurdum...ricordo) lo cantiamo tutti, noi compresi, mentre Antonio riprende tutto con il telefonino. Solo qualche anno fa ci sarebbe stata la prigione per una cosa del genere e forse non è così semplice neppure adesso. Il ricordo di quell'uomo semplice che canta emozionato in mezzo alla sua gente e le nostre voci che si uniscono alla sua mi emoziona ancora adesso. In questa festa ho incontrato il ragazzino "che mi ha tenuto il casco come fossa una reliquia": non ci rivedremo mai più, ma vorrei tanto che sapesse che non l'ho dimenticato. In questa festa abbiamo incontrato Ananut, "i cui occhi scuri hanno portato emozione e smarrimento in quelli profondi di Aldo". So che anche lui non se n'è dimenticato.
Siamo ripartiti salutando a lungo, ognuno preso e perso nelle sue sensazioni, perchè ci vuole tempo affinchè l'emozione si affievolisca e lasci spazio per altri pensieri.
Lunga strada in salita con ampi curvoni, poveri agglomerati di case, mandrie di mucche, colline verdi ma nemmeno un albero. Mattoni di terra, ci pare, messi a seccare al sole: ci accorgiamo subito che non è terra ma letame, che una volta seccato sarà un ottimo combustibile per l'inverno, che qui deve risentire in pieno dei venti gelidi provenienti dalla Russia e deve essere terribile. Ancora prati punteggiati di rocce e sassi, un passo di 2644 metri oltre il quale l'Ararat si presenta in tutta la sua magnificenza: ci fermiamo senza fiato ed è uno scoppio di allegria sfrenata, abbracci, emozione, stupore, gli autisti dei camion che suonano il clacson a quei tre pazzi che stanno facendo casino sul ciglio della strada. Un mare di foto ed un brindisi con la grappa che Aldo ha portato fin qui da Tarvisio, la grappa più buona che abbia mai assaggiato.
Dopo pochi chilometri Dogubayazit: dall'eccitazione allo smarrimento, dall'allegria allo stupore. Appena entrati in città veniamo accolti da una banda di ragazzini che dai margini della strada ci prendono a sassate: un mio accenno di nervosismo, un cenno di lasciar perdere di Aldo, proseguiamo verso il centro, questa volta con ragazzi più grandi che ci salutano mostrandoci il dito medio. La conferma del fatto che non siamo benvenuti ce l'abbiamo quando ci fermiamo per chiedere di un hotel e per un tè. Sguardi sfuggenti, risposte a muso duro, anche avere un semplice tè diventa un problema. Forse gli occidentali sono dipinti come "crociati" - siamo a trenta chilometri dall'Iran - forse siamo portatori di un'immagine di ricchezza che offende la loro povertà, forse non accettano il nostro stile di vita: dopo aver tanto sognato questo momento ci sentiamo depressi, la voglia di passare qui la notte se n'è andata, decidiamo di muoverci da lì. Ci fermeremo a Igdir, ad una sessantina di chilometri: ci voltiamo spesso a salutare l'Ararat, e sono saluti di gente delusa e sconfitta.
Igdir ci riserva altre sorprese: in cerca di un hotel ci fermiamo al secondo tentativo. Camere così così, ma il bagno è in condizioni preoccupanti, per raggiungere il terzo piano dobbiamo salire al quarto e scendere di un piano, dove ci imbattiamo in una prosperosa signorina bionda avvolta in un asciugamano: siamo capitati in un albergo che ospita prostitute (russe, credo), un "puttanaio turco" commentiamo sconcertati e divertiti. Mi faccio la doccia senza toccare in giro ma ridendo come un matto ed anche adesso non riesco a trattenere un sorriso divertito.
La città è frequentata da "bad people", ci dicono in un negozio, ma a parte un energumeno che se la prende con il mio orecchino non abbiamo noie. In compenso riesco finalmente a trovare un calligrafo che mi decora artisticamente due piatti: non sono versetti del Corano ma i titoli di due canzoni in inglese, però fanno la loro porca figura e sono unici, tutti per me.
Passiamo la serata a far commenti sui frequentatori dell'albergo, a valutare il loro atteggiamento, a misurare il loro comportamento "prima" e "dopo": molto istruttivo ed oltremodo divertente. Le moto, parcheggiate davanti all'hotel, con tutto quel viavai sono al sicuro. La nostra notte balla al ritmo della musica della discoteca del secondo piano (chi se lo poteva immaginare!): nonostante una giornata stancante cominciamo a dormire verso le due.
Giornata lunga: buonanotte, si fa per dire.

ntonyee
24-06-2011, 23:53
Giova' ... Che bel racconto ... :-)))

Prinz Eugen
24-06-2011, 23:54
Anche se i preparativi per la partenza sono quelli consueti ed i gesti sono quelli di sempre, oggi è una giornata triste: oggi il gruppo si scioglie, le strade di Antonio e quelle di Aldo e mie si separeranno. La strada che Antonio percorrerà virerà decisamente a est, sulla via del ritorno, mentre la nostra punterà ancora a nord, verso Kars, e poi a est, verso la Georgia.
Abbiamo fatto qualche migliaio di chilometri insieme, completato tappe faticose, raggiunto il monumento ad Annibale, la Cappadocia, il Nemrut Dagi, abbiamo gioito come bambini al cospetto dell'Ararat, momenti ai quali non rinunceremo mai e che mai dimenticheremo. Abbiamo anche fatto fatica, certo, ma è sempre stata una fatica da uomini alla ricerca.
Partiamo con una leggera pioggia, si parla poco, la formazione di viaggio è la solita, sembra una giornata normale. Dopo una quarantina di chilometri, abbiamo da poco superato Tuzluca, il bivio del distacco. Accostiamo al ciglio, spegnamo il motore e moto sulla stampella: è un momento importante, siamo commossi più che tristi, perchè con l'uomo che se ne va da solo abbiamo realizzato una parte importante della nostra vita. L'uomo che se ne va da solo, incontrato per caso, è un amico: fratello, l'ho chiamato sul Nemrut Dagi nella luce dorata del tramonto. Un abbraccio, una pacca sulle spalle, poche parole a bassa voce, perfino quelle che i genitori dicono ai figli: "non correre, stai attento", "facci sapere dove sei".
Di nuovo in sella, si sale per ampie curve verso i pascoli di montagna di Kars: mi volto un paio di volte tentando di individuare un puntino lucente nella pianura, senza successo, ma ho tutto al sicuro nel cuore.
Piove e fa sempre più freddo: siamo oltre i 2000 metri, arriviamo agli 8 gradi. Poi planiamo su Kars, che intravvediamo in basso, con il ricordo delle atmosfere del romanzo "Neve" di Orhan Pamuk. Le strade sono fangose e le ultime esperienze ci hanno reso sospettosi: ma subito esce il sole, i colori della città si fanno più vivaci, la vita più intensa. Troviamo un buon albergo - Gungoren Hotel - molliamo lì i nostri bagagli e partiamo per Ani. Nel frattempo la città si è messa in moto, con la sua gente rispettosa, i suoi studenti allegri, le botteghe ed i ristoranti di buona qualità, le sue gioiellerie: sono passati più di trent'anni ma non ci ho trovato le atmosfere pesanti ed inquietanti del romanzo, la città e la sua gente mi hanno lasciato un ricordo solare, vivace, operoso, dignitoso.
Ani appare in mezzo alle balze dell'altopiano come un fantasma, con le sue mura colore ocra, le sue simmetrie, i suoi bastioni potenti: sorge su un "promontorio" triangolare, limitato su due lati da un profondo burrone scavato dal fiume e protetto, nel rimanente lato, da mura possenti. Vi sono rimaste le rovine degli edifici principali, chiese, palazzi, torri di guardia, di tutto il resto rimangono cumuli immensi ed informi di pietre: ma vi si respira l'aria di un passato di ricchezza e di potenza che nessuno e niente, nelle vicinanze, ha saputo ereditare.
Piacevolissimo pomeriggio a cazzeggiare per Kars, alla ricerca di colori da fotografare, della bellezza austera dei vecchi palazzi russi e di cartoline da spedire, che nella Turchia orientale non si trovano.
Cena in un ottimo ristorante, moderno nell'arredamento ma tradizionale nei piatti e nell'ospitalità: Ani Ocakbasi, su una delle vie principali.
Ci rimarrei volentieri ancora un giorno, ma l'anima è già in viaggio: domani si va in Georgia.

Prinz Eugen
25-06-2011, 00:25
Bel tempo, Kars ci regala anche questo. Prima tappa ad Ardahan qualche chilometro fuori rotta, per cambiare qualche euro e pagare la multa. Ci rechiamo in un Maliye, un ufficio pubblico, dove veniamo affidati ad un giovane impiegato che si occupa di tutto: è con un sorriso di soddisfazione che ci fa capire che abbiamo avuto uno sconto: io pago 217,50 TL invece delle 290 sanzionate, Aldo 105 invece di 140: rimane una bella cifra, ma ne siamo contenti, ci accontentiamo di poco.
Lungo tratto a 40 all'ora sullo sterrato dei lavori in corso, largo come un'autostrada (ed è quello che diventerà, penso), ma tutto ghiaia e polvere. Vediamo da lontano i camion che si avvicinano sollevando un nuvolone di polvere che fra poco ingoieremo. Casco tappato, il sudore scende lungo il collo.
Al valico, un paio di brutte costruzioni e qualche container, si fa presto: dopo il controllo della polizia, alla dogana georgiana ci fanno passare con un cenno.
Siamo in Georgia, il manto stradale migliora di colpo e la strada nella valle di Vardzia è completamente rifatta. Evidentemente si punta sul turismo, anche se le strutture sono ancora molto limitate. Una sessantina di chilometri risalendo il corso del fiume, strada da guidare, panorami puliti da guardare, ruderi di fortezze che hanno vissuto tempi migliori ma che lasciano immaginare la potenza passata. Ancora a destra, qualche chilometro e siamo al cospetto del monastero di Vardzia, una parete rocciosa punteggiata di celle e finestre, oltre il fiume. Il paesaggio è splendido, poche case, qualche piccola mandria, un paio di visitatori, roba d'altri tempi. Cerchiamo il cottage di Valodia, l'unico posto dove potremo pernottare, una costruzione di legno appena terminata. La nostra stanza odora di buon legno, il letto è preparato con lenzuola rosa shocking che ci fanno sorridere e pronunciare qualche battutaccia: deve essere il massimo dell'eleganza, nella valle.
Un po' in giro, torniamo nella zona del monastero, poi viene presto ora di cena: un po' di gente all'ombra di un albero, in tre nella stanza ricavata sotto l'abitazione di Valodia. A cena con noi un ospite finlandese che, arrivato in Armenia in aereo, viaggia in taxi ed a piedi: con Olli Heikkila ci faremo una chiacchierata lunga una sera, durante la cena (pesce di fiume alla brace, ovviamente, ed una buona bottiglia di vino rosso georgiano) e prima di andare a dormire. La compagnia è piccola ma ben assortita: noi due italiani in moto, Olli finlandese a piedi, due ragazze slovacche ed una coppia polacca in pullman, uno svizero della organizzazione che ha appoggiato e seguito i piani turistici nella zona, un ragazzo ed una ragazza americani di origine georgiana che si vedono poco, passano il tempo in camera, beati loro.
Passiamo la serata tutti insieme a chiacchierare sugli scalini e sulle panche del cottage, facendoci fuori un'altra bottiglia di vino che Valodia ci ha regalato: non è granchè, ma la sera è dolce, il cielo è stellato, la compagnia è buona e ci va bene anche questa, che finiremo senza pietà fino all'ultima goccia. Augurandoci tutti che non si avverino i sogni che Valodia già fa ad occhi aperti, di una valle piena di turisti, di un altro cottage, di campi da tennis e di pallavolo (fin qui lo abbiamo ascoltato seri) e di una sala con biliardo (e qui tutti, ognuno nella propria lingua, abbiamo cominciato a sghignazzare).
Sarà Vardzia, sarà il vino: si va a nanna rilassati.

Prinz Eugen
25-06-2011, 11:16
Confesso di aver lasciato la valle con un po' di dispiacere: ci avrei passato volentieri ancora un giorno, cullandomi nel dolce far niente. C'è un bel sole ma l'aria è frizzante quando partiamo, dopo aver salutato quel po' po' di umanità: mi fermo un paio di volte per un'ultima occhiata a questa valle libera e serena.
Percorreremo una strada ben segnata sulla carta, dovrebbe essere una tappa breve e piacevole visto che "...alcuni lettori hanno fatto il tragitto da Akhaltsikhe a Batumi in bicicletta, motocicletta o a cavallo..." come dice Lonely Planet.
Ripercorriamo con immutato piacere la strada di ieri fino ad Akhaltsikhe, poi via verso Batumi per una strada asfaltata che sarebbe buona se non fosse interrotta da tratti di buche profonde dieci centimetri e perfettamente squadrate: squadrano le buche per riasfaltarle meglio, solo che tra un'operazione el'altra passa magari una settimana e nel frattempo son c...i di chi ci passa.
Dopo trenta chilometri inizia lo sterrato, polveroso, pietroso, duro...prima, seconda, prima per dieci chilometri, tra mandrie di mucche, prima di fermare un'automobile per chiedere notizie: sul sedile posteriore c'è una gentile donzella che mastica un po' di inglese (miracolo!): sono 135 chilometri tutti così, ci fa capire, e benzina solo all'arrivo a Batumi. Per noi che ne abbiamo ormai solo una tacca, è la notizia definitiva: si torna indietro, si fa un pienone alla prima occasione e si individua un percorso su asfalto, sia pure con le buche squadrate, che ci porti fino a Batumi.
Totale di questa tappa "breve e piacevole" 410 chilometri tra automobili che hanno visto tempi migliori, autocarri che fumano e scaracchiano e, anche qui in Georgia, automobilisti arroganti (i soliti, quelli con i soldi da ieri ed il Suv).
Ci fermiamo a mangiare un boccone a Borjomi, cittadina di stile sovietico con qualche bella villa nei dintorni, famosa per la sua acqua che pare avere virtù miracolose per vivere a lungo. Poi chilometrissimi di montagne, curve, camion ed infine a Batumi, verso sera, con un mare piatto, noioso e grigio: se non fosse per il carattere della gente, che qui è tornata a sorridere, e per la natura splendidamente rigogliosa, sarebbe una giornata deludente fatta solo da un milione di curve, un milione di camion puzzolenti, un milione di c...ni al volante di macchine troppo costose. Ma forse è solo il nostro umore che è stato messo Ko da quella stradaccia...
Non vediamo l'ora di essere nuovamente in Turchia.
Hotel poco prima di Sarpi, vicino al confine turco: cento gel (sigla della moneta georgiana, Georgian Lari) in due colazione compresa, quaranta euro.
Ancora si ragiona.

Prinz Eugen
25-06-2011, 11:46
Per due che vanno in moto, forse la giornata più bella.
Partiamo sotto una spruzzata di pioggia, tuta e via, mezzoretta al valico e siamo in Turchia.
Qualche decina di chilometri lungo la costa del Mar Nero, grigio come al solito. Ad Hopa svoltiamo verso l'interno, direzione Artvin, ci inoltriamo fra le montagne, in mezzo ad una natura prorompente, che invade il terreno fino al ciglio della strada: nei primi paesi che attraversiamo, gruppi di donne portano grossi sacchi (un lenzuolo con gli angoli opposti annodati, mi sembra) pieni di foglie di tè appena colte.
C'è un forte vento che spira dalla costa e si incattivisce inoltrandosi nelle valli: dobbiamo guidare con molta attenzione e mi affretto ad abbassare il parabrezza (l'avevo alzato per la pioggia) dopo aver rischiato una sbandata contro un terrapieno. Dopo il passo la situazione migliora, pioggia e vento finiscono ed il panorama ricco e verdeggiante lascia il posto ai colori caldi, alle tonalità ocra delle valli dell'interno della Turchia.
Artvin ci appare arroccata su un costone, affascinante per la splendida posizione: prima e dopo, per chilometri, imponenti lavoro stradali, dighe e laghi artificiali in serie, che ci danno l'idea di un Paese in grande e veloce trasformazione.
Più avanti la strada si inoltra in uno splendido canyon percorso da un fiume vorticoso lungo più di ottanta chilometri: li percorreremo "con mucho gusto", sia sull'asfalto buono che nei tratti di lavori in corso (un sacco di gallerie e viadotti), insozzando per bene le nostre moto di un bel fango grigio molto "offroad" che sa molto di grandi viaggi ai confini del mondo. Non vedo l'ora di farmi un giretto in Corso, a casa, con la moto più sporca della città.
Tuttavia, se vi interessa, affrettatevi, perchè tra un paio d'anni rischierete di percorrere questo tratto tutto in galleria e su viadotti, senza gustarvi un metro di questo splendido luogo e dell'umanità che vi abita, se non nelle foto di qualche guida.
Ci fermiamo in uno dei soliti bar sperduti che ci attraggono molto. Vi si è fermato per la pausa pranzo anche un gruppo di operai che lavorano alla nuova strada: un'occhiata alle moto, la richiesta di una foto in sella, qualche tentativo di comunicazione ben riuscito, la simpatia è immediata. Unico cibo disponibile pane e formaggio, ma quei paninoni portatici avvolti in un foglio di giornale sono stati un pranzo da re. Mentre uno degli operai prega scalzo su una panca, gli altri ci sfidano ad una gara di braccio di ferro, nella quale Aldo vince ed io vengo sonoramente battuto (capirai, aveva vent'anni meno di me ed era allenato a spaccare pietre, mentre io mi allenavo a pigiare i tasti di un computer), ma è lo stesso una grande festa e l'addio è caloroso. Rimangono i loro volti nelle foto, le loro giacche arancione, i boccioli di rosa sparsi sui tavoli, numerosi bicchieri di tè bevuti in compagnia.
Difficile dimenticarli.
Veloci su buona strada fino ad Erzurum: sosta in periferia davanti alla concessionaria Mazda, dal cui direttore veniamo immediatamente invitati per una tazza di caffè. Ho tentato di mandargli, come promesso, le foto che abbiamo fatto, ma non c'è stato verso: forse Internet non è uguale per tutti.
Albergo in centro, doccia e subito fuori per un giro in città: una città del nord est della Turchia, certo, ma moderna e vivace. Passiamo la serata all'Erzurum Evleri, un ristorante ricavato in una abitazione ottomana molto ben conservata, abbandonandoci all' "abbraccio languido della alcove private" (Lonely Planet), ci facciamo un paio di tè ed una bella fumata di narghilè (tabacco alle rose): chiacchiere in libertà in un ambiente unico. Fuori piove e qui si sta proprio bene.
Kebab, kofte e insalata a cena, accompagnati da un ottimo ayran fresco, in un locale frequentato da turchi, e noi un po' lo siamo diventati: ciò che ci vuole dopo una giornata intera al sole ed al vento.

Prinz Eugen
25-06-2011, 12:08
La sensazione è che il viaggio di ritorno inizi oggi. Fin qui il percorso ha seguito il progetto originario, almeno nelle mete se non nel senso di marcia. Da oggi si percorreranno strade non previste, si raggiungeranno mete non programmate, ma saranno tutte novità che apparterranno al viaggio di ritorno.
Da oggi si torna a casa - penso - raccoglieremo ancora qualcosa lungo la strada, ma la scoperta della nostra Turchia è praticamente conclusa.
So che un viaggio finisce solo quando spegni il motore ed abbassi la serranda del garage, ma non immaginavo che questo fosse così vero: anzi oggi, a tre settimane dal ritorno, scopro che un viaggio dura fin che ne conservi un ricordo vivace, perchè ancora ti capita di perderti lungo le strade che hai percorso, di scrutare nel vuoto i volti di chi hai incontrato, di sentire profumi e sapori che non hai mai dimenticato.
Così, come un dono inaspettato e forse anche per questo molto gradito, ci si è presentata Amasya.
Passateci, se potete, ci aveva avvertito Antonio, indicandoci anche un buon hotel, è un gioiellino: allungata lungo un bel fiume, oltre il quale si innalzano ripide le pareti rocciose nelle quali sono scavate le tombe dei re del Ponto, una bella cittadella in alto, le tipiche case ottomane con i piani superiori sporgenti che si specchiano nell'acqua, la grande bandiera turca che sventola sul colle più alto, Amasya è una splendida città. Ordinata, pulita, vivace ha richiamato alla nostra mente le cittadine alpine del Nord Europa, senza perdere per questo il suo carattere di città turca. Una bella contraddizione, che ne aumenta il fascino: ho sempre pensato che le contraddizione sono il sale della vita degli uomini, e questa vale evidentemente anche per le città.
In Turchia è tempo di elezioni: siamo protagonisti della febbre elettorale quando un candidato - con numeroso codazzo di collaboratori - tra le altre mille, stringe la mano anche a noi, rivolgendoci la parola: rispondiamo in inglese che siamo italiani e che ovviamente non votiamo in Turchia, lui prosegue con il suo sorriso stampato in faccia, mormora qualcosa, un collaboratore ci ficca in mano un volantino elettorale, la corsa alla stretta di mano prosegue veloce a caccia di altri potenziali elettori. Tutto in dieci secondi: ci ha proprio convinto, la prossima volta voteremo per lui.
Cena nel ristorante dell'hotel (Lalehan, in riva al fiume, giovani, simpatici, gentili...) dove ci prepara la tavola la ragazzina di cui ho scritto nel prologo di questo racconto: non ho foto, non ho nomi, solo un vivido, commovente ricordo. Se tornerò, comunque, so dove tornare.

Prinz Eugen
25-06-2011, 12:33
Safranbolu, altra perla inaspettata: non che non ne avessi letto, ogni guida ne parla, semplicemente non era nei programmi. Poi, fortunatamente, ci ha pensato il fato, il destino, la fortuna, fate un po' voi.
Deviazione di una cinquantina di chilometri dalla direttrice di marcia principale, nessun problema, figuriamoci, questo è un viaggio pensato molto, ma inventato giorno per giorno. Bella strada, una enorme acciaieria sulla sinistra, son chilometri a girarci intorno, una città moderna sull'altura, una vera vecchia città ottomana nella valle: questa è Safranbolu, ed è li che ci immergiamo.
Dalla piazzetta della moschea e dell'hammam (affollata di turisti, devo dire) un vigile ci indirizza al Selvili Kosk, autentica casa ottomana restaurata, che abbiamo eletto a dimora per oggi. Stradina in salita di pietre scivolose e sconnesse: di lì devo passare - mi chiedo - immaginando una scivolata ingloriosa. Poi (se si ha da fare, si faccia e presto) parto e arrivo sano e salvo e perfino elegante - credevo, che neanche Cairoli (la tua Rt sbandava di qua e di là - mi ha detto poi Aldo - ti ho visto per terra almeno un paio di volte. Dovevate vedere lui!)
Siamo al Selvili Kosk, ci leviamo gli stivali per entrare, tappeti originali di due secoli fa, mobili di legno massiccio, un salone al primo piano con lunghi divani lungo le pareti, un soffitto di legno intarsiato, ambienti in puro stile ottomano, una delizia. Mi sento un pascià.
Doccia veloce, scarpe leggere e via, alla scoperta della città. Vie strette selciate con grosse pietre squadrate e lisce, botteghe in continuazione - si vende di tutto, dolci (ottimi), gioielli (anche molto belli e costosi), abbigliamento, tessuti, articoli in legno ed in cuoio... - case molto belle e particolari, alcune restaurate, altre ristrutturate, ancora molte da recuperare, ma la nostra attenzione è attirata dall'hammam.
Il clima è tranquillo, la luce filtra soffusa dalle cupole attraverso piccole finestrelle circolari - come un cielo stellato - ed invita alla distensione: vero bagno turco, con abbondante sudata ed ancora più abbondanti aspersioni di acqua fresca, lavaggio con spugne, "piling" vigoroso con panni ruvidi, massaggio ancora più vigoroso, relax nella penombra avvolti negli asciugamani. Magnifico, una roba...siamo usciti come nuovi.
Serata ancora in giro, qualche acquisto, cena tranquilla in un ristorante forse un po' troppo turistico (i panini al formaggio avvolti nel giornale sono diventati il punto di riferimento?). Comunque il ritorno al Selvili ci riconcilia con l'ambiente ottomano.
Un attimo di tristezza: domani lasceremo la Turchia, dirigeremo verso la Grecia, Igoumenitsa e l'Italia.
Il viaggio è finito, o forse no...

Prinz Eugen
25-06-2011, 14:51
Strade ottime da subito: fino a Istanbul si va veloci, sicuri, su ottime strade e autostrade. Il tesserino che abbiamo fatto ha ancora abbastanza TL da permetterci di sfruttare a piacere l'autostrada fin dopo la grande metropoli.
I primi insediamenti abitativi della grande Istanbul, i quartieri nuovissimi costituiti da decine di palazzi tutti uguali, si cominciano a vedere già ad un'ottantina di chilometri prima del Bosforo, da quaranta/cinquanta chilometri prima è un susseguirsi continuo di costruzioni.
Attraversiamo il ponte autostradale sul Bosforo in mezzo ad un traffico affollatissimo, ma tutto sommato ordinato, alla rispettabile velocità di 120 km all'ora, ma fan tutti così, è normale.
Poi, dopo Istanbul, viriamo a sinistra, verso Tekirdag, Kesan ed il valico di Ipsala. Al confine i consueti controlli molto attenti dalla parte turca. Il fiume che fa da confine è presidiato da soldati in armi, la garritta turca e quella greca sul ponte distano pochi metri. Così è, ormai da molti anni.
Sosta ad Alexandroupolis, dopo una bella volata sull'ottima autostrada greca.
Una città di mare e di traffici, evidentemente sullo standard europeo: i problemi economici della Grecia non traspaiono dai comportamenti della gente. Sarà che è domenica, ma c'è un mare di gente nei bar, a discutere come sempre, o nelle strade, a passeggiare e prendere il fresco.
Al ristorante non c'è la sollecitudine alla quale i turchi ci avevano abituato: sembra che ci facciano un piacere, per avere ancora un po' di pane dobbiamo aspettare la fine della cena, tutto buono, certo, ma ci divertiamo un po' di meno.
Traffico fino a notte fonda, siamo in un paese moderno.

Prinz Eugen
25-06-2011, 15:01
Giornata di trasferimento, sono sempre ben più di seicento chilometri. Buona autostrada, prima con lunghi rettilinei fin oltre Salonicco, poi con bei curvoni, salite e discese. Insomma, ci si potrebbe perfino divertire, ma è saggio mantenere una velocità da codice. Insomma, più o meno.
Picchiata su Igoumenitsa, trasferimento di una decina di chilometri verso sud, dove pernotteremo nella casa privata dove Aldo si è fermato l'anno scorso.
Grandi saluti al nostro arrivo, è un ospite che torna, buon segno, ed in più si porta dietro un compagno di viaggio e una coppia di Monaco di Baviera, una enduro Honda per lui, una Suzuki stradale per lei.
Zimmer zu vermieten Pigios Petros, Plataria, Igoumenitsa: 35 euro per la notte, 5 euro per la colazione: se dovesse servire in futuro...
Domani mattina imbarco sulla Lefka Ori, Anek Lines, dopodomani Venezia e casa.

Prinz Eugen
25-06-2011, 15:09
Qui finisce il diario del nostro viaggio.
Non finiscono le emozioni, basta un'espressione, un pensiero, un lampo di luce...
Siamo sempre noi, i soliti, quelli di sempre.
Quelli che stanno già pensando alla prossima volta.

fernweh
27-06-2011, 21:58
Grazie Gianni per aver raccontato cosi bene il nostro viaggio.
Ancora un abbraccio a Antonio che certamente non ha perso una puntata del tuo diario.

Ciao A.

ntonyee
27-06-2011, 22:44
... Certamente no ... Dopo aver atteso a lungo il prologo ho capito che gio' era ispirato... :-))) baci Riders

gavrilovic
29-06-2011, 18:16
sono rimasto affascinato ........ franco

Fancho
01-05-2014, 23:00
Splendido racconto!! Grazie per averlo condiviso.

Sono rimasto un po' perplesso solo nel leggere della brutta esperienza a Dogubayazit tra sassate e diti medi alzati. Racconto che ho letto anche in altri diari di viaggio da più e più persone. Qualcuno ci è stato di recente e può confermare che è ancora così?? A me dispiacerebbe moltissimo dover rinunciare a quella zona, sia per il monte Ararat, sia per il palazzo Ishak Pasa di Dogubayazit che dev'essere spettacolare. Ma immagino già l'angoscia di mia moglie in un ambiente così ostile e diverso dal resto del paese dove ho capito che si trovano solo accoglienza e disponibilità.

P.S. La mia esperienza di Turchia ad oggi si limita solo alla città di Istanbul ed è ampiamente positiva. Il progetto di un viaggio in moto nel resto del paese, fino a est, c'è già e vorrei solo qualche chiarimento in più su quell'angolo remoto di Turchia.