Mukkista doc
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Animal House
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L'Ambasciatore s'aggira tra gli invitati, a metà disinvolto e a metà a disagio, con quel suo fare da diplomatico che sembra essergli diventato un suo stile personale di comportamento. A volte sembra che guardi la gente senza vederla davvero, girando gli occhi umidi attorno come a cercare appigli; ascolta i discorsi distrattamente, immerso in chissà quali cure e pensieri d'alta rappresentanza, dando tuttavia l'impressione che i suoi modi affettati e un po' evasivi siano la conquista di una solida superficialità, probabilmente unico stile di sopravvivenza per i funzionari stranieri da queste parti. La signora è invece spigliata e briosa, piroetta nella sala col bicchiere di Martini perennemente in mano, come fosse un microfono per sondare in giro il grado di soddisfazione di tutti i suoi ospiti. I signori sono vestiti di scuro o di eleganza formale e le donne si vede che si sono date da fare per rimediare toilette di gusto, perlomeno adatte, se non da sera. I camerieri di colore hanno la livrea impeccabile e servono drink e piatti ricercati indossando i guanti bianchi. La villa circondata da un giardino molto curato, proprietà dello Stato Italiano, non sorge a Parigi, Vienna o Londra, ma alla periferia residenziale di Lusaka, nel cuore dell'Africa Centrale.
Lusaka è la capitale dello Zambia, un agglomerato che è qualcosa di strano e di indefinibile, direi di provvisorio come un compromesso, nel contrasto che oppone quaggiù la città alla campagna, con quei pochi edifici come cattedrali nel fango di fronte alle baracche del mercato negro.
L'Ambasciatore Italiano dà in media una festa alla settimana per mantenere vivo il legame di solidarietà all'interno della comunità di connazionali emigrati, e forse l'illusione di contare ancora molto in Europa ed essere qui solo di passaggio.
Un invito a casa sua è certo un modo curioso per concludere un raid motociclistico. Ma anche questa è Africa, l'ultima postilla di una discreta avventura che ci ha visto in sella alla nostra moto per più di tremila chilometri non sempre facili, anzi.
Tutto è iniziato quando abbiamo lasciato Lusaka una mattina di cielo incerto, sul finire della stagione delle piogge, con ammassi di nuvoloni bianchi e grigi che transitavano davanti al sole alternandosi ai suoi raggi di micidiale forza e calore. In questa parte del continente la natura è ancora regina, benigna o maligna che sia, cosicchè quando le poche strutture degli insediamenti umani si allontanano dietro al fanale posteriore, anche se son quelle della capitale, la strada esile e mal bitumata prende a correre in paesaggi aperti di grande e fiera terra selvaggia.
Pochi minuti di guida dall'illusorio bozzolo del nostro albergo Intercontinental, ed ecco attorno a noi solo distese di savana bionda, rese alte dalle copiose precipitazioni dei mesi precedenti. Con la benzina occorre fare attenzione. Nel paese si conosce l'ubicazione certa di alcuni distributori chiave su cui si devono ben calcolare tappe e autonomia. Tra un centro e l'altro sono centinaia di chilometri di foreste rade dai colori improvvisi dove svettano le piante più frondose su un terreno di fango tormentato dalle piogge. Ogni tanto qualche veicolo, un camion scassato e puzzolente, un fuoristrada dipinto di schizzi e incrostazioni, una limousine inzaccherata di qualche improbabile funzionario in missione governativa o diretto alle miniere di rame o semplicemente per i fatti suoi, che è senz'altro l'ipotesi più credibile. Scorgiamo a volte villaggi di tucul seminascosti, poco distanti dall'asse viario. Una manciata di capanne di paglia rotondeggianti con apparentemente nessuno in vista. Ma se solo ci si avvicina, ecco spuntare dal nulla i bambini, curiosi e attoniti, con occhi sgranati bianco avorio che sembrano volare fuori dalle orbite alla vista della moto, poi qualche donna che s'avvolge rapidamente in uno straccio, e infine, più malmesso di tutti, un giovane o un anziano. Oltre 500 km. a Nord di Lusaka, deviando per una pista resa precaria dalle piogge, si giunge al parco naturale di South Luangwa. I parchi dello Zambia, al contrario di quelli del confinante Kenia, sono ancora selvaggi e poco affollati ed è addirittura possibile visitarli a piedi o in motocicletta. La guida che rimediamo al Kapani Lodge, proprio all'ingresso del parco, dove facciamo base, è una ragazza Inglese di nome Pam, dotata di una vecchia XL ridotta ai ferri corti che tuttavia maneggia con lo stesso piglio fiero con cui Hemingway maneggiava il suo fucile.
Vive qui ed ha imparato tutto, da come si segue una pista d'elefante a come si evita il morso di un serpente o l'agguato di un leone. In un breve motosafari abbiamo visto praticamente ogni sorta d'animale, grazie a lei, muovendosi per colline e dirupi tra alte savane e fangaie secche: giraffe, zebre, elefanti, ippopotami, un branco di gazzelle che per sfuggirci ha saltato sopra le nostre teste a tre metri d'altezza, iene, coccodrilli, babbuini.
Mancavano solo i Leoni, evitati accuratamente, ma che abbiamo poi setacciato con la jeep, e i rinoceronti, quasi sterminati dai bracconieri di corni d'avorio. Anche questo incontro non consigliabile in motocicletta. La gente di origine europea del Kapani Lodge fa una vita avventurosa, intensa e durissima. Hanno tutti la pelle raggrinzita dal sole tropicale, il fegato gonfio di chinino e la malaria un mese si e uno no. Eppure qualcosa li rende invidiabili nella loro libertà selvaggia, nella loro assoluta libertà di emozioni ferine.
Riscendendo a Sud gli incontri sono sempre imprevedibili in questo paese battuto dall'Aids, dal crollo delle risorse economiche,dalla corruzione e dal brigantaggio. Su una strada abbiamo incontrato una sbarra calata con questo cartello: Stop -Tzè Tzè. C'era un addetto con una reticella in mano col compito di controllare gli abitacoli delle vetture in transito, catturando le eventuali mosche Tzè Tzè come misura per evitare il diffondersi della malattia del sonno. I militari comunque sono tra gli incontri peggiori. Giovani spesso analfabeti che da un giorno all'altro vengono trasformati in milizie con armi automatiche e la consegna della "sicurezza nazionale". I posti di blocco dell'esercito sono numerosi lungo la strada e le moto sono state usate in passato per incursioni terroristiche dal vicino e odiato Sudafrica, per cui sono particolarmente sospette. Una volta un piantone di turno, per controllarci i documenti, ha armato prima il suo fucile con uno scatto secco e agghiacciante di pura violenza metallica, poi gli ha tolto la sicura e infine ce lo ha puntato addosso con fare spavaldo; davvero un amabile individuo.
Sotto l'azzurro teso dei paesaggi africani, in giornate di breve luce tropicale, abbiamo raggiunto il fiume Zambesi, nel sud del paese, addentrandoci anche oltre i confini con lo Zimbawe, per poi risalire dove si riversa lo spettacolo magnifico delle cascate Vittoria che precipitano ululando in un baratro di cento metri con un fronte di un chilometro e mezzo: in lingua locale "Musi o Tunya", il fumo che tuona. Tanto più potenti perchè, a stagione delle piogge appena conclusa, lo Zambesi è gonfio d'acqua e solleva nuvole altissime di vapore che precipitano tutt'attorno sotto forma di una pioggerella costante. Nella cittadina di Livingston, dedicata alla memoria del celebre esploratore inglese che scoprì le cascate, morendo poi di febbri malariche in una povera capanna fuori dal mondo, nel nord, si può visitare un museo antropologico e acquistarvi per due lire qualche bel lavoro di legno intagliato. Ma nei dintorni delle cascate è già tutto così turistico a confronto delle selvagge foreste del Luangwa e delle savane del lago Kariba che abbiamo invece avuto la fortuna di conoscere. Allora i ricordi del nostro viaggio terminano qui.
Abbiamo provveduto a rispedire la moto con l'aereo e adesso,per strane circostanze, consumiamo un ultimo drink di commiato in casa dall'Ambasciatore. Ma anche la sala si sta spopolando, come le nostre emozioni: ormai è tardi, il rito mondano della festa è terminato. Fuori friniscono i grilli e la gente sfolla nella notte con improvvisa fretta, verso le proprie villette di minoranza bianca privilegiata, conquistate con un lavoro improbo ed un'energia ammirevole. Resta per un attimo l'Ambasciatore a fare un ultimo cenno di saluto sulla porta mentre i camerieri sgombrano i tavoli. Che dire? Difficile. Eppure siamo convinti che non uno di loro saprebbe addattarsi alla nostra vita in Italia e abbandonare questo rozzo, violento, insicuro ma magico paradiso Africano.
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Ultima modifica di Visca; 03-03-2012 a 23:33
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