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Il GPS umano
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GIORNO 8 - 12 AGOSTO 2017
Leh – Diskit (139 km in moto)
Ebbene sì! E’ finalmente arrivato il giorno della conquista della strada più alta del mondo, sua “altezza” imperiale il Kardung La… o almeno così si legge sul cippo piantato al termine della salita.
Un momento. Sua “altezza” un par di ciuffole. In realtà le cose non sembrano stare proprio in questi termini…
Ma andiamo con ordine, giusto per mettere ognuno al suo posto (e alla sua giusta altimetria).
Il segnale in cima al Kardung La dice 18.380 piedi (che corrispondono a 5.602 metri). Un team di ricercatori catalani nel 2006 è andato però a misurarlo - non con il metro (o il piedimetro) - ma con strumentazione GPS e altri ammennicoli complicatissimi), e lo ha riquotato a 5.359 metri.
Diciamo che gli indiani, o se la sono presa larga, o hanno voluto fare gli sboroni, o peggio avevano dei doppi decimetri della Barbie.
Il vicino Chang La, che sta sempre in Ladakh, è invece pacificamente quotato come dice il cartello sulla sua sommità: ovvero 17.586 piedi (che corrispondono a 5.360 metri).
Can! Per un metro il Kardung La è arrivato secondo!
Per cui mettiamocela via sta storia del passo percorribile con mezzi a motore più alto del mondo; ma nemmeno il Chang La (che attraverseremo domani) lo è, se è per quello.
Sta storia delle misure rilevate e non è ancora finita. Infatti il Kardung La retrocede al quinto posto (5.359 metri); il Chang La si posizione di strettissima misura al quarto (5.360 metri); al terzo posto troviamo il Suge La (5.430 metri) che sta in Tibet;al secondo posto il Semo La (5.566 metri) anch’esso in Tibet; al primo si piazza il Marsimik La con i suoi 5.582 metri, sempre in Ladakh.
La discussione è però tutt’altro che chiarita perché - da un lato – c’è chi dubita che the number one sia transitabile con mezzi a motore (ho però visto foto di gente sulla cima con la vespa) e - dall’altro - non si può escludere che vi siano altri passi ancora più alti nel Tibet, non ancora verificati.
Fatto sta che il Marsimik La, che sembrerebbe ad un tiro di schioppo da qui, probabilmente non è percorribile dagli stranieri, data la vicinanza al confine cinese, per cui il discorso ahimè non si pone nemmeno.
Insomma, a parte sta baraonda sul record, il Kardung La attira comunque orde di turisti e motociclisti che lo salgono, forse, anche per sbandierare poi al bar di aver compiuto un record. Contenti loro, contenti tutti, però ora sapete come non farvi infinocchiare.
Ciò premesso, la tappa di oggi ricalca quelle classiche dei tour organizzati in Ladakh: la mitica Manali – Leh finisce appunto a Leh, ma quasi tutti mettono il becco in Nubra Valley attraverso il Kardung La, per poi però tornare a Leh sul medesimo percorso.
Esistono tuttavia due alternative più impegnative e di grande soddisfazione: una di queste si chiama Wari La, ma la affronteremo domani, per cui abbiate pazienza.
Devo dare anche un’altra informazione. Per cavalcare il mitico passo non bastano i permessi (ci sono, infatti, due check point, uno sulla rampa sud e uno su quella nord), ma occorre anche noleggiare la moto necessariamente a Leh.
Si perché, una specie di associazione più o meno abusiva dei renter locali, ha piazzato un autonomo gabbiotto proprio all’inizio della strada e blocca tutti gli outsider. Se quindi noleggiate una moto ad esempio a Manali, fate in modo di passare da questo controllo entro le 5:30 del mattino, quando al posto di blocco in questione non c’è nessuno. Altrimenti vi fanno fare dietrofront… anche se volendo si potrebbe pure forzarlo (tanto mica sparano).
La via di salita parte asfaltata e ben sistemata fino al check point militare di South Pullu; quindi diventa sterrata fino in cima, rimane sterrata fino a North Pullu sulla rampa nord, per poi divenire di nuovo asfaltata.
Affrontiamo la salita a ritmo lento per adattarci all’altitudine: questo è il nostro primo cinquemila e già superata quota quattromila ci rendiamo conto che l’aria è più fiacca. Il gruppo procede davanti a me a 40 kmh, mentre io resto indietro a fare foto.
Per raggiungerli apro il gas della bestia fino ai 70 kmh e salgo spedito. Alla prima sosta successiva però mi rendo conto di essere un tordo. Donato mi aveva avvisato dopotutto. Scendo dalla moto, mi si annebbia la vista e quasi stramazzo a terra.
Vi assicuro che lo sguardo perso nel vuoto è del tutto involontario.
L’altitudine non ha gli stessi effetti per tutti, a me non deve però fare un buon effetto sicuramente (anche se gli ultimi giorni i sintomi diminuiranno sensibilmente, complice l’acclimatamento che volente o nolente su e giù per ste zone avviene per forza di cose).
Non sto a spiegarvi in dettaglio la faccenda ma sappiate che più si sale, più la pressione atmosferica scende: in pratica l’ossigeno disponibile per la respirazione a 5.000 metri è circa la metà di quello inspirabile a livello del mare. Fate un po’ voi…
Per cui già mettere la moto sul cavalletto centrale o fare dieci metri a piedi, a queste quote, può dare problemi, anche marcati, di affanno ed equilibrio. Ovviamente di saltare non se ne parla proprio!
Lezione imparata! Da quota 4.600 in su procedo diligentemente a 20 kmh e pian piano riprendo colore.
La strada è piuttosto trafficata, tra camion con i lustrini di lamiera…
… e furgoncini per il trasporto dei medicinali, che però sono pieni di capre
La vista sulla valle sottostante è bella spaziosa, e anche il nastro d’asfalto è ampio e tirato a lustro.
Più avanti – come detto – il tracciato si fa sterrato, ma rimane comunque facile, tanto per la motoretta non fa differenza. A parte un guado un po’ ostico si guida senza preoccupazioni.
Sul passo ci facciamo un the preparato nel baretto dei militari…
… mentre il nostro driver Zundap riesce pure a fumarsi una sigaretta.
Anche la discesa, che parte sterrata, è tranquilla e regala belle vedute sul vallone sottostante…
… mentre il percorso disegna i suoi ghirigori tra le ghiaie silenziose.
Ritroviamo l’erba a North Pullu (l’altro check point) dove Stefania, nonostante l’ammonimento impartitole dal nostro buddha astemio, decide di riprendersi sparandosi una grappa a canna.
Io invece, che sono già imbriago di mio, mi autoimmortalo davanti al primo prato della giornata (la Barbie seduta a novanta in mezzo alla foto me la sono portata da casa e non è quella del doppio decimetro).
A pranzo sto giro mi tengo leggero: riso in bianco… forse un po’ troppo leggero.
Il ristorante e l’adiacente ipermercato…
… sono gestiti da una simpatica bambina già avvezza al profumo dei soldi…
… mentre il paesaggio attorno è una vera meraviglia.
La discesa finisce nella Nubra Valley che corre su per giù parallela (ma più a nord) della Valle dell’Indo, a ridosso del confine cinese. Al termine della discesa troviamo scritto con il sangue su un sasso che la strada che vorremo fare domani “is closed”. Ce ne è sempre una, ma ci penseremo più tardi…
Il fondo valle è una distesa di sabbia, una sorta di deserto d’altura con tanto di dune, che trovano la loro migliore espressione in prossimità del villaggio di Hundar.
Come sia arrivata fin qui la sabbia non l’ho ben capito, fatto sta che ci sono dune vere con tanto di cammelli bigobbati.
E Donato scopre di essere anche un tipo da spiaggia. La sabbia deve avergli dato alla testa.
E non solo a lui, a dirla tutta.
Sulla sabbia trovo anche delle mucche macrocefaliche piene di mosche che si credono cani da tartufo.
E pure degli asini a cui deve piacere un sacco la sabbia da mangiare, visto che lì intorno non c’è altro.
I bambini intorno girano in bicicletta e fanno il bagno nel fiume e il loro fracasso mi mette di buon umore.
Paola prova a fotografarmi ma la frego sul tempo.
Le lingue di sabbia circondano la strada e quando tira vento non deve essere facilissimo guidare da queste parti. La valle, sabbia compresa, è però davvero incantevole.
E il pistone che la attraversa sembra tirato con il doppio decimetro (sicuramente quello con cui hanno misurato il Kardung La)
Torniamo a Diskit per visitare il re dei paciocconi dorati, il più pacioccone di tutti, che fa Maitreya di nome e Buddha di cognome per 32 metri di altezza.
Direi che un salto di coppia ora ci può stare.
Però, con il dinoccolato che mi ritrovo tra le gambe, non è venuto un granché.
Accanto al ciccio bomba canottiera gigante, c’è un monastero bianco sparo, che però non visitiamo.
Cosa ci faccio con una bandiera ficcata in testa, solo il pacioccone lo sa.
La giornata è ormai finita. Ci sistemiamo in albergo, molto carino anche se essenziale, con un bel giardino e terrazzi coperti. Fuori due bambini ci regalano i loro sorrisi a conclusione di questa giornata veramente radiosa.
Verso sera il cielo però mette al brutto e inizia a piovigginare. La strada che vorremo fare domani sembra fattibile con le moto… e con buone braccia. Ci sarà da divertirsi, me lo sento.
Intanto sono uscite le stelle…
Buonanotte sognatori!
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Massimo Adami
BMW F800GS Adventure
YAMAHA XT600E
Ultima modifica di Massimo; 24-09-2017 a 19:00
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