Nonostante la stanchezza accumulata nei giorni precedenti decidiamo di essere pronti a partire per le 7, ci aspetta un’altra lunga giornata, da Huaraz alla capitale sono quasi 500km e prima di uscire dal Callejon de Huaylas vogliamo fare una deviazione verso una piccola valle nella quale cresce la Puya Raimondii, una varietà di cactus dalla quale ogni cento anni sboccia un fiore che raggiunge i dieci metri di altezza, poi la pianta muore. Inoltre siamo un po’ preoccupati per l’ingresso a Lima, tutti ci hanno raccontato di un caos pazzesco lungo l’autostrada (ancora abbiamo il coraggio di chiamarla così) che porta verso il centro. Non vorremo certo arrivarci con il buio!
Alle 7 ci troviamo tutti nella hall dell’albergo. Siamo riposati e il morale è alto. Per la prima notte ci siamo fermati in un hotel degno di questo nome, i letti comodi e l’ambiente pulito ci servivano soprattutto per il morale, oltre che per rimettere a posto qualche osso e muscolo. Questa volta il briefing è preciso e dettagliato, non vogliamo rischiare di perdere tempo lungo il tragitto per incomprensioni, inoltre Gael si separa dal gruppo per raggiungere quanto prima il meccanico KTM a Lima e far sistemare la sua moto che continua a perdere olio qua e là.
La giornata è splendida, l’aria tersa non ci fa accorgere del freddo che fa alle 7,30 del mattino a 4000 metri di altitudine. Ci mettiamo un’ora a raggiungere la deviazione per la Puya Raimondii, guidando lungo una strada perfetta, lo sguardo si perde continuamente oltre la striscia di asfalto cercando inutilmente di abbracciare tutto assieme il panorama intorno. Snoccioliamo uno dopo l’altro paesini e curve, paesini e curve…il rosario del motociclista.
Dopo la deviazione la pista piega verso est, e a differenza di quelle percorse nei giorni seguenti è in ottime condizioni, larga e con un fondo duro, niente pietroni o grosse buche. Fatta apposta per i grossi bicilindrici. Curva dopo curva provo ad aprire sempre più il gas fino ad accorgermi di poter guidare in tutta sicurezza fino ad una velocità di 80-100km/h. Oltre non voglio spingermi, col cuore mi sento l’erede di Meoni, ma per fortuna ho sempre una testa che mi ricorda che vivo la maggior parte del mio tempo difronte ad un pc e che per dieci anni non ho guidato una moto. Però è divertente salire e scendere dalle pedane, impostare la prossima curva sbilanciandosi verso l’esterno, sentire il posteriore che scivola un po’ alla minima correzione di gas. Provare a vedersi da fuori e farsi foto con l’immaginazione. Non so dire quanti km abbiamo percorso, forse 20 o 30. Di sicuro troppo pochi perché presto intravedo la sbarra e il casotto che indicano l’entrata del parco. Mi fermo in cima ad una sella per scattare qualche foto agli altri che arrivano alla spicciolata. Quanto sono brutti, banali, turisti, rispetto alla mia immagine che mi ero costruito con la fantasia poco fa, quando putroppo non c’era nessuno a fotografarmi da quassù; guarda lì, quasi tutti seduti sulla sella, e alzatevi cacchio che vi sto facendo una foto…. Ovviamente anche io ero ero brutto banale e turista, ma provo a non pensarci.
I maxicactus sono veramente impressionanti così come la scenografia intorno: laghetti, torrenti, cime innevate che vomitano piccole lingue glaciali verso la valle. Ma in quel momento penso solo a risalire in sella per ripercorrere la pista. L’umore è altissimo, siamo tutti euforici per una giornata che per ora è semplicemente perfetta, tanto che non ci accorgiamo che qualcuno è sparito, e io commetto l’errore di non ricontare tutti i caschi prima di ripartire. Fabio si era spinto un km più avanti della piazzola nella quale ci eravamo fermati e la sua moto non ripartiva. Lo rivedremo all’incrocio con la strada principale, per paura di perderci ha fatto il ritorno come una speciale della dakar. Ecco, lui sa guidare, mica io. Mi è bastato vederlo negli ultimi cento metri. Peccato che non avessi in mano la macchina fotografica in quel momento.
Il resto del gruppo, con le bmw in fondo, percorre tranqullamente la via del ritorno, fermandosi spesso nei punti che avevamo memorizzato all’andata come ideali per scattare foto. L’andatura tranquilla non basta ad evitare una caduta di un GS, per fortuna senza conseguenze.
Ripresa la strada asfaltata continuiamo a salire fino ai 4600 metri del passo che introduce alla lunga discesa verso l’oceano. Ci fermiamo per uno spuntino a base di pane e formaggio fresco comprato lungo la strada al passo. Poche baracche di fango e lamiera, diversi camion fermi lungo la strada per mangiare e un panorama mozzafiato a 360°.
Per le successive due ore o forse tre ci divertiamo come pazzi a guidare in discesa, tra curve e tornanti infiniti, su un asfalto perfetto. Pensate alle nostre strade della domenica, quando ci ingarelliamo tra amici su e giù per il Bracco, la Futa, Viamaggio….Con un paio di differenze: il traffico è inesistente e i nostri passi finiscono sempre troppo presto, qui fai in tempo a stancare gambe e braccia, guardi l’altimetro e ti mancano ancora 3000 metri di dislivello, passa un’ora e ne mancano ancora 2000…..fantastico. Inoltre la mancanza di alberi lascia spazio alla vista, spesso si riescono a dominare i successivi 500 o 1000 metri di strada, avendo la possibilità di utilizzarla come una pista, da una banchina all’altra.
Ma arrivano i primi segnali che la giornata si sta guastando. Il cielo, limpido e azzurro in montagna, man mano che scendiamo comincia ad offuscarsi fino a quando, giunti a livello del mare, a una ventina di km dalla panamericana ci copre di una coltre grigia e inizia a piovigginare. Mancano ancora 200 km a Lima, sono le 15,30 e possiamo contare su 3 ore di luce. Dovremmo farcela ad arrivare prima del buio. Dovremmo.
Ma presto la pioggia si fa più consistente e il cielo scende sempre di più, trasformando la foschia in nebbia. Proseguiamo spediti per ancora un centinaio di km. Ma dopo una sosta per metterci tutti l’antipioggia entriamo in un muro di nebbia che ci impone di rallenare sotto i 50km/h. Nella testa di ognuno di noi comincia prima ad insinuarsi il sospetto, poi ad affermarsi la certezza che anche oggi arriveremo col buio. E con la nebbia.
Diventa impossibile tenere la visiera chiusa, almeno il freddo sulla fronte ci aiuta a mantenere la concentrazione. Cala il buio e la nebbia si inspessisce sempre di più. Mi metto in cima al gruppo e dietro di me un paio di moto con i faretti di profondità. Per una mezzora buona guidiamo nell’oscurità più totale, su una strada deserta della quale non intravediamo nemmeno i margini laterali. Riesco a malapena a vedere il becco della mia moto. E non posso fare a meno di pensare a cosa succederebbe se incappassi in una buca, un animale che attraversa, una macchina ferma sul ciglio a fari spenti. Poche volte la mia vita è stata tanto a rischio, un rischio consapevole e purtroppo calcolato e accettato per necessità. Gli altri dietro a me non è che siano troppo più tranquilli e rilassati, ma almeno hanno un fanalino rosso da seguire. Tutti in fila indiana a non più di 5 metri l’uno dall’altro per non rompere la colonna. A 15km/h.
Quando mi chiedevo come fosse possibile che da mezzora non incontrassimo nessun’altra auto ecco che un fanalino rosso arriva anche per me. Una piccola utilitaria ci supera a 30 o 40 km/h. La nostra salvezza. Mi accodo subito e con me tutta la colonna che mi segue. Sono fradicio, ho freddo, la fronte congelata e gli occhiali dentro al casco che gocciolano, ma quella macchina non la mollo per nessun motivo al mondo.
Quando arriviamo a Lima la nebbia si dissolve lasciando spazio alla pioggia. Non pesante, ma sempre pioggia. La strada a 4 corsie si fa più trafficata km dopo km e adesso ho il problema delle luci e dei fari in senso contrario che abbagliano le mie lenti bagnate. Non ci vedo niente, proprio niente, tranne le sagome di persone, biciclette, animali che sono ai margini della strada che ogni tanto la attraversano buttandosi come gatti in mezzo alle corsie. Terrore, di nuovo….quando e come finirà questa giornata? Ad un certo punto non ce la faccio più, mi rendo conto di essere completamente accecato e mando avanti angelo, che non ha gli occhiali, a guidare il gruppo.
Per fortuna io non so come ci si possa sentire quando il medico ti rassicura dal sospetto di una brutta malattia o quando esci da un’auto che ha girato su se stessa per 10 volte, ma ho immaginato quale deve essere la sensazione arrivando all’appuntamento con il mezzo di appoggio, all’ultimo casello dell’autostrada. Non ricordo se ci siamo abbracciati, se ci siamo scambiati aneddoti e commenti, di sicuro ho fumato, e non poco. Comunque l’ingresso a Lima, anche se in un pandemonio peggiore di Napoli dopo lo scudetto, ci è sembrato una bazzecola dopo quello che avevamo passato nelle ultime due ore. E non ci siamo nemmeno mai persi, filando sparati verso il nostro albergo in centro. Un miracolo, e non è stato l’unico della giornata. In albergo troviamo Gael che è arrivato alle 15, non ha trovato né nebbia né pioggia. E ha revisionato completamente la moto con 35 dollari.
Dopo la doccia il morale è ancora più alto. Sentiamo di essere riusciti in qualcosa di grande oggi. Non certo sperato o cercato, ma ci siamo riusciti, tutti assieme. Per la prima volta sentiamo di essere un gruppo, ognuno ha fatto esattamente ciò che doveva fare. E sublimiamo queste sensazioni con una ricca cena e un paio di giri di pisco in un ristorante a lato di Plaza de Armas.