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Vecchio 02-11-2013, 14:25   #1
alemanga
Mukkista in erba
 
Registrato dal: 05 Jul 2007
ubicazione: Padova
Messaggi: 303
predefinito Il mio Iran in moto

Premessa

Come previsto, un paio di giorni prima di partire mi vengono i dubbi e mi domando perché lo sto facendo. Il problema sembra essere il fatto che parto solo: in effetti il problema è quello.
Perché allora, quando avevo scoperto che, contrariamente a quanto programmato, dovevo partire solo, non mi era passato neanche un attimo per la testa l’idea di lasciar perdere? Perché, quando tutte le persone che mi stanno vicino e non solo quelle mi sconsigliavano di fare un viaggio nello stato canaglia per eccellenza e per di più da solo, io non le ascoltavo affatto e con la più grande determinazione possibile le rassicuravo che si trattava solo di preconcetti e cattiva informazione, che nel nostro paese ci si occupa pochissimo di politica estera e abbiamo un’idea distorta dell’Iran, che ho letto di tanti viaggi svolti senza alcun problema, ecc ecc? Dov’era finito il desiderio di raggiungere in moto la meta che sogno da sempre?
La risposta è semplice: si trattava solo di un po’agitazione prima della partenza, tutto qui, dovuta ai tanti dubbi che normalmente ti creano un po’ d’ansia prima di un viaggio cosi lungo. Mi riferisco per esempio al fatto che non ho alcuna dimestichezza con la meccanica e in caso di rotture del mezzo non saprei dove mettere le mani; o alla possibilità di avere incidenti in luoghi sperduti dove non passa mai nessuno o problemi di salute come purtroppo mi è già successo in passato proprio in quelle zone.
Perché l’Iran? Per me è la meta del viaggio in moto per eccellenza, ne sono attratto da quando ho cominciato a viaggiare. È la terra dei persiani, della storia e della cultura, dei grandi imperi dell’antichità; è un paese che non ha nulla a che vedere con le nazioni con cui confina; non si parla l’arabo ma il farsi; non cambia nulla dalla rivoluzione che ha destituito lo scià ed allo stesso tempo è il secondo paese al mondo per ricchezza di petrolio; rimane un paese a cui si guarda sempre con qualche sospetto.
E poi ci sono le motivazioni più intime, quelle che mi portano a viaggiare in solitaria proprio in Iran. Mi riferisco alla sfida, il fatto di mettermi il casco ed essere faccia a faccia con me stesso e quindi con le mie paure o insicurezze, senza scuse o possibilità di girare la moto per ritornare velocemente in Italia. Dovrò contare sempre e solo su me stesso di fronte a ogni tipo di difficoltà, fisica o mentale. Questo significherà passere da momenti di gioia a quelli di preoccupazione, sentirsi leone e pecora; spetterà solo alle mie forze mantenere l’equilibrio. Da esperienze simili si esce più ricchi e per me è un’occasione per guardarmi dentro ed avere più coscienza di me.
Una grossa mano me la dà il lavoro: la data delle partenza prevista per il 3 agosto slitta di qualche giorno e l’attenzione tutta rivolta lì non mi fa pensare al viaggio. D’altronde è tutto pronto da giorni, devo solo caricare la moto. Dei documenti necessari all’ingresso in Iran, solo il carnet mi ha procurato qualche fastidio, perché nessuna compagnia sembrava disposta a stipulare la fidejussione: la risposta più gettonata era che ormai quel tipo di polizze non le fa più nessuno e che rappresentano solo una seccatura per le compagnie, siano esse banche o assicurazioni. Dopo averle provate tutte, alla fine sarà la mia banca a concedermela e a caro prezzo. Visto ottenuto rapidamente, patente internazionale alla fine non l’ho fatta.
L’itinerario che ho in mente è definito: attraversare velocemente i Balcani e la Turchia per poi entrare in Iran sul confine di Bazargan; percorrere il confine con Azerbaigian e Armenia, per poi cominciare la discesa verso sud e toccare le città più importanti, lasciando fuori Teheran (l’unica città senza storia) e proseguire attraversando altopiani e catene montuose, fino a Shiraz, dove punterò il muso della moto verso nord per vedere il Kurdistan e rientrare in Turchia attraverso lo stesso confine dell’andata. Dispongo di carte geografiche e mappe su navigatore. Non è un itinerario a tappe, mi concedo la possibilità di decidere cosa fare giorno per giorno, in base a come procede il viaggio. Il preventivo dei chilometri da percorrere è di circa 12500 km, i giorni a disposizione 25. nessun pezzo di ricambio, solo il kit anti foratura. Cibi liofilizzati e tenda per le emergenze.
Martedi 6 agosto è il giorno dedicato alla preparazione della partenza: purtroppo al lavoro finisco tardi, non ce la farò mai penso. Invece si.



I
Parto mercoledi 7. Sono le 8 del mattino. Padova è avvolta in una foschia che ti fa pensare all’autunno: non smetterà mai di stupirmi questo schifo di clima padano! Il traffico è inesistente, ce ne siamo andati tutti.
Entro in autostrada. Il viaggio prende abbrivio e scorre bene nonostante il gran caldo che mi avvolge dopo aver abbandonato le colline slovene. Il fascino esotico che curiosamente esercita su di me da anni l’amata Slovenia scompare: il fatto di transitarci per andare in Iran la fa apparire come l’attraversamento del quartiere dietro casa.
Caldo caldo ed ancora caldo. E tutto inesorabilmente dritto. Pochi pensieri: bisogna stare concentrati sulla guida; questo infatti è periodo di rientro verso il proprio paese d’origine di migliaia di stranieri che lavorano in Europa: turchi e romeni in prevalenza, nonostante le targhe della auto francesi, tedesche e spagnole.
Mi sforzo di fissare le idee di questo viaggio: sarà una prova per me, e non dovrò cedere nella tentazione di ottenere le cose facilmente e con esse cadere nella trappola della superficialità. Devo prendere il ritmo del viaggiare cambiando letto ogni sera, e non diventare io stesso la mia gabbia, spostandomi con la mente aperta.
Arrivo velocemente a Nis, in Serbia. Mi fermo nello stesso albergo dove dormii due anni fa nel viaggio verso il Caucaso (a proposito di gabbie…). Scopro senza stupirmi che ha ottenuto diversi riconoscimenti per la qualità dell’accoglienza. Birra e sento diversi amici: alcuni sono tranquilli in vacanza, qualcuno è rimasto a Padova in attesa, appassionato e vicino a me in questo viaggio. Nis è un villaggio cresciuto in fretta, la gente la sera va serena a piedi verso il centro circondato da mura e pieno di locali. Ceno e mi stravacco ebbro di birra serba e aspettative su una sdraio a guardare la gente che passa: mi vorrei unire a loro ma sono davvero stanco. Oggi ho fatto più di mille chilometri. Domani vedrò il cartello “welcome in Asia” sul Bosforo. Assaporo quello che sta per venire.

II
La mattina mi avvio con un bel fresco, quasi freddo! Direzione verso le gole che segnano il confine con la Bulgaria. La strada è bellissima, tutta curve e in mezzo ad un canyon scavato dal fiume. Il traffico è ridotto e procedo spedito. Il passaggio attraverso le frontiere richiede un’oretta. Entro in Bulgaria bello sereno, i pensieri cominciano a diradarsi, Padova è più lontana non solo per il chilometri: incomincio a prendere il ritmo. La frontiera turca arriva di colpo, dopo aver attraversato le terribili statali bulgare. Non mi dispiace per niente uscire: peccato solo per quelle montagne che si vedono lungo la strada e che ogni tanto si avvicinano, quasi a sussurrarti all’orecchio: guarda che siamo piene di gioielli da farti vedere…siamo i monti Rodopi, non ricordi?…Vabbè, sono anni che voglio fare enduro da voi…verrà il vostro turno prima o poi!
Attraverso anche un paio di tratti in quota con pinete piene di profumo di campeggio.
Entro facilmente in Turchia cantando a squarciagola dentro il casco (è davvero curioso: superati i 500 km di strada mi prende inesorabilmente la voglia di cantare sempre e solo le canzoni napoletane più famose…bah!). Non fa troppo caldo, in compenso mi fa male il culo. Passo la centrale nucleare e lotto contro il vento fino ad Istanbul. Attraversarla è sempre impressionante, già 30km prima è un delirio di palazzi nuovi, uffici e appartamenti, alcuni molto belli. Si percepisce nettamente la potenza economica di questa nazione in forte cambiamento, economico ma anche sociale, con una nuova classe media che vuole diventare protagonista del futuro ma allo stesso tempo si trova a dover fare i conti con le sue tradizioni e con un governo non più laico.
Mi fermo a Izmit per la notte, la Nicomedia dei romani. Hotel in centro, sul mare. È la festa dello zucchero, secondo giorno di festeggiamenti dopo la fine del Ramadan. In giro è pieno di gente, parlo con diverse persone che riconoscono il turista e si avvicinano curiosi. Mangio in un ristorantino sulla strada, sperando di non avere sorprese.

III
Oggi tutta una tirata nel mezzo della Turchia verso il confine iraniano. Giornata fresca fin dal mattino, quando, abbandonata Izmit, comincia una lunga e quasi impercettibile salita verso gli altopiani centrali.
Attraverso panorami diversi, la moto va da sola, finalmente niente più autostrada e comincia pure qualche tratto di curve.
I pensieri corrono. Ci pensa il vento a riportarmi al viaggio e alla realtà: in certi momenti mi butta quasi a terra.
Zone collinari e montuose, colori e opere maestose in costruzione: ennesima dimostrazione della potenza di questa nazione sono i lavori per nuove infrastrutture, soprattutto le dighe, con corsi d’acqua artificiali, che corrono tra recinzioni e avvisi di tutela militare.
Percorro lunghi tratti completamente assorto nei pensieri, la moto è come un arto che muovo d’istinto, senza la coscienza del controllo. Comincio a prendere confidenza con il fatto di essere solo, nel senso che ne percepisco la dimensione nel viaggio: niente di negativo, anzi. La voglia di togliermi il casco e buttarmi in mezzo alla gente è molto forte, è tre giorni che sono in moto.
Dormo ad Erzinkan, a 450 km da Dogubayazit.
Mi stupisce la sensazione di famigliarità nel vivere queste terre d’oriente: mangiare in mezzo a donne velate, passeggiare nel casino di Izmit e farsi trascinare dall’onda umana della loro festa…mi sembra tutto normale, è normale!
Sono le nove e fuori il vento corre tra le vie della città, non soddisfatto di aver corso con me per 800 km. La città non comunica granché, ma è circondata da montagne stupende: dobbiamo essere alti, perché fa davvero fresco. Ceno in un ristorantino segnalato dai ragazzi dell’hotel. Pieno di simboli religiosi alle pareti, non ha birra: è talmente pulito che si potrebbe mangiare sul pavimento. Nessuno mi degna, sono come trasparente: allora mi siedo e genero il panico. Arriva un cameriere ma non parla inglese. Allora viene chiamato il cuoco, che esce dalla cucina con un viso aperto e simpatico, mi stringe la mano e con due parole mi assicuro la cena. Cosi come a Izmit, mangio in apnea per la fifa di un remake del problema avuto qualche anno fa. Una volta finito, faccio due passi. In un negozietto che vende tabacchi e snack chiedo dell’acqua. Quando chiedo se hanno anche la birra, tolgono le bottiglie d’acqua dalla busta bianca di plastica e le mettono con la birra in una busta nera perché nessuna la veda mentre passeggio. Recepito il messaggio.


IV
Erzincan Ezrerum, strada magnifica. Parto verso le 8.30 dall’hotel Meta: un po’ di ritardo causato dalla colazione pronta non alle sette come mi avevano detto. In pratica quando scendo trovo i ragazzi che mi avevano accolto ieri mentre dormono sui divani dell’ingresso. Meno male che uno dei due si sveglia da solo e attacca a preparare. Saluto con strette di mano, un ciao Alessandro mi da l’avvio e parto.
Molto fresco anche oggi. Tanti panorami bellissimi, subito fuori dalla città incomincia una vallata incantata che sembra l’eden biblico. La strada percorre un paesaggio colorato di montagne, corsi d’acqua, villaggi di contadini e pastori e strade sterrate che salgono e scompaiono velocemente dietro le alture. Che meraviglia. Altitudine, aria tersa e splendida giornata creano colori e suggestioni da favola. Sono felice!
Raccordo una curva con l’altra, non c’è nessuno, forzo un po’ il ritmo fino a quando mi ferma la polizia. Mi hanno beccato per eccesso di velocità inquadrandomi con il loro tele laser da molto distante….provo una difesa disperata, ma il video con la velocità in evidenza mi inchioda. Circa 70 euro da pagare entro 2 settimane, vabbè.
Passo Ezrurum dopo aver attraversato un corteo di macchine strombazzanti per qualche festa: la prima della fila è ricoperta di festoni, piena di gente che canta e che rischia il tamponamento per guardarmi ed invitarmi a suonare il clacson e cantare con loro.
Il panorama cambia ancora: ora sono colline e rocce vulcaniche, in un delizioso saliscendi in mezzo a colori caldissimi. Villaggi curdi a qualche centinaio di metri dalla strada, uomini e donne che lavorano nei campi. Mi fermo per cercare di raggiungerne uno, percorro una sterrata fino all’ingresso del gruppo di case di fango e mattoni, ma non riesco a proseguire, giro la moto. Come faccio a fermarmi in mezzo a quella semplicità e tirare fuori la macchina fotografica? mi sentirei un po’ fuori luogo (sono partito da troppo poco...). Decido di tornare sulla statale, per rifermarmi dopo un’oretta a mangiare pistacchi lungo una sterrata che porta verso l’ennesimo villaggio curdo. Mi tolgo il casco immerso nelle scene bucoliche del paesaggio che mi circonda. Ogni tanto butto l’occhio verso il villaggio: case di fango, piramidi di sterco che verrà utilizzato per riscaldare le case durante l’inverno (che qua deve essere bello rigido). Noto un bambino in bici all’ingresso del paese, un paio di volte parte di gran carriera per venire nella mia direzione: chissà da quanto tempo era li che mi guardava da distante. Fatti un centinaio di metri la pedalata si spegne fino a fermarsi, gira la bici e riparte veloce per rifugiarsi al sicuro nel suo villaggio. La scena si ripete un paio di volte. Rido di gusto: due mondi che si guardano incuriositi, da distanza di sicurezza e nessuno dei due ha il coraggio di avvicinarsi.
Riparto. Ormai non manca tanto a Dogubayazit…comincio a cercare l’Ararat. Caspita dovrei vederlo, ma niente. Superata una vallata finalmente eccolo! E’ ricoperto di nuvole come spesso accade. Peccato! Continua l’incantesimo: sono riuscito a vederlo bene solo dall’Armenia…ma forse è giusto cosi, è il loro Monte. Arrivo alla porta dell’Iran. La città è come la ricordavo: un paese piccolo ma caotico, con macchine e ogni tipo di furgoni che corrono sollevando grandi nuvole di polvere. Trovo un albergo e mi sbrigo a raggiungere il palazzo del sultano, con cui ho un conto aperto da quando non sono riuscito a vedere che il parcheggio tra una vomitata e l’altra. Si tratta di un vero gioiello, costruito agli inizi del 1100. Posto sulle pendici del monte, domina tutta la spianata ed è uno scrigno pieno di tesori. Ci sono diversi turisti turchi, tutti presi a farsi fotografare da amici e parenti. Mi stupisce che il palazzo fosse in passato circondato dal villaggio che ora non esiste più, se non per qualche metro di mura qua e la. Scatto diverse foto. Finita la visita sul tramonto, mi godo la vista dall’alto con dei ragazzini rumorosi che mi tormentano di domande sulla moto. Raggiunto l’albergo entro nella mia stanza tripla e saluto la ventina di mosche che avevo lasciato. Si sentono arrivare da fuori ogni genere di versi di animali. Non ho il coraggio di guardare di cosa si tratta, perché non appena apro le finestre entrano decine di mosche. Che scandalo per 8 euro compresa la colazione!
Ci sono 4 giovani tedeschi presi dalla lettura nella hall, probabilmente escursionisti. Una giovane bionda, triste e pensierosa si aggira come un leone in gabbia, deve avere una bella bega che non riesce a risolvere. Oggi nessun contatto con l’Italia, domani è il grande giorno. Sono curiosissimo di varcare la frontiera turca ed entrare nello stato che desidero visitare da sempre. Finalmente caleranno i chilometri da fare ogni giorno e mi godrò il viaggio dopo 3500km in tre giorni e mezzo.

Foto 11 - 65

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Ultima modifica di alemanga; 02-11-2013 a 21:58
alemanga non è in linea   Rispondi quotando
 


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