| Pivello Mukkista 
				 
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				 Lunedì 30 maggio: Igdir-Kars (+Ani) 
 
			
			Anche se i preparativi per la partenza sono quelli consueti ed i gesti sono quelli di sempre, oggi è una giornata triste: oggi il gruppo si scioglie, le strade di Antonio e quelle di Aldo e mie si separeranno. La strada che Antonio percorrerà virerà decisamente a est, sulla via del ritorno, mentre la nostra punterà ancora a nord, verso Kars, e poi a est, verso la Georgia.Abbiamo fatto qualche migliaio di chilometri insieme, completato tappe faticose, raggiunto il monumento ad Annibale, la Cappadocia, il Nemrut Dagi, abbiamo gioito come bambini al cospetto dell'Ararat, momenti ai quali non rinunceremo mai e che mai dimenticheremo. Abbiamo anche fatto fatica, certo, ma è sempre stata una fatica da uomini alla ricerca.
 Partiamo con una leggera pioggia, si parla poco, la formazione di viaggio è la solita, sembra una giornata normale. Dopo una quarantina di chilometri, abbiamo da poco superato Tuzluca, il bivio del distacco. Accostiamo al ciglio, spegnamo il motore e moto sulla stampella: è un momento importante, siamo commossi più che tristi, perchè con l'uomo che se ne va da solo abbiamo realizzato una parte importante della nostra vita. L'uomo che se ne va da solo, incontrato per caso, è un amico: fratello, l'ho chiamato sul Nemrut Dagi nella luce dorata del tramonto. Un abbraccio, una pacca sulle spalle, poche parole a bassa voce, perfino quelle che i genitori dicono ai figli: "non correre, stai attento", "facci sapere dove sei".
 Di nuovo in sella, si sale per ampie curve verso i pascoli di montagna di Kars: mi volto un paio di volte tentando di individuare un puntino lucente nella pianura, senza successo, ma ho tutto al sicuro nel cuore.
 Piove e fa sempre più freddo: siamo oltre i 2000 metri, arriviamo agli 8 gradi. Poi planiamo su Kars, che intravvediamo in basso, con il ricordo delle atmosfere del romanzo "Neve" di Orhan Pamuk. Le strade sono fangose e le ultime esperienze ci hanno reso sospettosi: ma subito esce il sole, i colori della città si fanno più vivaci, la vita più intensa. Troviamo un buon albergo - Gungoren Hotel - molliamo lì i nostri bagagli e partiamo per Ani. Nel frattempo la città si è messa in moto, con la sua gente rispettosa, i suoi studenti allegri, le botteghe ed i ristoranti di buona qualità, le sue gioiellerie: sono passati più di trent'anni ma non ci ho trovato le atmosfere pesanti ed inquietanti del romanzo, la città e la sua gente mi hanno lasciato un ricordo solare, vivace, operoso, dignitoso.
 Ani appare in mezzo alle balze dell'altopiano come un fantasma, con le sue mura colore ocra, le sue simmetrie, i suoi bastioni potenti: sorge su un "promontorio" triangolare, limitato su due lati da un profondo burrone scavato dal fiume e protetto, nel rimanente lato, da mura possenti. Vi sono rimaste le rovine degli edifici principali, chiese, palazzi, torri di guardia, di tutto il resto rimangono cumuli immensi ed informi di pietre: ma vi si respira l'aria di un passato di ricchezza e di potenza che nessuno e niente, nelle vicinanze, ha saputo ereditare.
 Piacevolissimo pomeriggio a cazzeggiare per Kars, alla ricerca di colori da fotografare, della bellezza austera dei vecchi palazzi russi e di cartoline da spedire, che nella Turchia orientale non si trovano.
 Cena in un ottimo ristorante, moderno nell'arredamento ma tradizionale nei piatti e nell'ospitalità: Ani Ocakbasi, su una delle vie principali.
 Ci rimarrei volentieri ancora un giorno, ma l'anima è già in viaggio: domani si va in Georgia.
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