Questa è la cronaca romanzata della mia prima arrampicata su parete naturale; considerato il gran numero di montanari presenti in QdE, probabilmente molti di voi sorrideranno di un così ingenuo e dilettantistico gesto, ma la mia gioia è stata grandissima, e volevo raccontarvela.
11/12/05
Quando arrivo in mezzo alla gola rocciosa alzo il capo e vedo lassù, in alto, quella catenella che è il mio obiettivo.
No, è impossibile; mai e poi mai riuscirò a raggiungerla...
..diavolo, sono un uomo, non un uccello !!!
Questi sono stati i pensieri che mi hanno attraversato la mente ieri mattina, quando mi sono presentato alla Cava Rossa di Monsummano per fare arrampicata sportiva, la mia prima volta su parete naturale.
Mi sono un po' alenato in palestra, ma lì puoi salire al massimo di 7 metri circa, mentre qui la parete si alza fiera e irraggiungibile per decine e decine di metri. E poi la roccia non è generosa come la resina degli appigli della palestra.
L'altezza, lo confesso, mi fa un po' impressione, mi lascia un po' spaventato.
Ma è anche per questo che sono qua: vincere questa paura che mi attanaglia.
D'accordo, cominciamo.
Inizia il rito della vestizione: via le vesti da motociclista e comincio a mettermi la tuta pesante (fa freddo, pochi gradi sopra lo zero, e tira una fortissima tramontana) e le scarpette da arrampicata, che mi fanno sentire fiero...

Ok, sono pronto.
Si fa per dire; in realtà sono nervoso e vorrei essere sotto il piumone invece che in questa gola spazzata dal vento...
Ok, non posso (e non voglio) tirarmi indietro. Cominciamo.
Le mani sulla parete. Miseriaccia, è fredda, freddissima, le mie dita soffrono, e questa parete ha bordi sfaccettati appuntiti e taglienti. Continuo a salire, stringo i denti, ma piano piano le dita diventano sempre pià insensibili, al punto che devo fermarmi perchè non sento più il contatto delle dita sulla roccia, non sento più dove metto le mani. Scendo.
Una volta sceso mi rendo conto che ero a tre metri dalla vetta, ero quasi arrivato.
MALEDIZIONE !!!
Aspetto un po', le mani cominciano a riprendere calore, e ci riprovo.
Cavoli, è durissima; in certi punti la montagna è generosa, e ti offre appigli larghi e confortanti, da prendere a mano piena o su cui appoggiare saldamente la punta del piede, ma a volte è infida e ti porta su pareti lisce e (peggio ancora) umide, su cui non c'è minimamente presa.
Ma ormai sono quassù, a non so nemmeno io quanti metri da terra, i miei amici sono là sotto, piccoli piccoli, e mi stanno giardando; non voglio deluderli e non voglio deludere me stesso.
Ci sono a volte piccoli, piccolissimi buchi in cui a malapena puoi infilare la punta di due dita, e da lì sollevarti. Basteranno, me li farò bastare.
Ancora uno sforzo, un altro ancora...
A volte mi fermo per riposarmi, anche se la tramontana mi spazza con cattiveria, e non dà requie...
La catenella è sempre più vicina (in cima alla vetta c'è una catenella: la tradizione degli scalatori è che non sei arrivato in cima finchè non riesci a toccarla, altrimenti la salita non è condiderata valida), la vedo.. ancora uno sforzo...
Un piccolo appiglio... c'entrano giusto due dita del piede... ok, mi basta... un'ultima, disperata spinta, un urlo liberatorio e la mia mano riesce a toccare la vetta.
E' come se toccassi il cielo. Un urlo di prorompente gioia echeggia nella valle.
Il Dr. Ergal ha conquistato il suo cielo.
In mattinata ho poi fatto altre salite, anche più difficili (e non credevo proprio di farcela), ma la mia prima catenella, il mio primo cielo, resterà tra i miei ricordi più belli.