|
Quelli che amano guardare il Panorama In questo forum si parla di MOTOTURISMO è dedicato a chi ama viaggiare e macinare km su km per visitare il mondo |
10-06-2013, 12:51
|
#1
|
Utente BANNATO dal forum
Registrato dal: 18 May 2007
ubicazione: Granducato di Passeropoli
Messaggi: 14.730
|
Il mio Primo Caponord
L'ho trovato per caso.
A qualcuno, forse, potrà interessare.
Ho scelto un itinerario poco turistico.
Se qualcnuno lo desidera, ho anche l'itinerario andata-ritorno con i km. i tempi ecc. ecc.
*************************************
NORDKAPP CHALLENGE
29.07 - 15.08.2006
Prologo
Erano in pochi a credere che, alla fine, sarei partito. I miei amici avevano fatto trapelare un profondo scetticismo. “Ma che te sei rincoglionito?” (Pier Luigi) … “Vattene ar mare e nun fa cazzate” (sempre Pier Luigi)… “Annamosene a Miami che se tromba come bestie” (ancora Pier Luigi) … “Dove vai? Ma falla finita con queste stronzate” (Antonio) … “Creperai prima di arrivare in Austria. Che mi lasci in eredità?” (Alfredo) …
Ma io sono un capricorno puro e, non credo sia una coincidenza, anche Rox è del medesimo segno zodiacale. C’è poco da fare, quando ci mettiamo in mente una cosa la facciamo, costi quel che costi.
Il mio problema principale era piazzare il mio adorato canetto Gastone; il problema di Rox –molto
più complicato del mio- era … convincere la mogliettina.
Mentre io ho trovato un accordo indolore con mia madre, Rox ha dovuto promettere a Rosy un
megaviaggio in Tunisia, in alberghi da sogno: ha dovuto mettersi, praticamente, in posizione pecora
sarda.
Un mesetto prima della partenza le nostre moto sono state tagliandate a dovere. O meglio, la mia è stata messa in condizione di affrontare un viaggio del genere dal mio amico-fratello torinese Daiedgas, tanto bravo quanto pignolo ed incredibilmente abile quando si tratta di preparare e curare una moto. Il risultato è stato che, in oltre 15.000 chilometri, l’unico inconveniente che ho avuto è stato il fulminarsi della lampadina della freccia sinistra.
Rox, che ha affidato il suo cavallo all’officina autorizzata Yamaha vicino a casa sua, ha rischiato di distruggere la moto e, probabilmente, una buona parte del suo apparato osseo: il suo meccanicoglione si è “dimenticato” di cambiare la catena di trasmissione. Certa gente dovrebbe lasciar perdere le moto, trasferirsi in provincia di Roma, ad Ariccia ed intraprendere, il più dignitosamente possibile, la nobile arte del porchettaro. Almeno l’unico essere vivente che rischierebbe la pelle è la povera scrofa.
Il road-book l’avevo preparato nei minimi dettagli. Calcolo dei chilometri, delle soste e delle partenze dei traghetti. A me sarebbero toccati seicento chilometri in più all’andata ed altrettanti al ritorno; è questa la distanza che mi divide da casa di Rox. L’Italia dovrebbe essere rotonda.
Risolti gli ultimi problemini che la mia moto misticamente denuncia prima di ogni viaggio preparo, come è mia abitudine all’ultimo momento, i bagagli. L’impressione di aver dimenticato metà delle cose che mi saranno utili diventa certezza. Pazienza, le comprerò strada facendo.
Gastone ha intuito che sto partendo. Mi guarda come se stessi partendo per una missione suicida. Iniziano le interminabili coccole.
E’ ora di andare. E’ una giornata “bollino rosso”. Il caldo è bestiale. Dopo sette ore di agonia autostradale arrivo a casa di Rox.
Prendiamo un caffè ed andiamo a zonzo per negozi di moto. Ambedue abbiamo il prurito alle mani. Vorremmo partire subito. Ma l’appuntamento con Tony è fissato per il mattino successivo.
Rosy, la dolcissima consorte di Rossano, ci prepara una cenetta veramente deliziosa annaffiata da un ottimo vino.
Andiamo a letto prestino: domani sveglia alle cinque.
Primo giorno
Apro gli occhi prima delle quattro e sento rumori provenire dalla cucina. Non sono l’unico ad aver dormito poco. Rox appare dal nulla. I suoi capelli canuti spiccano nella penombra. Lo osservo: magliettina bianca e slippini blu. Sembra uscito da una novella di Guy de Maupassant, in quei passaggi ove vengono descritte le donnine che lavorano nei bordelli parigini. Non ci diamo il buon giorno; è sufficiente un veloce, ma intenso sguardo. Ambedue pensiamo ai giorni che ci attendono.
Un paio di caffè ci aiutano a carburare.
Appuntamento al distributore AGIP di Mestre. Rox ed io arriviamo puntuali, anzi in leggero anticipo. Le nostre Super Ténéré sono cariche come muli: bauletti pesantissimi, borsa da serbatoio, tenda, materassino, sacco a pelo.
Alle ore 06:00, puntuale come una manovra finanziaria, arriva Tony. La sua BMW GS 1200 è impeccabile, lucidata a specchio e con le borse perfettamente in tinta e linea con il resto della moto. La tenda, assieme all’occorrente per il campeggio, è diligentemente risposta in un’elegante sacca nautica che riprende, in parte, la colorazione della moto. Non mi sarei stupito se avessi scoperto che Tony, sotto il completino del perfetto motociclista, avesse indossato lo smoking.
Tony è un personaggio particolare: sempre ordinatissimo, elegantissimo, pulitissimo. Non si bagna con la pioggia e non si sporca con il fango. I moscerini non si attaccano al suo casco. Non fuma, non beve caffè, non fa pipì. Si nutre di cereali, bevande corroboranti, maltodestrine ed integratori. Non ha mai caldo e non soffre il freddo. E’, insomma, un animale mitologico: metà astronauta e metà rompicoglioni.
Anche se nessuno di noi vuole darlo a vedere, siamo piuttosto emozionati.
Ore 6,20. In sella. Giù le visiere. Pollice destro sullo start.
Ciò che solo qualche mese prima era un mero desiderio prende forma. Le chiacchiere diventano realtà. La sfida ha inizio.
Le auto sono poche. Cerchiamo di percorrere più strada possibile prima delle ore calde.
Il traffico aumenta, ma rimane accettabile. L’A 22 del Brennero dimostra la propria cronica insufficienza in rapporto al numero di transiti che deve sopportare. Passiamo Vipiteno ed entriamo in Austria. Una sosta veloce in un autogrill. La toilette del bar è “guasta”. Sappiamo che non è vero ed insisto con la cassiera. La fraulen è irremovibile: “Le ho tetto che pagno è cuasto”. Si guadagna un vaffanculo con tanto di dito medio solitario.
Acquistiamo la immancabile vignette da applicare sul cupolino già abbondantemente occupato da cadaveri di moscerini; un secondo caffè e rotta veloce verso la Germania.
La strada scorre veloce ed i limiti di velocità sono accettabili in considerazione del traffico che è piuttosto sostenuto. Fa molto caldo, ma in moto quasi non si sente. Almeno per ora.
Gli diamo giù il più possibile: Capo Nord è ancora molto lontano. Alla frontiera che divide l’Austria dalla Germania non ci sono controlli. Meglio così.
Siamo in Baviera. Ci diamo continuamente il cambio alla guida del terzetto. Il caldo aumenta e ci porta ad aumentare l’andatura. Gli automobilisti tedeschi, molto correttamente, ci danno strada.
Siamo ad una trentina di chilometri a sud di Monaco e, improvvisamente, le auto davanti a noi rallentano e si fermano. Facciamo lo stesso anche noi. Il traffico è bloccato. La strada, a tre corsie per senso di marcia, sembra un parcheggio, nella più classica iconografia dei servizi dei telegiornali quando descrivono l’esodo di fine luglio. In caldo diventa insopportabile. Sembra di respirare davanti ad un gigantesco asciugacapelli acceso. E’ un concerto di ventole di raffreddamento. Auto, bus, e camper vomitano bordate di fuoco su di noi e le nostre moto. Con le borse laterali è impossibile svicolare nel traffico. La temperatura umida assassina impone di trovare una soluzione. Dobbiamo scappare da quel girone dantesco. Mi viene la geniale idea di coinvolgere Rox e Tony a procedere “alla romana”, vale a dire sulla corsia di emergenza. D’accordo, non si dovrebbe fare, ma le moto non danno molto fastidio. E poi il caldo è asfissiante e l’aria condizionata sulle moto ancora non è stata inventata. Una ventina di chilometri percorsi a 70-80 km/h con gli automobilisti alla nostra sinistra fermi ad arrostire sotto il sole. Li osservo compiaciuto. Non nego di aver provato un certo godimento.
Improvvisamente noto qualcosa che mi lascia perplesso: un motociclista, fermo in una piazzola della corsia di emergenza, che osservava le nostre moto procedere nella sua direzione. Che cazzo guarda quello? Strano, molto strano. Mi nascondo dietro un camper incolonnato. Rox e Tony continuano e … vengono fermati dal motociclista che altri non era che un poliziotto in borghese. Avanzo per qualche centinaio di metri e mi fermo in una piazzola di sosta. Resto in attesa di Rox e Tony. Passano i minuti. Sono preoccupato per la loro sorte. Dopo una mezz’oretta scorgo i due reduci arrivare con in tasca una multa da 30 euro ciascuno. Poco male, mi toccherà offrire la cena ai due sventurati.
Sulla mappa stradale la Germania è lunga, ma a percorrerla è interminabile. Il traffico è accettabile ed il fondo stradale, veramente ottimo, consente medie elevate.
Ci fermiamo in un autogrill per un qualitativamente mediocre spuntino (un cous-cous che anche un porco avrebbe rifiutato). Le altre brevi soste saranno solo per benzina e per le innumerevoli pisciatine di Rox.
E’ quasi sera, abbiamo percorso oltre mille chilometri, ma siamo ancora in condizioni fisiche di continuare.
Ore 22:00: altra breve sosta per l’ennesimo caffè. O meglio, Rox ed io caffè, Tony apre il suo costosissimo bauletto e ciuccia da una bottiglietta una sostanza liquida dal colore sinistro.
Non abbiamo voglia di dormire. Siamo d’accordo: andremo avanti fino al porto di Sassnitz e prenderemo il traghetto delle 3,30 di mattina. Dormiremo in barca. Mancano più di 400 km., ma la cosa appare fattibile.
E’ passata la mezzanotte, la strada scorre veloce, abbiamo tutto il tempo.
Una sorpresa non molto gradevole era in agguato: in Germania le stazioni di servizio sono distribuite a cazzo di cane: quattro pompe in quindici chilometri e poi nulla per settanta-ottanta chilometri. Arriviamo a Rostock con le moto in riserva. Di distributori neppure l’ombra. Il traghetto a Sassnitz delle 3,30 ce lo possiamo dimenticare. Occorre trovare subito la benzina. Sono le due passate. Procediamo con un filo di gas, per aumentare l’autonomia dei nostri mezzi con la riserva, oramai, quasi azzerata. Decidiamo di avventurarci a cercare un distributore in qualche paesino. Al terzo tentativo scorgiamo una stazione di servizio h24 e, finalmente, riempiamo gli assetati serbatoi.
Sono le tre passate. La stanchezza inizia a farsi sentire, ma la felicità di aver trovato l’agognato carburante ci fornisce la forza di continuare. Mancano più di 150 chilometri per il porto di Sassnitz. Gli ultimi cento chilometri sono piuttosto impegnativi. La strada che unisce Rostock a Sassnitz è piuttosto stretta e percorsa quasi esclusivamente da mezzi pesanti. I tir procedono come se noi fossimo trasparenti.
Alle 4:30, dopo oltre 1.400 km. siamo a destinazione, ma il traghetto successivo partirà solo alle 8:30. Inizia a piovere. Scegliamo come “rifugio” una tettoia dell’ampio piazzale e ci sediamo sul sottostante marciapiede. Le zanzare sono incazzatissime. Le bandane serviranno a proteggerci il viso ed i guati le mani. Sarà questo il nostro primo “hotel”. Siamo letteralmente esausti.
Secondo giorno
Abbiamo riposato non più di un paio d’ore. Siamo anchilosati ed infreddoliti. Abbiamo bisogno di un caffè, anzi due e, magari, di qualcosina da mettere sotto i denti. Il porto di Sassnitz non ha neppure un distributore di bevande. Ci tocca prendere le moto. Usciamo dal porto diretti al centro del paese, dove ci rifocilliamo nel bar di una piccola stazione di servizio.
Sono le sette quando facciamo ritorno al porto. Il traghetto deve ancora arrivare. La pioggia si fa sempre più intensa. Il “duty free” del porto è quanto di più squallido possa immaginarsi: sporco, disordinato e puzzolente. Vende solo birra, superalcolici e sigarette.
Alle otto passate ci chiedono di imbarcare le moto. Era ora.
Siamo sul traghetto diretto a Trellemborg. La Germania, finalmente, sparisce all’orizzonte.
L’ imbarcazione è anzianotta, arrugginita e rumorosa. L’arredamento, fatiscente, è pretenzioso e ricorda le discoteche anni ’70, con colori improbabili e design di dubbio gusto. Arranchiamo fino al salone, ci accasciamo su tre scomode poltrone e, finalmente, riusciamo a dormire un paio d’ore.
Sono passate le dieci quando, svegliatici, notiamo che il tempo è notevolmente migliorato. Ci concediamo una sortita sul ponte di prua.
L’arrivo in Svezia, ci da un’iniezione di energia e di fiducia. Dopo i primi chilometri di “assestamento”, timorosi sulle restrizioni in ordine alla velocità consentita, iniziamo a guidare più rilassati.
Direzione Stoccolma. Il tour de force del giorno prima si fa sentire. Siamo stanchini e decidiamo di fare tappa a Granna, trenta km. a nord di Jonkoping, dove sembra vi sia un camping molto bello con bungalows ultraconfortevoli, sauna, ristorante e piscina. Arriviamo a Jonkoping e ci fermiamo in un distributore per indossare le tute antipioggia. C’è molto traffico a salire con continue deviazioni e cambi di corsia. Sarebbe troppo impegnativo procedere compatti e, quindi, propongo di continuare ognuno per proprio conto. Ci saremo riuniti all’uscita di Granna. “Basta seguire la strada principale”…. “non si può sbagliare”.
La mia idea si rivelerà decisamente infelice.
Arrivo in prossimità dell’uscita prescelta. Nessuna traccia né di Rox né di Tony. La pioggia lascia il posto ad un tramonto da cartolina. Ammazzo il tempo scattando qualche foto. E’ passata più di mezz’ora. Telefono a Rox: nessuna risposta. Dopo un lasso di tempo che mi appare interminabile, vedo arrivare Tony il quale, toltosi il casco, mi chiede notizie di Rossano. Gli rispondo che ne so quanto lui. Proviamo a raggiungerlo con il telefono. Dopo una serie di vani tentativi, Rox si degna di rispondere. Afferma di essersi perso e di essere a … Nassiria! Gli rispondo che Nassiria è in Irak! Rox ci pensa un po’ e risponde: ”Si, hai ragione, forse non è Nassiria”. Ci cadono le palle. Cercando di mantenere una calma che non mi è propria, prego Rossano di sincerarsi sul reale nome del posto ove si trova, promettendogli di telefonargli dopo qualche minuto. La telefonata successiva ha del kafkiano: “Eugenio, non sono a Nassiria (!!), ma a Nasiou”. Gli chiedo dove fosse questo cazzo di Nasiou. Non lo sa. Lo prego di fermarsi lì, di non muoversi, di spegnere il motore e di allontanarsi dalla moto; aveva già combinato abbastanza casini. Gli chiedo lumi in quale esatto posto di Nasiou si trovasse. Mi risponde:”Sotto un campanile”. Tony abbandona il suo self-control e spara un paio di bestemmioni. Inizio a ridere: cosa che lo fa incazzare ancora di più.
La pioggia, che arriva sempre nel momento meno opportuno, non si fa attendere. Sotto un diluvio universale ritorniamo a Jonkoping e cerchiamo le indicazioni per Nasiou.
Le troviamo e, mentre Tony tira giù tutto il calendario, io non riesco a trattenere una risata: Nasiou è a …38 km. !!! Praticamente Rossano, in 40 minuti si era allontanato di quasi 80 km. !!
Arriviamo a Nasiou con l’acqua che ci usciva dalle orecchie e diamo uno sguardo alla cittadina dalla sommità di una strada che, in discesa, porta al centro abitato. Altra sorpresa: a colpo d’occhio contiamo una decina di campanili, disseminati qui e lì. Il porca puttana uscito dai nostri caschi sarà stato udito fino a Stoccolma. Iniziano le ricerche del casinista. Lo troviamo al … quarto campanile, tranquillo e serafico con una sigaretta in bocca ed una quantità di mozziconi che facevano compagnia ai suoi stivali. Tony ed io ci guardiamo attraverso le visiere. Chi inizia a torturare Rossano? Fortunatamente per il maldestro compagno di viaggio, la fame prende il sopravvento sulla voglia di fare giustizia sommaria.
Nell’arrivare al centro della cittadina, avevo notato un cartello: Ristorante Amore Mio. Che fortuna, un ristorante italiano, strasera spaghetti e bistecca! Ci dirigiamo verso la strada dove avevo notato il locale dal promettente nome.
Grande delusione: il Ristorante Amore Mio è uno schifosissimo take-away gestito da una svedesina niente male. Il pizzettaro è … iracheno e l’aiuto cuoco (chi minchia avrà dovuto aiutare in sei metri quadrati di cucina?) è iraniano. Decidiamo comunque di fermarci lì. Ordiniamo tre “pizze quattro stagioni”, kebab e birra.
Arrivano le pizze. Sopra c’era di tutto: gamberetti, cipolle, carne, carciofini, pomodoro, formaggio, funghi, insalata, uova sode. L’odore che le rotonde pietanze emanavano era letteralmente nauseabondo. Di birra non ne hanno, in quanto il ristorante non è in centro e, quindi, non può vendere alcolici. Vabbè … Coca Cola o acqua?
Chiediamo indicazioni di un posto ove dormire e ci viene risposto che l’unica possibilità è un hotel strafigo: cinque stelle, sala congressi, garage riscaldato, sauna, bagno turco e palestra.
Ma si, ce lo meritiamo. Vada per il megahotel.
Il nostro ingresso nello stupendo albergo, dal nome impronunciabile, viene visto come l’arrivo di un’orda di barbari. Sporchi di fango, bagnati, spettinati: facevamo un po’ schifo ed un po’ paura. Mi presento con voce il più possibile delicata e cortese. Il receptionist si tranquillizza. Riceviamo le chiavi di tre stanze che ci vengono concesse, dopo una breve trattativa, ad un prezzo, considerata la classe dell’hotel, più che accettabile: 70 euro. In Italia per quel prezzo non ci avrebbero offerto neppure un pollaio.
Moto in garage e fine della giornata. Per fortuna.
Terzo giorno
Tony, per non smentire la sua fama di sfrallappacazzi, ci butta giù dal letto all’alba, noccando sulla porta come se dovesse buttarla giù. Cerco di autoconvincermi che è solo un brutto sogno, ma Tony urla: “Forza, è tardi, io sono già pronto!”. Parte il primo vaffa della giornata.
Stancamente ci prepariamo e cerchiamo di assumere un aspetto decoroso. La prima colazione ci viene servita in un salone molto accogliente ed elegante: soffitto a cassettoni con legni intarsiati, moquette bordeaux, poltroncine e sedie foderate in pelle capitonet. Il buffet è stracarico di ogni prelibatezza. Una camerierina da infarto (peccato non parlasse né inglese né francese); un’altra addetta alla sala un po’ meno avvenente ma, comunque, niente male. Un inizio di giornata veramente piacevole.
Carichiamo le moto e ripartiamo alla volta di Stoccolma. Il tempo è clemente e facciamo molta strada in poco tempo. Siamo in anticipo sui piani previsti.
Improvvisamente Rossano ci fa segno di fermarci. Accostiamo ed arrestiamo i motori. Rox, apre un bauletto e tira fuori ciò che diventerà la nostra migliore amica per tutto il resto del viaggio: una bellissima caffettiera moka-express Bialetti del medesimo colore della sua moto. La polvere di caffè l’avevo presa alla Tazza d’Oro al Pantheon: miscela blu Giamaica: una delizia. Un fornellino camping-gaz e un po’ d’acqua. Inizia il primo di una serie innumerevoli di riti degustatori.
Tony ci guarda con espressione di sufficienza. Lui il caffè non lo prende. Non ce ne può fregare di meno. Gratifichiamo corpo e spirito con un paio di tazzine a testa e l’immancabile sigaretta. Tony non scende dalla sua moto e, dagli specchietti, osserva l’evolversi degli eventi.
La strada è ottima e il panorama svedese è bellissimo. Passiamo Stoccolma ed il suo perimetro esterno senza perderci e, soprattutto, senza perdere Rossano il quale veniva sempre racchiuso tra me e Tony: il ricordo dell’avventura della sera precedente era ancora fresco. Attraversiamo Uppsala proseguendo verso nord.
Ci fermiamo a Gavle in una casalbergo: l’indirizzo lo aveva trovato Tony nelle sue ricerche su internet. E’un villino diviso in una decina di camere di diversa grandezza con la cucina in comune. Molto accogliente e con una bella svedesotta a fare gli onori di casa. Con una trentina di euro a testa otteniamo una camera con tre letti, lenzuola, asciugamani e … tappi per orecchie. I tappi servono a tutti e tre. Infatti io russo, Rox, che giura di non aver mai russato in vita, ansima e rantola come una vecchia buzzicona cardiopatica ed asmatica. Tony, che quando dorme sembra un cadavere pronto per un esame autoptico deve, suo malgrado, sopportarci.
Una doccia ed una passeggiata per la cittadina, molto ordinata e con una enorme biblioteca, ci rimettono in sesto. Ci indicano un ristorante, piuttosto elegante, ove consumiamo un’ottima cena. Il servizio è accurato e la “fauna” locale, molto attraente. E’ proprio vero, le svedesi sono una categoria a parte: hanno quel nonsochè che trasforma la bruttina in carina e la carina in gnocca.
Mentre consumiamo il nostro meritato pasto, il tavolo accanto al nostro viene occupato da tre esteticamente più che accettabili femminucce locali. Noi siamo in tre, loro sono in tre …. regà, che famo ?
Quarto giorno
Sveglia di buon ora senza l’intervento di Tony. Rox si alza un po’ incazzato. E’ preoccupato di non poter adempiere gli obblighi defecatori mattutini, in quanto il bagno è in comune. Per fortuna riesce ad assolvere al suo importantissimo compito e Tony ed io ci lasciamo andare ad un sospiro di sollievo.
Guai se Rox non caga: inizia a rompere i coglioni per tutto il giorno.
La ragazza che gestisce la struttura parla un inglese veramente perfetto e mi spiega la sua vita in dieci minuti. E’ la classica svedesotta, sembra una mozzarellona. Mentre mi parla nella mia mente passano tre o quattro pensieri impuri, ma la voce di Tony fa abortire sul nascere la mia proposta di fermarci a Gavle per un altro giorno.
Il tempo è accettabile. E’ nostra intenzione percorrere più strada possibile.
Ogni tanto Rox si ferma e prepara il caffè. Anche oggi salteremo il pranzo. Una pausa pranzo corrisponde ad una sosta di un paio di ore che, trasformate in chilometri, sono oltremodo preziose.
Nel mio road-book era previsto di non fare la solita strada turistica, ma di attraversare la Svezia in orizzontale, da est verso ovest, fino alla frontiera con la Norvegia.
La scelta si dimostra indovinata. Centinaia di chilometri di strada piana e pulitissima come un tavolo da biliardo, immersa in un’interminabile foresta di abeti. Un vero sogno.
Seguendo le indicazioni “Cafe” ci addentriamo per qualche chilometro in campagna. Ci fermiamo davanti ad una casetta in legno color rosso mattone. Una simpatica signora, dall’aspetto sereno e rilassato, ci invita ad entrare e, per pochi euro, ci prepara un caffè accompagnato da uno squisito dolcino. Si esprime in un discreto inglese e ci invita a visitare un mulino poco distante ove il grano viene macinato come si faceva duecento anni addietro. E’ stato un tuffo nel passato. La vita in questa piccola frazione si svolge ai ritmi del diciottesimo secolo. Che meraviglia.
Un’ora dopo eravamo di nuovo in sella con Tony che cercava di aumentare l’andatura fino al limite consentito dalla tenuta dei pneumatici. I limiti consentiti dalla legge li avevamo superati da tempo.
La strada è praticamente deserta. Possono passare anche dieci minuti prima di incrociare un’auto.
Altri duecento chilometri e, con il sedere che urlava vendetta, decidiamo di fermarci ad Hotings, un paesino che si snocciola sulla strada principale. Troviamo un camping senza infamia e senza lode. Un bungalow decente e, per la mia somma felicità, una stupenda lavatrice con dryer. Un bucato è d’obbligo: il bauletto con gli indumenti indossati nei giorni precedenti ed ancora umidi per la pioggia odorava di avvoltoio!
Passeggiata di un paio di chilometri per sgranchire le stanche membra e cena in un locale che definire ristorante sarebbe una vera bestemmia. Ma è l’unico esistente. Rox divora una pizza con cipolle che ci fa preoccupare per il prosieguo della notte, visto che avremo dormito nella stessa cameretta.
Ritorniamo al camping e scopriamo quanto vere fossero le raccomandazioni sulle vespe, zanzare e moscerini svedesi. Sono di una voracità unica: si cibano di carne umana ed adorano l’Autan!
Per fortuna la stanchezza ci è amica e sprofondiamo in un sonno incoercibile.
Quinto giorno
Saltiamo giù dal letto e, dopo neppure mezz’ora, siamo fuori dal camping.
Il tempo è buono, ma la temperatura è scesa di molti gradi. Continue raffiche di vento ci avvisavano che il viaggio verso la vetta d’Europa sarebbe stato, da ora in avanti, l’esatto contrario di una tranquilla passeggiata.
Indossiamo tutto l’indossabile per proteggerci dal freddo e continuiamo la nostra cavalcata. Passiamo Stromsund, Dorotea, Vilhelmina, Stourman.
Appena dopo Umbukta, il primo paese che si incontra passata la frontiera norvegese, inizia un altopiano brullo, quasi lunare, ma di un fascino che, a parole, è impossibile descrivere.
Ci immettiamo nella strada dei fiordi. Una breve sosta al porto di Fauske per l’ennesimo caffè di Rox e della sua moka-express.
Numerosi ed interminabili tunnel poco illuminati e dal fondo viscido ci costringono ad una concentrazione maggiore del normale. La temperatura all’interno dei tunnel è prossima allo zero, tanto da costringerci a muovere in continuazione le dita della mano destra per tenerle in esercizio nell’eventualità di una improvvisa frenata. Le visiere dei caschi sono imbrattate di moscerini, ma non possiamo aprirle: troppo freddo.
Appena fuori dei trafori violente raffiche di vento ci ricordano che stiamo percorrendo la strada dei fiordi. Una vera tortura. Improvvise apparizioni di renne ci costringono, spesso, ad inchiodare.
Nonostante tutto riusciamo a percorrere più chilometri di quanto portato dalla tabella di marcia. Arriviamo a Narvik stanchi morti ma più che soddisfatti.
Pernottiamo in una strana casalbergo, in prossimità della stazione. Sembra ricavata da un capannone industriale. Paghiamo un prezzo assolutamente eccessivo in rapporto alla qualità ed alla “classe” della struttura, ma poco importa. Capo Nord si avvicina: è questo l’importante.
Sesto giorno
Se tutto procederà come previsto, prima di sera arriveremo ad Alta, capitale della Lapponia, a meno di trecento chilometri dalla sospirata meta. Il vento continua a tenerci indesiderata compagnia.
Il panorama offerto dai fiordi è di una bellezza incomparabile. L’unico vero problema è costituito dalle renne. Questi meravigliosi animali hanno il vizio di attendere le auto e, attirati dal rumore, si parano all’improvviso nel centro geometrico della carreggiata. A nulla serve suonare il clackson. Non sono assolutamente aggressive: ti guardano, si girano ed iniziano a trotterellare sull’asfalto, a coppie od in branchi. Procedono cambiando spesso direzione, costringendoci ad improvvise, quanto pericolose, frenate. Dopo la terza o quarta pinzata sui freni, decidiamo di ridurre la velocità.
Quel cartello “Alta km. 4” lo avrei baciato, smontato, portato con me per tutto il resto del viaggio. Oramai Nordkapp era a meno di un pieno di benzina. Nulla e nessuno ci avrebbe più fermato.
Più che una cittadina, Alta è un paesone. Modernissimo con tante banche, assicurazioni ed uno sproporzionato numero di uffici di ogni genere. E’ sicuramente un centro affari di una certa consistenza.
Ci regaliamo una supercena in un bel ristorante dalla capitale della Lapponia. Sono Le dieci di sera ed è ancora pieno giorno. L’inesistenza del buio costringe i ristoranti ad accostare le tende, per rendere l’atmosfera più “notturna”.
Una mia severa cazziata a Rox che accuso di insensibilità e di aridità di cuore, per avere il predetto ordinato carne di renna, innesca un tormentone che andrà avanti per il resto del viaggio: La Danza della Renna Ferita. Consiste in un balletto che Rox mi propinerà più volte al giorno e che mima la corsa di una renna ferita ad una zampa; il tutto condito da puntuali e sonori vaffanculo da parte mia.
Pernottiamo in un camping a tre chilometri da Alta. La casetta è curata, pulita e con un simpatico patio. Non appena scaricati i bagagli, Tony corre a lavare e lucidare la propria moto, mentre Rox prepara, neanche a dirlo, un caffè. Siamo piuttosto taciturni: pensiamo al giorno che seguirà.
Settimo giorno
Apro gli occhi con una strana sensazione: un misto di soddisfazione, impazienza, incredulità e felicità.
E’ il giorno che attendevamo da oltre dieci mesi, da quella lontana conversazione telefonica con Rox, nella quale, per la prima volta, abbiamo proferito il nome di quella che è diventata la nostra agognata meta.
Con cura maniacale ripongo i miei indumenti nelle borse. Non riesco a non pensare a cosa ci attenderà di lì a poco.
Caponord, Nordkapp, chiamiamolo come cavolo vogliamo era lì, a tre ore di asfalto.
Un pensiero a Tullio, che per una botta di sfiga immane aveva dovuto rinunciare per un guasto alla moto quando oramai si trovava nel mio garage a Roma, dopo essersi fatto 700 chilometri da Reggio Calabria. Ma Tullio era lì con noi, anche se non si vedeva. Era il quarto inaffondabile.
Un pensiero ai veri Amici che ci hanno augurato buona strada e raccomandato di stare attenti.
Un pensiero a chi, sinceramente e con un comprensibilissimo pizzico di invidia, ci ha supportato con messaggini e telefonate.
La striscia di asfalto che porta da Alta a Nordkapp è una di quelle strade che non ci aspetteremmo mai di trovare in Europa. Avete presente le strade americane, la Route 66? Dritta e piatta per decine di chilometri; inizia sotto le tue gomme e finisce oltre l’orizzonte. Neppure la minima curvetta. Insomma, ripeto, dritta da far paura. Il traffico è praticamente inesistente. Di controlli radar neppure l’ombra. Procediamo a manetta spalancata.
Poco prima di Nord Kapp un piccolo casello. E’ il pedaggio richiesto per percorrere gi ultimi chilometri.
Inizia il count-down. Quanto cavolo manca alla vetta d’Europa ?
Ci siamo…un secondo casello … si, si, eccolo … è il casello dove si paga il parcheggio ... altro piccolo salasso … chi se ne frega.
Ci siamo. Stentiamo a crederci.
Arriviamo in un piazzale enorme. Il fondo è pietroso. Procediamo molto lentamente. Cadere proprio ora sarebbe un suicidio psicologico. Parcheggiamo i tre cavalli che non ci hanno mai tradito proprio davanti alla stradina che porta alla scogliera. Abbiamo quasi paura di spegnere il motore.
Poggiamo i piedi per terra. Ci scambiamo un five tanto spontaneo quanto intenso.
Il nostro culo è tumefatto da oltre 4.500 chilometri di asfalto e da una sella che pare disegnata e progettata al solo scopo di distruggere l’osso sacro.
Siamo stanchi, provati dal caldo, dal freddo, dal vento, dagli insetti.
Ci scambiamo un’occhiata. Ce l’avevamo fatta. Era il nostro momento, nostro e di nessun altro.
Il desiderio si era trasformato in materia. Avevamo realizzato il sogno di ogni motociclista.
La passeggiata fino al globo di metallo è breve. Scattiamo qualche foto e ci dirigiamo verso la scogliera. A parte il vento, le condizioni meteorologiche sono particolarmente favorevoli. Ne approfittiamo per goderci un panorama eccezionale.
E’ da considerare che Capo Nord è, sostanzialmente, una meta psicologica. Chi pensa di trovare chissà cosa ne rimarrà deluso. Oltre ad un parcheggio molto esteso, vi è una grande costruzione in stile essenziale-moderno.
All’interno una reception con tre o quattro sorridenti ragazze poliglotte che distribuiscono una quantità di brochures; un supermarket del souvenir con i soliti cappellini, magliette, pelouches, adesivi e portachiavi; un piccolo ufficio postale che consente di inviare la solita e banale cartolina con il timbro “Nord Kapp”; un coffe-bar ed un ristorante self-service. I piani inferiori sono occupati da una specie di piano bar, una terrazza che si apre sul mare, una cappella, un piccoloi museo dedicato al re di Thailandia, una parete con riprodotta la fauna ornitologica del posto, Il tutto in un unico blocco di cemento piuttosto freddino ed impersonale.
Molto interessante e di un certo effetto una videoproiezione, molto ben realizzata, che simula l’arrivo a Capo Nord via aereo. Cinque schermi disposti a semicerchio rendono la visione molto realistica. Si ha l’impressione di essere realmente a bordo del velivolo. Il tutto dura, purtroppo, meno di dieci minuti.
Ottavo giorno
Il Camping Caponord è una complesso piuttosto grande, con bungalows, hotel, ristorante, bar. Rossano ed io prendiamo possesso di una camera nella struttura più piccola mentre Tony, finalmente, potrà dormire da solo, senza dover sopportare le nostre performances russatorie.
Alle sette di mattina sono già sveglio in attesa che Rox prepari il suo caffè.
Dalla finestra osservo Tony che fissa i bauletti sulla propria moto. Il nostro amico e compagno di viaggio tornerà in Italia attraversando nuovamente la Svezia, mentre Rox ed io ci dirigeremo verso est.
Dopo migliaia di chilometri percorsi inseguendo il sogno della conquista di Capo Nord, le nostre strade si dividono.
La stanchezza fisica lascia il posto ad una sorta di torpore mentale. Le scariche adrenaliniche, che ci avevano consentito di tenere una media di settecento chilometri al giorno, incuranti della pioggia (poca) e del vento (tanto), vengono sostituite da un senso di profondo appagamento. Affiorano i dolori al culo, alla schiena, alla mano destra, all’interno della coscia destra (che, ad ogni salita e discesa dalla moto doveva scavalcare il bagaglio posto dietro la sella). Per più di un’ora ci muoviamo al rallentatore.
Paradossalmente è questo il momento psicologicamente più difficile di tutto il viaggio. Se ci fosse stato proposto di riportarci in Italia in aereo assieme alle nostre moto, forse avremmo accettato.
Un caffè, un altro caffè. Le normali abluzioni mattutine e siamo di nuovo in sella.
Direzione Finlandia.
Passiamo la frontiera a mezzogiorno. Il vento continua a muovere pericolosamente le moto, costringendoci a guidare inclinati. Lo prendiamo come un gioco.
I primi cento chilometri del territorio finnico sono veramente poco piacevoli. E’ la zona militare, molto vicina al confine con la Russia. La strada è bruttina, l’asfalto mediocre. Per fortuna il traffico è scarso. Il panorama si fa piatto e monotono.
Percorriamo oltre trecento chilometri ed arriviamo a Kuusamo. Ci fermiamo in un camping semplice, con bungalows carini ed abbastanza confortevoli.
Usciamo a piedi dalla struttura e ci dirigiamo verso un hotel con un pub molto accogliente e con un ottimo servizio, dove riusciamo a consumare un pasto decente.
Inizia a piovere.
Il bel tempo, che ci aveva accompagnato nella prima parte del viaggio, ci abbandona.
Nono giorno
Riprendiamo la lunga discesa verso Helsinki. Il paesaggio, fortunatamente, inizia a cambiare. Lunghi tratti alberati rendono il tragitto più gradevole. Ma nulla di particolarmente affascinante. Il ricordo delle foreste svedesi è sempre vivo ed oggetto di una certa nostalgia.
La giornata la passiamo praticamente sempre alla guida. Il vento continua a costringerci a procedere ad un’andatura più lenta del previsto.
Improvvisi branchi di renne si materializzano e ci portano ad essere concentratissimi. Basta un istante di disattenzione e il viaggio potrebbe concludersi in modo drammatico.
Non ho ancora capito se le renne sono troppo ottimiste nella sicurezza che noi riusciremo sempre ad evitarle o, per il medesimo motivo, troppo stupide. Infatti continuano a sbucare dal bosco che costeggia la strada. Il colore del loro mantello si mimetizza perfettamente e pericolosamente con il colore dell’asfalto e dei cespugli. Una cosa, però, è certa: sono animali meravigliosi e dallo sguardo dolcissimo.
Un tratto di strada costituito da veloci rettilinei e laghi curvoni ci porta ad accelerare un po’. Spesso guardo negli specchietti, per sincerarmi della presenza di Rossano. Mi distraggo un attimo e, un po’ in ritardo, mi rendo conto che una renna è in procinto di attraversare la strada. Adrenalina a mille, una pinzata da alzare la ruota dietro e riesco quasi ad evitare l’animale. Dico ‘quasi’ poiché l’ho soltanto sfiorato, toccando con lo specchietto destro l’enorme ramo corneo che caratterizza questi incoscienti animali..
Accosto, mi rendo conto che la renna è tutta intera, aspetto che i battiti del mio cuore scendano ad un ritmo accettabile e, con le mani che ancora tremano per lo scampato pericolo, riprendo la marcia.
Rossano mi supera divertito e, aprendo e chiudendo la mano con i polpastrelli rivolti verso l’alto, mi grida:””Ti sei cagato addosso, vero ?””:
Continuiamo a procedere, più per inerzia che per convinzione. Ma quanto cavolo è lunga ‘sta Finlandia?
Ad un distributore il buon Rox mi fa vedere la sua catena. Ha un gioco di una decina di centimetri, in luogo dei due-tre che aveva all’inizio del viaggio. Decidiamo di sostituirla.
Chiedo al ragazzo alla cassa se c’era un meccanico Yamaha e lui, con estrema cortesia ed in un inglese più che comprensibile, mi spiega che a Kuopio c’è un certo Kittimoto. Mi spiega la strada. Stiamo per salire in moto quando arriva un ragazzo con una “street” vecchiotta ma ben tenuta. Chiediamo anche a lui se conosce qualcuno in zona che può risolvere il nostro problema. Confermando la tradizione di grande e disinteressata solidarietà che vige tra i motociclisti, accende il suo cellulare ed inizia a telefonare a destra ed a manca. Alla fine anche lui ci consiglia di andare a Kuopio.
Kuopio è una cittadina abbastanza estesa con le strade distribuite in maniera geometrica; un po’ come New York. Non impieghiamo molto a trovare l’officina.
Lo staff è gentilissimo anche se solo il capofficina parla inglese. Gli sottoponiamo il nostro problema. Effettua un gran numero di telefonate nella ricerca di una catena compatibile con la moto di Rossano. Finalmente, con un sorriso a trentadue denti, ci comunica che, poco lontano, un negozio di barche e motoslitte ha il pezzo che cerchiamo.
Dopo dieci minuti siamo di ritorno con la catena originale Yamaha. Non impiego molto a convincere il capofficina ad interrompere gli altri lavori e ad occuparsi del nostro problema. Il lavoro viene eseguito a regola d’arte e la richiesta economica per la prestazione assolutamente irrisoria: venti euro.
Helsinki è un po’ troppo lontana e decidiamo di fermarci al primo campeggio carino. Ne troviamo uno un po’ nascosto. La signora alla reception è l’esatto contrario di ciò che, comunemente, viene indicato con il termine “bella donna”, ma è simpatica (almeno questo …). Ride in continuazione, sfoggiando una dentatura da far invidia ad uno squalo. Ha difficoltà ad esprimersi in una lingua diversa dal finlandese. Ci dirige verso un “bungalow” grande poco più di una cabina telefonica. All’interno un letto a castello ed una mensola. Alla mia richiesta di una casetta più spaziosa, risponde che non è possibile, in quanto per loro la stagione è quasi alla fine e l’unico alloggio possibile è quella specie di cuccia per cani. Non abbiamo voglia di metterci in cerca di un’alternativa più comoda. Accettiamo il pollaio. Per cena la dentona ci prepara due pizze abbastanza commestibili. Le divoriamo. Per dessert un paio di cremini. Un paio di birrone a testa ci danno il necessario grado di rincoglionimento per dirigerci verso il loculo.
Decimo giorno
Arriviamo ad Helsinki verso mezzogiorno. Il porto è facilmente raggiungibile sin dalla periferia. Non è facilissimo, invece, capire quale possa essere il molo dal quale partono i traghetti diretti in Estonia. Dopo una serie di tentativi, ci rendiamo conto che vi sono più alternative per l’imbarco: quattro o cinque compagnie, ognuna in un molo differente. Scegliamo la Viking, per il solo motivo che la biglietteria era facile da raggiungere.
Il prossimo traghetto è alle 21,30. Saremmo arrivati a Tallin a notte fonda. Decidiamo di imbarcarci su quello che partirà il mattino successivo.
Il pomeriggio trascorre nella vana ricerca di un hotel. In quei giorni a Helsinki vi erano una serie di manifestazioni culturali che avevano provocato il “tutto esaurito”.
L’unica possibilità era un hotel in un paesino distante oltre cento chilometri. Non se ne parla neppure.
La prendiamo con filosofia e ci concediamo un pomeriggio “da turisti” nella capitale finlandese.
Helsinki è una città molto interessante e di un ordine estremo. La cosa che ci colpisce di più è la … popolazione femminile visibile composta, nella quasi totalità, da ragazze belle, alte, magre, occhi azzurri e con accessori di pregevole fattura. Tutte sorridenti e dall’aspetto sereno. Rossano non sa più dove girare la testa. Io non di meno. E’ il paradiso terrestre!
Il “problema hotel” era irrisolvibile. Continuiamo a non pensarci.
Rox inizia a parlare di cibo. La nostra decisione, presa alcuni giorni prima, di saltare il pranzo per favorire una più alta percorrenza chilometrica aveva come effetto la comparsa, dalle 18:00 in poi, di continue contrazioni della mucosa gastrica, volgarmente conosciute con il termine “crampi da fame”.
Troviamo un ristorante molto simpatico, stile western, dove ci gratifichiamo con due enormi bistecche, una valanga di contorni, due pinte di birra a testa ed un favoloso dessert.
Ci incamminiamo verso le moto, parcheggiate a circa un chilometro. Rox nota un paio di uomini che, pur se in abiti civili, indossavano capi di abbigliamento identici: camicia azzurrina, pantaloni blu con risvolto, mocassini neri lucidi. I due iniziano e seguirci. Ci fermiamo ad osservare una vetrina e anche loro si fermano, Ripartiamo ed anche loro ripartono, mantenendo la medesima distanza da noi. Realizziamo che sono due sbirri che, vedendoci vestiti da motociclisti, volevano controllare se avessimo preso le moto dopo aver trangugiato una quantità di birra tale da far impennare il tasso alcolemico ben oltre i severi limiti dettati dalla legge finlandese.
Passiamo davanti ad un caffè, molto carino e con tavolini stile liberty sul marciapiede, ci sediamo ed ordiniamo due Coca Cola. I due, evidentemente tranquillizzatisi, si allontanano.
Che fare ora? Sono le undici di sera e non abbiamo dove dormire.
Chi se ne frega. Un giretto per locali per … socializzare e poi … Grand Hotel del Porto.
E’ quasi l’alba quando arriviamo al parcheggio del porto e, fermate le moto a circa tre metri di distanza l’una dall’altra, gonfiamo i materassini da campeggio. Rox ha una pompa molto valida, io molto meno. Cerco di gonfiare il materassino a bocca, ma l’impresa appare titanica. Il materassino di Rossano prende forma, il mio è ancora completamente sgonfio. Mi viene un’idea: accendo la moto ed avvicino la valvola del mio materassino al terminale di scarico. Un paio di sonore sgassate e, come per incanto, il mio letto prende forma in pochi secondi.
Lasciamo cadere i due materassini tra le moto, ci adagiamo su di essi come due bestie ferite. D’accordo: bella serata, piacevole prosieguo, ma …un po’ di riposo è d’obbligo.
Undicesimo giorno
Apro gli occhi. La temperatura è rigida.. Ho bisogno di qualcosa di caldo. Guardo Rossano che dorme come un baby. Cerco nel mio bauletto qualcosa da mettere sotto i denti. Trovo un residuo di crackers acquistati non ricordo più quando. Meglio di nulla. Per mandarli giù utilizzo un Red Bull tiepidino. Che schifo. Vabbè, pazienza.
Finalmente Rox apre gli occhi. Con una bandana in testa e con le palpebre semisocchiuse si alza, si allontana per una pisciatina e, gaudio massimo, si accinge a preparare il caffè.
Sgonfiamo i materassini e decidiamo di fare un giretto per Helsinki.
Sono le nove quando torniamo al porto e la biglietteria ha appena aperto i battenti. Ci sediamo sulle poltrone della sala di attesa e consumiamo un altro paio d’ore di sonno.
L’imbarco è velocissimo e perfettamente organizzato. Il traghetto è pieno di turisti. Trascorriamo le quattro ore che ci separano da Tallin sul ponte di prora. Il tempo è bellissimo e un po’ di elioterapia è d’obbligo.
In un angolino c’è un piccolo chiosco che vende solo bevande. E’ incredibile la quantità di birra che i nordici riescono a trangugiare. Ma dove cazzo la metteranno? E sono solo le undici di mattina.
Continuiamo nel nostro bagno di sole e, non avendo nulla di meglio da fare, iniziamo un attento esame dei culi delle viaggiatrici. D’altra parte in qualche modo bisogna anche passare il tempo.
L’arrivo a Tallin ci mette di fronte ad una amara realtà. E’ veramente una città triste e con ancora aperte le ferite inferte da decenni di tirannia comunista.
La gente non riesce a ridere. Neppure a sorridere. Né con noi né fra di loro. Sono gentili, ma non ti guardano negli occhi quando parli. Non ringraziano, limitandosi ad un brevissimo mugugno. Dal loro sguardo traspare la diffidenza di chi è stato oppresso e vessato per troppo tempo. Chissà quanti decenni ci vorranno perché si rendano conto di essere, finalmente, liberi.
La popolazione, come in ogni paese post-comunista è formata da pochi ricchi, che ostentano la loro privilegiata condizione socio-economica indossando elegantissimi vestiti occidentali e grandi quantità di gioielli, girando a bordo di auto da sogno e parcheggiando dove fa loro più comodo fregandosene dei divieti e da molti poveri, con indosso vestiti lisi dal tempo e dall’uso; non hanno neppure uno Swatch al polso e, nel migliore dei casi, arrancano su auto vecchiotte ed arrugginite. E’ evidente che gli attuali ricchi (i succhiasangue del passato regime marxista-leninista per intenderci) facevano parte dell’elite economica anche prima dell’indipendenza; medesimo discorso per i poveri, che non hanno ancora riscontrato cambiamenti sostanziali del loro status sociale. Con il tempo le cose miglioreranno sicuramente ed il ricordo di un regime criminale, che ha dispensato solo terrore e morte, sarà sempre più sbiadito e la situazione, che oggi appare incancrenita, avrà una favorevole evoluzione.
Torniamo al viaggio.
Il traffico di Tallin è infernale e decidiamo di uscire dalla bolgia dantesca nella quale ci siamo trovati. Il solo seguirsi senza perdersi è un’impresa veramente ardua.
Seguiamo le indicazioni verso il sud del paese.
Poco fuori della capitale, scorgiamo un albergo. L’aspetto esterno ci fa ben sperare. L’arredamento è un po’ pretenzioso, ma assolutamente accettabile.
Consumiamo un’ottima cena nel ristorante dell’hotel, molto elegante e curato. Notiamo, però, che nella sala, molto grande e con un buon numero di tavoli occupati vi è una sola cameriera. Gentilissima, bellissima e … stanchissima.
Riusciamo a scambiare qualche parola con la ragazza e, a precise mie domande, risponde che lei deve occuparsi delle colazioni della mattina, del pranzo e della cena, non importa quanto sia alto il numero dei clienti. In più deve gestire il bar interno e quello esterno e, infine, deve occuparsi del servizio in camera. Il tutto … da sola e per un salario corrispondente a meno di 150 euro mensili. Si, ho scritto bene: centocinquanta euro al mese! Ci spiega che i proprietari dell’hotel, appartenevano, prima dell’indipendenza dell’Estonia, alla piccola schiera dei privilegiati dal regime comunista. C’è poco da fare: la realtà politica e geografica è cambiata, ma i laidi affamatori sono rimasti al loro posto. Che schifo.
Le lasciamo una supermancia. Non possiamo fare altro.
Dodicesimo giorno
Dopo l’oramai tradizionale caffè di Rox ed una buona colazione, continuiamo il nostro tragitto verso la Lettonia.
Il paesaggio diviene veramente monotono: piatto e con immense distese coltivate a grano. Il fondo stradale è mediocre. Due coppie di profondi solchi dividevano la carreggiata in quattro piccole trincee scavate dalle ruote gemellate dei tir., E’ veramente difficile procedere ad una velocità accettabile. Non appena l’esterno del copertone toccava il bordo di uno dei solchi la moto sbandava paurosamente. E’ come correre con le ruote a filo di un marciapiede. Queste condizioni di fondo stradale le troveremo fino al confine con la Polonia.
Inizia a piovere. La strada diventa una saponetta.
E’ quasi sera quando ci fermiamo in un hotel gestito da un tipo che ha difficoltà a spiegarsi in qualsivoglia idioma. Ma porca miseria, come possono sperare di progredire se, proprio loro che sono al centro della vita turistica, non imparano quattro parole di inglese?
Prendiamo una stanza (€ 25) e ci accordiamo per il garage (€ 5). La camera si rivela squallidina e non pulitissima. Il bagno è fatiscente. Il medesimo rubinetto serve sia la doccia che il lavabo. Bel risparmio! La cena, però, è fin troppo abbondante. Una valanga di ottimo formaggio di vari tipi ed una bisteccona alta quattro dita. Per dessert una quantità industriale di gelato. Il conto è di una ventina di euro. Incredibile. Gli insetti ci fanno incazzare, ma non protestiamo: abbiamo chiesto noi di voler cenare in giardino.
Tredicesimo giorno
Passiamo la frontiera con la Lituania che ci accoglie sotto il diluvio. Non riusciamo ad andare a più di 90-100 Km/h. File di tir ci sorpassano alzando enormi quantità di acqua e fango. La guida diventa veramente problematica.
Ogni tanto la pioggia si dimentica di noi e ne approfittiamo per guadagnare più strada possibile. Il paesaggio è piuttosto monotono. Pazienza.
Limitiamo le soste al minimo: benzina, pipì e qualche indispensabile caffè di Rossano. Al confine con la Polonia, tanto per cambiare, sembra arrivare giù il finimondo. Giove Pluvio ha deciso di lavarci le moto a dovere. E qui accade una cosa molto simpatica: non appena passata la frontiera ci fermiamo per fare rifornimento. Studiamo le mappe stradali, fumiamo un paio di cicche e saltiamo (si fa per dire) sulle moto zuppe di acqua. Rox, che ha un senso dell’orientamento sviluppato come gli attributi sessuali di una gallina, mi fa segno di seguirlo. Parte a razzo, gira a sinistra ed inizia a correre. A nulla valgono i miei segnali con gli abbaglianti. Non mi vede. Corre, corre e …. ripassiamo la frontiera. Siamo di nuovo in Lituania !! Finalmente lo raggiungo e gli chiedo dove minchia avesse intenzione di andare. Lui, serafico, mi risponde: “Quel bar lo avevo notato un’ora fa, altrimenti avrei continuato”. Passiamo per la seconda volta la medesima frontiera. I medesimi poliziotti ci guardano con aria attonita. Rox scende per spiegare, in veneziano, il problemino ai gendarmi che assumono la classica espressione somatico-facciale di chi non ha capito un beneamato cazzo. Per fortuna non ci fanno storie e … ritorniamo in Polonia.
La pioggia si fa sempre più fitta e un numero impressionante di tir sembra avercela con noi. Ci seguono per un tratto con il loro radiatore a tre dita dal culo della nostra moto e, improvvisamente, sorpassano, sfiorandoci il gomito sinistro ed alzando una quantità mostruosa di acqua che, attraverso la visiera aperta per evitare l’appannamento della plastica, ci lava il viso. E’ impossibile per noi andare più veloce. La strada è un vero lago e le famose trincee, riempite dalla pioggia, sono sempre più profonde.
Scorgiamo un motel per camionisti. Entriamo nel parcheggio e parcheggiamo le moto davanti all’entrata.
Il locale è semplice e delle due ragazze al bancone solo una parla una decina di parole in inglese. La camera ci costa cento sloti (28 euro circa) e la cena è tutt’altro che malaccio. Ma la sorpresa è la camera. Una mansarda decisamente bellina, ben arredata, completa di tv e con due lettoni sui quali ci siamo snutellati non appena saliti in stanza.
Quattordicesimo giorno
L’Italia è ancora lontana, ma il cielo sereno ci fa ben sperare per la giornata.
Una veloce colazione e ci accingiamo a fissare i bagagli sulle moto. Improvvisamente, con la coda dell’occhio vedo passare, proprio davanti all’entrata dell’albergo, un … cane. O meglio, intravedo la sagoma di un animale di media taglia passare velocemente davanti al portone dell’hotel. Fischio per chiamare il cane e Rox inizia a ridere. Non si trattava di un cane, ma di un’enorme pantegana!
I lavori sulle strade polacche rallentano il nostro viaggio. Un susseguirsi di semafori che regolano la circolazione alternata su una sola corsia. Un inferno.
Centinaia di chilometri percorsi in queste condizioni ci stressano non poco. Ma non abbiamo scelta: è l’unica arteria stradale utile.
Finalmente, a Plansk, ha inizio quella che i locali chiamano “autostrada”. Le autostrade polacche hanno un asfalto abbastanza curato, ma hanno anche due caratteristiche che le rende un po’ ridicole, La prima è costituita dai … semafori. Si, semafori che bloccano il flusso autostradale! E’ stata preferita questa soluzione per evitare la realizzazione, evidentemente troppo costosa e complicata, di svincoli e rampe. La seconda e, più pericolosa particolarità di queste arterie è la libertà per le auto, le vecchiette in bicicletta ed i carrettini a trazione animale, di … attraversarle perpendicolarmente. Le frenate al limite del disarcionamento iniziano ad essere sempre più frequenti e decidiamo di ridurre la velocità.
Dopo una susseguirsi di accelerate e frenate arriviamo a Warsavia. La pioggia diventa sempre più fitta ed insistente. Improvvisamente la quantità d’acqua che cadeva su di noi diventa assolutamente insostenibile. Sembravano secchiate. Non riuscivamo a vedere neppure il manubrio! Ci rifugiamo sotto la tettoia di un garage per qualche minuto.
Dopo una trentina di chilometri troviamo un piccolo hotel. Il proprietario è gentilissimo anche se non parla che polacco e l’impiegata è una ragazza gentile, sorridente e morbidosa. Ci chiedono 150 sloti (poco più di quaranta euro) per la stanza e ci fanno segno di accomodarci in sala ristorante. Mentre attendiamo il menu, si avvicina un tipo con un cappellone da cow-boy, ubriaco fradicio, che vuole fare a tutti i costi conversazione in uno stentato inglese. Era anche simpatico, ma noi eravamo bagnati, infreddoliti, stanchi e nervosi. Lo mandiamo a cagare senza mezzi termini. Sparisce nel nulla.
Il menu è lunghissimo, decine di pagine. Le specialità, però, non sono di nostro gradimento. Optiamo per la solita bistecca con contorni vari. Chiediamo una bottiglia di vino rosso frizzantino. Il panico si diffonde nel ristorante. “Wine?” ripete la ragazza ai tavoli sgranando gli occhi. Evidentemente l’ultima bottiglia stappata in quel locale risaliva a qualche anno addietro, forse addirittura al giorno dell’inaugurazione. Arriva il proprietario, con l’espressione soddisfatta di chi sta per compiere un’azione storica. L’uomo, atteggiandosi a consumato sommelier e mimando i gesti dei veri professionisti dello scaraffamento, stappa la bottiglia. E’ un attimo. Il tappo salta, il vino si versa in parte addosso all’incapace ed in parte sul pavimento ed un cliente, che non si avvede della situazione, scivola sul nettare versato. Con Rox ci guardiamo. Non infieriamo, anche se la voglia di ridere è tanta. Una seconda bottiglia arriva poco dopo, ma … già stappata.
Una guardatina alle mappe. Le nostre energie sono agli sgoccioli. Abbiamo percorso più di diecimila chilometri in tredici giorni.
Mezzi sbronzi (più io di Rox) chiudiamo gli occhi. La giornata che ci aspetta sarà molto lunga.
Quindicesimo giorno
Sveglia prima del solito. Vienna è ad oltre seicento chilometri. Se il tempo regge ce la faremo senza problemi. Siamo stanchi e provati, ma da qualche parte troviamo un residuo di energia.
Approfittiamo del tempo coperto ma senza pioggia. Ci fermiamo pochissimo, il minimo indispensabile. La moka express di Rox rimane nel bauletto. Ci accontentiamo delle brodaglie che vengono servite nei bar delle stazioni di servizio.
Entriamo nella Repubblica Ceca. Strade strette e trafficate. Deve essere il periodo della concimatura dei campi: zaffate di puzza di merda accompagnano il nostro viaggio. Fortunatamente non piove.
Non ci fermiamo se non alla frontiera con l’Austria. Un veloce sguardo ai nostri documenti e passiamo il confine. L’ingresso in questo civilissimo e francamente meraviglioso paese e la consapevolezza di essere “quasi” arrivati, ci da una sferzata di energia, aiutata da un paio di Red Bull che, onestamente, hanno un effetto corroborante veramente notevole.
Maciniamo chilometri come se avessimo avuto il fuoco al culo. Una media di marcia da record.
Troppo bello. Infatti ad un centinaio di chilometri alla capitale austriaca le cataratte del cielo si aprono. E’ incredibile la quantità di pioggia che abbiamo dovuto sopportare quel pomeriggio. Ci fermiamo sotto un ponte dell’autostrada, nella vana speranza che la pioggia diminuisse. Neppure per sogno. Un paio di sigarette e di nuovo in sella. Non riuscivamo a comprendere da dove entrasse l’acqua, considerato che indossavamo le tute antipioggia, ma eravamo fradici.
Il nostro ingresso a Vienna vede un lieve miglioramento della situazione. Cerchiamo di districarci nel traffico. Sbagliamo strada un paio di volte. Ad un tratto ci troviamo in un tunnel interminabile. All’uscita della galleria la sorpresa: niente più pioggia e … strada asciutta. Incredibile.
La tangenziale di Vienna è praticamente un circuito automobilistico. Quattro corsie dove le auto fanno a gara a chi va più veloce. Le indicazioni sono scritte su cartelli “a cavallo” della strada. Ciò ci costringe a frequenti cambi di corsia. Un’auto, nel tentativo di superarmi a destra, sfiora il mio bauletto. Il conducente si incazza pure. Tolgo la mano sinistra dal manubrio e gli rispondo con il medio.
Con Rox ci scambiamo il segno di convenzionale della assoluta necessità di una sosta. Entriamo in un autogrill. Bellissimo, ordinatissimo e con un hotel di una catena, la Old Timer moto diffusa in Austria.
Per stasera basta. Andiamo a cena e vediamo se hanno una stanza.
La stanza c’è. Bella, curatissima, spaziosa, con tele, stereo, aria condizionata, frigobar ecc ecc. Ottanta euro per la camera ed altrettanti per la cena. Va bene così.
Sedicesimo giorno
Sveglia con calma. Rimettiamo nei bauletti gli indumenti del giorno prima ancora umidi. Ci vestiamo in fretta, carichiamo le moto e scendiamo per consumare la colazione.
Chiediamo un espresso ed un paio di fette tostate. Accanto a noi tavolate di austriaci che si abbuffano di uova fritte, pancetta fritta, wurstel fritti e trangugiano pinte di birra come se fosse acqua di torrente. E’ incredibile la facilità con la quale incamerano quantità industriali di schifezze già alle otto di mattina.
Il tempo è bellissimo. Qualche piccola nuvola rende ancora più evidente il contrasto con un cielo di un azzurro intenso.
Mettiamo le moto in strada e abbiamo la conferma di quanto sospettato il giorno prima: i limiti di velocità in Austria non sono rispettati da nessuno. Ci adeguiamo. Il mio copertone posteriore grida vendetta. Speriamo tenga per un altro migliaio di chilometri.
Passiamo Graz, Klagenfurt e, finalmente, iniziamo a vedere i cartelli con l’ovale bianco e la lettera “I” al centro.
La frontiera è praticamente inesistente. Il caldo aumenta assieme alla nostra voglia di arrivare a casa di Rossano.
Gli ultimi cinquanta chilometri li percorriamo con il gas spalancato. Siamo esausti.
Le ultime curve ed intravediamo Cicciobello, il microcane di Rox. Saluti, sorrisi, baci ed abbracci.
La dolcissima consorte del mio ineguagliabile compagno di viaggio ci prepara un ottimo caffè. Altre due chiacchiere e rimonto in sella. Mi aspettano altri seicento chilometri, la distanza che divide casa mia con quella di Rox.
Dopo una ventina di chilometri sono assalito da un attacco di stanchezza misto a pigrizia. Mi fermo ad un distributore. Entro nel bar ed ordino due caffè ristretti che mando giù assieme a due lattine di Red Bull. E’ una vera e propria frustata. Decido di abolire pipì e sigarette. Solo soste per i rifornimenti. Lascio cadere uno sguardo sulla mia ruota posteriore. E’ liscio come una pesca acerba. Il tempo caldo e senza pioggia mi consola.
Forza, manca poco. Beh, poco si fa per dire. Sono le quattro di pomeriggio e sono ancora a Padova. Con la forza dei disperati riparto cercando di mantenere un’andatura costante e, possibilmente, sopra i 150. Uniche due soste a Bologna e poco sopra Roma.
Alle 21.15 spengo la moto.
Butto letteralmente i bagagli in ascensore e la mia mente vola al prossimo viaggio: il Coast to Coast attraverso la Route 66. Avrò il coraggio, domattina, di parlarne a Rossano?
|
|
|
10-06-2013, 13:01
|
#2
|
Mukkista doc
Registrato dal: 13 Jul 2009
ubicazione: trento
Messaggi: 6.146
|
Grande Orso, l'attacco mi ricorda le stesse parole dei miei amici
Lo finirò più tardi ma dalle prime righe mi sembra bello intrigante
__________________
r1200gs orange namibia
honda xl 600 lm
http://trentinomotoadventure.com
|
|
|
10-06-2013, 13:12
|
#3
|
Mukkista
Registrato dal: 16 Jun 2011
ubicazione: Roma
Messaggi: 651
|
alla faccia del bicarbonato di sodio, come avrebbe detto il grande Totò, l'ho salvato e lo leggo più tardi con calma
__________________
GS 1200 std del 2009
"Prevenire è meglio che curare"
|
|
|
10-06-2013, 13:30
|
#4
|
Mukkista doc
Registrato dal: 29 Jan 2013
ubicazione: Fano
Messaggi: 1.196
|
Orso........wow! Adesso capisco il nick, complimenti per le capacità indiscutibili di narratore.
Bravo, letto solo il primo giorno, stasera con calma il resto!
Mahhhh......scusa.........ma dal 2006 poi che hai fatto??? Facci leggere altro!
__________________
La mia libertÃ* inizia dove finisce la tua.......quindi finisci alla svelta!!!
|
|
|
10-06-2013, 13:33
|
#5
|
Mukkista doc
Registrato dal: 13 Oct 2004
ubicazione: Amsterdam/Roma
Messaggi: 18.847
|
a Tallin ci dovevi arrivare di notte...
__________________
dare ni mukatte mono itten dayo?
|
|
|
10-06-2013, 14:20
|
#6
|
Mukkista doc
Registrato dal: 16 Apr 2008
ubicazione: Padova
Messaggi: 2.272
|
Ho letto tutto. Bellissimo e godibilissimo racconto. Complimenti.
__________________
I'll see you on the dark side of the moon.
|
|
|
10-06-2013, 20:02
|
#7
|
Utente BANNATO dal forum
Registrato dal: 18 May 2007
ubicazione: Granducato di Passeropoli
Messaggi: 14.730
|
Scusate gli errori di battitura.
Non l'ho mai riletto.
|
|
|
10-06-2013, 20:04
|
#8
|
Utente BANNATO dal forum
Registrato dal: 18 May 2007
ubicazione: Granducato di Passeropoli
Messaggi: 14.730
|
Quote:
Originariamente inviata da Flying*D
a Tallin ci dovevi arrivare di notte...
|
Fly, Tallin è una delle più tristi città del mondo.
Ancora, dopo anni, ricordo una culona in Jaguar che lasciò l'auto sul marciappiede e mandò a fanculo un poliziotto.
Lui se ne andò in silenzio.
Evidentemente era una "che contava".
|
|
|
10-06-2013, 20:44
|
#9
|
Piccante doc
Registrato dal: 21 Mar 2007
ubicazione: Calabria
Messaggi: 18.796
|
Bel racconto orsetto, ciapa pure due foto va
__________________
Sono dei tempi delle camere d'aria per legare qualcosa.Quelli Dell'Ubalda
|
|
|
10-06-2013, 23:18
|
#10
|
Mukkista doc
Registrato dal: 07 Dec 2011
ubicazione: FIRENZE
Messaggi: 1.163
|
Stracomplimenti Orso, letto d'un fiato e assimilate le informazioni.
Parto per le stesse mete, più qualche altra tra una decina di giorni.
Davvero ottimo e piacevole anche il tuo modo di farci vivere il viaggio.
__________________
Prima ... altro, poi BMW GS 1100, GS 1200 ADV 2009 e ora GS 1200 ADV Triple Black
|
|
|
17-06-2013, 16:45
|
#11
|
Mukkista
Registrato dal: 16 Jun 2011
ubicazione: Roma
Messaggi: 651
|
Complimenti, sei molto bravo a scrivere, a parte le battute azzecatissime riesci anche a far immaginare quello che si legge e non è da tutti. Ma qualche foto?
__________________
GS 1200 std del 2009
"Prevenire è meglio che curare"
|
|
|
17-06-2013, 17:38
|
#12
|
Mukkista doc
Registrato dal: 04 Feb 2003
ubicazione: torino
Messaggi: 2.310
|
grande Orsowow leggere la vita e saperla descrivere è un privilegio per pochi
__________________
PAST R1200GS Adventure 30th
EX KTM 1190 R+GS1150 Adventure
KTM 1290 Superadventure
|
|
|
18-06-2013, 09:33
|
#13
|
Mukkista doc
Registrato dal: 28 Jul 2008
ubicazione: un po qua un po la'
Messaggi: 5.922
|
Sparato tutto di un colpo, davvero bello, leggendoti in qde non credevo avessi queste doti nascoste di narratore, complimenti...ciao...
__________________
AGER
|
|
|
19-06-2013, 06:41
|
#14
|
Mukkista doc
Registrato dal: 23 Mar 2004
ubicazione: Italy
Messaggi: 2.740
|
letto tutto, divertentissimo ! complimenti
|
|
|
19-06-2013, 09:24
|
#15
|
Mukkista
Registrato dal: 16 Jun 2011
ubicazione: Roma
Messaggi: 651
|
__________________
GS 1200 std del 2009
"Prevenire è meglio che curare"
|
|
|
27-06-2013, 01:13
|
#16
|
BiKiAPPONE doc
Registrato dal: 04 Aug 2006
ubicazione: Giarre-Riposto
Messaggi: 3.923
|
Per i 40 anni avrei voluto andarci a Nordkapp... Per ora mi accontento di questo splendido racconto... Grande Orso
__________________
K1100RS "Nerina"
KTM 990 Adventure "Carotina"
Aprilia RSV Factory "Dorotea"
|
|
|
27-06-2013, 11:23
|
#17
|
Sono un C1 speriamo che mi passi!
Registrato dal: 23 Mar 2013
ubicazione: Roma
Messaggi: 17
|
mi hai fatto sognare ad occhi aperti ero li con te e i tuoi amici tappa dopo tappa anche a me mi fa male il fondo schiena è il mio sogno ma data l'età 55 anni credo che tale resterà grazie per il sogno
|
|
|
07-09-2013, 19:04
|
#18
|
Pivello Mukkista
Registrato dal: 30 Aug 2013
ubicazione: Fonte Nuova (Rm)
Messaggi: 143
|
Bellissimo racconto, molto coinvolgente... mia moglie ha già detto che fino a li non mi segue...chissà se mi manderebbe da solo?
|
|
|
07-09-2013, 21:14
|
#19
|
sottonick personalizzato
Registrato dal: 21 Jul 2013
ubicazione: Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace
Messaggi: 3.970
|
50manni.se ci arrivo e riesco ancora a stare in sella capo nord è il regalo per i miei 50 anni. non manca neppure molto. se mi impegno forse ce la posso fare.
gran viaggio e bel racconto. Cmq la carne di renna è ottima e al nord le allevano come noi le vacche. così, giusto per rompere la balle e sfogare l'invidia, benevola ma sempre invidia...
__________________
Un altro aberrante pirla® - Bello e bannato
R1200GS 04 "La cinghiaLLa" (sempre Pkw dixit)
|
|
|
07-09-2013, 22:02
|
#20
|
Mukkista doc
Registrato dal: 09 Jun 2010
ubicazione: Pescara
Messaggi: 8.687
|
Bellissimo racconto,per il conte58 siamo coetanei.
Io inizio adesso a programmare x il 2014 o 2015 il mio CapoNord
__________________
papipapi *58* la moto e' una passione incommensurabile.
R1200R
Ciao Robbè
|
|
|
08-09-2013, 09:48
|
#21
|
Pivello Mukkista
Registrato dal: 30 Aug 2013
ubicazione: Fonte Nuova (Rm)
Messaggi: 143
|
Prima o poi...oramai sta diventando una fissazione e leggere i report non mi fa bene. Ad oggi mia moglie mi manderebbe pure...la voglia è tanta e credo che l'età sia quella giusta (classe '64) per apprezzare la cosa...
|
|
|
08-09-2013, 11:21
|
#22
|
Mukkista
Registrato dal: 06 Aug 2012
ubicazione: Roma
Messaggi: 983
|
Letto questo e anche la delirante discussione (chiusa) sui viaggi di quel tale sulla sua goldwing.
Sarò strano, ma ho letto entrambi con piacere, vuoi per una sana invidia, vuoi per la curiosità, vuoi per una certa immedesimazione in situazioni simili vissute, vuoi per cercare finalmente il coraggio (non tutti sono nati motociclisti perfetti, come certi "senatori" qui dentro...) di prendere e fare un viaggio così...
E quindi grazie e anche complimenti per la scrittura "di getto", che ci ha riservato anche e sempre un tono "leggero" e spiritoso.
Bra'!
__________________
-- R 1200 NineT Urban GS
|
|
|
Regole d'invio
|
Non puoi inserire discussioni
Non puoi inserire repliche
Non puoi inserire allegati
Non puoi modificare i tuoi messaggi
il codice HTML è disattivato
|
|
|
Tutti gli orari sono GMT +2. Attualmente sono le 07:52.
|
|
|