Manca poco alle tre del pomeriggio quando arriviamo ad Erto. Nella memoria rimbalzano il riso amaro ed il pianto trattenuto che Marco Paolini continua a strapparmi con la sua orazione laica in ricordo del Vajont e nel cielo rispondono i sordi brontolii del temporale che si approssima.
Cosa cerchiamo qui? Difficile dirlo. Non è la prima volta che passiamo da queste parti, ma è la prima in cui andiamo oltre la curiosità di guardare la frana, fissare il vuoto sui fianchi del Monte Toc. Ci colpisce l’assenza di vita nel paese, l’apparente integrità dell’abitato e la scarsità di segni dei suoi occupanti. Un graffito di Mauro Corona, un vaso di violaciocche e le burocratiche informative del Comune ci rassicurano che il sito non è stato abbandonato.
Pensiero analoghi si rincorrono a Casso, borgo stupendo avvinghiato al pendio sopra la rovina del Vajont che raggiungiamo percorrendo una stradina tortuosa e imprevedibile.
Parcheggiamo la motocicletta accanto ad un ortolano itinerante che serve antiche signore a cui l’età e l’artrite hanno rapinato l’agilità con cui si muovevano. L’abitato è un cantiere, ma sembra una conchiglia. Camminando fra gli stretti vicoli non si odono i bambini vociare come ci aspetterebbe, ma solo il rumore degli utensili che rimettono a nuovo le antiche pietre.
Siamo arrivati per la strada meno prevedibile, ma forse più godibile. Invece che prendere ad est ci siamo diretti a nord: Rovereto, Mattarello, Vigolo Vattaro, Levico. Belle strade, tranquille, e sicuramente preferibili alla grande autovia che taglia la Valpadana.
A Pergine deviamo per l’altopiano di Pinè e mano a mano che si avvicina Baselga, un lampo di memoria mi accende un sorriso: sono già stato qui trentasette anni fa per fare il filo ad una ragazza; una notte in tenda con un amico che aveva delle mire sull’amica di… come si chiamava? No, ricordo solo il suo sorriso e tanto basta. Dopo Bedollo ci piglia un po’ di pioggia e ci fermiamo a rinforzare l’abbigliamento, ma un signore del luogo ci guarda, accenna un sorriso, guarda il cielo e commenta: “non piove no che non piove”.
A Castello di Fiemme giriamo a destra e seguiamo la strada di fondo valle che ignora i paesi, là sulla sinistra a mezza costa. È giusto che sia così, però era più bello quando si attraversavano tutti: Cavalese, Tesero, Panchià, Ziano di Fiemme, Predazzo, Moena. Quanti bei ricordi evocano questi nomi, ma anche tante disgrazie: la funivia del Cermis, la rottura dell’argine del laghetto sopra Tesero, la maledizione che si ripete al Cermis!
A Moena giriamo a destra. Il temporale ci insegue e brontola al Passo San Pellegrino, mite cancello fra la Val di Fiemme e quella del Biois.
Ci fermiamo per un panino alla vecchia maniera. Pane, speck, puzzone di Moena, mezzo pomodoro a testa e mezza Coca Cola, seduti su un masso. Cosa c’è di meglio?
Giù a Falcade! La strada ora scende ripida, i tornanti l’uno appresso l’altro; sembra di sciare. Sulla destra, il profilo delle Pale di San Martino, cime eleganti che abbiamo percorso in gioventù, e davanti il baluardo del Civetta che ci sconfisse una volta e mai più ritentammo. Canale d’Agordo e infine Cencenighe. Siamo a fondo valle e le cime sono solo un ricordo. Svoltiamo a sinistra e corriamo lungo il lago di Alleghe fino a Caprile. Sembra che abbiamo allontanato il temporale, ma appena prendiamo la SP20 verso Selva di Cadore ruggisce beffardo. Ci ha preceduto, ma solo per giocare a rimpiattino perché dopo poche gocce si ritira e ci lascia godere la vista del Monte Pelmo che, curva dopo curva, si approssima generoso. E’ un monte che si lascia guardare in tutta la sia eleganza, non occorre girare lo sguardo, è tutto lì davanti ai tuoi occhi.
A Passo Staulanza ci accoglie la Valle di Zoldo, divertente da percorrere e coronata dal versante est del Civetta. La scendiamo tutta, passando paesi ancora in letargo, fino a Longarone.
Da lì al Vajont è un attimo, come lo fu per l’acqua maledetta spruzzata sulla valle dalla frana.
Non si può vivere solo il lutto, nemmeno se lo si è vissuto in prima persona, figuriamoci se lo si prova per simpatia e identificazione.
A Casso, dove ci ha raggiunto di nuovo il temporale, ci dirigiamo a Passo San Osvaldo dove imbocchiamo la Val Cellina che scendiamo lungamente accompagnati dalle acque turchesi del torrente fino al lago di Barcis.
Il ponte sospeso all’imboccatura del lago ci conduce in Val Pentina, silenziosa e deserta in questo tempo fuori stagione. La seguiamo tutta fino all’agriturismo Pian del Tass che ci accoglie per la notte. Una birra, due chiacchiere con la signora gentile che lo governa, una cena semplice e ben curata, una passeggiata nella sera che imbrunisce vegliati dal cane di casa ed è ora di ritirarci. Sì, questa è una strada del cuore.
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