Mukkista in erba
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Desert Storm!
Desert storm: Merzouga-Tinerhrir (202km).
A questo punto viviamo 30km di strada emozionante, incredibile, esaltante, mistica: la tempesta infuria, folate di sabbia attraversano la strada asfaltata, il cielo, l’orizzonte, la terra e la strada, tutto è color ocra.
La moto è inclinata, per rimanere in piedi.
I gradi Celsius sono quarantasette: si conferma che il vento riscalda e non rinfresca.
Quando, giunti a Rissani, tutto si calma, ci dispiace un po’…poveri illusi.
Dopo Erfoud ricomincia il vento e la situazione è sempre più preoccupante. Ogni tanto, nelle oasi, il vento cala e dio solo sa se adesso non abbiamo ben chiaro il significato di oasi.
Appena fuori, però, ricomincia la bufera di sabbia.
Bruco confesserà di aver avuto molta paura e che è andato avanti grazie alla nostra determinazione. Lui ci vedeva meno di tutti, con il suo casco inadatto.
Nessuno vede molto, in realtà, e quel poco che si vede è color ocra.
La sabbia, in un tratto, invade a dune la sede stradale.
Alla fine ne usciamo incolumi e provati. Quanto sarà durato?
Chissà se le moto hanno aspirato sabbia oppure no.
Arriviamo a Tinerhir.
Scegliamo un hotel economico, ma carino.
Incontriamo due svizzeri che con un 4x4 si stanno girando l’Atlante.
Ci informano che la M’merir-Tamtatouche è molto difficoltosa.
Poco male, avevamo in programma di fare la via più lunga, passando da Agoudal e dal famoso passo a 2907m.
Come Tex Willer e i suoi pard dopo una cavalcata in Arizona, sentiamo la necessità di una birra gelata.
Chiediamo in paese e alla fine ci conducono in un bar seminterrato e semiclandestino.
Lì incontriamo Mumu (spero si scriva così), dalla vita piuttosto movimentata: ha girato mezzo mondo e alla fine si è sposato con una giapponese. Ha anche una figlia di sette anni. È simpatico e socievole. Parla un inglese perfetto. È tornato a Tinherir per le ferie.
L’indomani ci aspetta il mitico tappone dolomitico: uno Stelvio più un Gavia prima che li asfaltassero.
Faremo la pista “de Gorges à Gorges”.
Risaliremo le Gole del Todra fino a Tamtatouche, quindi ad Ait-Hani prenderemo la pista per Agoudal e da lì scenderemo fino alle gole del Dades. Infine, ritorneremo a Tinerhir.
Sono duecentosettanta chilometri di pura goduria mototuristica. Un centinaio sono sterrati.
“De Gorges à Gorges”, tappone di montagna (270km)
È mattina. Smontiamo e controlliamo i filtri dell’aria, per scrupolo, ma è tutto a posto. La sabbia non è entrata. I Bmwisti ci mettono 10 minuti, io mezz’ora, dovendo togliere una ventina di viti…ma non era una moto racing da deserto, la mia?
Per il tappone di oggi, mi porto tutti gli attrezzi e i ricambi che ho, più una decina di litri di benzina nelle taniche.
Gli altri viaggiano scarichi.
Partiamo, finalmente, per le gole del Todra.
Andiamo ad andatura molto flemmatica per goderci lo spettacolo meraviglioso del fiume che si insinua tra le pareti di roccia.
Scattiamo qualche foto.
Il fiume è piuttosto in secca, probabilmente non troveremo guadi sulla pista.
Arriviamo ad Ait-Hani e ci fermiamo per un sigaretta, prima di affrontare la pista.
Carmine deve stringere una vite del serbatoio, che si era allentata.
Partiamo…faccio strada.
Sono emozionato ed intimorito, ma la pista non è per niente tecnica. È godibile fino in fondo.
In un paio di punti, attraversando un villaggio, come sempre il tamarro che è in me cerca di infiammare la platea di bambini, sgasando oppure prendendo i dossi in velocità per “alzare il quarto didietro”, come si esprime Carmine, che per modi di dire coloriti non è secondo a nessuno.
Carmine, appunto, mi segua abbastanza facilmente, gli altri si attardano un po’.
Ma va bene lo stesso.
I paesaggi sono mozzafiato e quando si va in cresta o su un pendio, guardare di sotto emoziona (e mette apprensione).
La strada è facile, ma una scivolata banale dalla parte a valle della strada implicherebbe la fine (di tutto, intendo).
In certi tratti, la pista è davvero scorrevolissima e si può aprire il gas senza timore di finire di sotto.
Per qualche decina di chilometri si viaggia così, godendo di tutto: rettilinei, tornanti, paesaggio.
Ci tocca anche un “guado”: una pozzanghera o poco più, ma in questi casi le dimensioni non contano.
Incontriamo qualche gregge e qualche pastore a cavallo.
Arriviamo ad Agoudal e veniamo assaliti da una nuvola di bambini vocianti e da un paio di adulti.
Il paese, il più alto del Marocco, è molto povero. I bambini sono vestiti di stracci. Uno di loro sottrae dalla borsa di Bruco lo scotch americano. Sono abituati a vedere occidentali che con i mezzi più svariati salgono per di qua.
Andiamo a visitare la casbah, in moto, su stradine impervie anziché no.
L’ha fatta costruire un tirapiedi dei francesi, ci spiegano.
I bimbi ci tastano dappertutto e ci corrono attorno. Il rischio di investirne uno o di cadere è elevato.
Do una sgasata con la moto e il rombo di tuono degli scarichi aperti li mette in fuga.
Usciamo con qualche difficoltà da Agoudal.
Una folata di vento impressionante coglie alla sprovvista Bruco, che cade.
Niente danni all’uomo o alla moto, si è svitato solo lo specchietto.
Andavamo molto piano, eravamo appena ripartiti.
Bruco è un po’ smarrito, la caduta l’ha segnato. In realtà è solo la disabitudine al fuoristrada e alle sue cadute, spesso banali, che gli mette apprensione.
Un veterano di ruzzoloni ci fa il callo, a queste cose. Ricordo, però, che, le prime volte, risalire in moto era traumatico. E qui siamo in montagna, in Marocco, in mezzo al nulla.
In paese mi sono informato sul tratto rimanente di pista: mi si dice che è più tosto di quello che abbiamo appena fatto.
Conservo per me l’informazione…non voglio agitare Easy e Bruco.
Mentre stiamo aggiustando lo specchietto, ci sorpassa un camion.
Pensa che strano, un camion su per queste strade!
Si riparte e nel primo tratto la pista è sì più difficile che prima, ma di poco o nulla.
Procediamo così, finché non ritroviamo il nostro camion. Sorpassarlo sulla strada è impossibile, tanto più per me, con le borse laterali che ingombrano come una Smart.
Quand’ecco…accanto alla strada, sulla sinistra, c’è il letto sassoso di un fiume in secca: non ci penso un attimo, apro il gas, mi butto nel fiume, sorpasso il camion e rientro sulla strada. Un momento esaltante. Gioia pura. Libertà addirittura. Con un colpo d’occhio avevo valutato la situazione perfettamente, dove scendere nel fiume e dove risalire. Incredibile…aver valutato la situazione, intendo.
Carmine mi segue.
Dopo qualche chilometro ci fermiamo ai piedi di una salita.
Due muli, in fila indiana, ne stanno scendendo, carichi di fascine.
Vista da sotto fa piuttosto impressione.
Forse è il colore violaceo della roccia ad accrescere i timori.
Il viola non è per nulla riposante per l’occhio, anzi eccita ed in più porta male, in certe situazioni.
Se i due muli vanno in fila indiana, non dev’essere molto larga.
A lato ci sono un dirupo di una ventina di metri e una valletta, entrambi ghiaiosi e viola.
Cadere di sotto sarebbe un problema di soluzione complessa.
Aspettiamo che i muli scendano.
Uno dei due, con le fascine, picchia dentro a Carmine e quasi lo fa cadere: gli graffia lo specchietto.
Okkei.
Partiamo e andiamo a vedere.
Il passaggio, prima di scollinare, è tecnico (ci sono un po’ di sassi sporgenti), ma non difficile. Basta non guardare in giù. La strada è strettina.
Easy si ferma, ma poi riparte a spinta e ce la fa. Bruco, ancora scioccato dalla caduta, si pianta e non vuole salire. Carmine sale sulla sua moto e gliela porta di là. Il più è fatto.
Arriva, come è ovvio, il camion.
Strombazza alla grande. Vuole passare. Noi siamo ancora lì che armeggiamo con le moto.
Che coraggio transitare di lì con un camion. Passa filo filo alla montagna. Il suo passaggio ridimensiona un po’ il nostro.
Non ci possiamo far sorpassare, altrimenti è la fine: un tappo che procede a 10km/h per chissà quanto tempo.
Si riparte, si attraversa un paio di volte il fiume in secca e ci si ferma.
Easy sta arrivando e sembra in grande difficoltà, floscio sul manubrio e passivo sulla sella. È stravolto dalla fatica. Ha guidato tutto il giorno la moto di forza, anziché dare gas e fare in modo di superare gli ostacoli di slancio. È alle prime esperienze di fuoristrada, se impara qui non avrà problemi altrove.
Si decide di proseguire ad ogni costo, per non farci raggiungere dal maledetto camion.
E si va.
Decido di stare dietro a tutti, ad Easy in particolare…ma dove c’è un po’ di sasso smosso va pianissimo e ondeggia da paura.
Piccolo inciso: la parte pulita della pista è sempre quella a valle, i sassi smossi franano e si accumulano verso la parete. Occorre scegliere se viaggiare sul ciglio del dirupo o faticare sui sassi smossi.
Di norma, tutti e quattro scegliamo di faticare sui sassi smossi.
Sto pensando che se Easy si pianta in salita per qualche motivo, io mi devo fermare all’improvviso e quasi sicuramente ciò vuol dire cadere. La moto è pesante e io non tocco bene per terra.
Decido di sorpassarlo a sinistra, dal lato del dirupo.
Sono attimi di tensione, ma oggi va tutto a meraviglia. Aspettare un po’ e distanziarmi in coda non mi passa neanche per l’anticamera del cervello: non mi viene in mente, tutto qui.
Scolliniamo di nuovo e cominciamo ad intravedere, laggiù, l’inizio della gole del Dades.
La discesa è molto lunga, lenta e piena di tornanti.
Le rocce tutt’intorno a volte sono rosse, a volte verdi addirittura.
Si procede con calma e con qualche pausa per rifiatare, bere acqua e fumare una sigaretta.
In una curva cieca, sbatto all’interno, su un masso in mezzo alla strada, con la tanica di sinistra. Si piega un po’ il telaietto di alluminio, ma niente danni. Non mi fermo nemmeno.
A fondo valle, pausa.
Io e Bruco stiamo aspettando Easy e Carmine che lo sta scortando. Bruco, per fortuna, ha ripreso coraggio. Se non fosse caduto, la mulattiera l’avrebbe fatta in sella alla sua moto.
Durante l’attesa, una folata di vento mi ribalta la moto…non sono riuscito a tenerla dritta e a contrastare la pressione dell’aria.
Poco male. Niente danni…il telaietto portataniche di destra, quello riuscito meglio, si storce appena appena.
I prossimi trenta chilometri sono su una strada battuta, molto liscia…non ci sono strapiombi e ci sono poche case. Dopo chilometri infiniti di prima-seconda-prima, è l’ora di aprire il gas e non mi faccio scrupoli. Che gioia, come essere alla Dakar dei poveretti. La strada è facile non c’è pericolo che qualcuno cada.
Arriva la fine dello sterrato ed inizia l’asfalto.
Da un lato è un sollievo, la stanchezza c’è e si fa sentire.
Dall’altro muore qualcosa dentro.
Fino a dieci metri prima, sembrava naturale attraversare villaggi di pastori e salutare i bambini; sembrava naturale procedere con attenzione per evitare i pericoli, concedersi qualche derapata e qualche sgasata.
Godere, soprattutto, dell’immensità dell’Atlante.
Viaggiare nell’aria.
Adesso siamo tornati sulla terra.
Per fortuna solo fino ad un certo punto, perché le gole del Dades sono qualcosa di veramente unico ed incredibile, tanto da far impallidire quelle del Todra, pur fantastiche.
Le gole del Todra sono più a portata di mano, più familiari, ci passi in mezzo.
Le gole del Dades, per la maggior parte, le vedi dall’alto e sono davvero impressionanti le crepe ripidissime che fendono i monti.
A Boulmane Dades finisce la parte vera della giornata.
Cinquanta chilometri di rettilinei ci riconducono a Tinerhir.
È stata la giornata clou del viaggio.
Memorabile.
Siamo tutti fieri di quello che abbiamo fatto.
E ci è andato tutto bene.
Non ci sarà un’altra giornata così.
A Tinerhir, solita birra nel locale malfamato…Mumu non c’è, peccato.
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"Quando mi sono accorto di essere un Dio? Perché pregando stavo parlando con me stesso!"
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