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Vecchio 12-09-2017, 20:32   #31
Massimo
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GIORNO 9 - 13 AGOSTO 2017
Diskit - Spangmik (223 km in moto)



La meta di oggi dista circa 100 km in linea d’aria e ci porterà sulle sponde del Pangong Tso, il lago più esteso della catena montuosa dell'Himalaya, che si trova nel “far est” del Ladakh alla quota di 4250 metri di altitudine, a cavallo del confine tra India e Cina.

Il lago è bello slanciato, anzi piuttosto magro, perché è lungo 134 km e largo appena 5. Due terzi della sua lunghezza sono in Tibet (che come tutti sanno rientra nei confini amministrativi della Cina) e, pur essendo salato, a queste altitudini d’inverno ghiaccia completamente.

Tra l’altro è anche “bello assai” come direbbero i bikers napoletani e come si può vedere.



Insomma, tutt’altra cosa rispetto al Lago di Bracciano o al Lago di Garda.

Sebbene si trovi in tanta mona, la pozzanghera in questione è abbastanza frequentata dai turisti che bazzicano per il Ladakh, anche se va detto che i tour organizzati non la inseriscono di default nelle loro proposte. Diciamo che è meta per menti libere e predisposte perché non è comodissimo da raggiungere, anzi è proprio fuori mano.

Per arrivarci (e non farci mancare niente) avevamo intenzione di cavalcare in sequenza il Wari La e il Chang La, una bella doppietta di over cinquemila nello stesso giorno, così da arrivare a destinazione belli imbriaghi di curve e di marogne sterrate.

Ma… vi ricordate il sasso scritto con il sangue di ieri? Beh, quel sasso, anticipava una frana bella grossa e incerta, che ci ha costretto a mettere in opera un piano B e pure un piano C, un lusso da queste parti, dato che di solito non c’è molta scelta.

Provo a farvela semplice: per arrivare al Pangong Tso senza dover tornare indietro a Leh per la stessa strada di ieri dobbiamo per forza di cose arrivare alla frana nella Nubra Valley, poco dopo l’innesto della strada già percorsa del Kardung La. Oltre la frana in questione, ci sono due opzioni: il Wari La e il Chang La (ipotesi A) ovvero proseguire per la Valle del fiume Shyok fino a Durbuk, arrivando così oltre il Chang La (ipotesi B). Da lì in avanti la strada per il Pangong è comune.

L’ipotesi A è più lunga e impegnativa, dato che si tratta di scavalcare due passi belli alti e per di più in gran parte sterrati. L’ipotesi B invece si snoda per fondivalle piatti ed è più breve. Donato si ricordava che, nelle sue scorribande, quest’ultima ipotesi presentava però guadi impegnativi e profondi, ma ci viene riferito che ora sono stati costruiti dei ponti.

Poiché già sappiamo che, per ben che ci vada, il pick up di appoggio sicuramente non potrà passare la frana (e che quindi dovremmo guidare senza ferri e bagagli) optiamo per la soluzione più semplice e breve.

Vada quindi per l’ipotesi B. Qualora la frana non fosse superabile nemmeno con le moto, si torna indietro fino a Leh rifacendo il Kardung La. E per forza! Non ci sono altre strade. Sarà la nostra ipotesi C, ma non voglio nemmeno pensarci.

Il Wari La quindi ce lo mettiamo via definitivamente. Boccone amaro da mandar giù per me, ma la scelta, vista la situazione, è la più saggia e praticabile.

In ogni caso, tempi indefiniti e indefinibili: quindi sveglia alle cinque e motori accesi alle sei.

Partiamo a orecchie basse e in un’ora arriviamo al punto fatidico, l’ombelico di questa traversata. La strada finisce di netto in un torrente che si è portato via tutto: al posto dell’asfalto c’è il greto asciutto con sassi grandi anche come i meloni. Nessun veicolo a quattro ruote può passare, ma le moto forse sì. Il tratto in questione è lungo 350 metri.

Lo sguardo desolato e smarrito di Stefania, parla più di molte parole.



Anche se non tutti sono così preoccupati, vero Alberto?





Allora, calma e gesso! Mica siamo venuti qui a pettinar le bambole! Gambe in spalla e pedalare!

Le moto bisogna portarle a mano, o meglio a braccia, per il primo tratto…









… quindi si guida nel greto asciutto del torrente per il secondo.








Neanche a dirlo, sta roba è lavoro da uomini duri… come questi due bellimbusti



Mentre le donne, si tolgono i tacchi a spillo e indossano gli scarponi da sherpa, occupandosi di trasportare l’acqua e i ferri di emergenza: sì perché dobbiamo proseguire da soli, mentre il pick up, guidato dal nostro fido Gollum, dovrà necessariamente percorrere la lunga ipotesi C.









Alla fine della fiera non è poi stato tutto sto casino e in poco più di un’ora le nostre quattro carriole sono dall’altra parte, di nuovo sulla strada. Ci meritiamo delle uova, che Donato ci serve alla giusta temperatura corporea della gallina che le ha espulse. Buonissime!



Ritroviamo quindi l’unico nastro d’asfalto che percorre la valle del fiume Shyok, un affluente del grande Indo.





La valle è piana e livellata come un biliardo, una distesa di ghiaia accecante, che possiamo osservare anche dall’alto perché la strada guadagna un po’ di dislivello con un paio di curve.







Poi di nuovo calma piatta. Non c’è anima viva intorno (e per forza, la strada più indietro è interrotta) e regna il silenzio più assoluto.







Incontriamo solo due ciclisti, per i quali la frana (quando la raggiungeranno) comporterà ovviamente fatica zero, ma non li invidio: non sanno cosa si perdono a cavalcare questi muli di ferro.



Sono da poco passate le nove del mattino e, visto che abbiamo tempo, ci sta un salto per scaricare la tensione accumulata durante il superamento della frana.

Purtroppo ha voluto cimentarsi nel gesto atletico anche l’orango di sinistra che avrebbe bisogno di ripetizioni di salto…



Siamo tutti più rilassati e decidiamo di prendercela comoda visto che l’ipotesi B, che stiamo seguendo, è breve e facile.

C’è chi si mette in posa…



… chi si specchia…



… chi pascola tra i fiori…



… chi fotografa le mosche…



… e chi fa il deficiente.



Donato ci richiama tosto all’ordine e la carovana riparte ordinata in fila indiana.





Beh, c’è anche chi non obbedisce proprio sempre sempre… diciamola tutta.

Però, vuoi mettere poter fermare la moto in mezzo alla strada. Ma quando mi ricapita?



E’ giunto il momento per il re dei minchioni, cioè questo qui…



… di passare il testimone.



Che sia finito in buone mani? … Io dico di sì.





Però, va che contenti.







Cazzeggiando arriviamo a Agham, dove sulla destra si stacca il bivio per il Wari La. La carovana non si ferma e, facendo finta di niente, prosegue diritta per l’ipotesi B, mentre mi assale un groppo in gola: arrivare fin qui, dopo tutte le incertezze che avevamo, e saltare il passo, beh… faccio un po’ fatica a digerirlo.

Possibile che nessuno dei paciocconi che abbiamo incontrato non possa fare qualcosa?

Neanche a farlo apposta, dopo pochi metri un tizio ci informa che l’ipotesi B è assolutamente intransitabile.

Mi si illuminano gli occhi e un sorriso con tutta la dentiera mi si stampa in faccia, perché so bene che l’unica alternativa, a questo punto, è l’ipotesi A, cioè la strada del programma originario di viaggio. E mi esce un Waci Wari Wari La…

Dietro front. Il passo ora è inevitabile. Mi sento in paradiso, anche se Donato non la pensa esattamente così perché sa bene che il tempo stringe e dobbiamo arrivare prima che faccia buio.

La strada inizia a salire subito, ma quel che doveva essere uno sterrato non banale, è in realtà un nastro di asfalto nuovo di pacca. Il pacioccone ha proprio esagerato sto giro.

Più avanti però la faccenda degenera progressivamente: l’asfalto è quello di sempre e, oltre, pure finisce per far posto allo sterrato, quello di sempre pure lui.







Sarà per la solitudine assoluta, sarà perché ci tenevo un sacco a questo passo che non fa nessuno, sarà per quel che volete, ma sta di fatto che mi sento in un’altra dimensione. Felice come poche volte mi è capitato. E me la godo, come un bambino chiuso a chiave in una fabbrica di caramelle.



La parte finale della salita è un inaspettato pascolo per gli yak. C’è un silenzio quasi surreale e manca completamente qualsiasi presenza umana, fatta eccezione per qualche pastore che controlla a distanza i suoi animali cornuti.






Arriviamo così in cima al Waci Wari Wari La, che dall’alto dei suoi 5312 metri (mica noccioline) ci ricorda di volare bassi con salti, capriole e corsette.

Per cui mi limito a immortalare il momento. E che momento!









Sento questo luogo magico, come se fosse tutto mio, un regalo sognato, desiderato e prezioso.

Il momento però finisce subito. Sì, perché dobbiamo ripartire alla svelta, siamo in ritardo sulla tabella di marcia e il tempo veramente stringe.

Si volta pagina: versante sud, anch’esso sterrato nella parte alta e asfaltato in quella bassa. Si parte quindi.





Il tracciato disegna degli sghiribizzi…





… per perdere poi ulteriore quota con tornanti che, dall’alto, segnano strisce parallele.



Mi fermo e mi giro… per lanciare un’ultima occhiata al magico punto lassù, dove, per una serie concatenata di coincidenze, alla fine della fiera sono riuscito ad arrivare.



Mi godo per un ultimo istante il silenzio e lo spazio e quindi risalgo in sella.




Siamo ormai quasi arrivati in fondovalle. Compaiono le prime coltivazioni. La giostra è purtroppo finita.



In realtà non è finita per niente, perché dobbiamo superare il Chang La, il secondo cinquemila della giornata e tra l’altro, il più alto di tutto il viaggio. Ora bisogna proprio pedalare, per cui niente foto (o quasi), tanto lo dovremo percorrere all’incontrario domani con più calma.

Sarà perché siamo stanchi, sarà per l’ansia da prestazione (quella di arrivare in tempo, subito a pensare male voi), ma il tratto sterrato non è proprio facilissimo e attacca quasi subito.







Passiamo come schegge la sommità, a 5.360 metri, e ci spariamo nella discesa sul versante est, sempre sterrata e in qualche tratto non proprio agevole.





Appena incontriamo l’asfalto un tizio in infradito ci ferma: stanno asfaltando.



Questa sosta non ci voleva, ma c’è, quindi obbedienti spegniamo i reattori dei nostri bolidi.



Si riparte, ora su fondo buono.



Dallo specchietto tengo d’occhio il saltatore in erba…



… mentre saluto gli indiani che qua usano alzare il pollice (ma non il gomito perché sono quasi tutti astemi, anzi facciamo tutti).



Oltrepassiamo il villaggio di Durbuk (da dove saremmo dovuti arrivare con l’ipotesi B, fortunatamente e necessariamente accantonata) e infine arriviamo a Tangtse, importante crocevia e check point militare per il Pangong, dove un controllore rachitico, detto “il magro”, esamina in nostri permessi.

Via libera, si prosegue.

Ai margini della strada c’è sabbia e tira vento.





Inoltre dobbiamo superare parecchi guadi su torrenti incazzosi e nervosi, perché a pomeriggio inoltrato i fiumi qui si ingrossano di brutto.

Io, che sono piuttosto impedito nell’arte guadatoria, non mi diverto affatto e in più di un’occasione ho temuto seriamente il peggio: ricordo un paio di guadi profondi e melmosi e uno malefico, su un tratto in salita, dove l’acqua non attraversava la strada ma la percorreva, come un fiume uscito dagli argini, contro il mio senso di marcia.

Comunque grazie al pacioccone, che evidentemente veglia su di me, riesco a non finirci dentro, ma non trovo il tempo di filmare né fotografare.

Guado dopo guado, arriviamo infine al Pangong Tso, il tanto desiderato lago, proprio con la luce giusta.

Tiro fuori il cavalletto e mi metto in posa come se fossi un esperto guadatore con anni e anni di esperienza alle spalle.



Si aggiunge anche Alberto, che però quando vede l’acqua non capisce più una mazza. Ma si può, dico io?! Un uomo tutto d’un pezzo e guadista provetto…



Dai! Facciamo qualche foto seria, degna del momento…





Quasi seria, va.



Il lago è però veramente bellissimo…





… e soprattutto vicinissimo alla Cina (le montagne là in mezzo sono appunto Cina).




Un ultimo tratto di una decina di chilometri ci separa da Spangmik, dove si trova il nostro resort. Beh, non esageriamo, si tratta di bussolotti di cartone con due letti dentro, ma dopo 13 ore filate di moto non possiamo desiderare di meglio, anche perché di meglio non c’è.

Sono ormai le sette di sera, il sole è sceso e le luci si accendono.







Siamo tutti belli munti di fatica. Roberta non si sente bene e Antonio si infila subito sotto le coperte infreddolito e con i piedi ancora bagnati. Gli altri si dirigono in sala mensa per mettere sotto i denti qualcosa: oggi, del resto, abbiamo mangiato solo uova e frutta secca.





Ma, un momento! E Gandalf, il nostro autista, dove è finito? Siamo preoccupati, ancora non è arrivato e non riusciamo a contattarlo. E’ già buio pesto e ancora non si vede.

Arriverà sfinito alle dieci e mezza passate, con un pick up diverso. Scopriamo che ha fatto un frontale con un camion Tata sul Kardung La, fortunatamente senza conseguenze fisiche, però ha dovuto farsi venire a prendere a 5000 metri, cambiare mezzo, trasbordare i bagagli, e farsi l’altro cinquemila.

Ho dimenticato di dirvi che gli indiani guidano in effetti da bestie. Cito, a tal riguardo, le profetiche ammonizioni di Donato “per guidare in India servono tre, fondamentali, cose: un buon clacson, tanta attenzione e altrettanta pazienza. Il codice della strada, così come lo conosciamo noi, non è che un oscuro tomo di carta, buono al massimo per la toilette, in caso di necessità. Quindi tutto, o quasi, è affidato al caso e alla gerarchia veicolare. La scala del potere parte dai camion, sostanzialmente i padroni della strada. Superano nelle curve cieche e sul dritto, anche se dall'altra parte arriva qualcuno, il quale dovrà “gentilmente” farsi da parte se vorrà evitare problemi: perché loro, raramente, si spostano. Stessi comportamenti, e “diritti”, per i conducenti di auto, furgoni o pulmini. Poi vengono i motociclisti, al penultimo posto della scala gerarchica indiana. Noi, insieme a ciclisti e pedoni, siamo indesiderati Paria della strada, un fastidioso sciame di insetti, scoppiettanti, che non meritano attenzione”.

Sfiga ha voluto che capitasse alla nostra jeep, però culo ha voluto che non capitasse a noi (che sarebbe stato sicuramente peggio).

Siamo tutti stanchi e andiamo a dormire dopo questa giornata lunga e faticosa, ma anche la più grandiosa di tutte.

Il Wari La adesso non è più solo un puntino sulla mappa… grazie pacioccone.
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Massimo Adami
BMW F800GS Adventure
YAMAHA XT600E

Ultima modifica di Massimo; 24-09-2017 a 18:01
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