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Vecchio 24-04-2017, 15:49   #1
GS3NO
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Post Gli Ultimi Balcani - Motivazioni, riflessioni e dialoghi -

Gli ultimi Balcani
- Tra Ortodossi e Ottomani -



Parte 1.
La delusione dello scorso anno del viaggio tra Irlanda, Scozia ed Inghilterra, unita all'impossibilità di affrontare alcuni viaggi che ho pronti nel cassetto, ho trascorso l'autunno riflettere su quale possibile meta orientare il viaggio del 2017. Aprendo la mappa geografica mi sono accorto che esisteva un ingiustificato punto nero; non ci sono dubbi: vi va a fare un salto nella zona che è stata la nave scuola dei miei viaggi: la Penisola Balcanica. Dopo un paio di telefonate e email con il socio si è deciso, si va!

Ho consapevolezza della mia attrazione - quasi morbosa - per quella regione di mondo che è il mediterraneo, il medio oriente e ovviamente quello che li unisce: i Balcani. Insomma, quello che storicamente è materia dell’orientalismo. Ho riflettuto parecchio per arrivare alla capire il perchè di questa forza gravitazionale verso queste terre, e mi sono fatto convinto che la regione sia solo il risultato di questo complicato calcolo integrale di tutti i momenti di vita. Sui libri di storia delle elementari c’erano disegni e fotografie sul mondo sumero, assiro, babilonese, egizio, miceneo, greco, fenicio, romano, bizantino, arabo, ottomano, veneziano, et cetera e a casa della nonna materna c’erano alcune riproduzioni dei quadri di Amedeo Preziosi - o altri artisti della stessa corrente - che molto probabilmente si sono stampate nelle pagine più intime della mente. In qualche momento successivo non databile, queste, sono state rielaborate in modo più o meno fantastico, onirico e mitico. Arrivato in età adulta, dopo un viaggio in Grecia, tutto è riaffiorato così come la necessità, la vocazione quasi di stampo religioso al viaggiare tra mediterraneo, balcani e medio oriente. Consapevole di tutti i limiti legati ai paradigmi, ai topoi e alla visione più fantastica che reale, ancora oggi sono profondamente legato ed attratto da quel mondo: mi sono svegliato Orientalista.


Parte 2. La vocazione

Un pezzo di famiglia materna durante la seconda guerra mondiale è stato trasferito a Pirano/Portorose; e perciò fin da bambino sentivo i loro racconti dell’Istria, dei nomi dei paesi della zona e le loro storie di vita vissuta in quella terra. A metà degli anni 80, con i miei genitori andammo finalmente in Jugoslavia. Attraversammo la frontiera a Trieste e divenni conscio in quell'istante che stavo vivendo un’esperienza che nessuno degli amichetti dell’epoca aveva mai fatto. Mi sentivo come un esploratore ai confini del mondo che, avido, raccoglie ogni dettaglio per poterlo raccontare al rientro. L’impatto con la realtà jugoslava fu forte ma positivo; mi resi conto immediatamente che ero in un mondo lontano dal mio, un mondo diverso e da dover esplorare. Al rientro ci fu da pensare all'inizio della scuola e la mente non ripercorse più la vacanza jugoslava per un lungo periodo. Passarono circa 7 anni prima che il pensiero cadesse ancora sulla penisola balcanica.
Agli inizi degli anni 90, ormai adolescente, l'esplosione della guerra balcanica fu come uno schiaffo. Mi resi conto che nominavano luoghi in cui ero stato; luoghi che da un lato mi evocavano gioia e felicità, ma dall'altro si scontravano con la realtà le immagini trasmesse alla TV. Una guerra in Europa, in quella periferia del continente sconosciuta, lontana dai centri economici e di potere, diversa culturalmente ma geograficamente solo dietro all'angolo. Una periferia del nostro continente come lo è il Mezzogiorno d’Italia, la Grecia, il Portogallo e l’Andalusia. Ma in quella periferia è scoppiata una guerra civile che ha ricordato i genocidi della II guerra mondiale. Mi ricordo che è stato da quel fatto che ho iniziato a seguire i telegiornali cercando di capire quello che stava succedendo; ma purtroppo erano cose troppo grandi e lontane per un adolescente fortunatamente nato nel nordest.
Alla fine degli anni 90 non avevo consapevolezza del perché avessi una sorta di attrazione per il mondo balcanico; ma come una goccia scava la roccia, così la vocazione ad andare in moto nei paesi balcanici si è fatta strada dentro di me fino a portarmi a visitare la regione.
Per alcuni anni attraverso diversi itinerari, durante le vacanze estive con la moto ho visitato la maggior parte della penisola balcanica: Romania, Bulgaria, Grecia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia e Montenegro. Per diverse ragioni la Macedonia, Kosovo e l’Albania sono rimaste fuori dagli itinerari e da qui prende origine il progetto per il 2017: gli ultimi Balcani.

Parte 3. L'Albania

Per quelli della mia generazione e quella dei miei genitori l'Albania era un punto nero sulla carta geografica: Nessuno sapeva nulla, nessuno era mai entrato e nessuno era mai uscito. Questa cosa da ragazzino da un lato mi affascinava - una terra inesplorata qui vicino a me? - ma dall'altro mi dava di cui pensare. Mia madre cercava di spiegarmi che la colpa non era degli albanesi ma di Enver Hoxa. Non è che mi fosse molto chiaro all'epoca ma accettai che ci potesse essere uno che decidesse per altri fino al quel punto.

In ogni modo la più grande rivoluzione del '900 (il concetto di turismo) aveva sdoganato il mondo, reso accessibile in qualche maniera ogni angolo del pianeta; ma quella terra dietro l'angolo no. Anche la Russia e Cina comuniste avevano "pirtusi" a cui fare appello e riuscire ad andare! Ma l'Albania, no. Questo creò nei viaggiatori - e a cascata negli aspiranti piccoli viaggiatori - una sorta di Far East mentale (come lo chiama Gigi Riva) e non geografico. La cosa curiosa è che la citazione: "Per noi balcanici l'Albania è sempre stata un buco nero, un posto o un mito: tutti sapevamo dov'era, ma nessuno voleva andarci. Si raccontavano cose assurde sull'Albania. Non ci sono mai andata. L'ho sfiorata molte volte, ma non sono mai riuscita a compiere il grande passo. Ho viaggiato lungo tutto il confine, ma andare oltre... c'era sempre la sensazione di qualcosa di sconosciuto e pauroso" (Diana Bosnjak Monai).

Però ogni cosa compressa al punto giusto esplode. E negli anni '90 sappiamo tutti quello che è successo.

Da orientalista ho un debole per l'impero ottomano e il mio interesse per la penisola balcanica è la sua estrema vicinanza culturale. Durante l'impero era chiamata la Turchia l'Europa. Una delle caratteristiche peculiari dell’Albania è che è l’unico paese balcanico ed europeo dove la maggioranza della popolazione ha abbracciato la fede coranica durante la dominazione ottomana. Nonostante la religione, gli usi e costumi degli albanesi rispecchino completamente quelli anatolici, gli storici albanesi sono tutt’oggi i più attivi nell’affermare la purezza della razza schipetara, riconducendola alle antiche popolazioni illiriche e negando dogmaticamente qualunque apporto esterno. Uno tra i fatti più significativi è che nomadi e tartari furono dislocati in regioni remote e difficili da conquistare e soprattutto in Albania, dove la loro presenza rafforzava l’autorità ottomana. Come già i selgiuchidi prima di loro, anche gli ottomani compresero che occorreva inviare i nomadi alla periferia dell’impero, dove potevano risultare utili senza arrecare danno al cuore dei territori del sultano: era meglio che andassero a saccheggiare qualcun altro. Il consolidamento dello stato ottomano fece sì che buona parte dei turchi nomadi diventassero sedentari, trasformandosi in agricoltori, mentre quanti rimasero guerrieri entrarono a far parte del sistema amministrativo del timar, vivendo mantenuti dalle tasse e dagli abitanti dei villaggi e rimanendo disponibili per la guerra quando ve ne fosse bisogno. I conquistatori ottomani procedettero inoltre allo stanziamento di comuni contadini e pastori turcomanni come coloni nei territori balcanici di maggior rilievo strategico. I sultani conseguivano così il doppio risultato di infrangere l’unità delle popolazioni cristiane, agevolando la diffusione dell’islam mediante la presenza fisica di elementi già musulmani.

In ogni caso la politica degli ottomani ha contribuito a creare un paese nuovo, un’identità culturale nuova che si è staccata dall’Europa per formarne una completamente nuova. Infatti i dati del censimento albanese del 1930 riservano risultati sorprendenti: nonostante il virulento nazionalismo schipetaro sviluppatosi alla fine del XIX secolo fosse riuscito ad “albanesizzare” decine di migliaia di greci e valacchi, ben 20.000 cittadini si dichiararono orgogliosamente “turchi”. Era il canto del cigno degli ultimi ottomani coscienti di esserlo, poiché il comunismo avrebbe “convinto” chiunque vivesse sul suolo della Repubblica Popolare d’Albania a sentirsi puramente albanese.

Parte 4. Kosovo - l’impalpabile definizione.

La storia antica è comune a tutti gli altri stati della regione, ma di diverso c’è la dominazione di Stefan Namanja che nel 1180 consolidò uno stato tra Serbia, Kosovo e Montenegro. La sua dinastia si distinse per il periodo di floridità e la costruzione dei principali siti UNESCO del paese come il Monastero di Decani e quello di Gracanica.
Ma è il Kosovo ottomano che mi interessa - come d’altra parte tutta la dominazione ottomana nei balcani -. Nel 2013 Erdogan in visita a Prizren dichiara: «la Turchia è Kosovo, il Kosovo è Turchia» («Türkiye Kosova’dır, Kosova Türkiye’dir»). Apriti cielo! Ma per quanto politicamente poco felice possa essere quell’affermazione non dobbiamo scordarci che Mehmet Akif Ersoy, il grande poeta kosovaro è l’autore del testo dell’İstiklal Marşı, è anche autore dell’inno nazionale turco. Nel discorso di Prizren – in cui non a caso non si è mai fatto accenno esplicito alla religione, ma a concetti più generali di cultura e civiltà – è evidente il passaggio dall’approccio pan-islamico usato da Erdoğan in Medio Oriente, ad una diversa retorica che potremmo definire “ottomanista”, volta quindi ad esaltare il ruolo storico e culturale della Turchia nell’Europa sud-orientale. Si tratta però di un approccio estremamente ingenuo, che non tiene conto dei significati ideologici e soprattutto simbolici che nei Balcani, e specialmente in Kosovo, vengono attribuiti alla dominazione ottomana. Se infatti l’Impero ottomano ha unito politicamente la penisola balcanica per cinque secoli, favorendo in modo oggettivo il reciproco scambio culturale e materiale, ha però profondamente diviso le genti dei Balcani da un punto di vista ideologico, proprio riguardo al significato da dare a questa esperienza storica. Per alcuni popoli l’eredità ottomana è vista come uno degli elementi fondanti della propria cultura, mentre per altri essa è altrettanto importante, ma con un ruolo opposto: rappresenta simbolicamente ciò rispetto a cui l’identità nazionale si forma per radicale opposizione.

Ma il vero periodo buio per la nazione non fu nè quella medioevale nè quella ottomana ma quella a cavallo del millennio. Dopo l’atroce guerra balcanica che separò le diverse nazioni che componevano la Jugoslavia, ce ne fu un’altra a seguire che vide il governo serbo ad eliminare tutta la popolazione non serba dal Kosovo. Circa 850.000 albanesi kosovari furono costretti a fuggire. L’intervento NATO è storia nota, i bombardamenti all’uranio impoverito, le mine nei campi e le lotte fratricide ancora in corso. Nonostante dal 1999 con la forza si proclamò il Kosovo indipendente, il riconoscimento di molti organi istituzionali sovranazionali ad oggi la Repubblica Serba non riconosce la secessione.

Parte 5. Macedonia

Il territorio dell'attuale Repubblica di Macedonia ha fatto parte, durante i secoli, di numerosi Stati e imperi antichi. La Peonia, l'antica Macedonia, l'Impero romano e l'Impero bizantino; nel VI-VII secolo d.C. arrivarono i primi Slavi e in seguito si formarono gli Stati medioevali di Bulgaria e di Serbia. Nel XV secolo la regione venne conquistata dall'Impero ottomano. In seguito alle due guerre balcaniche nel 1912 e nel 1913 e la dissoluzione dell'Impero ottomano, diventò parte della Serbia e fu riconosciuta come Јужна Србија (Južna Srbija, "Serbia meridionale"). Dopo la Prima guerra mondiale la Serbia si unì al neo-formato Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Nel 1929, il regno fu rinominato Jugoslavia e diviso in province chiamate "banovina". Il territorio della moderna Repubblica di Macedonia divenne la Provincia di Vardar (Vardarska Banovina).
Fino qui tutto chiaro no? Ma non è finita, nel 1941, la Jugoslavia venne occupata dalle Potenze dell'Asse. La provincia Vardarska Banovina venne spartita tra la Bulgaria e l'Italia, che al momento occupava l'Albania. Il rigido governo che le forze occupanti stabilirono nella zona incoraggiò molti slavi macedoni ad appoggiare il movimento di resistenza di Josip Broz Tito (quello che divenne poi il presidente della Jugoslavia alla fine della guerra). Dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, la Repubblica Popolare di Macedonia in Jugoslavia diventò una delle sei repubbliche della Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia.

Ma la cosa curiosa sono i nomi che questa terra martoriata ha preso, stessa terra, stesso popolo ma continua a cambiare nome:
1963 da Repubblica Federale di Macedonia a Repubblica Socialista di Macedonia.
1991 da Repubblica Socialista di Macedonia a Repubblica di Macedonia quando si separò pacificamente dalla Jugoslavia.

Entrò in conflitto formale con la Grecia a proposito del nome ufficiale dello Stato dopo la sua dichiarazione d'indipendenza, e nel 2013 la disputa persisteva. Non ho altre informazioni su come sia finita sta disputa.

Parte 6. Il Montenegro

Il nome fa riferimento al colore scuro e intenso delle foreste che un tempo coprivano le Alpi Dinariche, così come era possibile vederle dal mare. Nella maggior parte delle lingue indoeuropee non slave si è affermata la dizione veneta introdotta dai Veneziani.
Un'altra tesi suggerisce che il nome Montenegro derivi dal nome dalla famiglia imperiale bizantina dei Comneno. Si trasformò, in ogni caso, dopo l'avvento della dinastia dei Cernetic, Crnojević, o Cernojević (= Neri) in Cernagora o Crnagora (= Montenegro). Prima dei Cernetic, la nazione balcanica si chiamava Principato di Zeta (vedi al riguardo e circa la storica forma cognominale, ad esempio, la voce "Cernetic Principi di Montenegro, Serbia e Macedonia" nel volume Grb Srbije, razvoj kroz istoriju, ovvero Lo stemma della Serbia attraverso la storia di Milic Milicevic, ed. Sluzbeni Glasnik, Belgrado 1995, e altri). Un'altra tesi ancora fa derivare il nome dal fatto che ancora in epoca medievale l'area fosse abitata da popolazioni romanze, dette appunto nigri latini, che nel passare dei secoli si slavizzarono, come avvenuto anche in altre aree della ex-Jugoslavia.
Nel Medioevo il Montenegro, denominato Zeta, fu un principato serbo indipendente a capo del quale si avvicendarono numerose dinastie e numerosi governanti.
Quando i Turchi conquistarono i Balcani nel XV secolo, anche il Montenegro cadde sotto il loro dominio diretto, con l'eccezione della parte costiera (denominata Albania Veneta) che, dal 1420 al 1797, rimase stabilmente in mano alla Repubblica di Venezia, mantenendo anche legami e caratteristiche veneziane tuttora presenti[5].
Alla fine del XVII secolo i Turchi subirono numerose sconfitte per opera dell'Austria. L'indebolimento dell'Impero ottomano permise al Montenegro di ottenere una certa autonomia. Divenne un paese tributario dell'Impero Ottomano governato dai propri principi-vescovi (che avevano il titolo di "vladica"). Questi vladica, per quanto riguarda la loro funzione religiosa, erano metropoliti dipendenti dal Patriarcato Serbo-Ortodosso. Da allora i vladica divennero ereditari nella dinastia Petrović Njegoš.
Nel corso dell'Ottocento si ebbero varie guerre turco-montenegrine, attraverso le quali il piccolo Stato riuscì ad allargare i propri confini.
Nel 1852 il vladica, sempre della dinastia Petrović Njegoš, rinunciò alla carica ecclesiastica, conservando il solo potere temporale, e prese il titolo di principe ("kniaz").
Durante il Congresso di Berlino del 1878, il paese ottenne il riconoscimento internazionale della sua indipendenza. Pochi anni dopo il Principe poté far sposare sua figlia Elena all'erede al trono d'Italia, il futuro Vittorio Emanuele III.
Nel 1905 fu concessa una Costituzione e nel 1906 lo Stato montenegrino per la prima volta batté moneta: i perperi di rame. Al culmine di questo processo di modernizzazione, il 28 agosto 1910, il principe Nicola Petrović Njegoš di Montenegro si autoproclamò re, fondando il Regno del Montenegro.
Nel 1918 il Montenegro perse la sua indipendenza ed entrò a far parte del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. I montenegrini rimasti fedeli al re Nicola si ribellarono nel 1919, per poi essere vinti dall'esercito del nuovo Stato nel 1924.
Nel 1941 durante l'occupazione italiana fu creato un nuovo Regno del Montenegro sotto il protettorato italiano. L'Assemblea Costituente montenegrina previde la nomina di un Reggente che non avvenne mai per la sopraggiunta insurrezione. Il Governo italiano nominò inizialmente Governatore civile del Montenegro l'ambasciatore Conte Serafino Mazzolini che fu poi Sottosegretario agli Esteri nella Repubblica di Salò. Mazzolini fu sostituito, dopo lo scoppio della rivolta, dal gen. Alessandro Pirzio Biroli come Governatore militare. Dal 1945 fece parte della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, come una delle sei Repubbliche Federate.
Nel referendum del 1992 con il 95,96% dei voti, la popolazione montenegrina decise di rimanere nella Federazione Jugoslava in cui era rimasta solo con la Serbia, sebbene l'affluenza alle urne fosse stata del 66% a causa del boicottaggio dell'etnia musulmana, delle minoranze cattoliche e degli indipendentisti. Questi sostenevano che la votazione fosse stata organizzata in condizioni non democratiche.
Nel 1996, il governo di Milo Đukanović attenuò il legame tra Montenegro e Serbia. Le tensioni tra i due stati erano ancora critiche nonostante il cambio di politica di Belgrado. Il Montenegro formò la propria linea politica economica e introdusse il marco tedesco come moneta corrente, come proposto al tempo dal ministro dell'economia. Il dinaro serbo non era usato nel Montenegro tranne che da turisti.
Nel 2002, la Serbia e il Montenegro arrivarono a un nuovo accordo riguardante la cooperazione. Nel 2003, la Federazione Jugoslava venne ridefinita come "Serbia e Montenegro".
Lo status del Montenegro e, in particolare, la fine dell'unione con la Serbia sono stati decisi dal referendum sull'indipendenza del Montenegro del 21 maggio 2006, cui ha partecipato l'86,5% del corpo elettorale, cioè 419.240 votanti, a seguito del quale il 55,5% degli stessi, pari a 230.661 voti, si è espresso a favore dell'indipendenza del paese: si tratta dunque di una percentuale di poco superiore alla soglia del 55% concordata con l'Unione europea per rendere valido il referendum; in valore assoluto la soglia minima necessaria è stata superata per soli 2.300 voti. Di conseguenza, il Parlamento del Montenegro ha intrapreso le procedure legali per dichiarare l'indipendenza. L'iter si è chiuso il 3 giugno 2006 con la dichiarazione d'indipendenza, seguita e quindi confermata il giorno successivo da un analogo atto da parte della Serbia.
Le autorità del Montenegro hanno subito intavolato delle trattative con la Serbia per risolvere i problemi legati alla separazione. La Serbia, gli Stati membri dell'Unione Europea e i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno immediatamente fatto capire che avrebbero riconosciuto l'indipendenza del Montenegro, rimuovendo gli ostacoli sulla strada della nascita del nuovo Stato sovrano. Il primo Paese ad aver riconosciuto l'indipendenza del Montenegro è stata l'Islanda, l'8 giugno 2006.
Il 22 ottobre 2007 è stata promulgata ufficialmente la nuova Costituzione.
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