Ad ovest imbocchiamo la strada che esce dal paese e sale verso Redeyef, superando le gole del Seldja. Tra le montagne percorriamo un anello che arriva fino a Tamerza. Questo percorso è stato asfaltato in parte tre anni fa, il resto è lastricato con dei blocchi di cemento. Non ci sono fonti storiche precise sulla costruzione di questa pista, ma un una statua simboleggiante una mano che impugna fucile ci dice che siamo nel luogo in cui, probabilmente, nell’inverno del 1943 il feldmaresciallo Rommel, la volpe del deserto, batteva in ritirata con l’esercito tedesco, dopo la vittoria al passo di Kasserine, per preparare la difesa sulla linea del Mareth. Si racconta che quell’inverno fosse particolarmente piovoso e attraversare le montagne non era facile, il fango rallentava tutti gli spostamenti. L’esercito tedesco era allo stremo, mentre gli alleati avevano appena ricevuto rinforzi e superavano di tre volte in numero i Tedeschi.
Possiamo solo immaginare quali fossero i pensieri dei soldati tedeschi in quei tragici momenti. Gli Americani, riorganizzati dopo la sconfitta a Kasserine, incalzavano da Nord, spingendo le truppe del Reich verso gli Inglesi, che arrivavano dalla Libia. Questa pista in mezzo alla montagne gli permise di raggiungere Chebica, dove una via più sicura li avrebbe portati a sud verso Medenine a rifugiarsi nei fortini che i Francesi avevano edificato per respingere gli Italiani durante l’epoca coloniale.
Amato dalle sue truppe e temuto dai nemici, Erwin Rommel era un grandissimo stratega. Aveva dato man forte agli Italiani e filo da torcere agli alleati ma, dopo la disfatta ad El Alamein, la scarsezza di rifornimenti e la miopia di Hitler lo avevano costretto in ritirata per organizzare una più sostenibile difesa. Audace e calcolatore, non hai mai avuto simpatia per il partito e la complicità nella congiura contro il Fuhrer lo avrebbero condotto alla condanna a morte, inscenata con un suicidio. Solo alla fine della vita, scrive nel suo diario, si rende conto dell’orrore della guerra e del baratro nel quale il nazismo aveva sprofondato la Germania.
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Proseguiamo per Mides. La strada è asfaltata ma molto sporca, brecciolino e buche richiedono molta attenzione, sebbene il nostro amico Claudio con il suo RT proceda spedito.
Mides è una valle profonda, scavata in qualche milione di anni dalle acque di una piccola sorgente e dalla pioggia che ha eroso la roccia sedimentaria, in cui è facilissimo trovare fossili e minerali. La città in cima al canyon fu abbandonata nel 1969 a causa delle forti piogge che distrussero mura e tetti.
Lasciamo Claudio al suo ritorno solitario e ci dirigiamo verso Kairouan, dove arriviamo nel pomeriggio. Cerchiamo l’albergo che ci è stato suggerito e capiamo di essere nel posto giusto quando le nostre figure si riflettono sugli adesivi di club di fuoristrada che ricoprono interamente le sue porte.
Kairouan è la quarta città santa nel mondo islamico insieme a La Mecca, Medina e Gerusalemme. Unica città araba della Tunisia, non è nata infatti da nessuna preesistente città fenicia romana o bizantina. 40 anni dopo la morte di Maometto, questa regione solitaria e inospitale fu attraversata da un esercito di conquista arabo per conto del califfo omayyde Moawiya di Damasco. Una leggenda narra che l’emiro improvvisamente fece fermare l’esercito, scese da cavallo, piantò la sua lancia nel terreno presso un pozzo, poi chiamato Bir Barouta, dicendo: “qui dobbiamo stabilire il nostro kairouan (accampamento), che fino alla fine dei tempi sarà il baluardo dell’Islam.”
Patrimonio dell’UNESCO, la medina è antica e suggestiva come solo pochi luoghi sanno essere. Il celebre pozzo che secondo la fede mussulmana è collegato con quello de La Mecca, ospita un cammello che, facendo girare una ruota, solleva l’acqua che viene data ai fedeli in cambio di una modesta offerta. Si dice che chi beve quest’acqua sia destinato a fare ritorno in questa città.
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L’industria tessile e il turismo sono le principali fonti di sostentamento della provincia. Qui i tessuti vengono lavorati ancora con i telai a mano. Ci vengono mostrati i numerosi esercizi aperti sulle via della medina intenti in questo cucire e, sgranocchiando pane e dolciumi locali arriviamo alla cooperativa sociale dei tappeti. Diciamo che entrare qui con la moglie rischia di costarvi quanto l’intero viaggio, tuttavia la finezza della loro arte, raffinata in secoli di tradizione, si mostra in queste opere che ci vengono offerte a prezzi a cui nessuna donna potrà mai resistere. La cosa che mi appassiona è il fatto che la cooperativa funzioni come in Emilia da noi negli anni 50. Sentiamo discorsi tipo stipendio fisso e posto statale e ci ricordiamo un po’ dei nostri genitori. Per noi sono concetti d’altri tempi.
Lasciamo questa città alla volta della capitale, con qualche rimpianto in più e qualche euro in meno. Una sosta dal parrucchiere restituisce il sorriso ad una zavorrina con troppe ore di casco sulla testa e siamo pronti per il viaggio di ritorno.
La pianura che separa Kairouan da Tunisi scorre via veloce. Prima di partire ci facciamo ingrassare la catena da un giovanissimo meccanico, che non accetta di essere pagato.
Lungo la strada numerose bancarelle con taniche appoggiate indicano i contrabbandieri di benzina in cui è possibile acquistare carburanti algerini ad un terzo del prezzo di mercato.
Ci troviamo a Thysdrus, una delle piazze principali per l’olio d’oliva al tempo dei romani, famosa per il bellissimo anfiteatro, del tutto simile al Colosseo, poco più piccolo ma molto ben conservato. La rovina di questa città fu la crisi economica dovuta al crollo del prezzo dell’olio sui mercati della capitale. Il villaggio vicino di El Jem la assorbì completamente nel corso dei secoli seguenti.
Su questa piana, da qualche parte, sappiamo esserci Zama, teatro dell’ultima gloriosa vittoria di Scipione contro l’esercito cartaginese condotto da Annibale.
Annibale all’epoca dei fatti aveva 25 anni, guidava un esercito di 36000 uomini, e già da 16 anni viveva in accampamenti militari. La sua fama di più grande generale dell’antichità era ben meritata, avendole suonate ai Romani in lungo e in largo in Europa, fino al disastro della battaglia di Canne, dove però commise il madornale errore di lasciare in vita soltanto Publio Corneio Scipione.
I Romani di allora, diversamente da oggi, tornati a casa a leccarsi le ferite, si legavano tutto al dito e aspettavano il momento propizio per presentare il conto con gli interessi.
E così accade sei anni dopo. I due generali si trovarono nuovamente a fronteggiarsi, su queste pianure, ma questa volta Scipione aveva imparato la lezione, e con la stessa manovra a tenaglia, appresa da Annibale sull’Ofanto, fece una carneficina. Cartagine cadde, ma Annibale si salvò e Roma lo inseguì per il resto della sua lunga vita.
Arriviamo facilmente con l’autostrada a Tunisi, in tempo per visitare Cartagine, o meglio ciò che rimane dopo il tragico epilogo dell’inutile terza guerra punica. L’espansione del regno di Numidia, guidato dal re Massinissa, nei 50 anni successivi alla seconda guerra punica, non fu vista di buon occhio dai Romani, che preferirono raderla al suolo piuttosto che vederla diventare parte di un grande regno d’Africa.
Siamo finalmente nella capitale, il pomeriggio è inoltrato e seguiamo i cartelli “center-ville” per orientarci. Lungo un grosso corso trafficato riconosciamo il ministero degli interni, circondato dal filo spinato. Guardie armate sembrano voler proteggere da una nuova rivoluzione il neo presidente al suo primo giorno di lavoro.
Ci preoccupiamo come al solito di trovare un posto sicuro per la moto. Non conoscendo nulla e non avendo internet con noi, ci fermiamo in ogni hotel che troviamo sulla via. Alcuni sono economici e bellissimi, ma non hanno una sistemazione degna per la nostra cavalcatura, che dopo tutti questi giorni di fatiche non può perdersi l’ultima sera. Superiamo l’ambasciata francese, unica ad essere protetta oltre che col filo spinato, da soldati con armi da guerra e un carro armato. Gli oltre 3000 Foreign Fighters, oggi al soldo del terrorismo islamico, con passaporto Tunisi, fanno temere tutti gli obbiettivi sensibili della capitale. Senza allontanarci troppo dal centro, l’Africa Hotel, un lussuoso albergo, ci offre per un prezzo alto, ma accettabile, una camera con vista mozzafiato sulla città e una sicura dimora per la carrozza.
Attraverso l’associazione nazionale famiglie emigrate ci eravamo procurati il contatto di Fabio Ghia, suo rappresentante a Tunisi, che ci invita a cena. Si tratta di un ex contrammiraglio della marina in pensione, che dopo aver compiuto il giro del mondo in barca a vela ha deciso di stabilirsi a vivere qui, dove dimora da 14 anni. Andiamo al Circolo degli Italiani, un palazzetto dedicato alla cultura nostrana, dove il cuoco leccese, scappato dalla Libia post-rivoluzione, ci prepara degli spaghetti al filetto di orata che ci riportano immediatamente ai sapori di casa.
L’ammiraglio ci racconta della rivoluzione, costata 400 vittime tra studenti e lavoratori in cerca della dignità calpestata. Lo stesso governo che, portando scuole, elettrecittà e internet, ha reso il popolo consapevole dei suoi diritti, si vedeva accusato di averli negati per anni. Ora che le cose stanno cambiando non sembra che chi ha versato del sangue ne stia beneficiando. Parlando di integrazione tra le nostre culture si crea un momento di inevitabile ilarità quando ci racconta dei problemi avuti in una sua precedente relazione con una signora tunisina. Capiamo che i nostri modi di vivere, anche se in questo viaggio non ci sono sembrati inconciliabili, comportano delle differenze sostanziali che per essere colmate richiedono dialogo e buona volontà, quando possibile. E’ un popolo onesto e gentile, non comprendiamo a fondo queste difficoltà, ma i giornali dei giorni successivi, purtroppo sembrano confermare quanto da lui affermato.
La temuta dogana non ci crea problemi, e saliamo sul traghetto che ci riporterà a casa. Il mare è calmo e le onde ci cullano dolcemente tutta la notte. Cerchiamo di rimettere insieme le idee, abbiamo solo sfiorato la superficie di un mondo vastissimo e il desiderio di scoprirlo è ancora più forte di quando siamo partiti. Sogno di tornare, accompagnato dagli amici enduristi e di volare sopra le piste del deserto. Mia moglie se ne accorge, ma ahimè, avendo sposato un motociclista certe cose se le aspetta!