Discussione: Il mio Iran in moto
Visualizza un messaggio singolo
Vecchio 02-11-2013, 14:56   #7
alemanga
Mukkista in erba
 
Registrato dal: 05 Jul 2007
ubicazione: Padova
Messaggi: 303
predefinito

XI
Shiraz. Ovviamente prendo la strada vecchia che si arrampica sulle montagne, per scoprire purtroppo che è stata pesantemente modificata e ammodernata. Duplico il chilometraggio per niente. Arrivo nel primo pomeriggio, la città è un caos di traffico, prendo un hotel centrale lungo una strada secondaria, non ho voglia di cercare altro: l’hotel è davvero molto bello, parcheggio interno e servizio di lavanderia che sfrutto alla grande. Noto subito che è molto frequentato da arabi. Docciato e riposato mi inoltro nella città. Grande e ricca di parchi, Shiraz offre molto da vedere, ma la lascerò senza averne carpito l’anima: avrei dovuto fermarmi di più. Comincio dall’edificio fortificato attorno a cui si estende la città vecchia: all’interno un delizioso cortile con un giardino di alberi di agrumi e diverse vasche. È un posto molto tranquillo, qualcuno dorme disteso sulle panchine nascoste dagli alberi. Attorno al giardino si affacciano i padiglioni del palazzo, riccamente decorati e l’hammam restaurato. All’interno del palazzo un’esposizione di vecchie foto di Shiraz davvero interessanti. È poi la volta del bazar: pieno di negozi e un po’ turistico, non riesce ad affascinarmi come quelli visti nei primi giorni. Moschee, chiese e giardini completano la lunga passeggiata. Provo a mangiare quello che quasi tutte le persone che passeggiano hanno in mano: gelato alla panna immerso nel succo di carota. Cena in ristorante tradizionale, con l’ormai solito spettacolo di famiglie sorridenti, tavoli con tutte le generazioni riunite: nel locale un gruppo locale suona e canta canzoni tipiche, è davvero un piacere ascoltarli.

Foto 541 - 647


Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com



XII
Yazdt. La città che avevo inizialmente scartato per paura del caldo torrido che la sua posizione affacciata al deserto prometteva è rientrata alla grande nell’itinerario dopo che tutte le persone con cui mi confrontavo mi davano del pazzo a non visitarla. E meno male.
Il trasferimento è stato un po’ duro per via del caldo: niente di impossibile, il caldo in realtà non si soffre molto se si è attrezzati. Viaggiato sempre a casco chiuso: aprire la visiera significava avere un phon puntato sul viso: impossibile tenere la visiera aperta per più di qualche secondo. Però è un caldo secco: l’unica accortezza che ho seguito era bere molto dal camelbag riempito per l’occasione di acqua con sali minerali e integratori.
La strada corre lungo distese piatte e desertiche, mi sembra di essere in Africa. Un unico attraversamento di una catena montuosa rompe la monotonia del paesaggio: le montagne hanno colori splendidi sullo sfondo del cielo azzurrissimo. Imbocco una strada sterrata per scattare delle foto alle montagne e mi avvicino ad un accampamento di nomadi. Mi avvicino sempre di più fino a quando ottengo un invito a bere il tè con loro. Sono nomadi iraniani, tra i pochi rimasti dopo l’urbanizzazione. Alla fine starò con loro diverse ore e sarà dura andarmene senza accettare l’invito a cena e a dormire nel loro campo. Sotto la tenda tre generazioni e in tutto il tempo trascorso con loro non ho visto mai una donna a parte le bambine. Incontro davvero speciale, mille pensieri nella testa.
Arrivo a Yazd nel tardo pomeriggio e rimango a bocca aperta dalla sua bellezza. Un motorino con tre ragazzi sorridenti a bordo mi si affianca e facciamo due parole nel traffico: quello che guida mi fa cenno che abbiamo entrambi gli occhi azzurri e che questo ci unisce come fossimo fratelli.
Riesco a dribblare un invito in hotel da parte di un passante che dice di avere un parente che lavora in Italia: insiste che vuole farmi parlare con lui e non molla finchè non me lo passa al telefono; in un perfetto italiano vengo accolto nella sua città via cellulare e mi invita ad andare nell’hotel dei suoi amici. Io cerco di spiegare anche a lui che non serve: nella LP si parla di un paio di hotel per viaggiatori con zaino in spalla ricavati da ristrutturazioni di vecchie case tipiche ed è esattamente là e solo là che voglio andare. Alla fine riesco a liberarmi e a prendere possesso di una stanza nel Silk Road Motel.
Finalmente riesco a inoltrarmi e perdermi nei vicoli della città vecchia, fino a notte fonda. Patrimonio dell’Unesco, questo reticolato di viuzze e case di mattoni di fango seccati al sole è davvero incantevole; dietro le porte di legno decorato si nascondono i cortili e le abitazioni. Yazd è famosa anche per le sue torri del vento, che garantiscono la ventilazione e la temperatura fresca delle case anche nel periodo estivo e per essere la città della religione del Zoroastrismo. Le cose da vedere sono tantissime, anche fuori città, e mi fermerò anche il giorno successivo. Ciò che mi colpisce maggiormente di questo luogo è l’atmosfera rilassata che infonde.

Foto 664 – 831

Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com



XIII
Giornata di trasferimento verso Qazvin. Domani intendo visitare le valli dell’Alamut. 800 km verso nord, fino a lambire i confini di Teheran e risalire ancora.
Caldo davvero intenso ma non sembro soffrirlo troppo. Mentre corro lungo l’autostrada, quasi a Teheran, sotto il sole delle due del pomeriggio, mi si affianca una macchina, da cui esce un braccio che si allunga per darmi una lattina di succo di frutta, dico di no sorridendo sotto il casco, il ragazzo me la offre nuovamente. Staremo andando a 100km/h, il ragazzo mi sorride tranquillo mentre afferro la lattina e mi saluta rituffandosi in quell’inferno di calore. Anche se sono giorni che vivo a fianco a questa gente, la generosità del suo gesto non può non stupirmi.
Arrivo a Qazvin bello cotto e prendo la prima camera che trovo vicino al centro. Doccia e fuori in mezzo alla gente, a scoprire la vita di strada.

XIV
Stanotte è nato Pietro!
Parto presto e punto verso le montagne: direzione i cosiddetti castelli degli Assassini, non ne vedrò nemmeno uno dei 50 di cui parla la LP. La strada è bellissima, c’è un bel fresco mentre salgo verso il passo. Anche l’asfalto è buono e vado spedito piegando nelle curve come non faccio da giorni. Mentre scollino trovo una fitta nebbia che mi accompagna per un po’ mentre inizia la discesa. Il paesaggio da aspro e brullo diventa verde: si aprono grandi vallate piene di corsi d’acqua e di colori intensi, tra montagne possenti.
Percorro strade che attraversano villaggi pieni di vita. La giornata è splendida.
La LP indica una deviazione verso un paese di nome Andaj, descritta come amena e dai canyon spettacolari. Faccio fatica a trovarla, mi aiutano nonno e nipote in motorino portandomi fino all’imbocco della strada.
Entro in una zona incantata, qualche casetta semplice circondata da giardini, tanto verde sulle pendici di montagne. Ed ecco anche i canyon. Torrenti d’acqua limpidissima accendono i colori del verde. Salgo sempre di più, comincio a vedere i tetti delle case dei villaggi dall’alto, sembrano capre attaccate une alle altre per combattere il freddo. Percorro la strada imbambolato dalla bellezza di questa natura intatta. Raggiungo il paese indicato dalla LP, ma la strada non finisce come descritto nella guida. Vado avanti senza il conforto del GPS.
La strada sale parecchio e diventa sterrata. Attraverso diverse frane e non incontro nessuno per un’ora. Finalmente la pendenza della strada vince l’istinto della scoperta e mi convince ad ascoltare la voce della prudenza che già da un pezzo mi urlava di girare la moto. Torno verso la strada principale e dopo aver percorso la valle fino alla fine, in serata raggiungo Zanjan. Torno con gli occhi pieni di meraviglia per l’ennesimo regalo di questa nazione.

Foto 846 - 901


Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com



XV
Parto la mattina presto, ho in programma di raggiungere Tacht e Solimein attraversando le montagne lungo una strada panoramica che porta a Dandy, per poi dirigermi verso Tabriz dove vorrei fermarmi un paio di giorni prima di tornare in Italia. Purtroppo dopo circa 60 km da Zanjan la moto si ammutolisce e non ne vuole sapere di riavviarsi. Capisco subito che non ripartirà.

XVI
Scrivo sul letto in un albergo ad Erzurum in Turchia. La rottura della moto mi ha costretto al rientro: da quel momento però è iniziato un viaggio nel viaggio, fatto di tanti incontri. Cerco di descrivere velocemente il ritorno fino ad ora e le persone che ho incontrato, anche se da soli questi giorni meriterebbero un resoconto a se.
Una volta fermo lungo la strada con la moto che non da segni di vita, comprendo che l’unica soluzione è riportarla a Zanjan, tornare nell’albergo dove ho dormito e da li organizzarmi chiedendo supporto al direttore che avevo conosciuto prima di partire, quando mi aveva invitato ad andare a trascorrere qualche giorno nella sua casa sul mar Caspio.
I primi a darmi una mano sono 5 ragazzi che si fermano vedendomi trafficare sulla moto. Mi offrono subito aiuto contattando sia l’hotel da cui ero partito (le sim europee non funzionano in Iran), sia un loro amico dotato di pick up dove caricheremo la moto per tornare a Zanjan: uno di loro mi dice che è campione di lotta e che ha rappresentato il suo paese a tante gare internazionali. Arrivato all’hotel, con l’aiuto del direttore, partirò con un altro furgone verso Maku in direzione confine. Durante la preparazione del trasferimento conoscerò Rameza, un ragazzo iraniano che gioca in una squadra di basket per persone in sedia a rotelle: è senza una gamba, ma è una vera forza della natura! Ha giocato due anni a Milano e quindi parla un ottimo italiano, ora vive e gioca in Spagna: impossibile dimenticare lo spirito e la carica umana di questa splendida persona! Parto nel tardo pomeriggio per 8 ore di viaggio destinazione Maku a 30 km dal confine con la Turchia. Mi accompagna un personaggio che non parla una parola d’inglese ma con cui la mattina successiva ci saluteremo con un lungo abbraccio fraterno. Prima di partire contatto il concessionario in Italia: descrivo la situazione e ho la conferma che la moto deve essere assistita in una rete ufficiale. L’unica è andare ad Ankara in Turchia. A Maku incontro una splendida ragazza che parla un ottimo inglese e che mi aiuterà alla frontiera rinunciando al suo giorno di ferie: ci salutiamo ripromettendoci di vedere insieme Venezia un giorno. Superata a spinta la frontiera, una volta in Turchia saranno in tanti a cercare di aiutarmi, anche allettati dalla possibilità di fare qualche soldo. In una delle tappe tra i vari uffici della dogana conosco Michele, un iraniano con residenza in Italia che sta tornando con la sua macchina a Roma: siamo diventati subito amici, ora è nella camera a fianco alla mia. È con me da quando ci siamo incontrati, mi ha dato una mano in tutte le situazioni che si sono presentate lungo il ritorno. Al confine turco abbiamo caricato la moto sull’ennesimo furgone aperto per raggiungere Ezrurum, distante circa 400 km, da dove intendo proseguire il viaggio verso Ankara sul treno. Seduto in macchina con Michele, seguiamo il furgone ed arriviamo a tarda sera dirigendoci subito alla stazione; non c’è nessuno, solo un funzionario che ci accoglie un po’ bruscamente e che solo dopo qualche insistenza si è ammorbidito consentendomi di lasciare la moto in stazione per la notte (spingerla dall’hotel sarebbe stata dura….): è Zeki, l’unico curdo che lavora in stazione e che domani sarà determinante.
La mattina andiamo subito in stazione per fare il biglietto e scopro che la moto non può essere trasportata: il bigliettaio è irremovibile, l’unico biglietto che può staccare è il mio, la moto sta giù.
Il pensiero di trovare un altro sistema di trasporto per Ankara mi abbatte. Mi aiuta Zeki, che nel frattempo rinuncia a tornare a casa nonostante abbia passato il turno di notte in stazione e mi rassicura che tutti mi aiuteranno sia a prendere il biglietto sia a issare la mia bestia da 270kg sul treno. E cosi è stato. La stazione comincia ad animarsi e nel giro di poco tutti conoscono la mia situazione e divento l’attrazione: solito carosello di conoscenze, tè e conversazioni che vengono tradotte dall’unico ragazzo che parla inglese e che è anche motociclista. Passo il tempo che mi separa dalla partenza nel circolo dove si riuniscono i ferrovieri. È un posto davvero bello e tenuto in modo impeccabile: mi spiegano che li casca e si rifà un governo almeno tre volte al giorno. Pago direttamente il capotreno: alla fine 1000km per me e la moto mi sono costati 40 euro!
A mezzogiorno carichiamo in due minuti la moto sul vagone cargo del treno: mentre ancora la sto assicurando alle pareti, il treno parte e ho appena il tempo di salutare e ringraziare tutti, mentre Michele (che non c’è stato verso di convincere a proseguire il suo viaggio) continuerà a scortarmi fino a che non avrò risolto il problema e farà la strada per Ankara in macchina.

XVII
Il viaggio in treno è stata un’esperienza indimenticabile. Per tutto il percorso il treno ha viaggiato con i portelloni aperti e ho potuto godermi il paesaggio seduto con le gambe a penzoloni (con un paio di brividi cause piante poco potate…). Posso solo dire che non abbiamo fatto un rettilineo in 24 ore per spiegare la meraviglia e l’emozione di questo lungo e tortuoso trasferimento. Il treno percorre naturalmente il territorio, senza gallerie o ponti: quindi salite, discese, curve disegnate attorno a colline e montagne. Villaggi sperduti, campagne gialle infinite, fermate in borghi con qualche anima che vaga attorno al treno che letteralmente entra tra le case, canyon, valli, passi, altopiani. In alcuni tratti embra di essere in un film western. Il panorama è selvaggio e primordiale ed io dentro questi paesaggi desolati mi sento a casa, perché li ho dentro da sempre. La notte ho dormito in sacco a pelo vicino alla moto. Pranzo colazione e cena con qualche biscotto e un filone di pane acquistato prima di partire: fiumi di thè offerti dai controllori che venivano a fumare dentro il cargo (ecco il perché dei portelloni aperti…).
Alle 12 arriviamo a Ankara e tra lo stupore generale tiro giù la moto. Daniele (il papà di Pietro), che mi assiste dall’Italia, ha procurato il trasporto verso il concessionario e allertato il capomeccanico che trovo li ad aspettarmi. La diagnosi è rottura della pompa della benzina: non ne hanno un’altra simile e farla venire dalla Germania significa aspettare troppi giorni. Si parte verso una zona industriale dove mi spiega il meccanico (non ricordo il nome mannaggia!) troveremo sicuramente qualcosa da mettere dentro la moto che svolga il compito della pompa! Passano pomeriggio e serata. Tè e chiacchiere con miriadi di persone, tutte che prendono a cuore il mio problema abbandonando quello che stavano facendo. A mezzanotte raggiungo l’albergo vicino al concessionario in moto!
La mattina alle 8 parto e dopo 48 ore sono in Italia.

Foto 940

Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com
Uploaded with ImageShack.com

Ultima modifica di alemanga; 02-11-2013 a 22:03
alemanga non è in linea   Rispondi quotando