IX
Parto per Isfahan puntando verso le montagne che s’intravedono appena fuori Kashan: la strada migliore sarebbe un’altra, più veloce e dritta, ma decido per una strada tracciata da casa, che attraversa una catena montuosa, tutta curve e passi.
Purtroppo dura poco e dopo aver attraversato piccoli villaggi dove si coltivano i datteri e scollinato circondato da montagne colorate, mi dirigo verso la città che tanti descrivono come la più bella dell’Iran, al punto che da secoli è definita “l’altra metà del mondo”. Dopo averci passato tre giorni non posso che essere d’accordo: visitarla sarà un’esperienza culturale ed estetica unica. La città è un vero capolavoro. Arrivo verso metà pomeriggio, mi fermo in un hotel centralissimo e decisamente lussuoso rispetto ai miei parametri: spenderò la bellezza di 24 euro a notte, una follia visto che le notti precedenti non avevo mai speso più di 8 euro. Doccia, un’oretta di sonno e mi immergo nella città.
Isfahan è una città grande e molto popolata, decisamente la più turistica di quanto visitato fino ad ora. Trovo gruppi di turisti di diverse nazionalità, anche arabi ed iracheni. La LP la definisce gioiello del mondo islamico e perla dell’antica Persia, una Roma d’Oriente, sito Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità. Difficile non rimanere colpiti dal fascino che emana o indifferenti di fronte alla maestosità delle sue moschee o della enorme piazza dell’Imam, vero simbolo nei miei pensieri dell’Iran. Comprendo perfettamente quanto scrive Robert Byron, quando definì la città come “uno di quei rari luoghi, come Roma o Atene, dove l’umanità trova comune sollievo”
Da vedere assolutamente in più giorni, diventa famigliare già dopo 24 ore. Al momento di lasciarla certe vie o angoli mi erano già cari.
Ho cercato di viverla il più possibile e non solo da turista, cercando i ritmi dei suoi abitanti e confondendomi tra loro anche nei luoghi meno famosi.
Tantissime le cose da vedere, tra cui alcune imperdibili: la moschea del Jameh, museo a cielo aperto e compendio di tanti stili; Imam Square, il giardino della città e suo cuore pulsante, che la sera diventa un’enorme prato da picnic; le due moschee che vi si affacciano, in particolare quella soprannominata “delle Donne”; il palazzo Ali Qapu, sempre sulla Imam Square. Da vedere anche i ponti antichi, disposti su più livelli e altro simbolo della città: luogo di aggregazione ed incontro degli abitanti di Isfahan, sono davvero unici per la loro bellezza.
Cammino a lungo per i vicoli attorno alla piazza dell’Imam, perdendomi nel suo bazar e facendo incontri di ogni tipo con questa meravigliosa gente. Passo molto tempo nelle moschee, seduto sui tappeti appoggiato al muro, rapito dalla bellezza della loro architettura e delle decorazioni colorate di un azzurro intenso, scintillante sia di giorno sotto il sole e che la sera illuminato dalla luna.
L’ultima sera vengo invitato a bere il tè da una ragazza sulla trentina e siamo in piazza Imam. Dopo una corsa in taxi di ritorno dal quartiere armeno, sto passeggiando in piazza godendomi le luci del tramonto, quando, dopo essermi seduto al limite del prato, una ragazza mi propone un tè. Inizialmente rifiuto, ma poi accetto. E’ molto carina, il marito sta pregando rivolto alla mecca, e io e lei cominciamo a parlare. Arrivano i genitori e il fratello. È un’usanza diffusa in Iran quella di mangiare all’aria aperta, sopra una coperta distesa sull’erba, tutti insieme, più generazioni in armonia che chiacchierano e mangiano serenamente e senza mai alzare la voce. Parliamo a lungo, tra le varie cose mi chiede se credo in un dio, di fronte alla mia risposta si rattrista. Com’è possibile non avere un dio dentro il tuo cuore? Come non sentire il desiderio di pregare quando arriva il buio, in un posto come questo? Quando sarai vecchio sentirai il bisogno di un dio, mi dice. È realmente colpita della mia laicità, i suoi occhi sono profondi e sono pieni di spirito, nessuna ipocrisia. Il marito ha un viso aperto e occhi intelligenti, cosi come i genitori ed il fratello: mangerò con loro sull’erba, tra risate e momenti molto intensi. Ogni tanto lei butta l’occhio intorno quando parliamo, teme la polizia turistica: non è consentito alle donne parlare ai turisti. È l’ultima sera per me, e quando le spiego il mio itinerario per domani insiste che devo assolutamente vedere un posto nelle montagne dove mi sto dirigendo; scrive un biglietto da mostrare all’ultimo villaggio prima che la strada salga verso i passi più alti: la gente mi spiegherà come arrivare. Quando arriva il momento dei saluti è un peccato non poterla baciare ne stringerle la mano, il marito è una persona fortunata penso.
Mentre torno in albergo incontro ancora gente che va verso la piazza con coperte e cibo per passare la serata (sarà almeno mezzanotte). Mi dispiace molto lasciare questa città, questo gigantesco banchetto serale di una comunità di cui mi sento parte. Capisco perché nella guida turistica ci siano le istruzioni per il prolungamento del visto proprio ad Isfhan.
Questa città ti strega, stringendoti a sé e abbracciando per tre giorni il suo parente italiano venuto ad omaggiarla.
Foto 271 – 478

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com

Uploaded with
ImageShack.com