Discussione: Il mio Iran in moto
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Vecchio 02-11-2013, 14:53   #2
alemanga
Mukkista in erba
 
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Alle 8 mi fiondo fuori dall’hotel delle mosche dopo aver consumato il tipo di colazione che mi accompagnerà per tutto il resto del viaggio, anche se ancora lo ignoro: pomodori, formaggio di capra, uova e cetrioli. 40 km mi dividono dalla frontiera. Giornata splendida e tersa, la strada è vuota, sono emozionatissimo, l’Ararat con la sua imponenza mi scorta fino al confine. Sono praticamente solo, qualche camion in attesa.
Passo due check, ho il timbro sul passaporto: al terzo e ultimo passaggio, mentre guardo le foto degli onnipresenti ayatollah iraniani al di là dei cancelli che dividono le frontiere, mi mandano a un controllo ulteriore. Non capisco cosa stia succedendo: faccio notare che ho già il timbro, ho fretta e voglia di entrare in Iran, il cancello è a qualche metro. Niente da fare, mi dicono che devo fare un controllo a 2 km da li. Non riesco a capire, faccio un po’ di sceneggiata rifiutandomi di andare, alla fine un doganiere sale con me in moto e incitandomi a correre più velocemente possibile mi porta a fare il controllo dei bagagli e del mezzo che si trovano effettivamente un po’ lontani da li: il controllo consiste nel far scannerizzare la moto da uno strumento in un capannone enorme, di solito destinato al controllo dei camion. Mi fanno togliere tutti i bagagli dalla moto, staccare le valigie in alluminio e tutto quello che è possibile togliere dalla moto. I doganieri non sono il massimo della simpatia: si domandano cosa mi spinga a venire in quei posti dove non c’è niente da vedere, mi dicono che agli iraniani non piacciono i turisti italiani e cazzate del genere. Sorrido e finalmente rimonto tutto per tornare al cancello di prima. Quando si apre, un soldato in mimetica chiara mi saluta con un “welcome in Iran”. Sono davvero al settimo cielo, ma devo stare coi piedi per terra, ne ho lette di tutti i colori su questo confine.
Incomincia la trafila. Mi si affianca subito uno dei tanti individui che si guadagna da vivere alle frontiere aiutando i turisti a sbrigare tutte le pratiche dell’ingresso. E meno male perché gli uffici sono un gran casino e ed è pieno di gente che cerca di entrare in Turchia. Ha un viso molto simpatico e la voce bassa e calma. Tra un passaggio e l’altro noto in mezzo alla gente un tizio vestito come me, mi avvicino: è un motociclista italiano, non ha il carnet de passage, è li da due giorni e spera che lo facciano entrare lo stesso…auguri!
Finita la danza tra i vari uffici il simpaticone mi chiede trenta euro per il servizio: gli faccio notare che la sua richiesta mi sembra un po’ eccessiva e lui si lancia nella trattativa con passione. Gli propongo 15 euro che accetta immediatamente, mentre io mi sento un po’ mona a non avergli chiesto subito il prezzo del suo servizio. Mi consegna il documento da esibire dopo qualche centinaio di metri ad un posto di blocco.
È finita, penso. Beh, molto più veloce del previsto. Invece no.
Arrivato al posto di polizia mi chiedono si il foglio, ma con un timbro che non c’è e non mi dicono dove è possibile ottenerlo. Nel frattempo vengo accerchiato da una decina di persone che mi ululano addosso offrendo aiuto e cambio di valuta: io sono ancora un po’ seccato per i 15 euro che ho lasciato a quello di prima e assolutamente intenzionato a sbrigarmela da solo, senza l’aiuto di nessuno. Il poliziotto continua ad ignorare la mia richiesta di informazioni sul timbro, probabilmente perché vuol favorire i postulanti che mi stanno addosso e questo mi fa un po’ innervosire. Lascio li la moto e comincio a guardarmi intorno. Mi dirigo verso un paio di uffici, seguito dal più insistente dei postulanti che imperterrito continua a tallonarmi. Entro in una stanza con la scritta insurrance: il tizio non parla inglese e mi fa sedere, cerco di spiegargli che ho già l’assicurazione per il viaggio, stipulata proprio all’ambasciata iraniana in Italia, nella speranza che sia proprio quello il documento che serve ad ottenere il timbro. Ma questo non parla inglese e continua a riferirsi alla mia guida non ufficiale a cui faccio notare che non sgancerò un centesimo e che voglio fare da solo…. ma niente! Il funzionario comincia a compilare una pratica con i miei dati, ignorandomi. A quel punto perdo la calma ed alzo la voce: l’impiegato si spaventa e mi fa cenno di calmarmi, il postulante mi chiede se tutti gli italiani sono nervosi come me e dopo la mia risposta si zittisce definitivamente. Prendo i documenti e mi dirigo verso il secondo ufficio, una specie di vespasiano col condizionatore, dove esibendo il documento ottengo il timbro senza dire una parola. Finalmente esco dalla zona del confine e mi dirigo alla ricerca di una banca per cambiare i soldi.
In Iran infatti, a causa dell’embargo, non è possibile utilizzare le carte di credito, essendo tutti i circuiti internazionali in mano agli americani: questo significa doversi portare i soldi in contanti. Inoltre, fluttuando spesso il valore della moneta, è meglio non cambiare tutto subito ma se possibile farlo più volte durante il viaggio. Sulla LP avevo letto che solo nelle cosiddette “melli bank” fanno il servizio cambio per i turisti: pieno di entusiasmo anche se un po’ innervosito per quello che era appena successo mi metto in cerca di queste melli bank.
Ne trovo due e dribblando decine di persone per strada che si propongono di cambiarmi i soldi, scopro che in nessuna delle due è possibile cambiare denaro!! Evidentemente la regola delle melli bank che descriveva la Lonly non vale per i turisti, perché le banche sono piene di iraniani con i soldi in mano.
Risultato: per un qualche motivo che non mi vogliono dire, l’unica banca che cambia soldi ai turisti in città è quella del confine. Mi sento un po’ preso in giro, nessuno mi spiega il perché di questo fatto e sono visibilmente seccati dalla mie richieste di spiegazioni. Dopo aver mandato a quel paese tutto il sistema bancario iraniano, i suoi impiegati e tutte quelle persone che continuano ad offrirmi il cambio per strada sono costretto a tornare verso il confine: ai postulanti non par vero rivedermi e si ributtano su di me con il doppio della foga! Superata la prima linea mi dirigo verso la banca, stazione ufficiale di tutti i postulanti, dove vengo assalito! Non mi tolgo nemmeno il casco per non dover parlare con nessuno, entro in banca e faccio una scoperta che ha dell’incredibile: la banca pratica un tasso di cambio superiore a quello offerto dalla gente per strada. Incredulo penso di aver capito male: prendo un postulante, mi faccio dire davanti all’impiegato il suo prezzo e chiedo altrettanto all’impiegato. Avevo capito bene…contratto un po’ e cambio i soldi con il “privato”. Per la seconda volta nella mattinata mi sento un mona: avessi avuto un atteggiamento meno “occidentale che vuole capire tutto” sarei già per strada da tre ore.
Infatti sono quasi le tredici, anche per il fuso orario avanti di un’ora e mezza rispetto alla Turchia. Esco velocemente dal paese e finalmente comincio a realizzare che sono in Iran e che sta cominciando la prima tappa del mio viaggio! La tensione si allenta.
Mi guardo in giro avidamente, i camionisti mi salutano con i clacson. Mi trovo nella zona azera dell’Iran.
L’itinerario prevede infatti di percorrere il confine tra Iran e Turchia prima, con Azerbaigian ed Armenia poi: di fatto è il confine segnato dal fiume Aras, il biblico Ghion, zona zeppa di storia e via di scambio per secoli. Ho deciso di seguire questa via perché quando due anni fa mi affacciai a questa valle dal confine armeno, rimasi colpito dalla sua bellezza. La scelta è stata azzeccata: la strada è davvero splendida e scenografica. Montagne imponenti e aguzze, coloratissime, canyon tormentati dalle acque dell’Aras e delimitati da un verde intenso che contrasta con le pareti di roccia. Lungo la strada mi fermo in un hammam ottimamente restaurato.
Poco prima della deviazione per la chiesa armena di Karrisa Darreh Sham, ad un posto di blocco vengo accolto dall’unico gendarme con un calore che mi commuove. Ero passato senza fermarmi, poi, sentito il suo urlo, ho arrestato la moto per tornare indietro. Ma il gendarme non voleva controllare nulla semmai cercava la scusa per fare la mia conoscenza. Sarà il primo di una serie infinita di incontri con questa splendida gente, totalmente diversa da come viene descritta e dai preconcetti che tutti più o meno abbiamo. Mi ha offerto da mangiare, chiesto da dove venivo e cosa volere visitare in quella zona, il tutto con sorrisi e un calore umano che mi hanno stupefatto: ero ancora ad inizio del viaggio, non conoscevo ancora il popolo iraniano! Salutato il gendarme mi dirigo verso la chiesa. Immersa in un boschetto su un’altura, la chiesa armena è davvero un gioiello. Nonostante ne avessi viste a manciate due anni fa, rimango ancora colpito dalla pace del posto e dalla semplice bellezza dei luoghi di culto armeni. Peccato per i lavori di ristrutturazione in corso e per la fortificazione che ha subito nei secoli. Il sito è pieno di gente che fa il picnic all’ombra sui prati: tra questi ci sono un gruppetto di ragazzine che quando sanno che vengo dall’Italia in moto si mettono a strillare emozionate come se fossi una rockstar. Sono davvero felici di poter parlare con me ed io sono altrettanto imbarazzato di fronte alla loro schiettezza e semplicità.
Lascio la chiesa consapevole che questo sarà un grande viaggio, ma fatto di persone oltre che di luoghi.
Raggiungo Jolfa, sul confine azero. Dormo all’hotel Aras. Altri incontri segneranno la giornata: una famiglia che alloggia in hotel, con cui parlerò a lungo e che si dimostra realmente dispiaciuta quando gli rivelo che non ho intenzione visitare la loro città, Teheran; il gestore del ristorante dove ceno la sera, dove sarò l’attrazione della serata, al punto che saranno in tanti a chiedermi di fare delle foto con le loro famiglie e mi verrà chiesto di lasciare una dedica su un quaderno, vergato in tante lingue e anche da caratteri giapponesi.
Vado a nanna contento.

Foto 65 -122

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Ultima modifica di alemanga; 02-11-2013 a 21:59
alemanga non è in linea   Rispondi quotando