8° giorno: Assa - Tan Tan Plage 310 km.
Entrando in città ieri sera, il posteriore di Gianna aveva preso ad afflosciarsi lentamente e quindi prima di lasciarla partire sulla strada che la porterà a Guelmin e da lì a Tan Tan, la accompagniamo da un gommista.
La riparazione fatta a Midelt la prima sera, inserendo una camera d'aria nel tubeless ferito da un piccolo squarcio di 2 centimetri, non è stata completa. Abbiamo dimenticato di far mettere un Tip Top all'interno dello pneumatico e così i labbri sporgenti verso la camera l'hanno danneggiata lievemente. Smontato il tutto il gommista vulcanizza la perdita con una pressa dotata di ferro da stiro e applica una pezza con il mastice all'interno del copertone per evitare che danneggi ancora la camera d'aria.
Da qui partono due piste, la prima che seguendo la Draa sale sui rilievi del Jebel Guir e la seconda che oltrepassato il Jebel Ouarkziz prende lungo l'oued Tigsert, piegando alla fine verso Nord per aggirare il Jebel Rich e scendere quindi fino a Tan Tan. Questa è conosciuta come la pista Paris-Dakar, perchè da qui per forza di cose il Rally passava scendendo verso Smara per affrontare così le prima dune della Mauritania. Ovvio, si prende questa e ancora lo stomaco ha un rivoltamento pensando a quanti piloti famosi l'hanno percorsa. Una quarantina di chilometri d'asfalto ci separano dall'inizio di questa bellissima traccia che corre su un altopiano di circa 800 metri.
Mentre torno a sistemare le cinghie che reggono la tanica di benzina, noto la coppia conica di Trity che trasuda olio dalla parte inferiore. Il paraolio sta cedendo e il contenuto dei preziosi 185 cl. di lubrificante per trasmissioni rischia di dissolversi nell'arco di qualche chilometro. Ora la pista è diventata un largo terrapieno coperto dal brecciolino e prima di prendere la deviazione nell'hammada che si apre verso nord mi fermo a controllare il livello. Nessun calo intenso per ora, ma quando vedo all'orizzonte 3 quatre-quatre arrivare dalla direzione da cui proveniamo anche noi, li fermo. Sono i francesi che erano alloggiati al Nidaros ieri sera e che questa mattina abbiam salutato alla nostra partenza. Gli chiedo se abbiamo olio per le trasmissioni e in un baleno mi esibiscono tanichette nuove di tutte le marche e gradazioni. Scelgo un Tamoil 90/90 e riempio un piccolo contenitore da tenere di scorta nello zainetto. Se la perdita aumenterà almeno ne avrò per continuare fino a Tan Tan. Dopo averli ringraziati del gentile omaggio, ci salutiamo con un "bonne route et toute a l'heure...". Loro vanno a Sud verso Smara.
Dal pistone dritto come un fuso prendiamo a navigare a mano libera tra i sassi per alcuni chilometri e dopo aver attraversato l'oued in secca ritroviamo la pista meno battuta che punta verso ovest.
Per lunghi tratti la pista scorrevole scivola sotto le ruote, in un paesaggio segnato solo da l'orizzonte infinito e vuoto. Sulla nostra destra i bassi rilievi del Jebel Ouarkziz. L'arrivo nel piccolo villaggio di M'Sied è improvviso, inaspettato a tratti quasi inconcepibile. Le poche case, una quindicina al massimo, che ne costituiscono l'agglomerato sembrano grosse pietre di fango poggiate su una piana color ocra sbiadito. Niente corrente elettrica, una piccola costruzione quasi irriconoscibile dalle altre che funge da scuola, una manica di ragazzini che giocano con una palla nello spiazzo più grande e privo di pietre, qualche donna fuori dalle casupole che chiacchiera con la vicina.
Mi fermo e ponendo mente locale ai circa 150 chilometri che abbiamo già percorso e ai quasi 120 che mancano a Tan Tan, mi chiedo come facciano a vivere...... sopravvivere forse meglio....... resistere e ostinatamente andare avanti in questo posto dimenticato da Dio, Allah, Buddha, Shiva e tutti gli altri dei insieme.
Cavo lo zaino e mi metto a frugare. Deve essere rimasto qualcosa, ne sono certo e invito le ragazze a fare lo stesso. Alla fine saltano fuori ancora una dozzina di bic nere e blu. Da suicidio cercare di distribuirle ai bimbi... abbiamo già provato cosa vuol dire sentire le loro mani attaccate alle nostre braccia per ottenere l'agognata "stylo" e poi una volta ottenuta, vedere nasconderla sotto la maglietta o nei pantaloni che cadono a pezzi, per tornare prontamente a chiederne un'altra. Chiamo una donna e le consegno tutte a lei, osservando la distruzione immediata con la speranza che la sua onestà vada a premiare chi ha più bisogno.
Dietro di me, i bimbi continuano a reclamare a voce alta: "Monsieur... bon bon..... stylo..... un balle...". Uno a piedi scalzi sulle piccole pietre mi tira per la manica della giacca e sommessamente mi chiede: "Chaussures". Scarpe.
Risaliamo in moto e ripartiamo agitando le mani per salutare. Nella testa la parola continua a rimbalzare come un mantra. "Chaussures.... chaussures.... chaussures....". Pezzo di stronzo che non sono altro, quante ne avrei comprate con il pieno di 210 dirham di ieri sera o con i 250 per la notte, cena e colazione al Nidaros? Sono incazzato come non mai con me stesso..... a lungo prima di partire sono stato in dubbio se mettere le Zega e poter così riempire con cose che potessero essere utili quaggiù. Poi la voglia di viaggiare leggeri, di non avere impicci nel fuoristrada, ha avuto la meglio e la mia coscienza s'è ripulita con 100 miserabili BIC nere e blu e una ventina di block notes. Solo ora riesco ad immaginare Luca a cavallo della sua moto in un viaggio simile, in un villaggio simile, con bambini del tutto uguali a quelli di oggi e la sua impotenza, la sua rabbia, la sua voglia di fare qualcosa di più e abbandonare gli abiti di un turista inconsapevole ed indifferente. BAMBINI NEL DESERTO. Non poteva scegliere nome migliore per la Ong che avrebbe fondato.
L'altopiano sta per finire e lentamente cominciamo a scendere aggirando il Jebel Rich.
Alla fine della pista il villaggio di Tilemsen dormicchia a mezza costa. Avremmo voglia di un tè ma non c'è traccia alcuna di locale pubblico e così inforchiamo la strada che porta verso Tan Tan.
A pomeriggio inoltrato siamo in città e la tanto sognata sosta a base di panino e coca arriva sul vialone principale.
Ancora qualche chilometro di goudron ci separa dalla meta. Ma all'uscita verso sud il Chief de Brigade de Gendarmerie locale mi ferma e in rapida successione mi chiede tutti i documenti. "Ces sont 700 dirham par chaque moto! Vous n'avez pas respectée le Stop.". "Ma quale cazzo di stop, quella di 100 metri prima era una rotonda a cui noi diligentemente ci siamo avvicinati con un filo di gas rallentando e ripartendo visto che era libera la nostra destra", rispondo io. Mi prende e mi indica un'auto che arriva allo stesso punto, si ferma e dopo alcuni secondi riparte. Gli Stop in Marocco sono rappresentati da un un ottagono rosso con una scritta in arabo, nessuna linea bianca a terra come da noi. E il codice vuole che il motociclista si arresti, posi il piede a terra e riparta dopo un attimo. Imperterrito e determinato estrae il blocco per le contravvenzioni di 1° grado: i miei tentativi di riduzione della tariffa non hanno effetto e con un sorrido compiaciuto mi comunica lo sconto comitiva, tre al prezzo di uno. Poi comincia a scrivere i miei dati sul verbale.
Mezzora dopo entriamo al Sable d'Or dove la Gianna ci aspetta con il 1200 parcheggiato di fronte al bungalow che dista 200 metri dalla spiaggia. Tutina d'ordinanza e sandali ai piedi sembra una delle tante pensionate europee che qui vengono a svernare con i mariti ed i loro camper da 6 metri.
Caviamo le borse e subito scendiamo in riva al mare a fare le foto di rito. Tan Tan Plage e l'Atlantico sono lì sotto i nostri tasselli, la soddisfazione per essere arrivati è tanta e l'unico cruccio che la offusca sono le nubi basse che nascondono il tramonto.