Sono entrato in Russia, ma in realtà mi trovo nel mezzo dell’Ossezia del Nord (Repubblica autonoma della Russia); raggiungo facilmente la capitale Vladikavkaz e noto molte bandiere delle Repubblica, in luogo di quella russa.
Molte macchine hanno anche una targa diversa, riportante la sigla RSO (Respublika Severnaia Osetiya-Alaniya); è evidente che qui l’autonomia da Mosca è più sentita.
Proseguo lungo la M29, direzione di Beslan, e lo stomaco mi si contrae; sono infatti alla ricerca della scuola pubblica che nel settembre 2004 venne tenuta in ostaggio da parte di un gruppo di guerriglieri ceceni.
Un totale di 1127 tra bambini, insegnati e genitori trascorse tre lunghi giorni all’interno della scuola; 334 persone persero la vita (di questi, 186 bambini), oltre a 11 poliziotti e 31 sequestratori.
Trovare la scuola non è facile. Chiedo ripetutamente in giro; o non riesco a farmi comprendere o l’avvenimento è tanto triste che la gente preferisce non pensarci. Alla fine, trovo una signora di mezza età, sorridente – fino a quando non gli chiedo della scuola; allora si incupisce, abbassa la testa e mi indica la direzione da prendere.
La gioia per aver trovato il confine aperto ha lasciato il posto ad una profonda tristezza – entrare nella scuola e vedere le foto dei bambini appese al muro non è facile.
Definirla una strage è forse riduttivo; una mente malata non avrebbe mai potuto ordire un simile gesto.
L’attacco è stato infatti voluto, pianificato, e non da un singolo, ma da un gruppo – la scelta della scuola non è stata casuale, è servita per ampliare il messaggio, un messaggio di orrore e di dolore.
Correttamente le autorità locali hanno deciso di onorare il luogo, inglobandola struttura in un mausoleo di vetro.
E prevedendo di costruire, nei paraggi, una chiesa.