Discussione: Fernweh 2011
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Vecchio 24-06-2011, 23:16   #22
Prinz Eugen
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predefinito Domenica 29 maggio: Ahlat-Igdir

Piove, ma questo non ci impedisce di consumare una abbondante - se non ricca - colazione nel disadorno grande salone dell'hotel. In effetti la sensazione di squallore aumenta con l'aspettare che la pioggia smetta o almeno diminuisca d'intensità: scopriamo una sala con un tavolo da ping pong, ma non ci sono palline e racchette e ci adattiamo quindi a giocare - abbiamo già addosso la tuta da pioggia - sul macchiato panno blu di un biliardo (strano, non è verde, forse qui usano così), con tre palle ed una sola stecca. Ma c'è eccitazione nell'aria, oggi vogliamo arrivare a Dogubayazit, ai piedi dell'Ararat, che abbiamo intravvisto ieri sera. Così partiamo che pioviggina ancora e ben presto il tempo ci dà ragione, virando la giornata decisamente al bello.
Un sacco di chilometri costeggiando il lago, qualche rischio per automobilisti indisciplinati e pericolosamente distratti, l'incontro con un motociclista turco con mocassini portati a ciabatta ed una moto cinese stile Easy Rider: la strada scorre veloce e ci porta ad uno dei momenti più intensi ed emozionanti dell'intero viaggio. Bivio a Ercis, in prossimità di un bar pieno di gente. E' Antonio che va a chiedere informazioni, Aldo ed io rimaniamo sul ciglio della strada, ma ci mette un sacco di tempo, le sue cicche arrotolate non devono aver fatto il solito effetto e decidiamo di avvicinarci. Ci troviamo nel bel mezzo di una festa di matrimonio, con un sacco di invitati, gli anziani seduti in fila a prendere il sole, le donne raggruppate insieme in disparte, le ragazze più giovani che ridono e si coprono la bocca con aria civettuola se facciamo il gesto di fotografarle, un nugolo di ragazzini che circondano noi e le nostre moto, si fanno fotografare in sella, ci chiedono timidamente ma per decine di volte "where are you from?".
Il padre della sposa, deve essere lui che paga e si preoccupa per tutto, ci invita con grandi gesti a restare, per un'oretta saremo gli ospiti d'onore. Fotografiamo tutti, gli anziani, la coppia degli sposi con i genitori, le ragazze, uomini e bambini, scene da un matrimonio.
L'emozione è al massimo - anche la nostra - quando il poadre della sposa intona quello che ci sembra un canto tradizionale kurdo: comincia timidamente, ma quando tutti fanno silenzio prende coraggio e rinforza la voce. Il ritornello (kurdum, kurdum, kurdum...ricordo) lo cantiamo tutti, noi compresi, mentre Antonio riprende tutto con il telefonino. Solo qualche anno fa ci sarebbe stata la prigione per una cosa del genere e forse non è così semplice neppure adesso. Il ricordo di quell'uomo semplice che canta emozionato in mezzo alla sua gente e le nostre voci che si uniscono alla sua mi emoziona ancora adesso. In questa festa ho incontrato il ragazzino "che mi ha tenuto il casco come fossa una reliquia": non ci rivedremo mai più, ma vorrei tanto che sapesse che non l'ho dimenticato. In questa festa abbiamo incontrato Ananut, "i cui occhi scuri hanno portato emozione e smarrimento in quelli profondi di Aldo". So che anche lui non se n'è dimenticato.
Siamo ripartiti salutando a lungo, ognuno preso e perso nelle sue sensazioni, perchè ci vuole tempo affinchè l'emozione si affievolisca e lasci spazio per altri pensieri.
Lunga strada in salita con ampi curvoni, poveri agglomerati di case, mandrie di mucche, colline verdi ma nemmeno un albero. Mattoni di terra, ci pare, messi a seccare al sole: ci accorgiamo subito che non è terra ma letame, che una volta seccato sarà un ottimo combustibile per l'inverno, che qui deve risentire in pieno dei venti gelidi provenienti dalla Russia e deve essere terribile. Ancora prati punteggiati di rocce e sassi, un passo di 2644 metri oltre il quale l'Ararat si presenta in tutta la sua magnificenza: ci fermiamo senza fiato ed è uno scoppio di allegria sfrenata, abbracci, emozione, stupore, gli autisti dei camion che suonano il clacson a quei tre pazzi che stanno facendo casino sul ciglio della strada. Un mare di foto ed un brindisi con la grappa che Aldo ha portato fin qui da Tarvisio, la grappa più buona che abbia mai assaggiato.
Dopo pochi chilometri Dogubayazit: dall'eccitazione allo smarrimento, dall'allegria allo stupore. Appena entrati in città veniamo accolti da una banda di ragazzini che dai margini della strada ci prendono a sassate: un mio accenno di nervosismo, un cenno di lasciar perdere di Aldo, proseguiamo verso il centro, questa volta con ragazzi più grandi che ci salutano mostrandoci il dito medio. La conferma del fatto che non siamo benvenuti ce l'abbiamo quando ci fermiamo per chiedere di un hotel e per un tè. Sguardi sfuggenti, risposte a muso duro, anche avere un semplice tè diventa un problema. Forse gli occidentali sono dipinti come "crociati" - siamo a trenta chilometri dall'Iran - forse siamo portatori di un'immagine di ricchezza che offende la loro povertà, forse non accettano il nostro stile di vita: dopo aver tanto sognato questo momento ci sentiamo depressi, la voglia di passare qui la notte se n'è andata, decidiamo di muoverci da lì. Ci fermeremo a Igdir, ad una sessantina di chilometri: ci voltiamo spesso a salutare l'Ararat, e sono saluti di gente delusa e sconfitta.
Igdir ci riserva altre sorprese: in cerca di un hotel ci fermiamo al secondo tentativo. Camere così così, ma il bagno è in condizioni preoccupanti, per raggiungere il terzo piano dobbiamo salire al quarto e scendere di un piano, dove ci imbattiamo in una prosperosa signorina bionda avvolta in un asciugamano: siamo capitati in un albergo che ospita prostitute (russe, credo), un "puttanaio turco" commentiamo sconcertati e divertiti. Mi faccio la doccia senza toccare in giro ma ridendo come un matto ed anche adesso non riesco a trattenere un sorriso divertito.
La città è frequentata da "bad people", ci dicono in un negozio, ma a parte un energumeno che se la prende con il mio orecchino non abbiamo noie. In compenso riesco finalmente a trovare un calligrafo che mi decora artisticamente due piatti: non sono versetti del Corano ma i titoli di due canzoni in inglese, però fanno la loro porca figura e sono unici, tutti per me.
Passiamo la serata a far commenti sui frequentatori dell'albergo, a valutare il loro atteggiamento, a misurare il loro comportamento "prima" e "dopo": molto istruttivo ed oltremodo divertente. Le moto, parcheggiate davanti all'hotel, con tutto quel viavai sono al sicuro. La nostra notte balla al ritmo della musica della discoteca del secondo piano (chi se lo poteva immaginare!): nonostante una giornata stancante cominciamo a dormire verso le due.
Giornata lunga: buonanotte, si fa per dire.
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