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Pivello Mukkista
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Sabato 28 maggio: Mardin-Ahlat
Sveglia presto, ormai ci siamo abituati: ma oggi riceviamo in dono la luce della mattina di Mardin, una luce dorata che ammorbidisce tutti i contorni e rende più dolce da guardare ogni panorama. Deve essere così nel deserto, forse anche per questo ci sentiamo attratti dal proseguire "per di là". Ed in effetti, almeno un pochino, "per di là" ci andremo, L'uscita dalla città è facile, il nostro albergo è nella città nuova e la razionalità dei nuovi quartieri ci facilita almeno un poco le cose. Scendiamo dagli ultimi colli e ci inoltriamo ancora a sud - sempre in Turchia - verso la pianura mesopotamica. Da Akinci la strada corre per un centinaio di chilometri lungo la frontiera con la Siria, affiancata da una linea ininterrotta di reticolati e di torrette di osservazione. Anche se siamo un po' a corto di notizie, sappiamo dei problemi in Siria, ma da qui la situazione sembra tranquilla e nulla lascia presagire l'esodo di profughi di una settimana più tardi. A Cizre attraversiamo il Tigri - ci impressiona più la fama che la larghezza - e viriamo decisamente a nord, verso Sirnak, Siirt ed il Lago di Van, in un territorio che si fa via via più montagnoso. Incominciano i controlli della Jandarma, una sorta di polizia militare, sono numerosi i posti di blocco presidiati da autoblindo con la torretta della mitragliatrice minacciosamente puntata verso la strada: subiamo un controllo, ci prendono i passaporti e controllano in una casermetta lì accanto, ma tutto sommato sono molto tranquilli, professionali, e perdiamo poco tempo, giusto quello che ci vuole per un tè. Dopo Sirnak la sosta in un bar sperduto tra i monti ci riserva una piacevole sorpresa. Dopo un minuto siamo circondati da gente sorridente, allegra, con la quale passiamo - quando si sta bene ci si intende più facilmente - una piacevole mezzoretta. Sono kurdi, uno di loro ricorda ancora la vicenda Ocalan e perfino il nome del politico italiano che vi ebbe parte: D'Alama, dice lui, e unisce i polpastrelli delle dita di una mano verso l'alto, che in Turchia significa "molto buono", "ok". Così, dopo le nostre Bmw, in Kurdistan anche D'Alema è ok: se non altro qualcosa di diverso dagli infiniti accostamenti Berlusconi-bayan (donna, una parola che si impara subito, c'è scritto nelle toilettes, dall'altra parte di bay (uomo), che fanno sganasciare i turchi dal ridere.
Conosciamo Masud, che ci accompagnerà con il suo pick-up fino a Siirt, dove pranzeremo alla grande in sua compagnia, trattati come veri personaggi. Procediamo spediti su una strada sconnessa e tutta curve, fa caldo, ma darci dentro un pochino è di grande soddisfazione. Questo non ci impedisce tuttavia di ammirare il panorama, ma anche il dramma di una grande miseria, con villaggi poverissimi e bambini che rovistano nella spazzatura abbandonata ai bordi della strada. Rimane, di questa giornata, oltre al nostro amore per la Turchia, anche l'amarezza per ciò che abbiamo visto e l'affetto solidale per il popolo kurdo.
Quasi all'improvviso siamo al Lago di Van. E' sera, dirigiamo per Ahlat, eletta a tappa di giornata, quando all'orizzonte emerge dalla bruma della sera un fantasma bianco coperto di neve e di nuvole: il monte Ararat. Accelero e mi affianco ad Aldo per vedere che anche lui ride sotto il casco, proprio come me, scrollando le spalle dalla gioia.
Serata ad Ahlat, città un po' turistica e molto agricola, a goderci l'ennesimo kebab e quattro chiacchiere con un paio di studenti curiosi di novità. Dicono di creder in Patria, Religione e Bandiera. Pensiamo che magari ci sarebbe anche la questione curda, ma ci convinciamo a lasciar perdere. Siamo a casa loro, meglio così.
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