Sempre attorniato dal solito paesaggio si continua a risalire la strada che più o meno costeggia il tratto di mare che separa Svezia e Finlandia, dopodiché abbandono la E4 per proseguire all’interno verso nord.
Tre chilometri prima del circolo polare, lo Zumo decide erroneamente che è giunta la sera e passa in modalità notturna. Poco male, aggiusto l’illuminazione e tutto torna come prima, un po’ però girano le scatole perché a quanto pare hanno corretto un errore nel software per mettercene un altro.
Peggior sorte avrà un motociclista tedesco incontrato più avanti, il navigatore del quale si spegne definitivamente in Norvegia esattamente alla stessa latitudine senza speranza di essere resuscitato.
Foto di rito all’attraversamento del
Polcirkeln (ad essere proprio pignoli la prima vera fuffa del viaggio, in quanto la linea del circolo polare cambia in continuazione in seguito allo spostamento dell’asse terrestre, ma comprendo che muovere ogni anno cartello e chiosco annesso sarebbe cosa complicata), con le prime due renne incontrate che sembravano quasi volermi dare il benvenuto. Pur avendo piovuto da poco la temperatura resta sui 23-24 gradi, di polare c’è veramente ben poco e mi viene quasi voglia di entrare al chioschetto a prendermi un gelato.
Polcirkeln
Fin qui il traffico è stato molto sostenuto, solo oltre il circolo polare trovo meno gente per strada ma unicamente perché comincia ad essere tardi e la gente è già a casa con le gambe sotto il tavolo.
Mentre proseguo ripenso ad un post dove si raccontava che “quando gli svedesi rifanno le strade,
le tirano su e ne rifanno 30 chilometri alla volta” e mi dico “beh, per fortuna mi è andata be…” ma non faccio in tempo a terminare la frase perché qualche centinaio di metri più avanti intravedo il turpe cartello con l’omino che impugna la pala e mentre mi avvicino cerco di capire cosa voglia dire la cifra riportata sotto: 19,6.
Ma dopo la successiva curva non posso fare altro che constatare: ho davanti quasi venti chilometri senza asfalto, le prime centinaia di metri di sterrato sono ancora più che agevoli ma in capo a qualche minuto la cosa diventa quasi drammatica, non si può più parlare di strada, è una specie di massicciata con pietre grosse anche come pompelmi dove è appena passato un mezzo che ha scaricato ettolitri ed ettolitri d’acqua rendendo paludosi i pochi tratti senza pietraia.
Il Transalp con tutti i bagagli è a tratti quasi ingovernabile, non so se andar piano o tentare la sorte aumentando il passo, ma l’idea di una possibile caduta non mi va molto a genio, quindi proseguo con prudenza cercando di tenere a bada la moto trasformatasi in un bisonte bolso ed ubriaco.
Fa un caldo pazzesco, condito con un’umidità che mi ricorda Milano in agosto quando si respira a fatica, sono in un bagno di sudore ma fermarsi per levare qualcosa è impossibile:
loro sono lì ad aspettare fameliche (ma non dovevano esserci solo in Finlandia?), milioni e milioni di zanzare frutto del caldo dei giorni scorsi che non aspettano altro che un donatore, basta arrestarsi un secondo che immediatamente cercano di infilarsi dappertutto, nel casco, negli occhi, nel naso, impressionante.
Dopotutto ho un enduro... a che serve la strada?
Superata la prova dello sterrato a sorpresa, che ha donato alla moto uno strato di fango che fa molto avventura, attraverso il confine con la Finlandia senza che il
tic, tic, tic sul casco dei voraci insetti spiaccicati accenni a diminuire; il frontale del mezzo che era rimasto più o meno pulito in breve è coperto da una disgustosa poltiglia scura. Il rifornimento alla successiva stazione di servizio ricorda quasi una sosta ai box Ferrari, occorre essere velocissimi se non si vuole morire dissanguati.
Altra nota sulle stazioni di servizio, da menzionare il fatto che lo Zumo le conosce praticamente tutte, quindi è possibile pianificare le soste con una certa precisione senza per forza fermarsi a rabboccare ogni volta che se ne trova una. Al massimo direi che intercorrono fino a 50-60 chilometri tra due benzinai, ma anche su al nord restare senza carburante avendo un navigatore sarebbe davvero da polli.
La strada prosegue verso Kautokeino e dopo il confine che segna l’ingresso sul suolo norvegese un cartello avverte che la tranquilla statale, sulla quale fino a qualche secondo prima in Finlandia si poteva marciare senza problemi a 100 km/h, è ora declassata a strada insidiosissima, con alci e renne pronti dietro ad ogni curva ad attentare alla vita degli incauti, ergo 80 km/h.
Diminuisco a malincuore la velocità ma subito ci pensa un norvegese a ricordarmi che tutto il mondo è paese, mi supera con la sua Volvo diesel avvolgendomi in una nuvola nera e si dilegua; cerco di stargli dietro ma va ad almeno 120 su una statale che non conosco e non mi sembra il caso emularlo.
Gradualmente il paesaggio cambia, la taiga lentamente lascia il posto alla tundra e si vedono sempre meno alberi, sembra semplicemente di essere saliti di quota in montagna.
Finnmark
A Kautokeino c’è un campeggio ma le zanzare sono sempre lì, così decido di proseguire ulteriormente. La statale attraversa una zona che sembra essere relativamente isolata ma, guardando bene, pali della luce, ripetitori ed antenne della rete cellulare mi ricordano che non sono certo in mezzo ad un deserto e persino lassù nel Finnmark ad ora tarda si incrociano altre vetture. Certe zone di campagna della pianura lombarda, tanto per fare un esempio, sarebbero più “solitarie” che non qui.
La ragione mi dice che sarebbe meglio trovare un posto prima che faccia buio (non riesco ancora ad abituarmi all’idea che ci sarà
sempre luce) e soprattutto prima che la stanchezza mi faccia commettere qualche stupidaggine, così verso le 22 e dopo aver percorso 1050 chilometri seguo un cartello che mi porta dopo un breve sterrato ad una fattoria; il tizio parla un po’ di inglese e per 25 euro mi lascia una casa intera (8 posti), unico dettaglio non c’è acqua corrente ed il “bagno” è esterno e consta di una tavola, due buchi nella tavola (casomai si voglia condividere l’esperienza con qualcuno) e due secchi posti sotto i buchi nella tavola. Per il resto l'abitazione, costruita stando al
gjestebok nel 1965, è molto bella e confortevole.
Non aprite quella porta... o le zanzare entreranno
Il silenzio qui è totale e quasi irreale, inusuale per le mie orecchie abituate a sentire anche di notte quel costante rumore di sottofondo della città. Così come è inusuale vedere il sole scendere planando sull’orizzonte senza mai raggiungerlo, arrivando a nord nel punto più basso della sua traiettoria per poi iniziare nuovamente l’ascesa dall’altra parte.
Peccato non poter uscire dalla casa per più di 30 secondi (giusto il tempo di fare una foto) pena la perdita immediata di un paio di litri di sangue…
Fiat lux, l'oscurità è sconfitta