Ci sono cose che nella vita passano ti toccano e finiscono quando meno te lo aspetti, nonostante il desiderio di farle durare ancora. Si preparano negli anni che precedono l’incontro, senza che tu te ne renda conto. Dopo che sono finite ti stupisci della disattenzione che c’è voluta per non vedere, come ti stupirai, qualche tempo dopo, di dimenticare.
Il tamburo di latta si muove in questa dimensione, leggilo e scivola nella dimensione chiusa e ovattata dell’infanzia.
Ascolta battiti e carezze, ascolta l’odio che segue la separazione e rimpiangi di non poter distruggere il mondo con un grido. Fra questi due poli il libro costruisce se stesso. Oskar è il punto di confluenza dello spettro infantile delle emozioni e di come queste si possono nascondere dietro comportamenti che i grandi non capiscono. E poi c’è l’erotismo perverso e polimorfo dei bambini che si trasforma in una vera e propria macchina del tempo; e mentre leggi vieni trasportato nelle stanze dove, nei pomeriggi d’estate, giocavi al dottore con l’amichetta del cuore. E da quelle stanze si propaga la nostalgia dell’altrove mentre il pulsare dell’universo trascina la storia e la vita degli uomini. Quando resta su questo registro il libro e di una bellezza complessa e diventa la dimostrazione di come la letteratura possa essere la metafora più riuscita dell’esistenza.
Quando parla di storia o eventi sociali perde molto della sua forza e diventa, secondo me, descrittivista. Non percepisco il dramma che ogni elaborazione traumatica si porta con se e mi viene difficile concepire il concetto di superamento sociale di evento traumatico (ma questo è un mio limite).
Sono rimasto affascinato dalla descrizione dell’implacabilità del destino e dalla sua costante presenza laterale, dall’uso sacerdotale che viene fatto di un bambino selettivamente autistico che finisce per rappresentare tutto quello che dentro di noi non vuole crescere e che ha il coraggio di realizzare questo intento.
Poi di colpo o piano piano l’infanzia finisce e stranamente il tamburo di latta è diventato uno dei pochi libri che non ho finito di leggere. Arrivato da qualche parte ho chiuso il libro e ho dimenticato di finirlo.
Chissà se Oskar suona ancora .
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