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Vecchio 29-01-2007, 14:25   #6
ale4zon
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predefinito 16 Agosto: mercoledì. Paracas - Nazca

Prima dell’alba, ancora un po’ storditi dal pisco della sera prima e dalle poche ore di sonno, ci vestiamo come omini della michelin per salire a bordo della barca che ci porterà a scorrazzare tra gli animali delle isole ballestas. Il freddo non aiuta a rendere gradevole la sensazione di salire su un motoscafo alle 5,45 del mattino con il marasma nello stomaco. Ma incredibilmente nessuno si sente male, molti dormono, compreso me, ma neanche uno di noi si sporge dal bordo a pasturare i pesci. La traversata dura una mezzora, durante la quale ci avviciniamo per qualche minuto alla costa della penisola di Paracas per osservare il grande candelabro preincaico. Non mi azzardo in strane interpretazioni tanto le trovate in ogni guida. Giunti alle isole l’odore di guano è vomitevole. Non so se avete presente l’odore del guano, un misto di fogna, piscio e uccello morto. Il guano, appunto. Non certo l’ideale per l’ora di colazione. Lo spettacolo di miliardi di esseri che ti volteggiano attorno, che si affacciano dal pelo dell’acqua, che si tuffano dagli scogli è incredibile, nonostante la giornata grigia. E nonostante l’odore di guano. In mezzo a questo miliardo di esseri ne compaiono due che oltre ad essere esseri sono anche umani. In una condizione che tutti giudichiamo disumana. Abbandonati sugli scogli accanto ad un molo malandato, in attesa di una barca che li riporti via dopo una settimana di lavoro ininterrotto al freddo e all’umido. Per raccogliere guano, ovviamente. 5 isole, 2 km quadrati in totale, miliardi di uccelli e due persone, per una settimana a raccogliere guano. Dopodichè tornano sulla terraferma, raccolgono una cinquantina di dollari in cambio di quintali di guano, e aspettano per un paio di giorni assieme alle famiglie il prossimo turno. Vabbè, pensiamo alla nostra colazione che ci aspetta in hotel, e poi al giro in off dentro al parco, e poi alle dune di huacachina, e poi a Nazca, e poi, e poi.
Rimessi i piedi a terra finalmente un po’ di sole pallido comincia timidamente a scaldare l’aria. Caffèlatte e tè scaldano i nostri stomaci malmessi, ci dobbiamo preparare per una delle giornate più emozionanti del viaggio, e siamo in piedi già da 3 ore. Il percorso tra l’hotel e l’ingresso del parco è breve, incontriamo di nuovo le guardie della sera prima, che sempre gentilissime ci spiegano cosa possiamo e non possiamo fare all’interno. Anche se siamo in moto e sarà facile farci prendere la mano e la manetta dovremo stare attenti a non lasciare mai i percorsi battuti per non arrecare danni al fragile ecosistema. Mica vorremo fare frittatine di uovo di albatro con le nostre ruote no?
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la penisola di Paracas, e alla prima occasione siamo tutti con le ruote sulla sabbia. E’ una sabbia perfetta, che ci possiamo fare? Infatti l’umidità dell’aria le conferisce una certa coesione che aiuta a mantenere sulla linea le nostre moto, anche le più pesanti. Arriviamo ad una scogliera affacciata sull’oceano. E giù foto. Saliamo su una cresta lungo un infinito scivolo di sabbia, e giù foto. Ci perdiamo tra i mille sentieri in mezzo ad un campo di dune. E giù foto. Ben presto scompariamo l’uno dalla vista dell’altro per sentirci soli, ma in tutta sicurezza in mezzo a questo mini deserto di 300km quadrati. Incredibile come questo posto si mangi tutto: giri una duna, un piccolo promontorio e non vedi più nessuno. A un certo punto scorgi una moto in cima alla duna accanto alla tua, poche centinaia di metri, provi a chiamare ma niente. Il deserto si mangia anche la voce. E allora rimonti in sella, corri, corri fino alla prossima duna, poi, siccome quella discesina ti è piaciuta molto rigiri e la rifai e poi provi il sentiero accanto e chissà dove porta. Tutto questo dura circa un paio di ore, fino a quando ci ritroviamo sulla scogliera che chiamano la Catedral, uno strapiombo sul mare di un centinaio di metri. E qui non siamo soli. Conosciamo 4 argentini che stanno girando il sudamerica correndo dietro al vento. Con i loro parapendii si gettano dalla scogliera per galleggiare sospesi nell’aria. Non si tratta di buttarsi da un aereo, da un ponte, da un palazzo con la meta di poggiare i piedi sul suolo 1000 o 100 metri sotto. Loro la terra l’abbandonano in orizzontale, una corsetta e i piedi si staccano sul ciglio della scogliera. E rimangono lì alla stessa altezza dei tuoi occhi, come un rapace che scruta il terreno in cerca della preda. Ripiango di soffrire di vertigini perché deve essere una sensazione unica quella di galleggiare in aria. Forse assomiglia un po’ ad immegersi con le bombole, chi lo sa….
Oh, dobbiamo ricordarci che siamo motociclisti e che il nostro sogno lo stiamo vivendo anche noi e che ci aspettano ancora 4000km, quindi rimontiamo in sella! Riprendiamo la panamericana, a malincuore dopo l’esperienza del deserto, la prima per molti, e all’ora di pranzo siamo già all’oasi di Ica Huacachina. A detta di tutti nel gruppo un pezzo di Algeria in Perù. Anzi, a detta di quelli che sono stati in Algeria. Huacachina è un campo di dune alte fino a trecento metri al cui centro sorge un’oasi verdissima. Al cui centro qualche furbo imprenditore ha costruito albeghi, ristoranti e soprattutto noleggia dune buggy guidati da pazzi furiosi. Partiamo con i nostri (ne servono due per contenerci tutti) e appena superata la cresta della prima duna nel nostro orizzonte si apre un panorama infinito di dune, nient’altro che dune. I buggies corrono fortissimi, i nostri piloti si divertono a lanciarli lungo discese folli, facendo riombare i 4000cc dei vecchi motori Ford, godono a maltrattare i nostri stomaci già provati con curve in parabolica sfruttando i fianchi delle dune. E noi ridiamo istericamente. A metà del tour ci fermiamo sul bordo della duna più alta per provare qualche discesa col sandboard. Nulla rispetto all’adrenalina di quando siamo a bordo dei buggies.
Il giro finisce presto, un’ora forse. Purtroppo, perché in un attimo si viene catapultati in un ambiente completamente differente da ciò che uno si aspetta in Perù. Per fortuna, perché i primi segnali di nausea cominciano a manifestarsi. Almeno in me. Altri 10 minuti e mostravo al resto del gruppo lo stato di digestione precoce del pejerrey fritto e impanato.
Ripartiamo tardi, sono già le 17 e arriveremo sicuramente al buio a Nazca, ma oggi non ce ne importa proprio niente, tanto è stata esaltante la giornata.
L’albergo di nazca è molto bello, forse il migliore fino ad adesso, con tanto di parco e piscina. E poi è proprio di fronte all’aeroporto da dove domani decolleremo per osservare dall’alto le linee di Nazca. E ci troviamo anche un’amica di Andrea, pure carina. Io comunque finisco la serata a chiacchierare con Hugo delle imminenti elezioni e di Alan Garcia, tanto per riportare un po’ i piedi per terra. Buonanotte a tutti. Che figata questo viaggio.
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BabboAle ver. 2.0
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