Bladerunner72
14-05-2020, 21:11
Manca ancora qualche giorno ad una data che cambiò il motociclismo ma che ha anche segnato per sempre la mia vita. Avevo otto anni, e già una curiosità feroce per le moto e le corse aveva catturato la mia mente di bambino. Ancora non potevo sapere quanto quella curiosità sarebbe diventata passione e scopo di vita ma quel giorno ha dilatato le mie percezioni, mi ha segnato nel profondo. Mi ha insegnato il valore del coraggio, fino al sacrificio estremo, mi ha insegnato quanto rispetto ed ammirazione vadano riservati a questi uomini, a questi eroi. Quel dramma terribile mi ha terrorizzato e nello stesso tempo coinvolto totalmente in questo mondo e nei suoi protagonisti. Amo quel motociclismo antico, quel motorsport eroico e per questo amo il Tourist Trophy che di quel Motorsport è l'ultima espressione rimasta. Grazie alla mia passione rimasta incantata ed infantile ho avuto modo di incontrare leggende, quelle vere. Tanti di quei campioni indimenticabili hanno pagato con il sacrificio estremo la loro passione perchè allora era così, l'errore non dava scampo ed il dramma era consuetudine. Ma forse proprio quel pericolo, quella consapevolezza di poter morire rendeva quei piloti così diversi. Avevano l'anima, il cuore, e lo percepivi quando avevi l'occasione anche solo di incrociarne lo sguardo.
Da giovane ho lavorato diversi anni in Cagiva e fu grazie al 'boss' Castiglioni che ebbi l'occasione di incontrare Senna, che di Castiglioni era amico personale. Una lunga chiacchierata in cui a parlare fu praticamente solo lui. Mi incantai ad ascoltarlo e faticai a riconoscere il feroce guerriero delle piste in quel ragazzo semplice, malinconico e dai modi gentili. Parlava pacato nel suo italiano fluente che l'accento portoghese trasformava in una sorta di cantilena dolce e suadente. Mi raccontò del Brasile, dei bambini, delle difficoltà della vita lì. Poco o niente di corse, si capiva che aveva molto altro dentro, da dire e da dare. Mi regalò una spilla, gli feci una fotografia che per qualche strano caso venne benissimo e mi diede il suo cappellino, proprio quello che aveva in quel momento. Sono commosso ora a ricordare, quel primo Maggio 1994 è un'altra data che non potrò dimenticare perchè lui per me era speciale,. Ma ero grande, avevo quasi trent'anni ed ero formato e consapevole, anche se da quel giorno considerai morta tutta la F1. Per un macabro ed inspiegabile destino quello di Maggio è stato spesso un mese spietato con il Motorsport, e diversi anni prima, nel 1982, l'8 di Maggio si spense per sempre anche la stella, fulgida e breve di Gilles Villeneuve, un'autentica icona del coraggio che porto ancora nel cuore.
La maledizione di Maggio risultò fatale anche per Elio De Angelis, il 15 Maggio 1986, e per i rallisti Attilio Bettega, Henry Toivonen e Sergio Cresto, scomparsi in Corsica in due incidenti tra il 1985 ed il 1986 che recano incredibilmente la stessa data del 2 Maggio.
Una lunga premesse per anticipare un pezzo che scrissi qualche anno fa, per una testata con cui collaboro. Un racconto molto personale ma quello che stiamo vivendo è un momento particolare, i motori sono fermi, c'è tempo e modo per riflettere e ricordare ed allora... eccolo qua. Si intitola 'Gli occhi di Jarno' perchè proprio quegli occhi furono l'ultima immagine che mi restò dei due campioni.
L
https://i.postimg.cc/vTWYhMTJ/saarinen5.jpg (https://postimages.org/)
https://i.postimg.cc/ZRxsxMZf/pasolini2.jpg (https://postimg.cc/5YjmxpXv)
Gli occhi di Jarno
Mi svegliai per il consueto trafficare frenetico della mamma, puntuale anche quella mattina di una domenica di primavera. Quella domenica poi era speciale, qualcosa di sognato ed atteso con una frenesia da batticuore durata settimane. C’era il Gran Premio delle Nazioni a Monza, e si andava in autodromo, babbo mi portava a vedere finalmente dal vivo quel prodigio di coraggio e rumore che fino ad allora avevo solo provato ad immaginare attraverso le foto in bianco e nero dei giornali. Chissà da dove nasce questa passione che è talmente istintiva e precoce da apparire innata, inconscia, presente nei geni di alcuni al momento della nascita. Fatto sta che mentre gli altri bambini si interessavano di calcio e giocavano a pallone, io ero perso per le moto ed i loro eroi. A quel tempo si parlava poco di motociclismo, e quel poco riguardava quasi esclusivamente Agostini, uno che poi poteva definirsi a pieno titolo ‘un figo’. Un predestinato, uno di quelli che guardi e dici ‘questo doveva per forza essere così’. Non solo vincente ma pure bello, carismatico, capace di piacere, un precursore. Il mito è fatto anche di questo, non solo di coraggio e talento, giusto o sbagliato che sia è una legge di vita. Quindi pure io tifavo Ago, e custodivo gelosamente tutti i ritagli di giornale e le foto che lo ritraevano. E finalmente, quel mattino di Maggio, si andava a vedere Agostini. Ricordo l’ansia e la frenesia con cui vissi quelle poche decine di chilometri in auto fino all’autodromo, l’ingresso, il rumore dei motori che si scaldavano, quel caos di colori e di suoni in cui mi trovai catapultato. Quel frastuono che mi stordiva mentre tenuto per mano dal mio papà mi aggiravo per il paddock, tra i furgoncini, le auto e le moto che venivano preparate, quel fumo azzurrino e acre che annebbiava la vista e si sentiva nelle narici e nella gola. Ago non lo vidi, tutti lo cercavano e tutti lo volevano, era irraggiungibile e lontano. Vidi Renzo. Il Paso, babbo me lo indicò. L’immagine così lontana da quella di un pilota, quell’aspetto così normale, quasi dimesso, quella sigaretta, la canottiera. Un non personaggio, per scelta o per destino. Avvicinabile e disponibile, e forse per questo meno desiderato, meno mediatico come si direbbe oggi. Tanti volti, tante immagini di appassionata operosità mi passavano davanti, e durante quel mio girovagare incerto vidi anche Jarno. Lui era diverso, non solo dal Paso, non solo da Ago, lui era una cosa a parte. Trafficava sulla moto, ogni tanto alzava la testa, rispondeva a un saluto aprendosi a un sorriso gioioso, non da campione acclamato ma da ragazzo felice ed entusiasta di quella vita. Gli occhi vivacissimi e luminosi che guardavano veloci ovunque. Fui colpito dal suo sguardo, occhi che ti guardavano ma sembravano osservare altro , altrove, più in là. Ebbi la stessa sensazione molti, moltissimi anni dopo, con altri occhi di un altro campione, di una leggenda. Quelli di Ayrton. Due sguardi così diversi e così uguali, mi sono convinto che siano gli sguardi di chi, senza saperlo, conosce già il proprio destino, lo guarda senza ancora vederlo. Uno con dolce serenità, l’altro con tormentata malinconia, ma consapevoli entrambi.
E poi tutto divenne una frenesia di rumori, di lampi di velocità, di moto che sfrecciavano davanti al mio stupore di bambino, Cercavo sul rettilineo di seguire con gli occhi e con la testa per catturare tempo e spazio, sopraffatto da quelle emozioni che vivevo per la prima volta. C’era quel momento magico, quello della partenza. Un rito che pareva solenne ed antico, quegli attimi in cui i piloti avvolti dal silenzio sorreggevano le moto, ancora spente e silenziose. Quel muoverle piano avanti ed indietro, con lo sguardo fisso alla bandiera. E poi quei pochi passi, faticosi e frenetici, i primi boati, i più rapidi che sparivano in lontananza e quella nuvola di fumo in cui si stemperava il fragore. E di nuovo calava il silenzio, nell’attesa febbrile di sapere chi sarebbe stato a ripassare per primo.
Non ci fu mai, un primo.
La mente è un mistero affascinante, a volte mi riesce difficile pensare a ragione ed anima come realtà scollegate. A distanza di quarant’anni posso rivedere e ricordare tutto, ogni immagine, ogni suono, risentire lo stesso vuoto, la stessa incredula angoscia. Un’attesa ed un malessere che parvero infiniti e scesero come una cappa soffocante su tutto e su tutti, un rincorrersi frenetico di sguardi attoniti, di domande senza risposte. Piloti che tornavano ai box contromano, facendo intendere che qualcosa di tremendo dovesse essere successo. Al momento non capii. non potevo capire. Non mi vollero spiegare, ma ebbi subito chiara la percezione di un qualcosa di profondamente doloroso, una sorta di privazione che mi parve crudele ed ingiusta. Quello che avevo sempre immaginato come gioia, come un inebriante carosello di suoni e di velocità mi buttava in faccia un risvolto diverso, che non conoscevo, che non immaginavo,che ancora non potevo capire. Alla sera, le immagini in televisione, quel bianco e nero e quelle parole di circostanza che rendevano ancora più cupi i contorni della tragedia, quasi a sancire una sentenza più vera e definitiva. Renzo e Jarno non c’erano più, un destino beffardo ed ingiusto se li era portati via insieme, incurante delle loro splendide diversità. Ho pensato a lungo a quel giorno, ci penso sempre, è qualcosa che non potrò mai dimenticare. E forse quel giorno ho imparato a capire, , a delineare meglio i contorni. A cogliere il valore del gesto di questi uomini, ed a rispettarlo, sempre. perché non ci sono soldi ed ambizione sufficienti a farti mettere in gioco la vita tutte le domeniche, ‘on any sunday’. E’ solo una passione feroce, un amore incondizionato a spingerti a vivere al limite, sempre e comunque, anche a costo del sacrificio più estremo…
A.M. (Bladerunner72)
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Da giovane ho lavorato diversi anni in Cagiva e fu grazie al 'boss' Castiglioni che ebbi l'occasione di incontrare Senna, che di Castiglioni era amico personale. Una lunga chiacchierata in cui a parlare fu praticamente solo lui. Mi incantai ad ascoltarlo e faticai a riconoscere il feroce guerriero delle piste in quel ragazzo semplice, malinconico e dai modi gentili. Parlava pacato nel suo italiano fluente che l'accento portoghese trasformava in una sorta di cantilena dolce e suadente. Mi raccontò del Brasile, dei bambini, delle difficoltà della vita lì. Poco o niente di corse, si capiva che aveva molto altro dentro, da dire e da dare. Mi regalò una spilla, gli feci una fotografia che per qualche strano caso venne benissimo e mi diede il suo cappellino, proprio quello che aveva in quel momento. Sono commosso ora a ricordare, quel primo Maggio 1994 è un'altra data che non potrò dimenticare perchè lui per me era speciale,. Ma ero grande, avevo quasi trent'anni ed ero formato e consapevole, anche se da quel giorno considerai morta tutta la F1. Per un macabro ed inspiegabile destino quello di Maggio è stato spesso un mese spietato con il Motorsport, e diversi anni prima, nel 1982, l'8 di Maggio si spense per sempre anche la stella, fulgida e breve di Gilles Villeneuve, un'autentica icona del coraggio che porto ancora nel cuore.
La maledizione di Maggio risultò fatale anche per Elio De Angelis, il 15 Maggio 1986, e per i rallisti Attilio Bettega, Henry Toivonen e Sergio Cresto, scomparsi in Corsica in due incidenti tra il 1985 ed il 1986 che recano incredibilmente la stessa data del 2 Maggio.
Una lunga premesse per anticipare un pezzo che scrissi qualche anno fa, per una testata con cui collaboro. Un racconto molto personale ma quello che stiamo vivendo è un momento particolare, i motori sono fermi, c'è tempo e modo per riflettere e ricordare ed allora... eccolo qua. Si intitola 'Gli occhi di Jarno' perchè proprio quegli occhi furono l'ultima immagine che mi restò dei due campioni.
L
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https://i.postimg.cc/ZRxsxMZf/pasolini2.jpg (https://postimg.cc/5YjmxpXv)
Gli occhi di Jarno
Mi svegliai per il consueto trafficare frenetico della mamma, puntuale anche quella mattina di una domenica di primavera. Quella domenica poi era speciale, qualcosa di sognato ed atteso con una frenesia da batticuore durata settimane. C’era il Gran Premio delle Nazioni a Monza, e si andava in autodromo, babbo mi portava a vedere finalmente dal vivo quel prodigio di coraggio e rumore che fino ad allora avevo solo provato ad immaginare attraverso le foto in bianco e nero dei giornali. Chissà da dove nasce questa passione che è talmente istintiva e precoce da apparire innata, inconscia, presente nei geni di alcuni al momento della nascita. Fatto sta che mentre gli altri bambini si interessavano di calcio e giocavano a pallone, io ero perso per le moto ed i loro eroi. A quel tempo si parlava poco di motociclismo, e quel poco riguardava quasi esclusivamente Agostini, uno che poi poteva definirsi a pieno titolo ‘un figo’. Un predestinato, uno di quelli che guardi e dici ‘questo doveva per forza essere così’. Non solo vincente ma pure bello, carismatico, capace di piacere, un precursore. Il mito è fatto anche di questo, non solo di coraggio e talento, giusto o sbagliato che sia è una legge di vita. Quindi pure io tifavo Ago, e custodivo gelosamente tutti i ritagli di giornale e le foto che lo ritraevano. E finalmente, quel mattino di Maggio, si andava a vedere Agostini. Ricordo l’ansia e la frenesia con cui vissi quelle poche decine di chilometri in auto fino all’autodromo, l’ingresso, il rumore dei motori che si scaldavano, quel caos di colori e di suoni in cui mi trovai catapultato. Quel frastuono che mi stordiva mentre tenuto per mano dal mio papà mi aggiravo per il paddock, tra i furgoncini, le auto e le moto che venivano preparate, quel fumo azzurrino e acre che annebbiava la vista e si sentiva nelle narici e nella gola. Ago non lo vidi, tutti lo cercavano e tutti lo volevano, era irraggiungibile e lontano. Vidi Renzo. Il Paso, babbo me lo indicò. L’immagine così lontana da quella di un pilota, quell’aspetto così normale, quasi dimesso, quella sigaretta, la canottiera. Un non personaggio, per scelta o per destino. Avvicinabile e disponibile, e forse per questo meno desiderato, meno mediatico come si direbbe oggi. Tanti volti, tante immagini di appassionata operosità mi passavano davanti, e durante quel mio girovagare incerto vidi anche Jarno. Lui era diverso, non solo dal Paso, non solo da Ago, lui era una cosa a parte. Trafficava sulla moto, ogni tanto alzava la testa, rispondeva a un saluto aprendosi a un sorriso gioioso, non da campione acclamato ma da ragazzo felice ed entusiasta di quella vita. Gli occhi vivacissimi e luminosi che guardavano veloci ovunque. Fui colpito dal suo sguardo, occhi che ti guardavano ma sembravano osservare altro , altrove, più in là. Ebbi la stessa sensazione molti, moltissimi anni dopo, con altri occhi di un altro campione, di una leggenda. Quelli di Ayrton. Due sguardi così diversi e così uguali, mi sono convinto che siano gli sguardi di chi, senza saperlo, conosce già il proprio destino, lo guarda senza ancora vederlo. Uno con dolce serenità, l’altro con tormentata malinconia, ma consapevoli entrambi.
E poi tutto divenne una frenesia di rumori, di lampi di velocità, di moto che sfrecciavano davanti al mio stupore di bambino, Cercavo sul rettilineo di seguire con gli occhi e con la testa per catturare tempo e spazio, sopraffatto da quelle emozioni che vivevo per la prima volta. C’era quel momento magico, quello della partenza. Un rito che pareva solenne ed antico, quegli attimi in cui i piloti avvolti dal silenzio sorreggevano le moto, ancora spente e silenziose. Quel muoverle piano avanti ed indietro, con lo sguardo fisso alla bandiera. E poi quei pochi passi, faticosi e frenetici, i primi boati, i più rapidi che sparivano in lontananza e quella nuvola di fumo in cui si stemperava il fragore. E di nuovo calava il silenzio, nell’attesa febbrile di sapere chi sarebbe stato a ripassare per primo.
Non ci fu mai, un primo.
La mente è un mistero affascinante, a volte mi riesce difficile pensare a ragione ed anima come realtà scollegate. A distanza di quarant’anni posso rivedere e ricordare tutto, ogni immagine, ogni suono, risentire lo stesso vuoto, la stessa incredula angoscia. Un’attesa ed un malessere che parvero infiniti e scesero come una cappa soffocante su tutto e su tutti, un rincorrersi frenetico di sguardi attoniti, di domande senza risposte. Piloti che tornavano ai box contromano, facendo intendere che qualcosa di tremendo dovesse essere successo. Al momento non capii. non potevo capire. Non mi vollero spiegare, ma ebbi subito chiara la percezione di un qualcosa di profondamente doloroso, una sorta di privazione che mi parve crudele ed ingiusta. Quello che avevo sempre immaginato come gioia, come un inebriante carosello di suoni e di velocità mi buttava in faccia un risvolto diverso, che non conoscevo, che non immaginavo,che ancora non potevo capire. Alla sera, le immagini in televisione, quel bianco e nero e quelle parole di circostanza che rendevano ancora più cupi i contorni della tragedia, quasi a sancire una sentenza più vera e definitiva. Renzo e Jarno non c’erano più, un destino beffardo ed ingiusto se li era portati via insieme, incurante delle loro splendide diversità. Ho pensato a lungo a quel giorno, ci penso sempre, è qualcosa che non potrò mai dimenticare. E forse quel giorno ho imparato a capire, , a delineare meglio i contorni. A cogliere il valore del gesto di questi uomini, ed a rispettarlo, sempre. perché non ci sono soldi ed ambizione sufficienti a farti mettere in gioco la vita tutte le domeniche, ‘on any sunday’. E’ solo una passione feroce, un amore incondizionato a spingerti a vivere al limite, sempre e comunque, anche a costo del sacrificio più estremo…
A.M. (Bladerunner72)
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