Il mare è un nemico che gli uomini si sforzano di amare, scriveva Giovanni Papini.
Da bambino, quando mi addormentavo, mi piaceva immaginare che il letto fosse un potente motoscafo con il quale avventurarmi fra le onde. Aprivo le coperte come un portellone, mi distendevo cercando di smuoverle il meno possibile, le chiudevo con un colpo secco ed ero al mio posto di guida per correre sulle onde ed evitare secche e scogli finché il sonno mi pigliava. Credo che allora sentissi il mare della vita non molto amichevole se mi consolavo con questo gioco fantastico.
Col tempo ho imparato a navigare nella burrasca, confidando che ci sia sempre un faro che mi guiderà a casa, dove la tempesta resta fuori. Oggi so che non è più lontanissimo il giorno in cui non ci sarà un faro da seguire ed un porto in cui tornare, ma solo un naufragio da affrontare con dignità.
Forse è per esorcizzare questa mesta consapevolezza che voglio trascorrere qualche giorno nella penisola di Finistère (Penn-ar-Bed) in Bretagna che vanta tempeste formidabili ed è stata armata di centoventi fari per guidare i marinai. Non d’estate, ma all’annunziarsi della primavera, quando il volgere delle stagioni muove l’aria da nord a sud e da ovest ad est. Porto con me la mia compagna che non capisce bene cosa mi spinga, ma intuisce, come solo le donne sanno fare, l’inquietudine che mi abita.
Attraverseremo Le Fromveur fra La Molène e l’isola di Ouessant con le sue temibili correnti.
Passeggeremo sulle scogliere fra il faro di Créac'h che indica l’imboccatura del canale della Manica, e quelli di Kéreon, di La Jument, di Le Stiff e Nividic.
Nella penisola di Crozon, dopo avere visitato la Pointe de Penhir e quella di Dinan, saliremo sul Ménez-Hom per cogliere il vento dell’ovest, delle Americhe.
Correremo lungo gli Abers e l’Iroise dal faro della Pointe Saint Mathieu a quello dell’Ile Vierge.
Sosteremo alla Basilica di Notre-Dame de Folgoët per rendere omaggio al “pazzo del bosco” che sembra abbia dato il nome alla basilica.
Cosa mi aspetto? Vento rabbioso che spazza l’erba stenta. Tonfo d’acqua che oltraggia la pietra. Spuma nell’aria che imperla i capelli. Esplosione d’onda sulla diga foranea. Occhi sbarrati di donna che scrutano il mare. L’eterno ritorno della luce che appare e scompare sempre uguale a sé stessa sull’alta torre che chiamiamo faro.
L’eccitazione forse mi avvinghierà per portarmi con sé oltre l’orizzonte e invidierò i marinai che, passata la bocca di porto, sfileranno con gesti lenti davanti alla banchina fino all’ormeggio, la sigaretta appesa al labbro.
Forse non sarà nulla di tutto questo, ma in ogni caso, ne sono sicuro, ad un dato momento una lama di luce si farà strada sul mio viso per mostrarmi un tesoro inatteso. Spero di non avere gli occhi bassi in quel momento.