Giovedì scorso alle 16 la mia KS era nel box dipendenti dell’ufficio di Amsterdam, venerdì mattina alle 10 era sotto casa a Roma.
Nel mezzo una traversata di 1686 chilometri che ha visto il sole di due giorni ed è durata 18 ore ad una media complessiva di 118 KM/H da computer di bordo.
Nei miei piani originari questa settimana era in programma un viaggio di rientro tranquillo di più giorni, invece, per ragioni che non mi dilungo a spiegare, ho dovuto dedicarla al lavoro e l’unica finestra possibile per rientrare in moto erano i giorni di giovedì e venerdì.
Giovedì ero al lavoro in ufficio, la moto nel box ferma da una settimana per la troppa pioggia e lavoro. Alle 15.30 scendo, mi cambio direttamente a fianco della moto, indosso l’ormai collaudato completo per i lunghi viaggi e monto i bagagli.
Metto in moto alle 16. La moto parte come al solito al primo colpo con minimo molto regolare.
L’autostrada è a 100 metri dall’ufficio e subito incontro il traffico intenso Olandese che, nelle ore di punta, malgrado le autostrade perfette a 3/4 corsie, è sempre intenso e rallentato tra Amsterdam, Utrecht e Arnhem, le tre principali città in direzione della Germania.
Raggiungo un motociclista olandese che con una sogliola in condizioni di motore non eccellenti, a giudicare dall’odore degli scarichi, con il classico completo giacca e casco “giallo evidenziatore”, adottato dai più in Olanda e le 4 frecce accese, si infila prudente e lentamente tra le due file di macchine.
Sarà l’unico motociclista incontrato in tutto il viaggio.
Alla fine impiego più di due ore ad attraversare l’Olanda, ad una media di 80 km/ora quando finalmente, ridottosi il traffico, arriva il confine con la Germania.
Finalmente la velocità sale, 180, 200, 220 sui rettilinei più lunghi, qualche puntata a 240, le gomme reggono perfettamente il peso di K e bagagli e permettono di non ridurre la velocità, almeno sui curvoni più ampi. Di più non spingo, le due borse più la softbag stracariche non ammettono velocità superiori ai 200, l’avantreno si fa più leggero, la softbag arretra, di più non me la sento di chiedere alle fibbie di tenuta.
Fino a 160 l’aerodinamica del K manda un flusso d’aria che spinge indietro le spalle e permette di alleggerire le braccia, da 160 a 200 la pressione sul caso si fa più impegnativa, a 220 e oltre diventa necessaria una posizione sportiva accucciata sotto il cupolino.
Il motore non ha limiti “stradali”, a 200 gira regolare e silenzioso, il rumore aerodinamico supera quello meccanico, la K vola sicura con una grande spinta residua, al tocco della manopola, che da molta sicurezza. La stabilità e la direzionalità sono ottime, se non fosse per il traffico e la pressione sul collo i 200 sarebbero la sua velocità di crociera, e infatti la tengo per lunghissimi tratti lasciando, ogni tanto, passare qualche BMW o Audi dalle cilindrate sfacciatamente abbondanti e trovando anche il tempo per qualche ripresa con la Drift.
I chilometri in Germania scorrono veloci, malgrado il traffico e le continue riduzioni di velocità a 80 KM/H per lavori o a 120 KM/H per tratti pericolosi che è tassativo rispettare, pena incontri non piacevoli con la polizia tedesca (bruttissima esperienza lo scorso anno), sempre in agguato su BMW in borghese scure.
Uno dei pochi limiti del K nei lunghi viaggi è la capacità del serbatoio, che obbliga a soste un po’ troppo frequenti. A fronte di percorrenze teoriche di 300 KM, alla fine tirando molto e non volendo trovarsi in riserva, tocca fermarsi ogni 170/200 km.
Alla fine farò 7 soste per un totale di 112 litri consumati e una media di 15,5 KM/lt, a mio avviso eccellente considerando le tirate in Germania e le velocità di crociera “elevate” su tutto il percorso italiano.
Il secondo “problema” è il cupolino un po’ troppo “sportivo”. A me va bene così e non lo cambio, il flusso d’aria è pulito, non crea vortici fastidiosi e non massacra i muscoli del collo. Tuttavia due aspetti sono penalizzanti, la maggiore rumorosità aerodinamica sul casco e il folle numero di moscerini che in questa stagione si schiantano sulla visiera che obbliga, ad ogni sosta, a spendere 5 minuti in più nei bagni per ripulirla a dovere.
Il buio arriva intorno alle 10.30, quando sono poco dopo Koln, un terzo del percorso tedesco. Telefono a casa, tutto ok, si, si, mi fermo più avanti ci sentiamo domani.
Passano i chilometri, indosso un paio di auricolari con funzione di “noise reduction” che attenuano di molto il rumore aerodinamico e ho di sottofondo musica rilassante che si alterna a esilaranti puntate dell’avvocato Messina di Fiorello (tutta la collezione) che mi fanno passare il tempo ridendo dentro il casco.
“Chi siamo noi, per giudicare ….”
Bonn, Limburg, Wiesbaden, Frankfurt, Manhein, i chilometri scorrono veloci, le velocità alte, l’autostrada è decentemente illuminata e ormai la conosco bene (solo la K ha già fatto questo percorso 4 volte).
Mi ritrovo a guardare l’orologio, è l’1.00 e sono all’altezza di Friburgo, gli ultimi 400 chilometri alla media di circa 160 KM/H. I cartelli per Basel sono sempre più frequenti e sono un sollievo, questa interminabile Germania sta finendo.
L’idea di massima è di fermarmi, come l’ultima volta, all’altezza di Bellinzona, in un Motel sempre aperto. Riuscendo a tenere la media è ancora fattibile anche se si sta facendo molto tardi.
Mi interrogo sulle mie condizioni fisiche. Ho già percorso 674 KM, nessun segno di sonno, nessun dolore muscolare, nessuna voglia di scendere dalla K che continua a viaggiare come un frecciarossa. Decido di proseguire un altro po’.
Una sola cosa mi preoccupa, se alzo gli occhi vedo da un po’ solo nero pesto, non una stella non un chiarore di luna. Mi preoccupo ma proseguo e l’inevitabile arriva. Dopo una decina di minuti qualche gocciolone sul casco che si fa sempre più frequente, alla fine mi vado ad infilare dentro un muro d’acqua.
Quelle che seguono sono due ore di pena e fatica che nemmeno le battute di Fiorello riescono ad alleviare. Nessun autogrill con camere, scarsa illuminazione, fiumi d’acqua per strada e sul casco che mi obbligano a ripulirlo con il guanto in continuazione, il sorpasso di ogni camion è un impegno di concentrazione ed un rischio.
Decido che un acquazzone così non può durare molto e lo affronto con concentrazione e regolarità (100-110 KM/H) contando sull’aerodinamica per proteggermi dall’acqua e con nessuna voglia di uscire dall’autostrada alla ricerca di un hotel, probabilmente chiuso a quell’ora.
“Ascolto” la K per percepire il minimo segno di indecisione o rischio nell’affrontare i rivoli e lo strato d’acqua che ricopre l’asfalto ma non ho segni di difficoltà. Le gomme reggono perfettamente e la direzionalità perfetta come al solito, la trazione non ha problemi.
Comincia a fare freddo, mi fermo in un autogrill per fare rifornimento, mangio un Wurstel con senape e una Coca Cola che mi faranno compagnia fino all’ora di colazione, rinforzo la giacca con l’interno imbottito che ancora non indossavo, cambio i guanti con quelli da pioggia.
Riparto ma la pioggia non smette, la vedo rimbalzare sul velo d’acqua che copre l’asfalto e tessere migliaia di fili illuminati dai fari della moto, che dal cielo precipitano verso il cupolino. Fortunatamente la Streetguard regge alla perfezione (ormai è una sicurezza dei miei viaggi) e non trafila una sola goccia d’acqua.
Ormai sono deciso a non mollare, deve passare questa pioggia e arrivare Bellinzona. Il Gottardo è l’ultima speranza, primo perché è caldo e permette di asciugarsi e riscaldarsi un po’, secondo perché spero che nel versante italiano il meteo sia diverso. Mi sbaglio anche questa volta, ma fortunatamente passato il tunnel la pioggia tende progressivamente a diminuire e finalmente smette quando sono a Bellinzona.
Qui però sono ormai le 3 passate, l’indomani dovrei svegliarmi presto perché il pomeriggio devo essere assolutamente a Roma, l’idea di fermarmi con gli abiti (esternamente) zuppi in hotel e dormire “solo” 2/3 ore non mi alletta, una decisione va presa: il K viaggia sempre tranquillo senza problemi, la pioggia mi ha portato l’adrenalina a 1000, non ho stanchezza, non ho dolori, prendo la decisione, si prosegue.
Il confine con l’Italia arriva presto e questo è confortante, ora non resta che la cronaca di un normale viaggio Milano/Roma come ne ho fatti centinaia in auto.
Alle 4, tra Milano e Bologna, comincia ad albeggiare. A Sasso Marconi ormai è luce piena e, prima di affrontare gli appennini, mi concedo una lunga sosta, cappuccino e cornetto, che finalmente mi tolgono dalla bocca e dallo stomaco il sapore di Germania.
Assaporo con più serenità quell’atmosfera di viaggio che ti da il primo mattino quando albeggia in un autogrill. Trenta minuti di relax, poi di nuovo in moto.
So per esperienza che in un lungo viaggio la parte più difficile, quella che sembra non passare mai, sono gli ultimi 100 chilometri, niente in confronto a quanti già percorsi, una enormità considerando la stanchezza e la voglia di arrivare. Il tempo sembra dilatarsi, il viaggio perde la sua parte di emozione, essendo ormai all’arrivo.
Mi sforzo di non pensare a quanto manca e di concentrarmi sulla guida e sui miei pensieri, il futuro, le decisioni importanti da prendere, le cosa da migliorare e quelle già buone così.
In fondo un viaggio, anche noiosamente autostradale, è un modo per restare soli con i propri pensieri, per isolarsi dallo stress della quotidianità, non solo per muoversi fisicamente da un posto all’altro.
Preso dai miei pensieri mi infilo nella città di Roma alle 10.00 del mattino ed arrivo a casa. La moto nel cortile di casa mi pare un miraggio, considerato dove stava poche ore prima. Un’occhiata alle gomme che hanno retto perfettamente senza particolare usura, al cupolino impastato di moscerini, a motore e scarichi perfettamente in ordine.
Un’oretta più tardi porto la moto nel box accendendola senza casco per sentire se ci sono anomalie. Nessuna, si accende istantaneamente, nessun cigolio o rumore strano, nessuna spia, perfetta.
Questa moto è stupenda e, ancora una volta, ha confermato la fiducia che ho nelle sue qualità di grande stradista. Sarà che la fortuna premia gli audaci, se molti altri non la pensano così, non so che rispondermi …
Mi domando quante altre permetterebbero di fare altrettanto, ma poi smetto subito di pensarci, non mi passa nemmeno per la testa di cercare altro. Fra non molto farà 30.000 chilometri, ha poco più di due anni, è ancora una bambina. Altre avventure ci aspettano.
Una doccia, uno spuntino, qualche email a cui rispondere, un paio di post su QDE e alle tre del pomeriggio sono pronto per andare alla festa di fine anno, al nido della mia bambina, quella vera ...