Giovedì 1 Agosto
È notte nel campeggio di Skarnes. Mi sveglio forse perché la stanza è bagnata da una luce che potrebbe essere quella della luna piena, ma allo stesso tempo è differente: diffusa, lattiginosa. Guardo l’orologio: sono le due e dieci. Il camping è silenzioso e il fiume coperto da una nebbia bassa, densa e vibrante.
Quattro ore dopo il cielo è coperto, ma si intravedono timidi squarci che fanno ben sperare.
Facciamo colazione con succo d’arancia, crackers wasa e marmellata di mirtilli. Mando giù malvolentieri la tazza di caffè solubile a cui non riesco ad abituarmi, ma Maria Grazia è stata irremovibile: per la moka nel bagaglio non c’è posto! Io guido la moto e lei comanda la logistica.
Imbocchiamo la R24 che fiancheggia per un lungo tratto il bel lago Storsjøen e raggiungiamo nuovamente la E6 nei pressi di Hamar e del lago Mjøsa. Poco dopo il villaggio di Brumunddal la strada attraversa il lago su un ardito ponte e prosegue lungo la sponda occidentale fino a Lillehammer, dove il lago termina.
Poco prima della città incontriamo una ragazza che vende fragole e pianto un’inchiodata che fa smadonnare l’amico che mi segue. Ho un ricordo troppo bello del profumo e del sapore delle fragole norvegesi per rinunciarvi. La bancarella è in posizione strategica, accanto a uno spiazzo con alcune panchine. La giornata ormai è bella, calda, e passiamo almeno un’ora a mangiare fragole e guardare gli impianti sciistici sulle colline dietro Lillehammer. Forse sarebbe stato meglio utilizzare quel tempo per visitare la collezione Sandvig (
http://www.maihaugen.no) che raccoglie oltre un centinaio di esempi dell’architettura rurale tradizionale, ma è stato un bel momento; ci serviva per ritrovare un momento di spensieratezza dopo le tensioni dei giorni passati.
Lasciata Lillehammer alle spalle, imbocchiamo la Gudbrandsdalen ricca di significati storici per l’identità norvegese.
La tradizione vuole che Hundorp conservi i resti di Dale Gudbrand che intorno all’anno 1200 era il sovrano pagano della valle e che si sottomise al Santo-Re Olav, convertendosi insieme alla sua gente al cristianesimo.
Poco oltre attraversiamo la cittadina di Vinstra, nelle vicinanze della quale nel XVIII secolo visse Peder Olsen, preso a modello da Henrik Ibsen per il suo Peer Gynt.
La valle si rinserra, mantenendo un aspetto florido in cui si alternano larghi prati e folte foreste di conifere. La strada corre al fianco del fiume che scende impetuoso e spumeggiante e raggiunge Dombås dove sostiamo prima di affrontare la salita al Dovrefjell.
La strada lascia il paese salendo la ripida costa a oriente; è ben disegnata con larghi tornanti e occorre esercitare un ferreo controllo della volontà per limitare la tentazione di aprire il gas e correre oltre gli esigui limiti di velocità consentiti. L’ambiente diventa aspro: gli alberi cedono il posto agli arbusti e predomina la pietra e il lichene. La giornata è tranquilla, ma tutto fa intendere che l’altopiano sia spesso spazzato da venti poderosi e paralizzato da lunghi inverni nevosi.
Il Dovrefjell è un altopiano selvaggio in cui non c’è nulla di particolarmente attraente allo sguardo, ma l’asprezza del luogo è di cupa bellezza ed evoca la potenza delle forze naturali che qui giocano la loro partita senza tempo: l’acqua, l’aria, la terra, forse anche il fuoco.
Siamo entrati nel più antico parco naturale della Norvegia, fondato nel 1923, famoso per l’alce, la renna, il lemming, ma soprattutto per gli uccelli che custodisce.
Sarebbe bello fermarsi; lasciare la motocicletta e prendere uno dei sentieri che si dipartono dalla strada principale. Magari portarsi appresso una piccola tenda e campeggiare lassù fra le stelle e i falchi. Chissà, magari un giorno, se Dio vorrà.
Poco dopo Hjerkinn, la strada raggiunge il punto più alto dell’altopiano da cui si scorgono in lontananza la Snøhetta e la Svånåtind, cime incappucciate di neve che superano i duemila metri.
Da qui, la E6 inizia una bella discesa verso Oppdal e prosegue nell'ampia vallata del Byna. Mancano ancora centoventi chilometri a Trondheim e siamo in sella ormai da più di otto ore. Intuisco che il paesaggio ha ancora molto da dirci, ma sono stanco e prevale la voglia di arrivare; di fare una doccia bollente e di scolare una birra ghiacciata alla faccia del costo proibitivo della birra in Norvegia.
Mano a mano che ci si avvicina a Trondheim, le foreste lasciano il posto all'agricoltura e l'influenza della terza città della Norvegia diventa sempre più evidente. D'un tratto, la strada diventa un’autostrada urbana e in poco tempo siamo in città. Abbiamo percorso 506 chilometri e siamo stati sulla strada più di dieci ore.
Continua...