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Vecchio 07-09-2018, 09:12   #71
Massimo
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GIORNO 09 – 11 AGOSTO 2018
Kalai Khum – Dushambe (301 km in moto)



Kalai-Khum è un’importante crocevia. Appena al di là del ponte sul fiume si impone, infatti, una scelta fondamentale.

A sinistra si abbandona definitivamente la M41 e si arriva a Dushambe per strada tutta asfaltata con un ampio giro a sud, passando per Kulob e Danghara. Sono 374 km in tutto, ma fattibili in giornata senza difficoltà. La maggior parte dei motoviaggiatori segue questa opzione.

A destra, invece, si rimane sull’ultimo tratto della M41, ma il percorso è molto meno frequentato. Fino a qualche anno fa, la traccia non era sempre transitabile a causa di frane o esondazioni del fiume. E ancor oggi non è detto che il passaggio sia sempre agevole. Tutto in effetti è mutevole in Pamir. Da più parti si sconsiglia di affrontare quest’ultimo tratto, se non mettendo in conto il rischio di dover tornare indietro. Questa seconda opzione è più corta della precedente (301 km), ma richiede – anche in condizioni ottimali - una giornata piena ed intensa, partendo di buon ora.

La prima parte è sterrata (133 km ininterrotti), mentre il resto (168 km) sono in teoria tutti ottimamente asfaltati. In realtà, già dal 2019, dovreste trovare tutto asfalto nuovo di pacca, perché quest’anno dovrebbero terminare i lavori di bitumazione di lunghi tratti molto prima di arrivare a Obigarm (in pratica, se guardate la mappa sopra, lo sterro si fermerà al “Police Check Point”, il resto sarà una pista da moto GP).

Questo cambia tutto perché lo sterro, alla fine della fiera, resta meno della metà.

Partiamo di buon mattino con tutta l’intenzione di fare il tratto più difficile. Chiediamo in paese e tutti ci dicono che si passa. Arriviamo quindi al primo check point, dove anche i soldatini ci confermano il passaggio.

Non deve esserci comunque un gran traffico da queste parti. Sbirciando sul quaderno a quadretti dei militari, dove vengono segnati tutti i passaggi, noto infatti che, negli ultimi tre giorni, è passata circa una ventina di veicoli in tutto. Meglio così. O forse no. Staremo a vedere.

La strada parte subito sterrata e attacca con una serie di ampi tornanti la rampa sud del Khaburabot Pass (3.252 metri). In realtà ci sarebbe qualche breve tratto di asfalto distrutto, ma chissà a quando risale. In pratica si guida sullo sterro dall’inizio alla fine.





Il fondo è leggermente più roccioso dei tratti percorsi sino ad ora. In parecchi punti l’acqua di ruscelletti trasversali invade la carreggiata e dilava il terreno lasciando in bella vista i sassi nudi e crudi, mai superiori comunque alla dimensione di un’arancia. Non incontriamo difficoltà particolari, anzi procediamo come al solito a dirla tutta.

Saliamo distanziati e rilassati. Il panorama è piuttosto diverso da quello del Pamir, più roccioso, ricorda vagamente i nostri passi alpini, traffico escluso.







La progressione sarà tutta tranquilla. A parte un cane da pastore che ovviamente ci insegue e tenta di assalirci. Ma ormai abbiamo imparato a nostre spese come gestire queste situazioni. In qualche punto la strada risulta scavata nella roccia in marcata esposizione, tuttavia le condizioni sono le migliori che potessimo incontrare e abbiamo trovato tutto facile e guidabile fino al passo.





La sommità si sente da lontano… e dalla puzza: quella di centinaia di capre al pascolo, che razzolano ovunque.



Chi le comanda è Nereddu, pastore sardo della Barbagia trapiantato qui.



Gli offriamo un biscotto e lui ricambia con il cappello… che ricordo molto bene perché ho ancora un certo prurito.



Sul passo c’è anche una fermata dell’autobus. A richiesta però.



Le capre pascolano indisturbate e ignare di dove mettono le zampe. Ce ne accorgiamo leggendo il cartello a fianco di Pippineddu, il figlio di Antoneddu, a bordo del suo compagno di merende a quattro zampe pure lui.



Nessuno peraltro se ne cura più di tanto, se non forse quando viene all’improvviso sparata in orbita qualche capra.

Sull’altro versante è tutta una distesa di prati, infinita e indefinita. La strada scende assecondando le ondulazioni delle montagne con ampie svolte. Anche da questa parte si guida con facilità e non troviamo alcun ostacolo degno di nota.



Più in basso la valle si apre e il fiume si dilata tra le ghiaie. La Lada qui sotto è di Cuccureddu, parente stretto dei nostri amici silvopastorali.



Questo fiume, che pare innocuo, è invece spesso incazzato e fonte di rogne non da poco. Fino all'altr'anno, ad esempio, questo ponte qui…



… stava messo
COSI’

Insomma, è per dire che non c’è limite ai casini, soprattutto in questo ultimo tratto della M41. Ad ogni buon conto, salvo disgrazie o diluvi, si passa o si dovrebbe poter quasi sempre passare, senza troppe complicazioni, o con nessuna come fortunatamente è capitato a noi.

Arrivati al villaggio di Tavildara, dove secondo gli autoctoni riprenderebbe l’asfalto (ma così non è), la strada prosegue nella lunga valle del fiume Obikhingou, nel primo tratto piuttosto ampia, nel secondo invece stretta e incassata tra pareti friabili e boscose.

Il percorso non è tutto in discesa, ma presenta una serie di saliscendi e di curve che assecondano gli gli estri della montagna. Qualche guado, un po’ di fondo smosso, ma nulla di più.



Sulla sommità di un dosso, alti sul torrente, Alberto buca l’anteriore. Non c’è un filo d’ombra come al solito, ma lui, lesto e diligente si mette subito all’opera… con una nutrita serie di assistenti e fornitori di passaggio.

Sì, perché la chiave del 12 che ci ha dato Muztoo è fatta di pongo e rischia di spanare i bulloni. Come per incanto passa una macchina e ci regala una chiave very professional. Problema risolto.

Stalloniamo il copertone, togliamo la camera d’aria bucata e infiliamo quella nuova che sempre Muztoo ci aveva dato di riserva. Come da copione, insomma. La gonfiamo con la pompa della Barbie di cui pure ci ha fatto omaggio, ma non si gonfia. Smonta tutto: pizzicata in ben due punti. Non è colpa nostra: la camera è fatta di carta velina di suo.

Che vuoi che sia! Tanto abbiamo mastice e pezze. Ehm… per averceli ce li abbiamo, solo che il mastice è del ’78 e il tubetto è praticamente vuoto disidratato. Questa non ci voleva.

Scatta quindi la gara, tra tutte le macchine di passaggio, a chi ha la colla giusta. Salta fuori di tutto, mastice sigillante, bicomponente scaduta, attack, vinavil… ma nulla che tiene la pezza.

Così alla fine di tutta ‘sta caciara, carico la ruota e vado in cerca di un meccanico. Ne becco uno a 20 km di distanza: un omino barbuto e minuto, di età indecifrabile ma avanzata, sistema tutto senza proferire parola. Onesto (un dollaro) e abile (non ho mai visto rimontare un copertone solo pestandoci sopra con le ciabatte senza usare i ferri).

Problema risolto, ma con tutto quel via vai di gente, peraltro gentile e disponibile, abbiamo perso due ore e mezza.



Poco dopo termina lo sterrato e inizia l’asfalto: perfetto, nuovo di stecca e ampio. La goduria è breve, perché più avanti sono tutti fermi a tempo indeterminato. Stanno asfaltando. Un poliziotto con Mercedes dirige le operazioni. Garbatamente chiedo se con le moto possiamo passare. Telefona al capocantiere. Mi fa cenno di andare. E così facciamo, guidando sul bitume appena steso come su un sabbione.

Abbiamo risparmiato così un sacco di tempo, ore e ore di attesa, senza vie alternative.

Più avanti incontriamo ancora parecchi chilometri sterrati pronti e livellati per essere asfaltati dall’impresa turca che ha preso l’appalto. Oltre sarà tutto asfalto fino a Dushambe, veloce e senza altri intoppi.

Arriviamo nella capitale che è già buio e non sappiamo dove andare a dormire. Nelle grandi città le guide sono poco pratiche, perché si fa fatica a trovare sul navigatore le posizioni esatte degli alberghi, che non sempre sono scritti allo stesso modo.

Al capolinea dell’autobus, autisti e controllori ci suggeriscono un hotel e si offrono di farci strada… ma con l‘autobus che è di quelli con i fili per aria. Ci accodiamo, ci spariamo tutte le fermate e alla fine arriviamo a destinazione.

Il posto è orribile e inquietante, ma siamo stanchi e non ci va di cercare ancora.







Alla reception ci sta un puttanone sulla settantina che vuole essere pagata in contanti e in anticipo (fortunatamente solo per la camera). Fa un caldo boia. Ci assegna una suite, ma l’aria condizionata c’è solo in una stanza ed è pure rotta, mentre uno dei due letti è a misura di pigmeo.

Con difficoltà ottengo di cambiare. Nella seconda camera l’aria condizionata funziona, ma bisogna salire sul frigorifero per accenderla perché manca il telecomando. Tutto puzza di fumo stantio e di fogna perché gli scarichi perdono. Non c’è nulla di aggiustato e tutto, pulizia compresa, risale agli anni cinquanta quando questo catafalco è stato costruito.





Per due notti ci adatteremo, poi demoliremo tutto.

Intanto pensiamo alla pappatoia. Pizza americana in fast food tagiko e hamburger di pollo. Tutto buono. Speriamo che lo sia anche la batteria nuova che stiamo aspettando…
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Massimo Adami
BMW F800GS Adventure
YAMAHA XT600E
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