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Vecchio 18-06-2017, 22:37   #14
Fagòt
Mukkista doc
 
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2° giorno: Dubai

Il buongiorno si vede dal mattino e, nella speranza che tutta vada per il meglio, noi iniziamo con un suntuoso cappuccino ed una brioche calda preparati da una coppia di zelanti cinesi in un coffee shop a fianco dell’hotel.



Il nostro spedizioniere italiano si è appoggiato ad un broker di Dubai i cui impiegati sono tutti indiani, e che a sua volta si è appoggiato ad uno spedizioniere pakistano che movimenta le merci all’interno dell’area doganale, e che a sua volta si è appoggiato ad un galoppino interno indiano che corre da un ufficio all’altro, e che a sua volta è in contatto anche con il broker che cerca di coordinare il tutto, compreso l’autista del camioncino che ci consegnerà le moto.

Direi che siamo a cavallo e tutto questo lo scopriremo solo a tarda serata.

Per ora aspettiamo alle 9.00 il galoppino del broker, anche lui indiano, che ci deve portare all’agenzia di assicurazione per stipulare la RCA. E solo perché ieri sera Saleh da buona formica regina ha impartito ordini e redarguito come solo gli emiratini sanno fare l’impiegato formichina.
Io capisco poco l’inglese, ma i toni della telefonata erano inequivocabili.
Ovviamente arriva alle 10.00, che il traffico è tanto e con il telefono non trovava il nostro albergo.
Ci ributtiamo nella periferia di Dubai e finalmente raggiungiamo l’agenzia assicurativa dove per la modica cifra di circa 100 euro stipuliamo la RCA per un mese. “Mortacci loro!” Questa città e gli emiratini (a parte Saleh e gli altri ragazzi conosciuti ieri sera) mi stanno sempre di più sulle balle. Ricordando poi le fotografie appese nella stazioni metro con le immagini di quello che 20 anni fa era solo un semplice villaggio di pescatori, ancora di più, per lo scempio compiuto. Enormi grattacieli finiti e totalmente vuoti, con cartelli ovunque di vendita e\o affitto, centri commerciali tutti aria condizionata e grandi marche, "divertimentifici" che tanto con i soldi si compra anche la neve in pieno deserto. E sotto tante formichine che lavorano al sole cocente, per fare strade, tirar su pilastri, portare acqua e far crescere l’erba, scendere da 500/600/700 mt di altezza appesi ad una fune per tirar lucidi vetri coperti dal sale e dalla sabbia.

Finalmente verso mezzogiorno entriamo nell’area doganale del porto di Jebel Ali… qualcosa come 10/15 km di perimetro con una marea di entrate per caricare\scaricare o accedere semplicemente agli uffici. Troviamo il galoppino indiano che conosce tutte le procedure ed inizia il girovagare tra un ufficio e l’altro attraversando piazzali coperti a macchia d’olio da merci provenienti da tutto il mondo: autovetture, mezzi pesanti, gru, materie prime, piante … l’universo fatto bancale o container che con vita autonoma prende a scendere da navi per piazzarsi in attesa di 18 ruote che poi partono per i magazzini interni degli spedizionieri, dove incessanti muletti scaricano, immagazzinano, bollano, ricaricano su camioncini più piccoli che prenderanno la via per la città, distante circa 20 km.
Già sarà molto se le nostre casse sono scese dalla nave, mi dico, visto che è arrivata solo 2 giorni prima.
Invece, dopo aver pranzato all’indiana in compagnia dei nostri 2 accompagnatori, la sorpresa di vederle nel magazzino del pakistano già verso le ore 15.00. Urca, stai a vedere che riusciamo anche ad aprirle… “Eh no, manca l’ultimo controllo doganale prima di uscire. Ora le carichiamo sul camioncino e poi sono ok. Potete aspettare qui che torni.”
Una vocina mi dice di non abbandonarle ora che le abbiamo ritrovate e così saliamo anche noi insieme al conducente di uno dei tanti mezzi che aspettano fuori: la procedura è semplice, mettere un grosso cartello con il numero di telefono sul parabrezza e attendere fino che lo spedizioniere chiami per una consegna. Ovvio che ogni spedizioniere abbia i suoi affezionati autisti, per cui ci tocca un autista pakistano, che non parla una sola parola di inglese.



Andiamo quindi sparati al controllo finale con il motore del Mitsubishi che ulula, mentre l’autista saluta tutti i colleghi che incontra lungo la strada, parla al telefono, ci rivolge qualche parola in pakistano e al tempo stesso guida. Tutto nella norma se fossimo in Pakistan, quaggiù mi aspettavo qualcosa di diverso, soprattutto per le pratiche doganali e la quantità di carta che le autorità riescono a produrre per una cassa da 300 kg.
Tocca aspettare che i doganieri controllino 5 bilici carichi di palme, qua negli Emirati devono comprarsi pure quelle.
Riusciamo anche ad ottenere dal galoppino indiano la timbratura dei carnet, era il più esperto di quelli incontrati fin’ora, ma quasi sicuramente non l’aveva mai fatto, e finalmente all’imbrunire facciamo rotta verso la casa di Saleh. Ci aspettano solo una 30 di km. di tangenziale in piena ora di punta, con il WP salvato su un telefono senza batteria e l’autista che non ha la più pallida idea di dove sia il quartiere.







Alle 20.00 passate il retro del Mitsubishi si appoggia su una duna di sabbia a fianco della casa di Saleh e armati di coltellino milleusi ed una pinza caviamo finalmente le moto dalla casse in cui le avevamo chiuse un mese fa.

San Saleh da Dubai allunga una mancia all’autista che se ne va allegramente verso casa, mentre noi cominciamo a rimontare valigie, collegare batterie e gonfiare gomme. Le casse le lasciamo a lui, visto che di motociclisti a casa sua ne passano parecchi e possono tornare comode. Ci fa arrivare un take away e dopo aver cenato ci accompagna in moto fino all’hotel.
Ci abbiam messo solo 12 ore: “In tu culu a Dubai e alle sue dogane” e se non si fosse ancora capito non vedo l’ora di andarmene da questa città di merda.



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Abbi cura del tuo ospite che dio veglierà su di te nel deserto.

F 800 GS - Fotty
T700 - Tenery
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