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Vecchio 15-09-2017, 21:14   #32
Massimo
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predefinito Ladakh 2017 - La strada verso il cielo 2 (FOTO e REPORT)

GIORNO 10 - 14 AGOSTO 2017
Spangmik – Tso Kar (252 km in moto)



Nonostante la stanchezza, non sono riuscito a chiudere occhio, complice probabilmente l’altitudine a cui mi trovo: è la prima volta del resto che mi infilo sotto le coperte a 4250 metri.

Comunque sia è ora di alzarsi. Il cielo è coperto, Roberta sembra sentirsi leggermente meglio rispetto a ieri sera, mentre Antonio decide di lasciare la moto e di proseguire in jeep, come pure le altre signore, fatta eccezione per Federica che evidentemente è stata forgiata nella ghisa pura.

Facciamo quindi due gruppi: Donato, Alberto, Luca, Federica ed io proseguiremo in moto, mentre Antonio e le altre donne ci seguiranno in jeep, assieme a Daltanius il nostro fidato autista.

Rabbocchiamo i serbatoi con la tanica che abbiamo sempre dietro e partiamo, facendo a ritroso la strada di ieri.



Dato che è mattina e i fiumi dormono, i guadi sono praticamente scomparsi: dove ieri avevo trovato difficoltà adesso trovo asciutto.

Sotto il cielo plumbeo incontriamo i prati e gli yak che pascolano indisturbati.





Un torrentello ci accompagna disegnando le sue curve nell’erba.



Ripassiamo dal check point di Tangtse, dove seduto da ieri c’è sempre “il magro”, e iniziamo a salire verso il Chang La.

Qui, la strada deve averla disegnata qualche ingegnere nostalgico di piste Polistil, o forse la stessa Polistil negli anni settanta.





Ormai abbiamo perso di vista la nostra jeep, del resto il circuito di plastica è una tentazione troppo forte per farlo piano e quindi… beh ci si vede.

Attacchiamo il Chang La, che oggi, da riposati, ci sembra meno ostico di ieri.







Adesso che abbiamo tempo possiamo farci una foto ricordo… a proposito Donato, hai mai pensato di inamidarti la barba?



Ma dai! Guarda che organizzati. Sul passo i militari hanno anche un ambulatorio medico!



Affrontiamo dunque la discesa dall’altro versante (quello ovest) e da lì proseguiamo, sempre verso ovest fino al crocevia di Karu, sulla Manali – Leh dove ci apparecchiamo e aspettiamo gli altri.

Il tempo passa e non si vedono ancora. E sì che siamo qui da almeno tre ore, troppe. Strano. Che sia successo qualcosa? Nessuno di noi si agita, però non comprendiamo tutto sto tempo, del resto non siamo andati forte. Forse il traffico, forse una foratura… Aspettiamo.

Finalmente arriva la jeep e scopriamo che Roberta è stata male, veramente male, anzi malissimo. La ritrovo immobile attaccata ad una bombola d’ossigeno. Sono tutti molto spaventati e ci raccontano i momenti di terrore trascorsi. Fortuna ha voluto che Antonio, Paola e Stefania siano stati con lei ed è grazie a loro che la situazione è stata gestita meglio che si poteva.

Non voglio entrare nei dettagli, ma lo spavento è stato grande e la situazione era seria, molto seria. Il peggio sembra però essere passato e le condizioni di Roberta adesso sono stazionarie e più gestibili.

Donato prende in mano la situazione e, da vero zen qual è, in pochi minuti organizza tutto e tutti: la jeep con il suo equipaggio, seguita da lui in moto, rientra di corsa a Leh, mentre Alberto, Luca, Federica ed io, proseguiamo senza jeep verso lo Tso Kar, come programmato. La jeep poi tornerà indietro e ci porterà i bagagli in serata.

Diamo tutti un abbraccio a Roberta e ci mettiamo in marcia da soli. Il gruppo ristretto è tutt’altro che spaesato, anzi è proprio gasato e affiatato; ci intendiamo solo con lo sguardo, abbiamo dopotutto gli stessi interessi e le medesime motivazioni, per cui ci sentiamo sicuri e tranquilli.

Prendiamo la Manali – Leh in direzione sud e, dopo un check point e il ponte sull’Indo, di dirigiamo verso il Taglang La (5328 metri).

La strada è perfettamente asfaltata e poco trafficata. E’ una goduria guidare e il tempo ha messo al bello.









Procediamo molto distanziati, quasi in autonomia e senza fretta. Relax allo stato puro. Ci sentiamo bene con noi stessi e tra di noi. Insomma siamo una mini squadriglia perfetta.

Attacchiamo il versante nord del Taglang La: in pratica un pistone d’alta quota tirato a lucido, assolutamente irresistibile.











Ed ecco qua l’allegra mini brigata sulla sommità del cocuzzolo. Va che contenti!



In scioltezza scendiamo per il versante sud, fino alla deviazione per lo Tso Kar che si stacca sulla sinistra.

Una stradina stretta ci porta ora in un mondo di meraviglie. La luce è quella giusta che precede il tramonto, di quelle che ti fanno sentire in pace con l’universo mondo. Gli spazi si dilatano e scompare ogni forma di presenza umana.



Grazie pacioccone! So che in tutto questo deve esserci anche il tuo zampino (o forse il tuo piede sinistro, quello con tre dita).



Le ombre si allungano e gioco a fare Peter Pan.





Improvvisamente mi attraversano la strada dei cavalli selvaggi, un po’ strani, perché hanno la criniera a spazzola come le zebre, ma non hanno le righe e sono più piccoli dei cavalli normali. Pascolano liberi in questo altopiano tutto l’anno perché qui la neve non supera mai i venti centimetri, nonostante l’altitudine, e quindi qualche filo d’erba, scavando con il muso, lo trovano anche d’inverno.



Neanche a dirlo, noi abbiamo un cauboi (scritto proprio così) di nome Alberto che si getta all’inseguimento pensando di essere in Arizona.



Ma secondo voi, sti equini, sono qua a farsi prendere da uno in moto, pure dinoccolato a piedi, che per di più non sa neanche saltare?

Evidentemente no… per cui, dai Albertozzz, torna indietro che ti sei divertito abbastanza per oggi.



Il luogo è sterminato e incredibilmente fantastico. E questa luce magica vorremmo che non finisse mai.









Però adesso dobbiamo sbrigarci, il sole sta tramontando e ci piacerebbe vedere il lago prima che cali completamente.





Proseguiamo per l’altopiano nella solitudine più assoluta fino al nostro resort. Si, anche qui, resort è un parolone, perché si tratta dei soliti scatolotti di compensato, che però sono un lusso, dato che ci sono pure le tende con tanto di spifferi.

Ci fermiamo giusto un momento per dire che siamo arrivati e tiriamo diritto per lo Tso Kar, un lago salato d’altura, molto più piccolo del Pangong Tso, ma più alto di quota (4600 metri) e circondato da paludi e spiagge.





Hai detto spiagge? Si, proprio spiagge, Alberto, hai capito bene, spiagge.

E chi lo vede più adesso! Il ragazzo ha preso la tangente e comincia a guidare ad minchiam tra i cespugli e la sabbia compatta, senza meta e senza senso…

Lo ritroveremo più avanti intento a parcheggiare la moto senza cavalletto, travestito da befana…



E’ lui adesso il re dei minchiones: mi arrendo, mi ha superato, e lo guardo compiaciuto di aver lasciato il prestigioso titolo in buone mani.



E ci sta pure un omaggio alla mia torpedo blu che mi ha portato fin qui senza perdere troppi pezzi.



Manca solo una foto ricordo, che penso rimarrà nei nostri ricordi a lungo e che riassume l’essenza di questa incredibile giornata.



Poi, per una strana legge gravitazionale, uno di noi subisce un involontario innalzamento dal suolo. Chi sarà mai?



E’ ora di tornare. Il sole è ormai tramontato.



Ritorniamo al vicino accampamento e ci sistemiamo nelle nostre suites.



Imparo anche a farmi la doccia con tre litri d’acqua: finalmente comprendo l’utilizzo del secchio che è sempre presente nei bagni ladakhi.



Docciati al risparmio, andiamo a cena e - sorpresa sorpresa - troviamo la pasta al pomodoro cinese. Non mi sembra vero! Che sia anche buona? Buonissima, altro che buona! Come avranno fatto a cuocerla giusta al dente a 4600 metri di altitudine, dove l’acqua bollirà si è no a 50 gradi, è affar loro, fatto sta che la mangiamo tutta, ma proprio tutta.

Siamo a tavola con un ornitologo indiano, il quale ci informa che la strada che vorremmo fare domani (ma che abbiamo promesso a Donato che non faremo) è in parte allagata dall’Indo: il grande fiume in più punti ha infatti rotto gli argini. Così ci togliamo la tentazione di disobbedire al capo… mantenendo fede alla parola data. E così sarà.

Le tende si illuminano di luce propria e il cielo si colora di un azzurro quasi surreale.



La jeep ancora non è arrivata. Aspettiamo al caldo nel ristorante, perché la temperatura fuori (e dentro) le nostre camere è scesa di brutto.

Ma ecco due fari in lontananza: è lui, il nostro driver (che non so più come chiamare), arrivato sano e salvo sto giro, senza fare incidenti, assieme ad un suo compare. Ci informa che Roberta sta meglio e ci sentiamo tutti più sereni.

Fuori il cielo è un bombardamento di stelle.





E sotto questa coperta a pois andiamo a dormire. Ci si vede domani, ragazzi…
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Massimo Adami
BMW F800GS Adventure
YAMAHA XT600E

Ultima modifica di Massimo; 24-09-2017 a 18:02
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