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Vecchio 05-02-2008, 12:56   #23
peppe
Pivello Mukkista
 
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Lo dico subito: sono di parte. Questo è, secondo me, l’unico libro che bisognerebbe leggere della letteratura motociclistica. E’ l’unico libro (fra quelli che ho letto) che parla della motocicletta come Idea utilizzando i canoni descrittivi del pensiero occidentale (platone e fedro non sono citati a caso), e sviluppando una concezione del rapporto moto-motociclista che comprende gli elementi fondamentali della filosofia orientale. Questa sintesi (secondo me riuscita) di coniugare oriente ed occidente rappresenta una visione della condizione umana intensa e profonda e descrive un modo di stare nel mondo che mi calza addosso come la mia moto immaginaria dopo aver regolato anticipo, carburazione, sterzo, pedane e leve. Questo è un libro di filosofia, è un libro sull’uomo, è un libro sulla moto, è un libro sulla manutenzione; è tutto questo e tutto quello che non ho capito, è ogni singolo aspetto e l’insieme degli aspetti, è la capacità di contenerlo in una visione che potrebbe essere più importante di tutto il resto.
E chi l’avrebbe mai immaginato che era possibile mescolare il platonismo, buddha e le puntine platinate?
E’ vero le descrizioni motociclistiche nel senso a cui siamo abituati sono rare, ma non ho mai letto una descrizione formalmente più impeccabile del sistema moto. Soprattutto viene fatta una descrizione di come il sistema moto interagisce con il sistema personalità e come i due aspetti si combinino per generare entusiasmo o demotivazione a seconda dei casi. Viene inoltre descritta una metodologia logica deduttiva applicata alla manutenzione (e forse è più corretto dire metametodologia) che Pirsig fa diventare un approccio all’esistenza finalizzato alla ricerca della qualità (il bisogno di qualità risponde a caratteristiche individuali). E’ un libro che parla della relazione fra persone e cose approfondendo la connessione che ci permette di spiegare i fenomeni, noi stessi e gli altri( la figura del saldatore che ripara ad elettrodo il lamierino di un carter è una foto su vari piani di realtà). E’ un libro inclusivo che guarda la follia da una dimensione molto umana, che in alcuni passaggi diventa una psicoterapia, che in altri è una filosofia nel senso di amore per il sapere.
Intreccia chi siamo, cosa facciamo, come lo facciamo. Suggerisce di chiedere a noi stessi quello che è bene e quello che non lo è. E’ in qualche modo un libro sulla responsabilità di curare e non dimentica di descrivere il tentativo di miglioramento che ogni cura porta con se.
Mi ha ricordato che dentro la materia esiste qualcosa che è speculare a noi stessi e che dovremmo vedere riflessa più spesso. Da quel ricordo ho avuto la percezione che qualcosa dentro di me seguiva una strada, che vedo o non vedo a secondo delle mie capacità . Mi ha insegnato che il bisogno di vedere il riflesso di noi stessi nella cose della vita è caratteristico della condizione umana.
E’ stato cosi intenso che dopo averlo letto, i motociclisti li ho divisi in due: quelli che lo hanno capito e quelli che non lo hanno capito (non è mia intenzione offendere nessuno, si com-prende quello che si può portare dentro di se, quello che già ci appartiene, quello che conosciamo e non sappiamo di conoscere, tutto il resto si può apprendere). O per dirla alla fedro: quelli che si fanno la manutenzione da se e quelli che portano la moto dal meccanico.E’ da questa domanda che inizia il libro ed è difficile che si possa comprendere, se non hai mai aperto il motore della tua moto ( e per aperto intendo fino all’ultima vite). Si imparano un sacco di cose sul motore, ed impari un sacco di cose su te stesso.
E dopo aver imparato le basi della tecnica, si impara ad ascoltare la materia, quanto stringere e come mettere il sigillante. Poi un bel giorno senza preavviso, senti che sei diventato le tue mani, che tutto il resto è sparito, che non potresti essere in nessun altro posto in quel momento e impari a cercare questa condizione mentre guidi, nei viaggi, quando stai con le persone, quando sei da solo.
Ora la vera domanda è : chi ritiene di essere un motociclista quale strada deve percorrere per arrivare dove desidera arrivare? E se questo posto è fuori dai percorsi ordinari come si prepara per arrivarci? E’ possibile arrivare dove si desidera all’interno di percorsi tracciati?
Certo poi esiste la moto come fenomeno di moda, come oggetto di consumo, come mezzo per, ma sono cose che personalmente non mi interessano perché ritengo che la moto è un oggetto che esiste solo se ti da la possibilità di essere più pienamente te stesso.
E mi dispiace che con il passare degli anni questa possibilità si incrosta del peso dell’esistenza che rende più difficile ritrovarsi.
Ma nonostante le avversità, quando guardo le mie moto, capisco che davanti alla porta di casa non ci potrebbe stare nient’altro. E che non avrei potuto non leggerlo “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”.
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