Merlino
30-08-2006, 21:15
23/09/2003 - L'Unità - Delia Vaccarello
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Donne lesbiche e moto, attrazione fatale
Si diffonde la passione per le due ruote. Le voci dal raduno sull’Appennino tosco-emiliano: «È ora di guidare, siamo stanche di fare le passeggere»
La strada sale tra filari di alti faggi, le mani impugnano i manubri, il vento soffia nei pensieri, i motori coprono il silenzio. Decine di motociclette attraversano l'Appennino tosco emiliano, raggiungono la piccola Fiumalbo, si chetano sul selciato della piazza all'ombra del campanile affilato. Il casco riposto nella custodia, ne scendono una cinquantina di donne e ragazze. Alcune di loro si tengono per mano.
Si è appena concluso il motoraduno organizzato da Fuoricampo (www.fuoricampo.net) , associazione bolognese di lesbiche impegnata ad aggregare sulle passioni: oggi le due ruote, domani anche un'officina che fungerà da laboratorio d'arte. In estate piena, un'altra comitiva di centaure ha attraversato l'alto Lazio e l'Umbria, abbracciando il lago di Bolsena, entrando a Civita di Bagnoregio, la fragile città che muore, solcando le campagne intorno. L'occasione era una tre giorni organizzata da Motodilei, iniziativa affiliata al centro per sole donne «Terradilei».
Le lesbiche, dunque, stanno saltando in sella. Stanche di fare le passeggere, coronano un sogno accarezzato fin da bambine, a volte tenuto per anni a riposo, alfine conquistato. «Io sono nata motociclista - dice Monica - ma vedevo intorno a me solo i maschi andare in moto. Poi ad incoraggiarmi è stata la mia fidanzata, motorizzata da anni: "Dai che ci arrivi, su prova a mettere le marce". Ho usato per un po' la sua moto, l'ho rotta e l'ho portata a riparare due volte. Poi ne ho comprato una a costo di grandissimi sacrifici. Oggi compie un anno. La chiamo "la mia bambina", "il mio amore", "il mostro"». C'è, poi, la moto di coppia. Dice Elisa: «Ho una gran passione per la moto e in particolare per la "Monster", 650 di cilindrata, 180 chili. E' di Laura, la mia fidanzata, ma in pratica è nostra». E Laura: «Elisa è la mamma della Monster, la cura, la tiene in perfette condizioni. Io la do a lei perché è la mia compagna, non la porta nessun'altra». C'è, ancora, la moto «per così dire», cioè lo scooter. Ha due ruote, ma… «Sono scooterista dall'86, ex vespista. Ho avuto per un po' la 125 primavera, adesso ho uno scooter grande. Non è come le moto, non ha le marce e ha le ruote piccole, però d'inverno mi sento più protetta perché ha il parabrezza. Questo è il mio primo raduno, lo scooter si è comportato bene. Certo… mi piacciono le donne con la moto», dice Antonella.
E c'è la moto in garage, l'incarnazione "del sogno" in un'anima di ferro. «Ho avuto la prima moto a 16 anni, una Yamaha. Allora, una ventina di anni fa, non si vedeva nessuna donna in sella. Quando mi toglievo il casco, i maschi non mancavano di esclamare: "Ah! Sarà una lesbica". C'era anche una gran competizione, se mio malgrado acceleravo superandoli, e lo facevo solo perché assecondavo la potenza del motore, scatenavo incredibili reazioni. Il mio primo amore è stata una donna. Poi ho fatto una deviazione, spinta dalla famiglia. "Non ti sposi?", e mi sono sposata. Sono passati dieci anni, finché ho accettato di aprire gli occhi. Ho scoperto di non essere felice - racconta Elisabetta -. Sono caduta in depressione, ho tentato anche il suicidio. Poi… la svolta. Mi sono ammalata: cinque ernie alla schiena. Rischiavo la paralisi a vita. Ho capito che non potevo permettermi anche la paralisi emotiva. Il rischio di restare invalida mi ha fatto riflettere sulle priorità, e le ho invertite. Non potevo sprecare e sprecarmi. Non potevo camuffare la mia vera me. Intendiamoci, spesso devi farlo. Ma non fino in fondo, ti devi fermare prima. Prima della paralisi. Mi sono ripresa la vita. Sono fidanzata con una donna da dieci mesi. La moto? Resterà sempre con me, la custodisco nel mio garage».
Tante donne hanno deciso di prendere il posto di chi guida, hanno scelto di non lasciarsi più trasportare. L'appuntamento per tutte, senza distinzione di orientamento, è i primi di ottobre con il raduno organizzato dal sito www.motocicliste.net. Spesso, solo dopo aver trascorso anni sul sellino di dietro ad imparare il ritmo altrui per assecondarlo, le donne hanno deciso di impugnare il manubrio. Tante le differenze con la guida dell'auto, dicono le centaure. «Sei dentro la scena, non davanti a uno schermo», «guidi con tutto il corpo», «la moto è il tuo corpo», «l'abbracci, la senti, ti sdrai sul serbatoio», «andare in moto per me è come nuotare». Se sono le donne in genere (omosex o etero non importa) ad abbandonarsi alla passione per le moto, è vero che le lesbiche trovano nelle loro vite un terreno già battuto. «Le lesbiche osano di più - dice Luki, di Fuoricampo - siamo abituate ad andare contro gli stereotipi. A me piace molto guidare la mia Kawasaki, mi sento immersa nello spazio, protagonista». La moto è anche veicolo di aggregazione. «Siamo interessate al raduno proprio perché è organizzato dalle donne lesbiche», dice una coppia di Ferrara.
Kawasaki, Ducati, Honda… le moto di grossa cilindrata brillano con le cromature al sole. Le case costruttrici di recente hanno realizzato tipi accessibili a tutti, non tanto esplicitamente per le donne, ma che vanno bene per coloro che non superano il metro e sessanta. Anche l'abbigliamento femminile, ieri pensato per le passeggere, oggi è disponibile in tante marche proprio perché le guidatrici stanno prendendo il sopravvento. Non ci sono più solo giubbotti dalle spalle enormi e la vita che scende a piombo, ma giubbottini che accompagnano la linea del seno e dei fianchi.
L'equipaggiamento prevede ogni tipo di accorgimento per dare agio e sicurezza. Casco - in tre versioni: integrale, modulare, jet -, sottocasco, sottogola, tuta e sottotuta, guanti e stivali, il cinturino (un supporto lombare che protegge la schiena dalle continue sollecitazioni), il ragno per tenere fermi i bagagli, la sacca con la calamita che aderisce al serbatoio con una parte in alto trasparente dove inserire la cartina del percorso, i numeri di cellulare delle coordinatrici del gruppo. Le bandierine da applicare al di sopra della ruota posteriore… . Sotto il casco che copre l'identità, e non fa capire se alla guida c'è un uomo o una donna, le motocicliste indossano la bandana del raduno che marca il senso di appartenenza.
Appartenenza ed esperienza di libertà. «Al lavoro non sono libera, a casa neanche. In un gruppo di motocicliste mi sento me stessa, e sono con donne che mi somigliano, insieme alle altre la mia libertà non è più un'eccezione. Anche per questo mi unisco a loro, cerco uno spazio in cui fare cose normali», dice Barbara. Il senso di libertà si espande. «Al termine delle passeggiate il gruppo è gasatissimo», esulta Isabel, una delle organizzatrici. Il gruppo si fa forte di sé, innesca dinamiche proprie, è un corpo vivo. A volte ripropone ciò che in ogni gruppo ha luogo. Ha le sue regole esplicite. «Non viaggiate in fila indiana. Ci sono un'apripista e una ramazza che chiude la fila e poi due abili viaggiatrici. Le ragazze bivio, che danno le indicazioni a chi si trova staccata, hanno i gilet arancio…». Le regole servono per restare unite. Finito il raduno, si torna a casa. L'ultimo tratto di strada si percorre da sole. Il gruppo non c'è più, resta l'equipaggiamento a testimoniare le corse appena fatte. Sotto il casco riposa la promessa di una futura libertà.
Fonte originale: http://www.arcigaymilano.org/stampa/dosart.asp?id=6616
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Donne lesbiche e moto, attrazione fatale
Si diffonde la passione per le due ruote. Le voci dal raduno sull’Appennino tosco-emiliano: «È ora di guidare, siamo stanche di fare le passeggere»
La strada sale tra filari di alti faggi, le mani impugnano i manubri, il vento soffia nei pensieri, i motori coprono il silenzio. Decine di motociclette attraversano l'Appennino tosco emiliano, raggiungono la piccola Fiumalbo, si chetano sul selciato della piazza all'ombra del campanile affilato. Il casco riposto nella custodia, ne scendono una cinquantina di donne e ragazze. Alcune di loro si tengono per mano.
Si è appena concluso il motoraduno organizzato da Fuoricampo (www.fuoricampo.net) , associazione bolognese di lesbiche impegnata ad aggregare sulle passioni: oggi le due ruote, domani anche un'officina che fungerà da laboratorio d'arte. In estate piena, un'altra comitiva di centaure ha attraversato l'alto Lazio e l'Umbria, abbracciando il lago di Bolsena, entrando a Civita di Bagnoregio, la fragile città che muore, solcando le campagne intorno. L'occasione era una tre giorni organizzata da Motodilei, iniziativa affiliata al centro per sole donne «Terradilei».
Le lesbiche, dunque, stanno saltando in sella. Stanche di fare le passeggere, coronano un sogno accarezzato fin da bambine, a volte tenuto per anni a riposo, alfine conquistato. «Io sono nata motociclista - dice Monica - ma vedevo intorno a me solo i maschi andare in moto. Poi ad incoraggiarmi è stata la mia fidanzata, motorizzata da anni: "Dai che ci arrivi, su prova a mettere le marce". Ho usato per un po' la sua moto, l'ho rotta e l'ho portata a riparare due volte. Poi ne ho comprato una a costo di grandissimi sacrifici. Oggi compie un anno. La chiamo "la mia bambina", "il mio amore", "il mostro"». C'è, poi, la moto di coppia. Dice Elisa: «Ho una gran passione per la moto e in particolare per la "Monster", 650 di cilindrata, 180 chili. E' di Laura, la mia fidanzata, ma in pratica è nostra». E Laura: «Elisa è la mamma della Monster, la cura, la tiene in perfette condizioni. Io la do a lei perché è la mia compagna, non la porta nessun'altra». C'è, ancora, la moto «per così dire», cioè lo scooter. Ha due ruote, ma… «Sono scooterista dall'86, ex vespista. Ho avuto per un po' la 125 primavera, adesso ho uno scooter grande. Non è come le moto, non ha le marce e ha le ruote piccole, però d'inverno mi sento più protetta perché ha il parabrezza. Questo è il mio primo raduno, lo scooter si è comportato bene. Certo… mi piacciono le donne con la moto», dice Antonella.
E c'è la moto in garage, l'incarnazione "del sogno" in un'anima di ferro. «Ho avuto la prima moto a 16 anni, una Yamaha. Allora, una ventina di anni fa, non si vedeva nessuna donna in sella. Quando mi toglievo il casco, i maschi non mancavano di esclamare: "Ah! Sarà una lesbica". C'era anche una gran competizione, se mio malgrado acceleravo superandoli, e lo facevo solo perché assecondavo la potenza del motore, scatenavo incredibili reazioni. Il mio primo amore è stata una donna. Poi ho fatto una deviazione, spinta dalla famiglia. "Non ti sposi?", e mi sono sposata. Sono passati dieci anni, finché ho accettato di aprire gli occhi. Ho scoperto di non essere felice - racconta Elisabetta -. Sono caduta in depressione, ho tentato anche il suicidio. Poi… la svolta. Mi sono ammalata: cinque ernie alla schiena. Rischiavo la paralisi a vita. Ho capito che non potevo permettermi anche la paralisi emotiva. Il rischio di restare invalida mi ha fatto riflettere sulle priorità, e le ho invertite. Non potevo sprecare e sprecarmi. Non potevo camuffare la mia vera me. Intendiamoci, spesso devi farlo. Ma non fino in fondo, ti devi fermare prima. Prima della paralisi. Mi sono ripresa la vita. Sono fidanzata con una donna da dieci mesi. La moto? Resterà sempre con me, la custodisco nel mio garage».
Tante donne hanno deciso di prendere il posto di chi guida, hanno scelto di non lasciarsi più trasportare. L'appuntamento per tutte, senza distinzione di orientamento, è i primi di ottobre con il raduno organizzato dal sito www.motocicliste.net. Spesso, solo dopo aver trascorso anni sul sellino di dietro ad imparare il ritmo altrui per assecondarlo, le donne hanno deciso di impugnare il manubrio. Tante le differenze con la guida dell'auto, dicono le centaure. «Sei dentro la scena, non davanti a uno schermo», «guidi con tutto il corpo», «la moto è il tuo corpo», «l'abbracci, la senti, ti sdrai sul serbatoio», «andare in moto per me è come nuotare». Se sono le donne in genere (omosex o etero non importa) ad abbandonarsi alla passione per le moto, è vero che le lesbiche trovano nelle loro vite un terreno già battuto. «Le lesbiche osano di più - dice Luki, di Fuoricampo - siamo abituate ad andare contro gli stereotipi. A me piace molto guidare la mia Kawasaki, mi sento immersa nello spazio, protagonista». La moto è anche veicolo di aggregazione. «Siamo interessate al raduno proprio perché è organizzato dalle donne lesbiche», dice una coppia di Ferrara.
Kawasaki, Ducati, Honda… le moto di grossa cilindrata brillano con le cromature al sole. Le case costruttrici di recente hanno realizzato tipi accessibili a tutti, non tanto esplicitamente per le donne, ma che vanno bene per coloro che non superano il metro e sessanta. Anche l'abbigliamento femminile, ieri pensato per le passeggere, oggi è disponibile in tante marche proprio perché le guidatrici stanno prendendo il sopravvento. Non ci sono più solo giubbotti dalle spalle enormi e la vita che scende a piombo, ma giubbottini che accompagnano la linea del seno e dei fianchi.
L'equipaggiamento prevede ogni tipo di accorgimento per dare agio e sicurezza. Casco - in tre versioni: integrale, modulare, jet -, sottocasco, sottogola, tuta e sottotuta, guanti e stivali, il cinturino (un supporto lombare che protegge la schiena dalle continue sollecitazioni), il ragno per tenere fermi i bagagli, la sacca con la calamita che aderisce al serbatoio con una parte in alto trasparente dove inserire la cartina del percorso, i numeri di cellulare delle coordinatrici del gruppo. Le bandierine da applicare al di sopra della ruota posteriore… . Sotto il casco che copre l'identità, e non fa capire se alla guida c'è un uomo o una donna, le motocicliste indossano la bandana del raduno che marca il senso di appartenenza.
Appartenenza ed esperienza di libertà. «Al lavoro non sono libera, a casa neanche. In un gruppo di motocicliste mi sento me stessa, e sono con donne che mi somigliano, insieme alle altre la mia libertà non è più un'eccezione. Anche per questo mi unisco a loro, cerco uno spazio in cui fare cose normali», dice Barbara. Il senso di libertà si espande. «Al termine delle passeggiate il gruppo è gasatissimo», esulta Isabel, una delle organizzatrici. Il gruppo si fa forte di sé, innesca dinamiche proprie, è un corpo vivo. A volte ripropone ciò che in ogni gruppo ha luogo. Ha le sue regole esplicite. «Non viaggiate in fila indiana. Ci sono un'apripista e una ramazza che chiude la fila e poi due abili viaggiatrici. Le ragazze bivio, che danno le indicazioni a chi si trova staccata, hanno i gilet arancio…». Le regole servono per restare unite. Finito il raduno, si torna a casa. L'ultimo tratto di strada si percorre da sole. Il gruppo non c'è più, resta l'equipaggiamento a testimoniare le corse appena fatte. Sotto il casco riposa la promessa di una futura libertà.
Fonte originale: http://www.arcigaymilano.org/stampa/dosart.asp?id=6616