ɐlɔɐlɔ
24-11-2020, 01:49
https://www.autobelle.it/altre-immagini/immagini_annunci/51/517020/lista_517020.d1523879493.jpg
https://immagini.secondamano.it/Public/Foto/20150327/au/4/ec466fb5-5fb1-4b56-82e7-9fcf069a40d8.jpg
Una naked (come si dice oggi).
Bicilindrico, fronte marcia, raffreddato ad aria, due valvole per cilindro, 35 cavalli su una ciclistica da bicicletta economica.
Ma è probabilmente colpa della Z400 se sono diventato motociclante.
23 novembre del 1980. Ho 9 anni. Mio padre mi porta al cinema, a Sanremo, a vedere un (dimenticabile) film di Jerry Lewis, mentre mia madre resta a casa con mio fratello nato solo 21 giorni prima.
Al ritorno a casa, sono le 10 di sera, mia madre dice che ha provato a telefonare a suo fratello e alla sorella di mio padre, entrambi in provincia di Salerno, ma che i telefoni danno sempre occupato. Nessuno si preoccupa più di tanto. Può succedere.
Però… Ecco in TV una edizione straordinaria del Tg1. Terremoto in Irpinia e zone limitrofe. Poche notizie. Nessuno sa molto.
Ero già a letto, ma capisco che qualcosa non va.
Mia madre è visibilmente scossa. Mio padre prende casco e giubbotto, butta qualcosa nella borsa serbatoio e in un’altra da legare sulla sella e parte.
Prende quella motina e intorno alla mezzanotte di quel 23 novembre è in strada per fare 1000km senza avere idea di cosa, e soprattutto di chi, potrà trovare.
Il resto me lo racconta lui, negli anni.
Il viaggio quasi tranquillo fino a poco prima di Napoli, poi il delirio. Entrare e uscire dall’autostrada. Guidare tra e sulle macerie. Arrivare a Eboli da sua sorella e sua madre e trovarle fortunatamente vive, ma senza più nulla. Raggiungere Montecorvino Rovella e trovare viva tutta la famiglia di mia madre. Riuscire in qualche modo a contattare casa per tranquillizzare mia madre. Aiutare a scavare tra le macerie. Ammassare le bare in piazza. Dormire in un campo, costruendo un rudimentale sismografo impilando lattine vuote. Mettere al servizio del comune la sua esperienza di radioamatore. Accogliere i suoi amici arrivati da Ventimiglia per dare una mano.
E il ritorno a casa, dopo un mese, ancora più magro di quando era partito.
Con quella motina lì.
35 cavalli, bolsi, su una ciclistica da bicicletta economica.
Quando leggo di polemiche su moto che non emozionano, che non sono prestazionali, economiche, mi viene in mente il mio babbo, in una notte di novembre, che viaggia, da solo, squassato da emozioni che neanche una Panigale può dare.
E quanto quella immagine mi abbia, per fortuna, spinto a godere di questa passionaccia.
Per me, sto ceraffo, sarà sempre una gran moto.
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Una naked (come si dice oggi).
Bicilindrico, fronte marcia, raffreddato ad aria, due valvole per cilindro, 35 cavalli su una ciclistica da bicicletta economica.
Ma è probabilmente colpa della Z400 se sono diventato motociclante.
23 novembre del 1980. Ho 9 anni. Mio padre mi porta al cinema, a Sanremo, a vedere un (dimenticabile) film di Jerry Lewis, mentre mia madre resta a casa con mio fratello nato solo 21 giorni prima.
Al ritorno a casa, sono le 10 di sera, mia madre dice che ha provato a telefonare a suo fratello e alla sorella di mio padre, entrambi in provincia di Salerno, ma che i telefoni danno sempre occupato. Nessuno si preoccupa più di tanto. Può succedere.
Però… Ecco in TV una edizione straordinaria del Tg1. Terremoto in Irpinia e zone limitrofe. Poche notizie. Nessuno sa molto.
Ero già a letto, ma capisco che qualcosa non va.
Mia madre è visibilmente scossa. Mio padre prende casco e giubbotto, butta qualcosa nella borsa serbatoio e in un’altra da legare sulla sella e parte.
Prende quella motina e intorno alla mezzanotte di quel 23 novembre è in strada per fare 1000km senza avere idea di cosa, e soprattutto di chi, potrà trovare.
Il resto me lo racconta lui, negli anni.
Il viaggio quasi tranquillo fino a poco prima di Napoli, poi il delirio. Entrare e uscire dall’autostrada. Guidare tra e sulle macerie. Arrivare a Eboli da sua sorella e sua madre e trovarle fortunatamente vive, ma senza più nulla. Raggiungere Montecorvino Rovella e trovare viva tutta la famiglia di mia madre. Riuscire in qualche modo a contattare casa per tranquillizzare mia madre. Aiutare a scavare tra le macerie. Ammassare le bare in piazza. Dormire in un campo, costruendo un rudimentale sismografo impilando lattine vuote. Mettere al servizio del comune la sua esperienza di radioamatore. Accogliere i suoi amici arrivati da Ventimiglia per dare una mano.
E il ritorno a casa, dopo un mese, ancora più magro di quando era partito.
Con quella motina lì.
35 cavalli, bolsi, su una ciclistica da bicicletta economica.
Quando leggo di polemiche su moto che non emozionano, che non sono prestazionali, economiche, mi viene in mente il mio babbo, in una notte di novembre, che viaggia, da solo, squassato da emozioni che neanche una Panigale può dare.
E quanto quella immagine mi abbia, per fortuna, spinto a godere di questa passionaccia.
Per me, sto ceraffo, sarà sempre una gran moto.