trottalemme
22-05-2020, 10:54
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“Giriamo verso le Torricelle?” – chiedo all’amico col quale siamo fermi al semaforo rosso. L’intesa inespressa era di attraversare la città e non affrontare subito i tornanti. Perché questa è la prima uscita in moto dopo…
Già, dopo che cosa?
Da due giorni è finito il confinamento in casa per arginare ‘sto maledetto virus, ma per me la ripartenza più importante è l’uscita da due anni di sopravvivenza: l’esacerbarsi dei disturbi, la spossatezza crescente, i ricoveri ospedalieri, i due interventi chirurgici, la ripresa lenta fra alti e bassi del morale, sono state tappe di un viaggio che non ho compiuto in motocicletta e con poche speranze di risalire in sella.
Ora, eccomi qui. Il test di muovere la moto a mano fuori dal garage è andato bene; ho portato Lady Blue a gonfiare le gomme; un tagliando e l’assicurazione. Sono fermo al semaforo, con il motore che ronfa fra le gambe, l’eccitazione di tanti anni fa e il timore di non sapere più come si fa. Tanta voglia di riprendere per la coda quel po’ di avventura che ho sempre cercato.
“Giriamo verso le Torricelle?” – chiedo a Roberto.
Un allungo, ed eccoci al semaforo dove cominciano i tornanti. È rosso anche questo. C’è una Twingo davanti a noi e poi quei centocinquanta metri di rettilineo prima della curva. Semaforo verde. D’impulso, apro il gas per superare di slancio la macchinetta; non voglio arrancarle dietro sui primi tornanti della ripartenza. Destra, sinistra, destra, e via fino al crinale colla Valpantena. Mi impensieriscono i due stretti tornanti a gomito della discesa a Porta Vescovo, ma è una nuvola che svapora presto al sole.
La meta è un classico delle gite brevi sui Lessini: San Giorgio per la strada che passa da Cerro e Boscochiesanuova. Strada comoda, larga, tranquilla, da principianti.
In coda nel traffico della riapertura lungo la Provinciale 6 fino a Stallavena, dietro ad un autoarticolato. “Se non si ferma prima dei tornanti, cambio strada” – mi dico. Non ho voglia di azzardi, ma nemmeno di stare in colonna fino a chissà dove.
Il camion si inerpica a destra verso Cerro Veronese e noi continuiamo in Valpantena. Dopo Lugo, la valle si rinserra in una forra e nelle zone d’ombra stagna il profumo della terra umida, quel sentore che anticipa il ciclamino d’agosto.
Il corpo ritrova la confidenza con l’equilibrio e la velocità: giù all’interno della curva, scegliere la marcia giusta ascoltando il canto del motore, dare un colpetto di freno posteriore per correggere la traiettoria, aprire il gas nei rettilinei. Il lampo di buio passando dal sole in faccia all’ombra della montagna; la spruzzata di aria fresca dove il sole tarda ad arrivare.
A Cappella Fasani il panorama si allarga. I prati sono pettinati dalla brezza e profumano di linfa dolce. Macchie di fiori di campo aggiungono una nota agrumata al sentore dell’erba matura.
Avanti, avanti. Un caffè in piazza ad Erbezzo, con la mascherina sulla bocca a chiacchierare delle prospettive turistiche con la signora del bar.
Ancora avanti, giù nel Vajo dell’Anguilla. Oltre, il panorama cambia: i raggi del sole formano una trina sottile con le foglie nuove del faggio nelle macchie di bosco che la strada attraversa, i pascoli ospitano già i primi crocchi di vitelli pigri, il profumo ora è quello caldo e aspro del letame fresco.
Avanti, avanti. Fino a Boscochiesanuova dove una coppia di persone anziane, leggermente ingobbite e con la mascherina sulla bocca, si ferma a seguirci passare.
Avanti, avanti. A Sangiorgio, con i suoi casermoni vuoti e trascurati.
E ancora avanti, finché ci sarà strada da percorrere e forza per percorrerla.
“Giriamo verso le Torricelle?” – chiedo all’amico col quale siamo fermi al semaforo rosso. L’intesa inespressa era di attraversare la città e non affrontare subito i tornanti. Perché questa è la prima uscita in moto dopo…
Già, dopo che cosa?
Da due giorni è finito il confinamento in casa per arginare ‘sto maledetto virus, ma per me la ripartenza più importante è l’uscita da due anni di sopravvivenza: l’esacerbarsi dei disturbi, la spossatezza crescente, i ricoveri ospedalieri, i due interventi chirurgici, la ripresa lenta fra alti e bassi del morale, sono state tappe di un viaggio che non ho compiuto in motocicletta e con poche speranze di risalire in sella.
Ora, eccomi qui. Il test di muovere la moto a mano fuori dal garage è andato bene; ho portato Lady Blue a gonfiare le gomme; un tagliando e l’assicurazione. Sono fermo al semaforo, con il motore che ronfa fra le gambe, l’eccitazione di tanti anni fa e il timore di non sapere più come si fa. Tanta voglia di riprendere per la coda quel po’ di avventura che ho sempre cercato.
“Giriamo verso le Torricelle?” – chiedo a Roberto.
Un allungo, ed eccoci al semaforo dove cominciano i tornanti. È rosso anche questo. C’è una Twingo davanti a noi e poi quei centocinquanta metri di rettilineo prima della curva. Semaforo verde. D’impulso, apro il gas per superare di slancio la macchinetta; non voglio arrancarle dietro sui primi tornanti della ripartenza. Destra, sinistra, destra, e via fino al crinale colla Valpantena. Mi impensieriscono i due stretti tornanti a gomito della discesa a Porta Vescovo, ma è una nuvola che svapora presto al sole.
La meta è un classico delle gite brevi sui Lessini: San Giorgio per la strada che passa da Cerro e Boscochiesanuova. Strada comoda, larga, tranquilla, da principianti.
In coda nel traffico della riapertura lungo la Provinciale 6 fino a Stallavena, dietro ad un autoarticolato. “Se non si ferma prima dei tornanti, cambio strada” – mi dico. Non ho voglia di azzardi, ma nemmeno di stare in colonna fino a chissà dove.
Il camion si inerpica a destra verso Cerro Veronese e noi continuiamo in Valpantena. Dopo Lugo, la valle si rinserra in una forra e nelle zone d’ombra stagna il profumo della terra umida, quel sentore che anticipa il ciclamino d’agosto.
Il corpo ritrova la confidenza con l’equilibrio e la velocità: giù all’interno della curva, scegliere la marcia giusta ascoltando il canto del motore, dare un colpetto di freno posteriore per correggere la traiettoria, aprire il gas nei rettilinei. Il lampo di buio passando dal sole in faccia all’ombra della montagna; la spruzzata di aria fresca dove il sole tarda ad arrivare.
A Cappella Fasani il panorama si allarga. I prati sono pettinati dalla brezza e profumano di linfa dolce. Macchie di fiori di campo aggiungono una nota agrumata al sentore dell’erba matura.
Avanti, avanti. Un caffè in piazza ad Erbezzo, con la mascherina sulla bocca a chiacchierare delle prospettive turistiche con la signora del bar.
Ancora avanti, giù nel Vajo dell’Anguilla. Oltre, il panorama cambia: i raggi del sole formano una trina sottile con le foglie nuove del faggio nelle macchie di bosco che la strada attraversa, i pascoli ospitano già i primi crocchi di vitelli pigri, il profumo ora è quello caldo e aspro del letame fresco.
Avanti, avanti. Fino a Boscochiesanuova dove una coppia di persone anziane, leggermente ingobbite e con la mascherina sulla bocca, si ferma a seguirci passare.
Avanti, avanti. A Sangiorgio, con i suoi casermoni vuoti e trascurati.
E ancora avanti, finché ci sarà strada da percorrere e forza per percorrerla.