Visualizza la versione completa : PAMIR CON MOTO A NOLEGGIO (report, foto e video)
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QUI (https://drive.google.com/file/d/1M3RzHm_jOFrAewsr6nwpJp8tDGjTN_cJ/view?usp=sharing)
PREMESSA
Sono ormai passati diversi lustri da quando ho sentito parlare per la prima volta, quasi per caso, del Pamir nei primi reports di viaggiatori (per me allora) temerari che avevano attraversato queste terre lontane.
A quel tempo sembrava un’impresa impossibile per le mie capacità: la lontananza, le strade veramente malmesse, l’isolamento pressoché totale, i guadi profondi, i ponti crollati e una serie infinita di immense difficoltà, che non avrei saputo come affrontare.
Per molti anni il Pamir è dunque rimasto nel cassetto a sedimentare e a spaventare la mia inesperienza.
Poi, dopo l’avventura himalayana dell’anno scorso, ho deciso che i tempi erano maturi e che forse, con un amico fidato, avrei potuto cimentarmi nell’impresa.
Beh con un’impresa, con il senno del poi, il Pamir ha poco a che spartire: la meta è in effetti molto gettonata e generalmente assai frequentata, un po’ di moda se volete; tuttavia l’attrazione fatale è rimasta immutata e l’entusiasmo per i preparativi e l’organizzazione hanno preso il sopravvento con largo anticipo.
L’Asia crea dipendenza dopotutto e i grandi spazi e il paesaggio così diverso dal nostro giocano un ruolo catalizzante per molti. Così si finisce, prima o poi, per mettere il becco da queste parti. Del resto il Pamir è un po’ un "must have" per i motoviaggiatori curiosi, come Capo Nord per intenderci: insomma va fatto una volta nella vita, punto e basta.
Alberto Cantoni, conosciuto assieme a Luca Urbani in India, entrambi amici veri e puri, si è subito fatto convincere. Il resto è venuto da sé e son qui a raccontarvelo…
PAMIR: UN PO’ DI GEOGRAFIA
Da quel che ho letto in giro, ho l’impressione che la buona parte dei viaggiatori sappia gran poco del Pamir, per cui vi do alcune elementari informazioni, giusto per collocarlo con maggior cognizione sul nostro planisfero.
Innanzitutto ci troviamo in Asia Centrale (o Turkestan), una delle macroregioni dell'Asia, convenzionalmente collocata a grandi linee tra la sponda orientale del Mar Caspio e la Cina nord-occidentale.
Essa include cinque stati: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan (ora indipendenti, ma già facenti parte dell'Unione Sovietica), tutti di cultura e lingua turche, a eccezione di quella iraniana presente nel Tagikistan.
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L’area del Pamir è geologicamente un altopiano di circa 100.000 km² (con altitudine variabile tra i 3.000 e 4.000 metri) che corre in direzione est-ovest, circondato da montagne a nord e a sud.
In realtà ha molto più senso parlare di Monti del Pamir, perché si tratta di un gruppo montuoso nell’Asia Centrale, che si colloca nella congiunzione geografica delle catene Himalayane del Tian Shan (la catena montuosa che separa il Kirghizistan dalla Cina), del Karakorum (situato a nord-ovest della catena himalayana e diviso da questa dalla fossa del fiume Indo), del Kunlun Shan (la più lunga catena montuosa asiatica) e dell’Hindu Kush (che occupa gran parte del territorio afgano e pakistano).
La mappa qui sotto vi può aiutare anche visivamente.
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Il Gruppo montuoso del Pamir o meglio dei “Pamirs” si suddivide in vari sottogruppi: Grande Pamir, Piccolo Pamir, Taghdumbash Pamir, Alichur Pamir, Sarez Pamir e Khargush Pamir, ma qui stiamo andando troppo sul dettaglio…
La massima elevazione raggiunge i 7.649 m con il Kongur Tagh (che si trova all’estremità orientale del Pamir, in territorio cinese). Seguono l’Ismoil Somoni Peak (conosciuto anche come Stalin Peak e poi come Communism Peak) con 7.495 m in territorio Tagiko e l’Ibn Sina Peak (conosciuto come Peak Lenin) con 7.134 m sulla cresta di confine tra Kirghizistan e Tajikistan.
Il principale fiume del Pamir - e filo conduttore di tutto il viaggio - è il Panj (si legge “pangi”), che nasce dalla confluenza del Pamir River e del Wakhan River, nell’estremo est della regione. Il Panj si sviluppa per oltre 1.000 km di lunghezza e costituisce per un lungo tratto la frontiera geografica tra Afghanistan e Tagikistan. A sud di Dushambe - ancora una volta sul confine afgano - si unisce ad un altro grande fiume, il Vakhsh River (che sorge in Kirghizistan), formando così uno dei più importanti corsi d’acqua dell’Asia centrale: l’Amu Darya.
Un tempo quest’ultimo sfociava con un delta nel lago d'Aral, ma – come è noto – dalla fine degli anni cinquanta la portata dell'Amu Darya è progressivamente diminuita per una colossale derivazione a scopi irrigui e, ormai da diversi decenni, il fiume non raggiunge più il lago (o meglio l’ex lago) e si perde nel deserto turkmeno.
M41 PAMIR HIGHWAY: IL MITO
Si tratta di una delle strade più famose e desiderate al mondo, per una serie di motivi che elenco brevemente.
Innanzitutto è la seconda strada internazionale più alta del pianeta, dopo la Karakorum Highway (che collega il Pakistan alla Cina attraverso il Passo Khunjerab a un'altitudine di 4.693 metri). La M41 collega infatti il Kirghizistan al Tagikistan raggiungendo i 4.655 metri dell’Ak-Baital Pass. E già questo non è poco, in termini di record.
In secondo luogo, costituisce un tratto di una delle vie della seta, e parrebbe che ne sia il pezzo più impegnativo, calcato nei secoli da moltitudini di mercanti e viaggiatori.
Infine, permette una vista ravvicinata dell’Afghanistan, dato che corre proprio sul confine per circa 240 km tra Khorugh e Kalai-Kumb, più che sufficienti per togliersi la voglia. Ma, se non ne aveste abbastanza, potete spararvi altri 280 km tra Murghab e Khorugh facendo la Wakhan Valley. Insomma l’Afghanistan attira e questa antica via carovaniera permette di affiancarlo in tutta sicurezza. Il che basta e avanza a far scattare la scimmia che è in ognuno di noi.
In realtà la Pamir Highway e la M41 sono rispettivamente la parte del tutto, nel senso che la prima è un tratto della seconda.
Secondo le varie fonti, in parte discordanti, la M41 inizia a Kara-Balta (a ovest di Bishkek in Kirghizistan) e termina a Mazar-i-Sharif (nel nord dell’Afghanistan): la lunghezza complessiva è di 2.143 km. Questa classificazione “estesa” è condivisa anche da Open Street Map.
Secondo altre fonti, più strette di manico, la strada inizia invece a Osh (in Kirghizistan) e termina a Termiz (nel sud del Tagikistan): in questo caso la lunghezza si riduce a 1.514 km.
L’immagine qui sotto chiarifica quanto appena detto: in rosso è evidenziata la parte ritenuta dai più prudenti come M41 vera e propria, e in blu le estensioni.
Fatto sta che, comunque la si voglia considerare, è una strada indubbiamente storica, perché ricalca – come detto - uno dei percorsi dell’antichissima via della seta.
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La Pamir Highway è un tratto della M41, e precisamente quello che va da Osh a Khorugh. Essa si svolge quasi interamente nel territorio del Gorno-Badachšan, che è poi una regione autonoma del Tagikistan.
Questa terra è sempre stata popolata da teste calde: infatti fu annessa alla Russia nel 1895, ma resistette con tenacia all’annessione al Turkestan bolscevico, tant’è che i Russi ne dovettero riconoscere l’indipendenza come oblast autonomo. Al disfacimento dell’Unione Sovietica, le popolazioni autoctone tentarono nuovamente di conquistare l’indipendenza con una guerra civile, ma vennero annessi alla nuova repubblica del Tagikistan, costituita nel 1994.
La cosa ovviamente non è stata molto gradita, anche perché la maggior parte della popolazione è costituita da pamiri, un gruppo etnico nativo di queste terre da millenni, che parla un gran numero di lingue e dialetti indigeni, differenti da villaggio a villaggio, e poco incline a farsi comandare dall’alto.
Insomma il Pamir è sempre stato un po’ turbolento, ma la situazione da anni è abbastanza stabile. Che cosa se ne facciano dell’autonomia i pamiri rimane per me un mistero, dato che l’economia prevalentemente agricola non consentirebbe loro di auto sostenersi… a meno che altra e più redditizia sia l’economia a cui aspirano, vista la vicinanza ravvicinata (anzi appiccicata) con l’Afghanistan e i suoi traffici più o meno leciti.
In tal caso, sarebbe facile comprendere le ragioni della ricercata indipendenza: meno controlli dall’esterno, più spazio di manovra all’interno. What’s else?
Del resto l’oppio afgano dovrà pure essere esportato da qualche parte, mica se lo possono fumare tutto i talebani! E guarda caso il Tagikistan ci sta proprio attaccato. La tentazione parrebbe forte…
Ad ogni modo, il tratto tra Dushambe e Khorugh è stato costruito dai sovietici nel 1915, mentre il tratto tra Khorugh e Murghab è stato realizzato, sempre dai russi, tra il 1931 e il 1934 per connettere il Gorno Badachšan con il resto dell’Unione Sovietica.
I russi non hanno peraltro creato nulla di nuovo, essendosi limitati ad allargare e sistemare quel che già esisteva, magari come semplice traccia, da tempo immemorabile.
Percorrendo la Pamir Highway nel suo tratto centrale e più ardito (che rimane pressoché sempre prossimo ai 3.500 metri di altitudine), si ha l’impressione che sia rimasta tale e quale all’epoca della sua costruzione. L’asfalto (dove è rimasto) è qui spesso piuttosto malridotto, perché la massicciata è praticamente fatta di terra (e quindi piena di avvallamenti, deformazioni e buche); i fianchi delle montagne (anch’essi fatti di terra e rocce marce) sono soggetti a frequenti franamenti, per cui si va di rattoppi e aggiustamenti alla bell’e meglio; infine ci sono i fiumi che, quando esondano, portano via tutto quel che c’è da portar via, ponti e strada compresi.
Insomma, chiamarla autostrada (o highway) sembra quasi una barzelletta, però sta proprio nell’incertezza della sua percorribilità il fascino di questa strada leggendaria.
Se guardate su youtube, vedrete la M41 in tutte le sue possibili varianti, anche quelle meno fotogeniche. Soprattutto negli anni scorsi, diciamo che non era sempre messa bene, e alcuni tratti, o brevi passaggi, potevano anche risultare intransitabili. La situazione trovata quest’estate era invece buona: nessun ponte crollato, nessun guado impossibile, nessuna frana insuperabile. Insomma si passava piuttosto benone e, ad essere sincero, l’ho trovata molto meno difficile, dal punto di vista tecnico, di quel che pensavo.
Ma non è detto che sia sempre così…
IL PERCORSO
Il nostro viaggio ha seguito il percorso classico ad anello con partenza da Osh in senso orario, con una deviazione per la Wakhan Valley e un’altra al campo base del Peak Lenin, utile anche per il consigliato acclimatamento.
In Ladakh ho sperimentato gli effetti dell’alta quota, e soprattutto quelli determinati dalla rapida ascensione. Certo, là le strade arrivano a 5.360 metri di altitudine, ma ho imparato a mie spese che l’acclimatamento preventivo, la salita lenta e la ridotta permanenza in alta quota sono piccoli accorgimenti che aiutano parecchio a non stare male. Poi ognuno è diverso, per cui se non patite il mal di montagna a queste altitudini, meglio per voi e andate pure sparati a razzo.
Qui vedete il percorso seguito e la sua collocazione nell’area dell’Asia Centrale.
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Andando più in dettaglio, preciso che abbiamo seguito il percorso (del resto obbligato, a meno che non vogliate avventurarvi per la Bartang Valley) della M41 da Osh fino alla deviazione, oltre Murghab, per la Wakhan Valley.
Abbiamo quindi percorso quest’ultima fino a Khorugh, dove abbiamo ritrovato la M41, che abbiamo seguito fino a Kalai-Khumb.
Qui ci sono due opzioni: i più abbandonano la M41 e arrivano a Dushambe per la comoda strada asfaltata che compie un ampio giro a sud passando per Kulob e Danghara, mentre i meno proseguono per la M41 arrivando per essa sempre a Dushambe.
Quest’ultimo tratto è indubbiamente più bello, ma anche più difficile, perché è sterrato nella prima parte e fino all’anno scorso anche di incerta transitabilità. E’ comunemente chiamato Tavildara Road. Naturalmente eravamo troppo curiosi e siamo passati da lì.
Da Dushambe siamo rientrati in due giorni a Osh, cavalcando l’Anzolb Pass (ed evitando la famosa galleria) e rimanendo sempre in territorio tagiko fino a Isfara, dove siamo entrati in Kirghizistan, circumnavigando le enclavi Tagike e Uzbeke.
Qui sotto il percorso seguito con maggior dettaglio.
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Ognuno può suddividere il percorso come meglio crede, ma vi dico come abbiamo fatto noi, o meglio come avremmo voluto fare se non fossero successi gli imprevisti che poi vi racconterò.
Guidando tutto il giorno si può fare il giro in otto giorni effettivi, escludendo la sosta a Dushambe e la deviazione al Peak Lenin. Ma bisogna considerare i possibili imprevisti o guasti e si tratta in ogni caso di tratte lunghe e non sempre facilissime da guidare.
In sintesi: prima tappa da Osh a Sary-Tash (tutto asfalto, da buono a molto buono – 199 km); seconda tappa da Osh a Murghab (misto asfalto e sterrato – 232 km); terza tappa da Murghab a Langar nella Wakhan Valley (inizio asfalto, poi tutto sterrato – 228 km); quarta tappa da Langar a Khorugh (misto asfalto e sterrato – 216 km); quinta tappa da Khorugh a Kalai-Khumb (misto asfalto malmesso e sterrato - 244 km); sesta tappa da Kalai-Khumb a Dushambe per la Tavildara Road (prima parte sterrato poi tutto asfalto scorrevole e buono – 301 km); settima tappa da Dushambe a Khujand per l’Anzolb Pass (tutto asfalto ottimo ad eccezione della salita e discesa dal passo che sono sterrate e abbandonate da anni - 332 km); ottava tappa da Khujand a Osh (asfalto ottimo e scorrevole esclusi gli ultimi 100 km sempre asfaltati ma messi peggio - 354 km).
In tutto sono 2.106 km, poco meno della metà sterrati.
Alla sera si arriva comunque belli cotti, perché tappe di 200 km sterrate o in gran parte tali da queste parti sono faticosette. Noi abbiamo tenuto una media di circa 30 km/h su sterro e di 50-60 km/h su asfalto, ma si può fare di meglio, anche se non conviene, perché correre a nastro fa perdere il contesto. Insomma, godetevela a ritmo lento, mettendoci più giorni.
Un ultimo consiglio: informatevi sempre e costantemente sulla transitabilità e/o eventuale chiusura della tratta che vi accingete a percorrere. I locali, in questo caso, sono molto utili, così come i motociclisti che provengono in senso inverso. In caso di chiusure, fate in modo di avere un piano B, anche se non sempre è possibile.
QUI (https://youtu.be/T8okG51Pdyo) potete vedere il video che riassume in 10 minuti l'essenza del viaggio.
[CONTINUA]
Alessio gs
22-08-2018, 20:49
Wow...aspetto incuriosito...ciao...
Mi aggiungo all'attesa...
ILLUMINISTA
23-08-2018, 10:54
Almeno un trailer: che moto, solo o gruppo, etc
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Ho iniziato a buttar giù qualcosa al primo post...
Alessio gs
24-08-2018, 10:05
Bello bello come inizio, spero di leggere pochi problemi alla fine anche se qualcosa hai anticipato, per curiosità di media a che altezza stavi? ...ciao...
Complimenti per la precisione del racconto e per le mille informazioni...chissà se un giorno...
Aspetto il resto :)
ivanuccio
24-08-2018, 12:41
Come mai hai evitato l Anzhob tunnel?
Inviato dal mio iPhone utilizzando Tapatalk
Rispondo a Alessio gs
Qui sotto il grafico dell’elevazione. La quota minima è stata di 327 metri, mentre quella massima è stata raggiunta all’Ak-Baital Pass (4.655 metri). L’altitudine media è di 2.143 metri, ma non è significativo, perché il percorso, come puoi vedere dal grafico, per un buon tratto si mantiene molto al di sopra.
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Se fai l’altopiano del Pamir (M41) rimani per un bel po’ poco sotto i 4000 metri, mentre se fai la Wakhan Valley resti più basso. Nel percorso da noi seguito abbiamo fatto circa 22.000 metri di dislivello in salita, ma cavalcando sette passi, di altezze variabili tra i 3.252 e i 4.655 metri.
Rispondo a ivanuccio
Come mai abbiamo evitato il tunnel? Semplice. Perché ci piacciono le cose complicate :).
In realtà sapevamo che ora è illuminato. Tuttavia, se le luci sono come i lumini da cimitero che abbiamo incontrato nei tunnel che precedono quello più lungo e famoso, non ci piaceva molto l’idea. Invece l’Anzolb Pass ci è piaciuto molto e lo consiglio a chi ha tempo per il rientro. Alla fine sono 30 km in più rispetto al tunnel… anche se sterrati su una strada chiusa da tempo al traffico e abbandonata a se stessa (le auto proprio non ci passano per intendersi, le moto invece si).
Sempre ammirazione per Massimo!!! ti dovrò offrire una cena così ci parliamo di persona personalmente :cool:
COME ARRIVARE
Chi ha intenzione di girare da queste parti ha tre possibilità:
a) può ovviamente arrivarci via terra dall’Italia, ma il viaggio è lungo e laborioso e, se il tempo è poco, l’opzione è da scartare. Tuttavia, va detto che in molti scelgono questa soluzione come partecipanti al Mongol Rally, che dal 2004 vede ogni sgangherato mezzo a motore calcare queste sgangherate strade asiatiche: il Pamir è proprio sul percorso, quindi potete farci un pensierino…
b) può spedire la propria moto via terra a Biskek o a Dushambe con il “polacco” e farsi comodamente il viaggio in aereo, quindi ritirare la moto e affrontare il percorso. A parte il costo di spedizione, questa soluzione consente di utilizzare il proprio mezzo, purché sia idoneo al contesto, ed è compatibile con tempi stretti.
c) può noleggiare una moto in loco e raggiungerla in aereo, con costi inferiori, ma con maggiori incertezze sull’affidabilità del mezzo meccanico. Noi abbiamo voluto sperimentare questa soluzione, soprattutto perché pensavamo di non avere moto nostre adatte allo scopo. Sull’argomento dirò in dettaglio più avanti.
VOLI
A parte l’ipotesi a), vi servirà un aereo per raggiungere il punto di partenza. Io consiglio di partire da Biskek o da Osh e di fare il giro in senso orario, perché in caso di ritardi dovuti ad imprevisti, nel tratto finale avrete maggiori possibilità di recuperare il tempo perso: da Kalai-Khumb a Dushambe, se butta male, potete fare tutto asfalto e da Dushambe a Osh la strada è molto scorrevole e veloce. Nel senso contrario invece, se vi trovate in ritardo bestia, una sola è la strada e in parte sterrata. In ogni caso prendetevi qualche giorno di margine per acclimatamento e imprevisti.
Ciò premesso, due sono le compagnie aeree economiche che volano dall’Italia in Kirghizistan: la russa S7 Siberian Airlines, che da Verona fa scalo a Mosca e raggiunge direttamente Osh, e la turca Pegasus Airlines, che da Bergamo fa scalo a Istanbul e raggiunge Biskek.
Noi abbiamo scelto la prima per tre motivi: 1) leggermente più economica (prenotando con ampio anticipo si spendono circa € 500,00 andata e ritorno); 2) atterra a Osh, dove abbiamo noleggiato la moto, evitandoci così di prendere un volo interno da Biskek; 3) non serve il visto russo perché si rimane nell’area transiti dell’aeroporto di Mosca.
La prima tratta dura tre ore e mezza, la seconda quattro ore e mezza. In estate i voli partono nel primo pomeriggio e arrivano alla mattina presto del giorno seguente. Perfetti direi per non perdere tempo prezioso.
DOCUMENTI E VISTI
Per il transito a Mosca, come detto, non serve visto, ma non potete uscire dall’aeroporto. Neppure per il Kirghizistan serve il visto, che invece è richiesto per il Tajikistan.
La procedura è tuttavia molto semplice, basta andare sul sto https://www.evisa.tj e seguire le istruzioni. Vi consiglio di accedere al sito con Mozilla Firefox, perché con Internet Explorer talvolta non si apre o si blocca. Il visto dura 45 giorni e consente un solo ingresso e una sola uscita (se pensate di fare dentro e fuori dal confine, vi serve dunque un visto con ingressi multipli da richiedere per le vie consolari classiche). Ricordatevi di abbinare il permesso speciale GBAO senza il quale non potrete entrare nella regione autonoma del Gorno-Badakhshan, e quindi in Pamir. Il visto con il GBAO costa 70 dollari che pagherete con carta di credito. Il visto vi arriva per email, basta stamparlo e portalo con sé. All’ingresso viene timbrato e all’uscita ritirato.
E’ richiesta la patente internazionale (convenzione di Vienna del 1968) che dura tre anni e si richiede alla Motorizzazione. Portate anche la patente nazionale. Nessuno però ci ha mai chiesto di esibirle.
Naturalmente serve il passaporto, ma lo davo per scontato.
Noi abbiamo fatto una polizza specifica contro gli infortuni di viaggio, che non serve per farvi venire a prendere da un carro attrezzi, ma che è in grado di organizzare cure e rientro aereo in caso di emergenze gravi. Per quindici giorni costa circa 100 euro… sperando di averli buttati via.
POLIZIA E CONTROLLI
Al di fuori dei valichi di frontiera e dei check points nessuno ci ha mai fermato, nemmeno per normali controlli, né in Kirghizistan, né in Tagikistan. Nonostante i racconti inquietanti letti, ho avuto l’impressione che polizia ed esercito abbiano un occhio di riguardo per i turisti: quindi niente richieste di denaro o sequestro dei bagagli (o forse siamo stati solo fortunati).
A meno che non passiate davanti alle varie pattuglie (e sono molte, mimetizzate a bordo strada) a paletta con il dito medio alzato, nessuno dovrebbe fermarvi. Va detto però che a Dushambe c’è molta polizia in giro e, secondo me, la tentazione di fermare qualche turista potrebbero anche avercela. Basta però andare piano, senza commettere infrazioni e la voglia dovrebbero tenersela.
Ai check points tagiki viene richiesto il passaporto, il visto e la carta di circolazione. Nient’altro di tutte le scartoffie che vi danno al confine.
Pochi minuti per la registrazione del passaggio (rigorosamente su quaderni a quadretti delle elementari) e si può ripartire.
Lungo il confine con l’Afghanistan si incontrano militari tagiki armati che pattugliano la strada a piedi, sempre sorridenti e pronti a scambiare un saluto.
Sui file GPX e KML allegati sono segnati con precisione tutti i check points.
La frontiera tra il Kirghizistan e il Tajikistan nei pressi del Kizil-Art Pass (4280 m) è un po’ rognosetta: noi abbiamo impiegato 45 minuti per uscire dal Kirghizistan e 3 ore per entrare in Tagikistan. Invece la frontiera tra il Tagikistan e il Kirghizistan nei pressi di Isfara è molto più veloce (45 minuti in tutto) perché hanno il computer e non i quaderni a quadretti e la biro.
CARBURANTE
Nei distributori “veri” si trova benzina a 80 e 92 ottani. In quelli “mimetici” invece non si capisce bene che roba ti danno. Da Osh a Sary-Tash nessun problema di rifornimento. A Sary-Tash c’è un solo distributore sempre aperto anche di notte (ma è impossibile non vederlo perché ci si arriva per forza davanti, qualunque sia la vostra direzione). A Murghab ci sono più distributori da taniche, per cui salvo disgrazie non dovreste rimanere a secco. 4 km fuori Langar, nella Wakhan Valley ce n’è un altro ben mimetizzato. Occhio a non saltarlo perché è fondamentale. Poi, proseguendo ne trovate altri fino a Kalai-Khum. E così via.
Insomma la benzina non è un problema. Calcolate che la tappa più lunga non supera i 300 km.
Sui file GPX e KML allegati sono segnati con precisione i distributori essenziali.
VITTO E ALLOGGIO
Fatta eccezione per le città, come Osh e Dushambe, il pernottamento con colazione e cena costa dai 10 ai 15 dollari a cranio. Quindi non si spende praticamente un tubo. Si tratta tuttavia di sistemazioni molto basiche, ma noi abbiamo sempre trovato una doccia calda.
Se volete strafare, a Osh, Khorugh, Kalai-Khumb e Dushambe trovate anche alberghi veri con tutte le stelle che volete.
Lungo tutto il percorso, nei centri abitati generalmente ci sono dei mini market che vendono bibite fresche, gelati, biscotti e quant’altro per placare fame e sete rabbiosa. In ogni caso portatevi dietro dell’acqua e qualcosa da mettere sotto i denti per le emergenze.
Costa tutto davvero una miseria.
ASSISTENZA
In caso di guasto alla moto dovete arrangiarvi.
Soprattutto nella Wakhan Valley, che è poco frequentata, dovrete trovare un mezzo di fortuna per raggiungere qualcuno che possa darvi una mano. In tutta la Wakhan non esistono meccanici per moto, ma solo uno per auto a Langar e due a Eshkashem (ma noi li abbiamo trovati chiusi). A Murghab credo che sia la stessa musica.
Per cui gli unici centri dove potrete trovare assistenza sono a Osh (da Muztoo) e a Dushambe (da Bike-House) che hanno officine moto piuttosto essenziali. A Khorugh potete ricorrere solo a meccanici generici. I pezzi di ricambio, se ne avete bisogno, arrivano a Biskek e a Dushambe via aerea dall’Europa o dalla Russia.
Consiglio dunque caldamente di partire con la moto in ordine, molto in ordine…
BANCA E VALUTE
In Kirghizistan circola il Som kirghiso (ne servono circa 68 per fare un dollaro). In Tagikistan circola invece il Somoni tagiko (ne servono poco meno di dieci per fare un dollaro). Vengono però accettati pagamenti in dollari e, raramente. anche in euro.
Il mio consiglio è quello di pagare preferibilmente in valuta locale, perché con i dollari ci vanno un po’ di manica larga.
Per quanto riguarda Osh, non tutti gli sportelli ATM funzionano con i nostri bancomat (o meglio con quelli che avevamo). Ma sul file allegato ho segnato l’esatta posizione di uno sportello che invece ha sempre funzionato (l’unico a dire il vero). Lì vicino c’è pure una banca (anch’essa segnata sul file allegato), che allo sportello cambia di tutto, dollari, euro e pure rubli (che come è noto sono una palla al piede). Attenzione perché non cambia somoni in som, per cui se non riuscite a spenderli tutti in Tagikistan, l’unica possibilità di cambiarli è nel bazar.
In Tagikistan invece è molto difficile trovare ATM funzionanti. Ad esempio a Khorugh, dopo interminabili tentativi a tappeto, sono riuscito a prelevare con la VISA, ma solo strisciandola allo sportello di una banca (posizione segnata). A Dushambe stessa musica, ma lo sportello ATM all’interno del Serena Hotel (in Rudaki Avenue n. 14), funziona perfettamente e vi sputa fuori dollari o somoni senza nemmeno farvi finire di digitare il PIN.
In sintesi, questo il mio consiglio: a Osh procuratevi dollari e som (allo sportello ATM o in banca). I dollari vi serviranno per il primo tratto della Pamir Highway fino a Murghab (dove, nell’unico hotel, vi cambiano dollari in somoni). Poi pagate preferibilmente con quelli. Se restate a secco potete cambiare o prelevare a Khorugh e Dushambe.
POPOLAZIONE E SICUREZZA
I Kirghizi e i Tagiki sono quasi esclusivamente di religione musulmana sunnita, ma non proprio di ghisa. Quindi la birra la si trova (quasi) dappertutto e le donne si fanno pure guardare perché non girano intabarrate, anche se non ho visto minigonne.
La gente incontrata si è dimostrata curiosa di conoscerci, amichevole e, soprattutto, pronta a dare sempre una mano senza chiedere nulla in cambio. I sorrisi e l’entusiasmo dei bambini sono poi gesti che restano impressi nei ricordi.
Il tenore di vita è basso (o meglio, più semplice del nostro): cellulari per tutti insomma e gente vestita normalmente. Non abbiamo mai visto miserabili, né avuto la percezione di pericolo, in nessuna occasione. Tutt’altro.
L’assassinio di quattro ciclisti stranieri avvenuto a fine luglio di quest’anno nei pressi di Danghara, è stato un caso davvero isolato, ad opera di alcuni giovani balordi disoccupati, poi uccisi e/o arrestati dalla polizia senza tanti complimenti (in internet trovate il video dell’investimento intenzionale e le foto dei sospettati morti sparati). Il collegamento con l’ISIS è stato, a detta degli autoctoni, creato ad hoc dai media.
I caratteri somatici dei kirghisi tendono al mongolo, quindi occhi a mandorla e facce tonde per intendersi. Mentre i tagiki richiamano fisicamente le popolazioni arabe, iraniane soprattutto. Le donne tagike sono a mio avviso molto belle, ma è una battaglia persa in partenza…
LA MOTO
E arriviamo alla scelta più determinante: il mezzo meccanico.
Esprimo subito il mio personalissimo pensiero, ma so che tanto verrà criticato, per cui prendetelo appunto come la mia semplice opinione.
Credo che affrontare il Pamir con un grosso bicilindrico da enduro (tipo KTM Adventure o GS) sia inutilmente faticoso, perché tutto quel peso e quella potenza non servono. Inoltre portarsi dietro 300 e passa chili su quelle marogne, cercando di dosare con prudenza il gas, a mio avviso toglie il divertimento.
Io, che sono una chiavica a guidare, che non so andare sulla sabbia, né attraversare i guadi, sarei stato in enorme difficoltà. Magari avrei potuto anche farcela, ma sarei stato tutto concentrato a guidare (e a non cadere), faticando a bestia e togliendomi tutta la serenità, il piacere e il divertimento.
Non è questo quello che cerco; l’ho fatto in passato, ma non voglio più ripetere l’esperienza di portare una moto (per me non adatta ed esagerata), dove si va molto meglio con una motoretta leggera, che tanto la potenza basta e avanza, così come il comfort.
In altri termini – e per me, lo ribadisco - piccola e leggera è meglio di grossa, pesante e potente. Non so me si sono spiegato: andare a 50
all’ora con un GS non ha molto senso.
Siccome una moto così non ce l’ho, ho cercato e contattato tutti i noleggiatori kirghisi (in pratica solo due) e Tagiki (uno soltanto), per quanto a mia conoscenza. Alla fine della fiera la scelta è caduta su Muztoo, che ha base ad Osh, ed è anche il più grande e conosciuto, e probabilmente il più affidabile, stando alle esperienza di altri.
Qualche anno fa un filosofo canadese mi ha spiegato che la grandezza di una persona è inversamente proporzionale al numero di oggetti e beni materiali di cui ha bisogno. Da quel momento ho imparato a portarmi dietro il minimo indispensabile, anzi meno del minimo, per cui viaggio con bagagli molto essenziali e leggeri. Quindi nemmeno la capacità di carico del GS mi serve più.
Cercavo una motoretta essenziale, di semplice manutenzione e leggera. E la scelta è caduta su XT600E, vecchiotta se volete, ma se messa in ordine, pure affidabile e soprattutto proporzionata alle mie scarse capacità di guida e facilmente sollevabile anche da solo in caso di cadute.
Questa per intendersi.
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Ho chiesto a Muztoo di costruirmi un portapacchi maggiorato per poter mettere la mia sacca a rotolo da 35 litri (tutto il mio bagaglio). Inoltre la moto montava già il serbatoio maggiorato Acerbis da 23 litri che consente un’autonomia di oltre 400 km e una borsa da serbatoio, comoda per macchina fotografica e quant’altro. Perfetto direi.
Un momento. Ci sono anche le note dolenti. Le moto che si trovano a noleggio da queste parti sono molto vecchie: si tratta di XT600 della fine degli anni ottanta provenienti dall’Europa, a cui viene fatta soltanto la manutenzione essenziale, per cui scordatevi di noleggiare una moto nelle condizioni di cui alla foto di cui sopra, e mettete in conto tutte le incognite possibili e immaginabili.
Inoltre il prezzo di noleggio è molto alto: io sono riuscito a spuntare 90 dollari al giorno, ma è un furto. Sono il primo a dirlo.
E non è finita: assicurazione inesistente; se succedono guasti sono tutti problemi vostri, perché non viene fornita assistenza. Se vi si ferma in Tagikistan dovete provvedere voi a riportarla in Kirghizistan. Insomma ve la noleggiano e si fanno pagare profumatamente, però al resto – a tutto il resto – dovete provvedere voi a vostre spese.
Se leggete poi il contratto di noleggio, vi passa la voglia di noleggiarle, dato il tenore delle clausole di esonero dalla responsabilità.
Detto questo, ho deciso ugualmente di provare e tutto sommato è andata abbastanza bene, o meglio l’ho sfangata in qualche modo.
Muztoo organizza anche viaggi con jeep al seguito per motociclisti, soprattutto tedeschi, assai spendaccioni. A loro fornisce XT660, messe meglio. Il parco mezzi conta più di una cinquantina di moto, ma alcune, secondo me, vengono utilizzate per recuperare pezzi di ricambio, di difficile reperimento da queste parti.
Muztoo è di proprietà svizzera, ma ha base logistica in Kirghizistan appunto (e precisamente a Osh, quindi comodissimo per iniziare la M41). In loco lavorano attualmente come dipendenti George Moore (inglese), oltre a Oybek, tre o quattro meccanici e una segretaria (tutti kirghisi). C’è anche una rudimentale officina, ma di meglio non esiste da queste parti.
Ogni contatto commerciale e operativo viene gestito in Kirghizistan. Sul sito ufficiale http://muztoo.ch (http://muztoo.ch/) ci sono i recapiti.
In alternativa a Bishkek c’è Motorcycle Rental in Kyrgyzstan Rider (http://www.motorent.rider.kg/ (http://www.motorent.rider.kg/)) gestito dal fratello di Stas Zhukov, che a sua volta gestisce una guesthouse a Osh, fondamentale punto di riferimento per i motoviaggiatori.
Stas è veramente una brava persona (e ora un amico serio e affidabile) e la società del fratello noleggia
Honda XRV750, Africa Twin, BMW F650GS, Yamaha XT660R, Honda NX 650 Dominator, Yamaha XT 600 e Honda XR250.
Pratica prezzi più bassi di Mutzoo, è in grado di consegnare con poco sovrapprezzo la moto a Osh e si prende maggiormente cura del cliente.
A Dushambe c’è invece Tajmototour (http://www.tajmototour.tj/ (http://www.tajmototour.tj/)) presso Bike-House, dove si può trovare assistenza. Pratica prezzi più alti di Mutzoo ma mi risulta che le moto siano più nuove.
Potrebbero esserci anche altri noleggiatori, ma non li conosco, né posso dire nulla sulla loro affidabilità.
Se dovessi tornare in Kirghizistan, noleggerei dal secondo che vi ho elencato, senza farmi troppe domande.
COSTI
I voli sono costati poco più di 500 euro, il noleggio moto circa 1.100 euri per 12 giorni e 400 li abbiamo spesi per benza, vitto e alloggio. Quindi è un viaggio relativamente economico: su per giù poco più di 2000 euri per 15 giorni, tutto compreso.
SITI DI RIFERIMENTO
Per ogni informazione e soprattutto aggiornamenti consiglio la consultazione del forum di Horizons Unlimited, nonché il sito e il forum fondamentali di Caravanistan.
FILES ALLEGATI
Tutto il percorso di viaggio in formato gpx (per navigatori Garmin) e kml (per Google Earth) è scaricabile QUI (http://www.pascolimukkosi.com/files/pamir/Pamir2018.zip). Contiene il tracciato esatto seguito, gli alberghi dove abbiamo dormito, i ristoranti dove abbiamo mangiato, ma soprattutto i punti esatti di tutti i check points di polizia ed esercito, i passi di montagna, i distributori di carburante essenziali e gli altri punti logistici utili.
Tutto il racconto di viaggio in formato PDF è scaricabile QUI (http://www.pascolimukkosi.com/files/pamir/Pamir2018.pdf).
* * *
Bene. Il pistolotto iniziale è finito. Se siete pronti possiamo iniziare…
CARLO56M
25-08-2018, 19:59
Complimenti, rimango in attesa.......
ILLUMINISTA
26-08-2018, 10:11
semplicemente bellissimo, complimenti [aspetto foto]. Tutte xt600?
Menzionati problemi meccanici, quali?
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Prontissimissimi. Ti prego foto e video a manetta :lol:
Devo farti i miei più sinceri complimenti per la chiarezza e l’ordine espositivo.
Dico una castroneria così a bruciapelo: per quanto riguarda la moto vi verrebbe da dire......acquistarla nuova la e poi rivenderla?
Rispondo a GS3NO
Caro Zeno, ti vedo bello sul pezzo. Considerami già invitato, però ti avverto che sono diventato vegano e astemio :-p.
Rispondo a ILLUMINISTA
Eravamo in due, con due XT600E. Problemi si, non proprio meccanici. Resta in linea e saprai tutto.
Rispondo a ZUZZU
Sono quasi certo che comperare moto nuove in Kirghizistan sia parecchio complicato, e ancor di più intestarle a stranieri e poi rivenderle.
Alessio gs
27-08-2018, 08:34
Grazie della esaustiva risposta Massimo, aspetto trepidante il continuo del racconto...ciao...
Rispondo a GS3NO
Caro Zeno, ti vedo bello sul pezzo. Considerami già invitato, però ti avverto che sono diventato vegano e astemio :-p.
allora siamo in due... ;)
PROLOGO – 31 LUGLIO 2018
Verona – da qualche parte sul cielo russo (zero km in moto)
La data della partenza programmata è arrivata, però non posso partire. Gravi problemi familiari da giorni me lo impediscono.
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Discuto a lungo con Alberto sul da farsi e l’idea di lasciar perdere ci sfiora. Poi all’ultimo Alberto, da buon friulano di cemento, decide di partire da solo. E così farà.
Alla stazione di Verona, dove arriva, gli consegno il cavetto con la presa di bordo, lo abbraccio e lo saluto.
Disorientamento e amarezza mi pervadono. Ma tengo le dita incrociate…
PROLOGO – 01 AGOSTO 2018
Da qualche parte sul cielo russo – Osh (zero chilometri in moto)
Alberto atterra a Osh e si stabilisce alla Zhukov’s Guesthouse. Altro non può fare che aspettarmi e fare un giro nei dintorni per ambientarsi… per quanto l’ambiente non sembri il massimo, almeno al primo impatto.
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Così decide di vedere il tutto da un’altra prospettiva e sale al Trono di Sulaymān (Salomone per noi), un’altura sopra la città e sede di un santuario musulmano. Immeritatamente patrimonio dell’UNESCO dal 2009, si ritiene che Sulaymān (per l'Islam un profeta citato nel Corano) sia sepolto qui.
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A parte l’obbrobrio cementifero, la vista consente di rendersi conto dell’estensione di questa anonima città ex sovietica, che conta la bellezza di 250.000 abitanti e un solo meccanico per moto.
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Nel frattempo ho cambiato i biglietti di andata, ma tutto è ancora per me incerto e campato in aria. Prego Maometto e tutti i talebani suoi fedeli di farmi partire… intanto per punizione arriva per Alberto il primo squaraus. Ben gli sta!
GIORNO 00 – 2 AGOSTO 2018
Verona – da qualche parte sul cielo russo (zero km in moto)
Alla fine ho deciso: la rischio.
Mentre un familiare entra in sala operatoria per un delicato intervento chirurgico al cuore, faccio il check-in aeroporto. Non è per nulla una bella situazione, credetemi. E se tornassi indietro mille volte non partirei.
Tre interminabili ore e mezzo mi separano da Mosca, dove farò scalo. Solo là avrò notizia che l’intervento è fortunatamente riuscito. Immaginatevi il viaggio, la tensione e tutto il resto, compresa l’eventualità di dover tornare indietro a paletta.
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Arrivo che è ormai sera. Pensavo di trovare l’aeroporto di Mosca deserto, e invece è stracolmo di gente di tutte le etnie che vanno e vengono a qualsiasi ora dalle periferie dell’impero russo. Non ci si muove, ma riesco a mangiare una pizza russa e a spendere un po’ di rubli avanzati ancora dal mio viaggio a Murmansk.
E’ arrivata la mezzanotte. Mi imbarco per Osh e mi addormento più sereno…
ecco dormi bene che al risveglio vai avanti con la storia ... (ma brao pò)
Senti Massimo.......ma sei J.J. Abrams e stai scrivendo le puntate di Alias, Lost, ecc ecc?
E finisci con........mi addormento più sereno?
E noi che siamo qui a leggere?
Così non va bene........scrivi tutto e poi pubblica....così metti ansia:D:D:D
Alessio gs
28-08-2018, 07:06
A me così a puntate piace....bello...ciao...
GIORNO 01 – 3 AGOSTO 2018
Da qualche parte sul cielo russo – Osh (7 km in moto)
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Atterro a Osh al mattino prestissimo e subito cerco l’ufficio della compagnia aerea per spostare anche il rientro di due giorni. Alberto ieri non è riuscito a farlo perché ha passato gran parte del tempo sul wafer.
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Gira che ti rigira mi fanno parlare con il responsabile dei servizi a terra della S7 Airlines che sa circa due (al massimo tre) parole in inglese. Mi accompagna agli uffici che però stanno in un edificio staccato dall’aeroporto piuttosto malconcio.
Alla fine non combiniamo niente: mi suggerisce di cambiare il biglietto presso l’agenzia ufficiale in città. Però si offre di accompagnarmi alla guesthouse, anche se non sa dove è.
Tutto però ha un prezzo e quello che ho dovuto pagare è stato molto "salato". Porca malora mi ha invitato a colazione, e già che c’era ha invitato pure i suoi amici!
Morale della favola mi trovo alle 9 del mattino (per me le 5), seduto su un tappeto a mangiare bistecca, patate fritte, verdure varie e una melma di frutta lasciata a macerare in non so che cosa. Provo a rifiutare garbatamente, ma proprio non c’è verso.
Era tutto pessimo e devo ancora digerirlo… comunque ho risparmiato i soldi del taxi, mettiamola così.
Arrivo ruttando alla guesthouse dove trovo Alberto risorto dalle sue ceneri. Partiamo subito per le incombenze urgenti: cambio dei soldi, cambio dei biglietti e ritiro della moto. Domani vorremmo infatti partire.
Nel frattempo giriamo per la città che conferma tutta la sua bruttura.
Però qui hanno la mania degli aerei, che piazzano nei parchi giochi…
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… e se li portano pure in giro sul portapacchi.
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Troviamo l’agenzia della S7 Airlines e cambiamo i biglietti. Quelli nuovi ci vengono rilasciati praticamente scritti con la biro. Mah, si vede che qua usano così…
Poi prendiamo un taxi e finalmente, guidando noi il tassista ignaro di dove deve andare, arriviamo da Muztoo.
La sede non è proprio il massimo: un cortile, un portico e una stanza destinati ad officina, e un ufficio. Non c’è nessuno, solo un motociclista cecoslovacco in giro in moto in solitaria da tre anni che sta facendo manutenzione alla sua moto.
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Ma in compenso c’è un frigo self-service pieno di birre e così ne approfittiamo per ingannare l’attesa.
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Arriva Oybek, il responsabile, e due meccanici sfaccendati e svogliati in ciabatte.
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Mentre preparano il contratto e i documenti necessari a svalicare in Tagikistan, noi ci dedichiamo al meticoloso controllo dei mezzi, che sono lì già belli che pronti per essere accesi… solo che non si accendono. Cominciamo bene!
Così controlliamo tutto il controllabile, cerchi, cuscinetti, catena, freni, carburazione, sospensioni. Cambiano pure la batteria ad Alberto e collegano le nostre prese di bordo. Durante l’operazione cade a terra la batteria della mia moto. Suggerisco e poi chiedo di sostituirla, ma mi rispondono “no problem” e mi garantiscono che non è necessario. Sarà…
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Dopo due ore di smonta e monta, regola e registra, le moto si accendono.
Si passa quindi al pagamento anticipato e alle firme.
Otteniamo di prelevarle oggi, anche se il noleggio parte domani e leviamo le ancore. Torniamo quindi da Zhukov, dove si sta davvero bene e lui è una splendida persona.
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E poi la sua guesthouse è un punto di riferimento per i motociclisti che vengono qui da tutto il mondo per fare il Pamir. Aggiustano le moto, ti prestano attrezzi, ma soprattutto sono una fonte inesauribile e attendibile di informazioni fresche fresche. Straconsigliato e molto utile direi.
Collego il GPS alla presa di bordo e non funziona. Controllo il charger e risulta morto. Strano, funzionava quando sono partito. Rismonto tutto e scopro che quel genio del meccanico inciabattato ha invertito i cavi bruciando il fusibile del caricatore. E sì che erano segnati con più o meno! La matematica non deve essere stata il suo forte alle elementari… ammesso che le abbia fatte.
Il fusibile (che è di quelli piccoli in vetro) non si trova, ma Stas ci salda un filo e tutto riprende a funzionare.
Alla sera cena fuori. Si mangia italiano, nell’unico ristorante italiano di Osh, che raggiungiamo in taxi. Nessun italiano in cucina, ma penne all’arrabbiata buone e pizza pure. E per stasera l’abbiamo portata fuori.
Domani si parte…
complimenti, gran bel report
io l'ho fatto a luglio con "moto spedita" a Biskek ma seguo con interesse per confrontare le esperienze e punti di vista
Certo che se il buongiorno si vede dal mattino...ne leggeremo delle belle :)
Una vera avventura....complimenti per il report di viaggio e in bocca al lupo
samarcanda
28-08-2018, 16:08
grande Massimo ben fatto ;) hai ammazzato un'altra bella :arrow::lol:
ti seguo con molto piacere :D
Prima di fare giri in "quota" nel senso di fare strade o gite sopra i 4000 consiglio di fare qualche dormita in rifugio sui 3500- 4000 m slm in patrio suolo per testare come si reagisce. Non tutti reggono la quota. Complimenti per il giro!!! [emoji7][emoji7]
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Rispondo a Smart
Davvero grazie Smart per i complimenti. Fatti poi da te, che sei viaggiatore navigato, contano il doppio. Dove hai messo le ruote tu, io non riesco nemmeno a pensarci. Se trovi inesattezze nel racconto, fammi sapere, mi raccomando.
Rispondo a samarcanda
Giuliano, che dire? Sei stato la mia fonte di ispirazione. E ho ammirato molto il tuo tentativo di due anni fa.
Rispondo a geo650
Concordo con te. Ad esempio, sulle nostre Alpi, il test più alto è alla Capanna Regina Margherita, sul Monte Rosa, che si piazza a 4.554 metri. Salirci e restarci un paio di giorni sarebbe la prova del nove, giusto per testare la reazione del nostro fisico.
Io tuttavia non sono mai riuscito a fare questa prova preventiva. Per la mia scarsa esperienza, ho imparato che quel che frega maggiormente, almeno per il mio fisico, è la velocità di ascensione.
Bisognerebbe salire il più lentamente possibile e farsi un paio di giorni di acclimatamento in fondo valle (che in Pamir si trova già altino di suo, diciamo 3.200 metri). La lezione, come ho scritto, l’ho imparata a mie spese in Ladakh l’anno scorso, dove però si saliva ben più alti, fino a 5.360 metri.
Di solito prendo sempre il “diamox”, che è un blando diuretico, per allontanare i rischi dell’edema. Non so se funziona, però so che in quota mi ha sempre fatto un butto effetto: mani informicolate dal polso in giù. Per cui, dopo pochi giorni, ho sempre smesso di prenderlo.
Comunque il Pamir, a meno che non si soffra di malattie cardiovascolari o altre patologie particolari, non dovrebbe impensierire più di tanto: pian pianino, e con un po’ di giudizio, è alla portata direi di quasi tutti
impossibile non farti i complimenti
GIORNO 02 – 4 AGOSTO 2018
Osh – Sary-Tash (199 km in moto)
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Ce la prendiamo comoda perché tanto sappiamo che la strada è breve e ottima. Quindi partiamo verso le dieci del mattino e sbagliamo subito direzione. In pratica imbocchiamo in senso contrario quella che avremmo dovuto fare al ritorno.
Sono proprio rimbambito!
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Anzi, molto rimbambito perché me ne accorgo a 90 km a ovest di Osh. Quindi dietro front e ritorno al punto di partenza. La nostra tappa, quella giusta, inizia dunque alle 2 del pomeriggio.
La strada per Sary-Tash è davvero ottima come ce l’avevano descritta: asfalto perfetto e pochissimo traffico. Mano a mano che proseguiamo verso sud, la piatta steppa comincia gradualmente a farsi ondulata e a salire progressivamente di quota.
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Il paesaggio è quello tipico asiatico: montagne di terra secche incendiate, zero alberi e ciuffi di vegetazione sparsa buona solo per asini e capre.
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Siamo contenti e rilassati, e inizia il cazzeggio…
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Dopo un buon tratto di ambientamento al contesto asiatico di queste terre, il nastro d’asfalto sempre ottimo, inizia a guadagnare quota, con le prime curve, fino a raggiungere il Passo Taldy Ashuu a 3615 metri. In cielo è luminoso e terso. Meglio così…
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Le motorette vanno perfettamente e sul passo ci facciamo due foto, felici come le pasque.
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Il collegamento con il vicino passo successivo è anch’esso piacevole e curvoso. In pratica si scende di poco per poi risalire. Il paesaggio ci piace assai, ma ancor di più ad Alberto che, per non so quale deviazione mentale, ha una limitata autonomia su strada e quindi ha bisogno ogni tanto di deviare sulla terra nuda e cruda.
Ormai lo conosco e non mi stupisco più di niente.
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Proprio sul passo 40 Let Kyrgyzstan (3.550 m) si trova una yurta circondata dalle pecore, dalle quali emergono due bimbe che vogliono farsi fotografare. Le accontentiamo volentieri anche perché non abbiamo il coraggio di contrariare la più piccola, vista la faccia inquietante con cui ci esamina.
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Provo a fare il serio…
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… ma non ci riesco.
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Salutiamo le nostre piccole amiche e iniziamo la discesa verso Sary-Tash. Sta per calare la sera, le ombre si allungano e ‘ste montagne pelate si colorano di giallo. Alberto ha un altro attacco dei suoi, vede un campo e ci si infila dentro.
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Poi all’improvviso appare la catena del Pamir, o meglio la cresta di confine tra Kirghizistan e Tajikistan, dove si trova il Peak Lenin e che, dopo domani, dovremo oltrepassare per raggiungere il famoso altopiano. Mica son collinette appenniniche, le cime innevate raggiungono i 7000 metri!
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A Sary-Tash la strada si biforca e nel mezzo ci sta l’unico distributore. Sulla destra vicino ad un minimarket specializzato in biscotti e ferramenta varia, ci avvicina un vecchio con un pastrano che peserà più di lui. Ci dice che ha un hotel, con doccia calda e cena abbondante.
Non ci convince e così decidiamo di sondare quel che offre il mercato. Ma la musica è su per giù quella, dato che le alternative grosso modo si equivalgono per charme, comfort ed amenities. Alla fine della fiera cediamo e ci accomodiamo nel lussuoso Hotel Tatina, senza nemmeno averlo visto all’interno.
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Scopro poi che il lavandino sta in cortile, che il cesso (un casotto di fango con un buco sul pavimento) si trova nel recinto delle capre, mentre “the shower” (ospitata a fianco della stalla delle mucche) è costituita da un fusto di birra con dentro una resistenza da lavatrice, da cui esce l’acqua calda per caduta. La capienza è limitata per cui il sollazzo è breve.
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In compenso il parco veicoli, nuovo di stecca, è assai variegato e il contesto non è poi così male.
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La stanza è tutta intappetata, con tassi e volpi appese ai muri, ma i letti ci sono.
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Ci raggiunge anche il cecoslovacco che abbiamo incontrato da Muztoo e che domani proverà la Bartang Valley. Per cena ci arriva un pastone per cani a base di riso, mi dicono che si chiama plof. Altro non c’è, per cui con cautela lo affronto.
Lo stomaco sembra reggere e quindi vado a dormire soddisfatto ed eccitato: domani finalmente mettiamo le ruote sullo sterro…
rombodituono
29-08-2018, 11:08
Bravo Massimo, mi piacciono i racconti ricchi di dettagli :-)
Sono stato in quelle zone 3 volte, una sola con moto a noleggio nel 2014 e per una serie di sfortunati eventi (vedi 3 moto su 3 k.o. dopo pochi giorni) mi sono ritrovato ad Osh a noleggiare una moto da Patrick Muztoo.
Premesso che lui è stato super-iper gentile (gli ho lasciato una moto di un suo concorrente e si è preoccupato a gratis di portarla a Bishkek al primo giro possibile, mi ha noleggiato una sua moto a fronte di un bonifico online fatto li su due piedi senza pretendere alcuna caparra aggiuntiva e in più mi ha permesso di lasciargliela a Bishkek senza costi di drop off), come hai scritto tu ad inizio post la moto che mi ha dato era una vera merda.
Una XT600 vecchia di almeno 10 anni, spompa di motore seppur regolarissima anche ad alta quota, TERRIBILE DI SOSPENSIONI tanto che su quei 20 km di brutto tole ondulè tra la frontiera kirgiza ed il passo Ak Baital ho temuto più volte di rimetterci i polsi. Per non parlare delle camere d'aria tipo carta velina inserite nelle gomme. E come dici tu, il tutto ad un prezzo non certo regalato.
Considerando che con 1200€ advfactory ti spedisce a/r la tua moto, mai più nella vita noleggerò una moto da quelle parti (perchè tanto ci tornerò sicuramente...mi è rimasta incompiuta la Bartang Valley)
Ho noleggiato anche io da Mutztoo , un tenere 660 la moto andava bene e anche le sospensioni erano decenti ( hyperpro ) , peccato per le camere d aria scandalose, ho bucato non so quante volte l anteriore senza aver preso alcun chiodo o altro , mi sembra di capire che elemosina sulle camere d aria già da tempo .
Ma Patrich (ora non credo collabori ancora con questo gruppo ) , mi aveva fatto degli enormi favori in un momento di difficoltà in loco .
Rombo di tuono , la Bartang e' restata da completare anche a me , la faremo in sieme :)
rombodituono
29-08-2018, 15:02
Volentieri! Nella Bartang l'unione fa la forza!
charlyno
29-08-2018, 15:43
WOW !!! :!::!::!::!::!::!::!: Non aggiungo altro
Rispondo a rombodituono e ixus
Ora Patrick non c’è più. Si occupano di tutto George e Oybek, entrambi molto gentili, non c’è dubbio. Tuttavia le moto son quelle che sono, come anche da voi sperimentato.
Avessi avuto un XT, l’avrei sicuramente spedito, visto che come prezzo siamo lì. E concordo con voi che guidare moto di altri, soprattutto da queste parti, non si sa mai dove si va a parare.
Rombodituono, avevo letto le tue richieste di informazioni sulla Bartang (ne parlerò più avanti). A sentire i russi che ho incontrato, mi hanno detto che quest’anno si dovrebbe passare senza particolari difficoltà, ma – si sa - loro vanno dappertutto anche quando la strada non c’è, e bisogna prenderli con le pinze.
Le condizioni sono in ogni caso mutevoli. Indubbiamente si tratta di un percorso incerto. Credo per me troppo difficile.
Se andate, vi seguirò con il drone…:)
GIORNO 03 – 5 AGOSTO 2018
Sary-Tash – Sary-Tash (173 km in moto)
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Non è ancora l’alba che mi sveglio improvvisamente con forti dolori di pancia. Cerco una pila e corro, nei pochi secondi a mia disposizione, nel recinto delle capre.
Sarà tutto un andirivieni fino al mattino. Non sto per nulla bene e cerco di capirne la causa. Ad un certo punto mi casca l’occhio sulla cisterna in plastica da cui lo chef attinge l’acqua per cucinare e preparare il the. Butto uno sguardo dentro e capisco tutto.
L’acqua è praticamente torbida e piena di insetti e mi ricordo che a queste altitudini (siamo a 3200 metri) i liquidi non bollono a cento gradi. La soddisfazione di aver individuato la causa, non sistema però il mio intestino. Quindi salto la colazione senza pensarci due volte.
Ci mettiamo in marcia in direzione ovest. Il nastro d’asfalto è perfetto e alla nostra sinistra, oltre la steppa, ci accompagna la cresta di confine con il Tagikistan.
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I cinquanta chilometri che ci separano dalla deviazione per il campo base del Peak Lenin scorrono velocemente.
Presso un ponte sul fiume, inizia finalmente lo sterrato.
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L’indicazione ci sembra a prova di rimbambito, per cui siamo sulla strada giusta.
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Il tracciato da qui al campo - 70 km tra salita e discesa - è una strada ben marcata e facile, ma ai lati è possibile seguire delle piste, giusto per sollevare un po’ di polvere.
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Mentre Alberto è nel suo mondo, io mi barcameno con il mio intestino e guido quasi per inerzia.
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Il paesaggio è davvero splendido. La cresta di confine di avvicina sempre più, si vede pure il Peak Lenin che con i suoi 7.134 metri primeggia su ogni altra elevazione.
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Seguiamo il tracciato principale, il quale risulta, verso la sua fine, interrotto proprio in prossimità di un torrente.
Alberto scende e sonda a piedi la profondità e il fondo del guado, incurante di bagnarsi. Il fiume è bello incazzato, l’acqua arriva alle ginocchia e sotto ci sono sassi tondi grossi anche come i meloni. Saranno una ventina di metri, troppi per le mie totali incapacità guadististiche. Così chiedo a un tizio con una bimba in braccio se c’è un altro modo per passare.
Questo chiama la moglie, che chiama la sorella, che chiama lo zio, che chiama la cugina del cognato, che infine chiama la figlia tredicenne, la quale, utilizzando tutto il vocabolario inglese a sua disposizione, mi spiega che nella notte ha fatto caldo, che i fiumi si sono ingrossati e che non c’è altra via più facile per raggiungere il campo.
Non mi convince, anche perché, in lontananza, intravedo un altro passaggio che sembra più facile.
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Ci dirigiamo verso quest’ultimo e con meno fatica riusciamo a passare. Oltre non c’è la strada, ma solo pascoli per yak e cavalli. Meglio direi: meno polvere.
Superiamo il primo campo e ci dirigiamo al secondo più grande e organizzato con tanto di cucina, negozio di generi misti (con prezzi assurdi) e tende giallo fastidio.
Ci troviamo a 3.600 metri. Il cielo è limpidissimo e il posto è davvero fantastico.
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Restiamo un po’, ma è già ora di tornare indietro per lo stesso percorso o, a seconda dell’estro del momento, per le varie piste che lo intersecano.
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Quindi, di nuovo asfalto fino a Sary-Tash.
Ci hanno detto che la Guesthouse Pamirextreme è la più lussuosa del paese, solo che non si riesce a capire dove è. Alla fine la troviamo e ci sistemiamo. Il lusso è costituito unicamente da un bagno degno di questo nome: lavandino e doccia calda con scaldabagno elettrico; il cesso sta fuori ed è il solito buco per terra.
Sto ancora male, quindi mi infilo nel letto e mi sveglierò solo domani mattina. Alberto invece tenta di affrontare una cena inaffrontabile, e poi si fionda anche lui sotto le coperte.
Domani inizia la Pamir Highway…
Non sono luoghi che mi attirano , ma grandissima stima per come li avete fatti e li state raccontando.Vi seguo.
Carroarmato
30-08-2018, 10:20
Stupendo, grandissima esperienza! Aspettiamo il seguito...
GIORNO 04 – 6 AGOSTO 2018
Sary-Tash – Murghab (232 km in moto)
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Va sensibilmente meglio. Il digiuno forzato ha giovato evidentemente. Partiamo di buon mattino perché sappiamo che i tempi alla frontiera tagika sono piuttosto lunghi.
Lungo la strada, qui ben asfaltata, verso il punto di controllo kirghizo, ci supera un gruppo di spagnoli, tutti con F800GS rosse (anch’esse spagnole) e pulmino al seguito con guida e bagagli. Ci sembrano gasati e ben lanciati.
Poco dopo intravediamo una yurta isolata, da cui escono a turno e di corsa quattro bambini in ordine di grandezza. Ci corrono incontro avendo evidentemente sentito il rombo dei nostri potenti mezzi spaziali da lontano.
Il primo ad avvicinarsi è il più piccoletto a cui facciamo accendere la moto. Poi tutti insieme chiedono di farsi fotografare. La più grande, seppur con qualche timore, sale dietro.
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La strada prosegue asfalta, ancora per qualche chilometro, fino al posto di frontiera kirghizo, sorvegliato da soldatini con mimetica e mitra.
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Qui ritroviamo gli spagnoli, che sono arrivati, vista la rincorsa, già da un’ora buona, ma sono ancora fermi.
Ci chiedono i passaporti e provo ad allungarli al primo omino in divisa che trovo, senza nemmeno disturbarmi di scendere dalla moto e tanto meno di spegnerla. Troppa fatica per lui. Bisogna scendere ed entrare nell’ufficio, che sta sopraelevato sopra le scale e consegnare il tutto all’ufficiale.
Bene. Obbedisco ed entro, ma vengo immediatamente respinto con una mitragliata di improperi incomprensibili. Capisco che il capoccia vuole che mi tolga gli stivali. Lo accontento e, dato che fuori dall’uscio ci sono svariate ciabatte con il pelo, ne indosso un paio ed entro. Seconda raffica. Quelle sono sue e dei suoi uomini. Devo entrare scalzo. Ma porca malora, dirlo subito no ?!
Il boss sta seduto dietro un banco di scuola con un quaderno a quadretti davanti. Se la tira a bomba e io comincio ad infastidirmi. Consegno diligentemente tutte le carte che mi chiede: in realtà gliele passo una alla volta a caso perché non capisco una fava di quel che vuole.
Alza lo sguardo al cielo e mi fa capire che la cosa è complicata e difficile. E ti pareva!
In queste situazioni, per mio carattere, cerco di mettere ansia e al contempo provo ad essere simpatico. Metto cioè in piedi una sorta di teatrino tra il fastidioso e lo scocciato, con slanci di benevolenza. Ho imparato che questo genere di atteggiamento, fuori dall’Europa, tende a spiazzare chi ha il coltello dalla parte del manico.
In pratica comincio io a fare le domande, a chiedere se tutto è a posto, a farmi spiegare il contenuto dei documenti in russo che ho in mano, a farmi illustrare le procedure che devono seguire… insomma, rompo ben le balle. Il soldatino ovviamente non sa rispondere perché non capisce un mazza di quel che gli sto chiedendo e entra in difficoltà, talvolta nel panico. A questo punto, tiro fuori Celentano e Cutugno, che sono il miglior lasciapassare mondiale.
Il metodo funziona anche stavolta, e in 45 minuti (mentre gli spagnoli sono ancora là ad aspettare) siamo liberi di proseguire. Si aprono le sbarre e altri soldatini mitragliati (nel senso di muniti di mitra) ci salutano più rilassati.
Il rompi zebedei finalmente se ne va…
La strada per il Kizil-Art Pass (4280 m), che segna il confine geografico tra le due nazioni, sale subito sterrata nella terra di nessuno per una ventina di chilometri. Direi che ci vuole una fotografia, anzi tre…
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Poco dopo il passo, a 4.200 metri, arriviamo alla sbarra del posto di controllo Tagiko. E qua bisogna giungere carichi di tanta pazienza.
La procedura è infatti lunga e complicata, perché tutti i vari uffici da passare non si trovano nel grande fabbricato nuovo di pacca costruito apposta per agevolare controllori e controllati, ma sono dislocati in una serie distanziata di baracche, da cui bisogna obbligatoriamente passare come nel gioco dell’oca.
E allora giochiamo!
Fase uno: un soldato in ciabatte ci alza la sbarra, ci dice dove parcheggiare e soprattutto come parcheggiare (ovviamente avevo parcheggiato in tripla fila sulle strisce pedonali, sotto il semaforo, ma non gli andava bene). Quindi ci dice di metterci in coda e si siede su una sedia in mezzo al piazzale a guardarci.
Cominciano a spazientirmi perché la fila procede a rilento e quindi inizio a chiedere al pampalugo quanto ci vuole, come è mai possibile che siano così lenti, che insomma mica possiamo star qui a perdere tempo… Al che, scatta la solita agitazione e gli viene in mente che, per guadagnare tempo, può consegnarci la carta di immigrazione, così possiamo arrivare allo sportello con questa già compilata, anziché ritirala per poi rifare la fila. Espletiamo l’incombenza senza scucire un dollaro. Ma dai! Sta a vedere che sono pure unbribable!
Fase due: saliamo in moto e passiamo al secondo check poco distante. Qui esce, da un'altra baracca con branda e stufa a carbone, un altro soldatino in ciabatte, che ci chiede un po’ di carte e ce ne dà delle altre. Costo 12 dollari a testa. Sapevamo che questo era il dazio ufficiale da pagare, per cui non facciamo una piega.
Fase tre: accendiamo di nuovo i motori e arriviamo alla sbarra d’uscita, illusi di essercela cavata. E invece no. Altra coda e altra baracca, questa volta di sassi, dove entriamo rigorosamente scalzi, per passare sotto i ferri dell’ennesimo soldatino che maneggia altre scartoffie e ci chiede, senza ricevuta, 10 dollari, per non so che cosa.
Fase quattro: poco distante un’altra casina. Dentro diretti, questa volta con gli stivali. Altra carta e altro regalo. ‘Sto giro 5 dollari a testa, ovviamente senza ricevuta.
Fase cinque: altro tugurio e altro soldatino. Altra filippica incomprensibile e altra elargizione benefica: 10 dollari a testa. Chiedo spiegazioni, faccio domande. L’omino mi fa capire che deve compilare un sacco di registri (che però non compila) e che è sommerso dal lavoro, ma gli metto fretta e quindi si sbriga, appuntando i nostri dati su un foglio di carta volante per fare prima.
Alla fine della fiera the unbribables ci hanno scucito 37 dollari a testa. Ma abbiamo visto che funziona così per tutti. In realtà, l’unica somma da pagare sono i famosi 12 dollari, il resto è pura invenzione, tuttavia inevitabile se si vuole sfangarla il più velocemente possibile.
L’impressione è che ‘sti morti di fame d’alta quota si spartiscano poi il bottino e arrotondino così il loro magro stipendio. Con le balle parecchio girate saluto tutti con un gran vaffanculo in dialetto afgano e oltrepasso la sbarra.
Tre ore abbiamo perso, ma c’è a chi è andata peggio. A quest’altitudine, comunque, non si vede l’ora di levare le ancore, perché in effetti stare così alti per così tanto tempo logora la mente, lo spirito e il portafogli.
La strada prosegue ora sterrata in discesa. Gli spazi si allargano e dimentichiamo presto quella manica di sanguisughe in mimetica.
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Compare il grande lago di Kara-Kul…
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… e poco dopo sulla destra si stacca l’incerta e difficile strada lungo la Bartang Valley (che sarebbe, o meglio potrebbe essere, l’unica ipotesi B per raggiungere Khorugh se la M41 risultasse malauguratamente interrotta più a valle).
Si tratta però di un percorso raramente praticato dai motociclisti, e ancor di meno dalle jeep, perché la strada non è sempre transitabile. Per menti smaliziate insomma e pronte a far marcia indietro.
Ques’estate c’è chi per esempio l'ha trovata COSI’ (http://www.pascolimukkosi.com/files/pamir/079.mp4)
Più avanti la nostra strada, sempre sterrata, raggiunge la massima elevazione di tutto il viaggio: 4.655 metri sull’Ak-Baytal Pass, che piazza la Pamir Highway al secondo posto della classifica delle strade internazionali più alte del pianeta.
La discesa ora alterna lunghi tratti sterrati ad altri asfaltati in discrete condizioni. Procediamo rilassati e felici. Alla nostra sinistra per quasi tutto il tragitto, ci affianca la recinzione che separa il Tagikistan dalla Cina.
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Ci vien voglia di curiosare, dopotutto non capita proprio tutti i giorni di vedere la Cina così da vicino. Intendiamoci, non è che sia poi così diversa da dove stiamo. Anzi il paesaggio quello è, sia di qua che di là dalla linea.
Però ci fermiamo e andiamo in perlustrazione. Almeno un braccio dall’altra parte possiamo anche mettercelo.
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I cinesi, non si sono però limitati a tirar su il filo spinato, hanno anche realizzato una pista per poterlo pattugliare. Metti mai che si annoino! Fatto sta che in alcuni punti il filo è sparito e ci sono ampi varchi, da cui in teoria si potrebbe anche svalicare illegalmente per pochi metri, ma non so quanto convenga.
I tagiki ciulano il cavo per rivenderselo, e i cinesi, da bravi omini diligenti, lo rimettono. E avanti così…
Ritroviamo l’asfalto che ci porterà ditti dritti a Murghab. Un semplice guado, stacca però la marmitta a questa Panda impegnata nel Mongol Rally, ma il proprietario non ci sembra preoccupato più di tanto.
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Poco prima del villaggio troviamo, fortunatamente asciutto, un ampio torrente che, qualche anno fa, ha seriamente impegnato chi passava da queste parti, perché il ponte era crollato, e lo è tuttora.
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A Murghab ci fiondiamo nell’unico albergo, gestito da un efficiente staff dotato di radio trasmittenti. Primeggia su tutti una bella, gentile e disponibile puledra takiga, di notevole caratura…
Ci viene assegnata una camera executive, dotata di bagno privato. Non sto scherzando. Così ce l’hanno dipinta. Lusso dello stralusso, insomma. Beh… voliamo bassi: il bagno c’era in effetti ma cadeva a pezzi, la doccia sparava fuori acqua alla mastodontica pressione di un bicchiere al minuto, però si è cenato bene, devo ammetterlo.
Tripla scelta di zuppe e di portate principali. Il mal di panza è passato. Comunque di meglio non c’è quindi… ci siamo capiti.
Fuori una moltitudine di moto e di jeep: evidentemente tutti si fermano qua. Ritroviamo gli spagnoli, che ci siamo persi lungo la strada, e anche tanti italiani.
Domani si prosegue. Che sia anche un’altra giornata fortunata?
maddò!!! che panorami e strade! che spettacolo, spero di andarci presto
Carroarmato
31-08-2018, 15:04
Ci stai facendo sognare ad occhi aperti...
Grande Massimo, per quello che avete fatto e per come lo sai raccontare!!
robi_pal
31-08-2018, 18:48
F A N T A S T I C O :eek:
Grazie Massimo
Lonesomedyna
31-08-2018, 20:04
Mah, in quei posti non ci andrebbi neanche se mi pagheressero...
Soprattutto con la tua moto Donato, che notoriamente è un cianfero!
GIORNO 05 – 7 AGOSTO 2018
Murghab – da qualche parte nella Wakhan Valley (178 km in moto)
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Siamo belli gasati. Oggi vedremo l’altopiano del Pamir e la Wakhan Valley. L’attesa durata un anno sta per avverarsi.
Per sicurezza salto la colazione e lascio Alberto ad abbuffarsi anche per me. Lui, ovviamente, non se lo fa dire due volte.
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Appena fuori dal paese, prima del ponte sul fiume, c’è lo spacciatore di benza, che però è minorenne. E’ lui, che dall’alto della sua vettura capottabile, comanda e gestisce la stazione di rifornimento.
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Imbocchiamo la M41, qui asfaltata, che subito ci immette nel famoso altopiano, una sorta di vallata ampia, molto ampia, circondata da catene montuose da entrambi i lati.
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La giornata è perfetta, non c’è anima viva in giro, l’ambiente ci piace un sacco e quindi parte il solito cazzeggio… cosa che ci riesce sempre molto bene.
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Più avanti l’altopiano si allarga assecondando le divagazioni del fiume. L’acqua permette l’esistenza di pascoli e dunque la steppa si colora di verde, per la gioia di pecore e cavalli… e anche nostra.
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Guidiamo rilassati e contenti per circa 120 chilometri. L’altopiano è veramente vasto e sterminato e la strada che lo attraversa in tutta la sua lunghezza – la M41 – è asfaltata discretamente. Diciamo che si procede ad una buona andatura, stando però attenti a buche sparse e avvallamenti.
Ad un certo punto Alberto ha un’impellenza… molto impellente, che lo costringe ad accostare, incurante di chi sopraggiunge. Il fagotto azzurro è la carta igienica (per chi non l’avesse capito). Del resto non è che ci siano poi tutti ‘sti posti riparati e nascosti dove potersi appartare.
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Dato l’elevato traffico, io nel frattempo ne approfitto per uno scatto superplastico.
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Diciamo che chi opta per rimanere sulla M41 si spara l’Altopiano del Pamir per tutta la sua lunghezza. Noi tuttavia non sapremo mai è sarà più avanti (anche se ci hanno detto che è tutto asfalto fino a Khorugh), perché tra un po’ imboccheremo la Wakhan Valley.
Ad un incrocio poco segnalato svoltiamo infatti a sinistra. Inizia subito lo sterro che, attraverso una serie di laghetti salati, sale fino ai 4.344 metri del Khargush Pass. Questo valico consente, dall’altra parte, di calare nella nostra valle.
Il traffico davvero scarso, scompare completamente. Il fondo è comunque messo benone, qualche tratto di ghiaia smossa e qualche sabbione, ma procediamo senza alcuna difficoltà, agevolati anche dal poco peso delle nostre motorette, veramente perfette su questo genere di terreno.
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Gli spazi di dilatano a dismisura e il cielo sovrasta ogni cosa. Tutt’intorno solo terra pelata. L’orizzonte si perde dietro montagne sconosciute. Siamo in Asia dopotutto, che qua è ben rappresentata nella sua tipica espressione secca incendiata.
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Incontriamo i primi laghetti salati. Uno ci cattura per i suoi riflessi e ci fermiamo. Quattro sgommate nella sabbia non ce le toglie nessuno.
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Al termine della discesa verso la Wakhan Valley, sotto una fermata dell’autobus (o almeno credo che lo sia) incontriamo Otto von Kraus e Galina Sederova, un tedesco e una russa, viaggiatori solitari, che si sono incontrati e hanno deciso di proseguire insieme. Sederova di nome e di fatto…
Poco dopo eccoci al primo check point. Un soldatino mitragliato corre lesto nella garitta di sassi, mentre il suo collega più giovane controlla i nostri documenti. La sbarra si alza e possiamo proseguire.
Siamo finalmente nella Wakhan Valley, il tratto forse più desiderato di questo viaggio. Percepiamo il senso di isolamento assoluto. Non passa nessuno, ma proprio nessuno, né si intravedono villaggi o case isolate. Insomma ci par di stare in un deserto d’altura.
La strada qui non presenta difficoltà e quindi ce la prendiamo comoda.
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Tutto troppo bello per essere vero. E infatti, dopo una sosta, la mia moto improvvisamente non riparte più. Ovviamente queste cose capitano sempre nei posti più imbucati, e qua siamo proprio lontani da tutto e da tutti.
Il quadro si accende, ma non i fari. Premendo il pulsante di avviamento la moto fa un sordo colpo secco ma non si avvia. Che fare?
Mi viene in mente che il charger del GPS funziona fino a 9 volt di tensione minima, ma poco prima si era spento. Sarà sicuramente la batteria. Proviamo allora a montare quella di Alberto, ma la musica è sempre quella. Niente da fare.
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Trascorre un’ora buona ma non passa nessuno. La faccenda comincia a farsi complicata.
Ci viene il sospetto che lo statore e/o il regolatore siano guasti. Proviamo e riproviamo ma la situazione è sempre quella. Siamo fermi e non possiamo ripartire. Bypassiamo il relé. Niente da fare. Ricontrolliamo tutti i cavi e i connettori (messi piuttosto male) e siamo sempre al punto di partenza.
Passa un'altra ora senza anima viva in giro. Nessuna copertura cellulare (altrimenti, ad avere il GS, si precipitava in un batti baleno il BMW Motorrad Mobile Care).
E’ ormai pomeriggio inoltrato e bisogna uscire da ‘sta situazione. Non c’è altro da fare se non trovare un mezzo di trasporto per la moto fino al paese più vicino, nel nostro caso Langar, che dista 65 km di sterro per noi incognito. Poi si vedrà.
Sotto un sole feroce resto quindi lì ad aspettare da solo, mentre Alberto parte alla ricerca di un camion per caricare la cariola svogliata. Calcolo che sarà di ritorno non prima di quattro ore, sempre che tutto vada diritto. Ma se dovesse tardare, sarà già buio. La faccenda non mi piace per nulla, ma non ci sono alternative. Proprio non ce ne sono.
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Nell’attesa mi godo il silenzio, ma neanche più di tanto perché penso che qua di notte fa veramente freddo e non sono attrezzato per dormire fuori. L’orecchio è sempre teso alla ricerca di rombi di motore lontani, che però non arrivano.
Dopo un’ora e mezza vedo Alberto ritornare di gran carriera. Solo e senza bagagli. Strano, ci ha messo troppo poco tempo per andare e tornare da Langar. Mi spiega che a 12 km ha trovato una yurta, dove ha scaricato i bagagli per liberare due cinghie. Proveremo a trainare la moto fino a là… con la sua.
E’ la soluzione migliore che ha trovato. La strada oltre la yurta peggiora, come fondo ed esposizione. Non sarebbe altrimenti tornato in tempo. Aumenta la preoccupazione.
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In quel mentre passa la prima macchina dopo tre ore e mezza che sono fermo. E’ una jeep stracarica di bagagli e di persone. Con due cavi di fortuna proviamo a fare il classico ponte. La moto si accende, ma poi non tiene il minimo e si spegne: la centralina evidentemente non ha tensione sufficiente. Si rafforza il sospetto che possa essere lo statore e/o il generatore.
Chiedo al driver se può trasportarci a Langar, dove mi dice esserci un meccanico. Mi dice che sta andando proprio a Langar, ma ha la macchina piena. Per 200 dollari può andare, scaricare e tornare a prendermi. La combino a 150 dopo una serrata trattativa, ma avendo lui il coltello dalla parte del manico ed essendo io praticamente a novanta, non ho potuto fare più di tanto. La somma richiesta è un furto e lui è un verme.
Ci diamo appuntamento con una stretta di mano alla yurta più avanti e riparte.
Leghiamo le due moto con le cinghie e ripartiamo pure noi. Un motociclista sudcoreano giunto in quel momento si offre di seguirci in caso avessimo bisogno di aiuto.
Il traino su sterrato si rivela più complicato del previsto. In pratica, da dietro, non ho possibilità di sterzare e, al minimo movimento o cambio di direzione di Alberto, rischio di cadere. E viceversa. Nei tratti in discesa è troppo pericoloso, quindi sleghiamo il cordone ombelicale e io avanzo da solo in folle: sulla ghiaia o sulla sabbia in discesa non è per nulla agevole.
Procediamo a passo d’uomo. Impieghiamo un’ora e mezza per fare i 12 km che ci separano dalla yurta, dove arriviamo belli provati.
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Qui ci attendono alcuni pastori, ai quali spieghiamo che attendiamo la jeep. Ci offrono ospitalità per la notte, ma decliniamo l’invito, confidando che il verme arrivi prima, come promesso.
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Sono arrivate le sette di sera e le ombre si allungano sulle ondulazioni di queste terre. La yurta si trova veramente in mezzo ad una fava. L’Afghanistan dista 40 km in linea d’aria verso sud.
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Di fronte alcuni cammelli pascolano pacifici, mentre uno pare ridersela a crepapelle.
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Arrivano le otto. Secondo i nostri calcoli Akhnazar, questo il nome del driver, dovrebbe essere qui a momenti. Invece non si vede. I pastori, che parlano solo russo, hanno un satellitare. Lo conoscono e quindi lo chiamano.
Il deficiens è rimasto senza benzina prima di arrivare a Langar. Sta aspettando che qualcuno gliela porti. Poi dovrà arrivare, scaricare e tornare. I tempi si dilatano e intanto comincia a far buio. La temperatura scende rapidamente. Si profila come sempre più verosimile l’ipotesi di dormire qui.
Arriverà a mezzanotte passata, e pretenderà di caricare la moto con il buio. Al che lo mando a fanculo in tutte le lingue che conosco, dicendogli che può dire addio ai 150 dollari estorti in stato di necessità. Si convince. Partiremo domattina.
Siamo a 3700 metri di altitudine e il termometro segna 3 gradi, sia fuori che dentro la yurta, con l’unica differenza che dentro non tira vento.
Fuori esplodono le stelle, mentre noi ci sistemiamo meglio che possiamo, senza coperte né sacchi a pelo, né cena… ma quella è il minimo.
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Sarà una notte in bianco per via del freddo… e per il traffico notturno. Sì perché, se di giorno pochi passano da qua, di notte invece c’è un gran fermento. Ogni tanto si ferma una macchina, entrano dei ceffi, bevono una vodka, scaricano dei sacchi e ripartono.
Non voglio sapere cosa contengono, faccio finta di dormire, muto come un pesce, aspettando l’alba…
rombodituono
03-09-2018, 10:44
Le sfighe sono i ricordi che si manterranno per sempre! Di tutti i viaggi fatti, i racconti più apprezzati e più vivi sono quelli dei guai, delle rotture meccaniche, delle notti passate a bestemmiare :)
Quando va tutto bene non c'è gusto!
L'importante è finire con "e tutti vissero felici e contenti"
Ma l'ospitalità dov'è? Niente cena???
Alessio gs
03-09-2018, 21:13
Azz....bel colpo di sfiga....ciao...
ivanuccio
03-09-2018, 21:45
Asso che situascions!Se mai farò sto giro lo farò con un mono a pedale .Tipo la mia vecchia xt550
Che poi qualcosa può succedere lo stesso
Inviato dal mio iPhone utilizzando Tapatalk
GIORNO 06 – 8 AGOSTO 2018
da qualche parte nella Wakhan Valley – Khorugh (273 km in moto)
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Il subdolo si presenta con un’ora di ritardo per caricare la moto. Mi conferma che a Langar c’è un bravo meccanico e che in ogni caso anche lui è meccanico. La cosa incomincia a puzzarmi.
Temevo che volesse caricare la moto sul portapacchi sul tetto della jeep, e la cosa mi preoccupava parecchio perché, date le strade dissestate, se l’avesse fissata verticale si sarebbe rovesciata e se l’avesse messa coricata su un fianco avrebbe potuto rompersi il serbatoio.
Decide di metterla dentro, dopo aver tolto i sedili posteriori. Solo che non ci entra evidentemente.
Quindi smontiamo le ruote e proviamo a caricarla.
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Niente da fare. Quindi allentiamo e ruotiamo il manubrio, comprimiamo con la cinghia gli ammortizzatori anteriori e la infiliamo al contrario. Finalmente così ci sta.
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Partiamo che sono le 10 passate. E lui, il pirlazzo, che voleva fare tutta questa operazione di notte, al buio e con un freddo bestia… Lasciamo perdere, tanto l’idea ormai me la sono fatta.
Voleva pure stare davanti, alzando una nuvola di polvere per il povero Alberto che, secondo lui, doveva starsene buono e zitto dietro. Nasce la prima discussione ma la spunto. Muto e rassegnato devi stare, che ti sto pagando per due ore quello che guadagni in due mesi!
Se si chiamasse Dory (ma si chiama Aznavour, anzi no Akhnazar) gli direi “zitto e nuota”!
E il cammello, che voleva partecipare alle operazioni, intanto se la ride…
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La strada fino a Langar è piuttosto aerea, corre alta sul fiume con continui saliscendi. Il fondo presenta talvolta tratti sabbiosi, talvolta punti con ghiaia smossa e talaltra toul ondulè, ma vedo che Alberto davanti procede bene.
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Io invece mi armo di tutta la pazienza a mia disposizione perché il pilota (al di là dello sguardo ingenuo e remissivo) in realtà è un gran spacca maroni.
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Ascolta senza sosta della musica inascoltabile, che piace a solo a lui in tutta l’Asia Centrale, un misto tra ballo del qua qua e litanie arabe rapper. Insomma una porcheria.
Esaurita la mia capacità di sopportazione, lo minaccio di collegare alla sua autoradio del ‘78 il mio telefono con tutta la discografia completa di Davide Van De Sfroos in dialetto laghée, ma, vista la faccia, si impressiona.
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Raggiungiamo un compromesso con Ligabue, e vedo che ora guida più rilassato… però vorrebbe la traduzione dei testi in russo. Roba da matti.
Arriviamo a Langar dopo due ore e passa di discussioni. Ci porta dritto alla sua guesthouse, fingendo di aver capito che volessimo fermarci a dormire anziché trovare un meccanico. A proposito di meccanico, scopro solo davanti a casa sua che non esiste. Lo ammazzerei.
Parte quindi la seconda trattativa per arrivare a Ishkashim, dove mi giura che ci sono ben due meccanici e un negozio di ricambi auto, dove potrò trovare una batteria nuova. Per fare i 133 km che ci separano dalla salvezza, mi spara 300 dollari. La combino a 200, che è un ulteriore insulto alla povertà umana. Ma stare fermo qui non risolve il problema.
Si riparte. Sale con noi una bimba, in una posizione veramente pericolosa perché le cinghie si sono nel frattempo allentate e la moto rischia di caderle addosso. Ma per il decelebrato ovviamente non c’è problema.
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Fortunatamente scende poco dopo e mi sento sollevato. Riparte in una nuvola di polvere e non capisco se Alberto sta davanti o se è rimasto dietro. Dopo due chilometri ci fermiamo per fare rifornimento. Alberto non c’è e non arriva. Scopro dagli indigeni che ha bucato, nel bel mezzo della nuvola di polvere.
Al tamagoci non sfiora nemmeno lontanamente l’idea di tornare indietro ad aiutarlo. Vi risparmio quel che gli ho detto per farglielo fare. Davvero lo sopporto meno della sabbia nelle mutande.
Troviamo Alberto sotto un sole cocente, sudato fradicio. Montiamo la posteriore (già smontata alla mia moto) e ripartiamo.
Da qui in avanti comando io. E’ chiaro?
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Il viaggio ora prosegue lungo il fiume, attraversando rari villaggi con poche case. Alla nostra sinistra l’Afghanistan, dove vorrei spedire con un calcio in culo chi potete immaginare.
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Prima di Ishkashim il genio carica su quattro persone: una si infila nella marmitta, una nel serbatoio, una sotto il parafango e una spiaccicata sotto la sella. Ma, dico io, la moto occupa tutto il posto, dove vuoi metterli ‘sti poveri cristi?
A Ishkashim andiamo diretti all’autoricambi (che esiste, in effetti) ma ha solo batterie grosse, troppo grosse per lo statore della moto: avrebbero rischiato di scaricarsi in poche ore. Inoltre non si trovano i cavi per collegarne una.
Cerchiamo il primo meccanico che però non c’è. Andiamo dal secondo, ma pure lui non si trova. E ti pareva! Sfuma l’idea di testare statore e regolatore. Non si può far altro che proseguire per Khorugh.
Questa cosa di raccontare balle, una alla volta, per prolungare il viaggio a pezzi, così da estorcere il prezzo che vuole lui, mi fa davvero andare in bestia. E’ un farabutto disonesto. Punto e basta. Ma sono pure costretto a supplicarlo in ginocchio nella piazza di Ishkashim, sotto gli occhi di tutti, per ottenere il miracolo di farmi portare a Khorugh con i soli miseri 100 dollari che mi sono rimasti.
Si riparte tra mille maledizioni.
La strada ora sta leggermente messa meglio. Si alternano tratti asfaltati a pezzi sterrati. Il confine Afghano qui è davvero molto vicino: in pratica la strada al di là del fiume è Afghanistan.
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Arriviamo all’unico check point di questa tratta, che superiamo in pochi minuti, perché il pulotto, sotto un platano, è troppo intento a tacchinare – alla cieca - una tipa tutta intabarrata.
Alberto davanti procede stoicamente, nonostante sia distrutto dalla fatica. Ma vorrei essere al posto suo piuttosto che stare seduto a fianco di questa miserabile sanguisuga tagika. Anch’io sono distrutto, non lo reggo davvero più. Sono ormai otto ore che siamo in giro.
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Ogni tanto devo prendere una boccata d’aria, ma mi viene solo il nervoso perché la Wakhan praticamente non l’ho guidata, l’ho solo sopportata.
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Arriviamo a Khorugh che sono le otto di sera. Ormai è quasi buio. Ci dirigiamo alla Moto Peppers Guesthouse, qualche chilometro fuori dal centro. E’ gestita dalla sorella di Ali Abu Butabekov, il nostro preziosissimo contatto.
La guesthouse è chiusa, ma viste le nostre facce, ce la aprono solo per noi. Stanza linda, immochettata e immacolata (guai però ad entrare con gli stivali), bagno immenso con lavatrice e doccia idromassaggio e una calorosa e splendida accoglienza.
Scarichiamo la moto e scucisco al mio chauffeur 450 bombe, tanto mi è costata l’agonia viaggiante. Quindi lo maledico e lo mando fuori dagli zebedei. Con una piccola soddisfazione però: poco prima di arrivare gli si è scassato un ammortizzatore. Gli auguro di spendere tutto ciò che mi ha ciulato per ricomprarlo. A mai più, strunz!
Arriva Ali che subito prende la batteria per farla mettere in carica tutta la notte (non si sa mai) e anche la ruota bucata per farla riparare. Ci rivedremo domani, che già si preannuncia una giornata complicata.
Intanto i suoi parenti vanno a prenderci delle birre, mentre la sorella ci prepara la cena. Entriamo nell’idromassaggio (uno alla volta) e resuscitiamo…
Pincanello
04-09-2018, 10:32
Complimenti, sei un grande.
in questi casi si può capire il significato del detto:
La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.
Aspetto con ansia il proseguo della tua avventura.
GIORNO 07 – 9 AGOSTO 2018
Khorugh – Khorugh (zero chilometri in moto)
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La giornata è tutta dedicata alla soluzione del problema. E inizia presto. Ma solo per Alberto che di buon ora inizia la delicata operazione chirurgica all’impianto elettrico. Io invece ronfo tranquillo nel letto, perché tanto sarei solo di intralcio, visto che non so neanche controllare l’olio.
Alle nove si presenta puntuale Ali, con suo cognato, il marito di sua cugina e un amico, a bordo di una vecchia mercedes che puzza di benzina. Proviamo subito la batteria ricaricata nella notte, ma la moto resta in coma. Montiamo allora la ruota posteriore riparata.
Ali ci ha recuperato anche un tester e quindi passiamo in rassegna tutte le tensioni rilevanti. Strano: lo statore spara fuori pochissimi volt e al relé ne arrivano appena quattro. Proviamo a collegare la batteria del merci, ma la moto ugualmente non parte.
La cosa sembra complicata assai. Ci vuole un “electric master”. Ne conoscono uno bravizzimo. Pronti! Si va a recuperarlo.
Si presenta un ceffo in mocassino a punta, pantazampa neri di lino e camicia di raso lucido sbottonata fino all’ombelico. Di professione ballerino di tango, altro che meccanico. Tutto sculettante si avvicina alla moto e spara la sua diagnosi, senza nemmeno un cacciavite in mano: “carburator problem”.
Bon! Siamo a posto! Il Don Lurio, qua, ha detto la sua. OK. Sei contento? Adesso però stattene buono in disparte e non disturbare; se vuoi ti diamo pure l’osso.
Per scrupolo proviamo a ricollegare la batteria buona, quella di Alberto. E la moto ‘sto giro si accende, resta accesa e gira che è una meraviglia. Mistero della fede!
Alla fine, a parte le misurazioni anomale rilevate, era proprio la batteria. E mi sovvien l’eterno, o meglio che da Muztoo era caduta a terra e che il meccanico aveva detto che non serviva cambiarla.
Non dico niente, ma chiamo George e gliene sparo una brenta: pretendo il rimborso di ogni spesa e per non aver potuto usare la moto durante il guasto. Seppur con gentilezza, tergiversa e intuisco che non ha nessuna intenzione di assecondare la mia richiesta. Al che lo faccio richiamare da Ali, il quale, in russo (lingua, come noto, piuttosto ruvida) rincara la dose.
Seguono altre telefonate, sempre in russo, anche con Oybek. Il mio intento è quello mettere le mani avanti con largo anticipo per farli trovare pronti e consapevoli quando restituirò la moto. Le telefonate di Ali sono state belle incazzose… forse serviranno.
Khorugh è una cittadina di 28.000 abitanti e Ali li conosce praticamente tutti. Originario di qua, ha vissuto a Biskek (dove fa parte del locale motoclub) fino all’anno scorso, quando è dovuto rientrare per stare vicino alla mamma dopo la perdita del papà. Insegna inglese ai ragazzi delle superiori, e forse anche per questo le sue conoscenze sono così sconfinate.
Mi ha detto che se lo avessi chiamato, mi avrebbe organizzato il trasporto della moto gratis, perché anche nella Wakhan Valley ha molti amici. A saperlo prima…
In realtà, Ali è veramente un ragazzo speciale, disponibile, generoso, simpaticissimo e pronto ad aiutare chiunque. Per questo lo salutano tutti con gran strette di mano e sorrisi. E tutti sono pronti ad aiutarlo se ha bisogno di qualcosa.
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Pausa pranzo. Offriamo noi ovviamente, dato che i presenti hanno tutti abbandonato i loro impegni di lavoro per aiutarci, cosa che qua da noi ce la sogniamo. Pizza tagika nell’unico fast food della città, dove lavora miss condominio, pure lei amica di Ali, o forse qualcosa di più...
Al rientro dobbiamo trovare per forza una batteria nuova. Nessun problema: Ali chiama sua sorella che vive a Dushambe, le manda le foto della batteria e le dimensioni misurate con le dita. Dopo mezzora la batteria era comperata. Arriverà domani con il primo aereo del mattino.
Mi ricordo però che le batterie non possono essere imbarcate. Parte il secondo giro di telefonate al direttore dell’aeroporto di Khorugh (suo amico) e al responsabile dei servizi a terra dell’aeroporto di Dushambe (papà di una sua amica). Qua si conoscono tutti, mi sa. Però non c’è nulla da fare. Le norme di sicurezza non si possono proprio derogare.
La batteria non può volare. Serve dunque un piano alternativo.
Ci ricordiamo che i piccoli pulmini che fanno da taxi dovrebbero montare batterie molto piccole. Ne fermiamo uno in strada, pieno zeppo di persone, per chiedere di vederla. Giù tutti i passeggeri perché la batteria sta sotto i sedili. E’ da 45 Ampere, la più piccola che esiste. E dove la possiamo trovare? Semplice, vi accompagno io, dice il tassista.
I passeggeri restano giù in mezzo alla strada e saliamo io ed Ali. Il distributore di batterie vende anche sementi, pasta, riso, frutta e verdura. Le batterie le tiene ben nascoste in una serie di cunicoli sotterranei scavati nella roccia. Inquietanti, ma pieni di batterie nuove di pacca.
E per i cavi? Alberto si fa abbindolare da un parente dei nostri amici, recuperato ubriaco fradicio nel bazar. Per un colpo di fortuna astrale, vicino a casa sua in un cassonetto trova i cavi.
Possiamo avere batteria e cavi per arrivare (forse) fino a Dushambe, dove ci aspetta la batteria nuova. La batteria bisogna legarla sulla sella e sperare che lo statore riesca a tenerla in vita per due giorni.
Ma non ci diamo per vinti. Possibile che a Khorugh (dove non ci sono moto) non si trovi una batteria da moto?
Si trova, si trova… basta saper cercare.
Parte la terza serie di telefonate, fatte contemporaneamente dai nostri quattro amici. All’esito si scopre che una moto in effetti esiste. Appartiene al direttore dell’istituto tecnico di meccanica, dove ci precipitiamo. Esso lui ha l’UNICA moto di tutta la città, un piccolo motard cinese. Ci presta la batteria fino a Dushambe, che gli faremo poi avere tramite la sorella di Ali con comodo.
Siamo salvi! E anche stremati.
Alla sera viene a salutarci il cognato di Ali con i bimbi. Tutti sono stati semplicemente fantastici e unici. Non potremo mai dimenticarli. Ci hanno tolto dalle peste, dedicandoci tutto il loro tempo.
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Ma la giornata non è ancora terminata: abbiamo cinque litri di birra gelata da finire…
rombodituono
05-09-2018, 09:55
Io vado pazzo per queste avventure e questa gente <3
Diciamo che non vi siete fatti mancare nulla... pensa quando la racconterai tra 30 anni davanti ad una buona bottiglia!!! Grandissimi!! :!::!::!:
Su Ali ha già detto tutto Massimo , una persona speciale veramente , ho avuto modo di conoscere lui e Zhukov ( quello del primo beb a Osh dove hanno soggiornato Massimo e Alberto ) e non posso che portarli nel cuore per gli aiuti disinteressati che hanno dato a me e Mia moglie .
La disponibilità della gente "comune" che in molti posti del mondo campa con pochi euro è inversamente proporzionale al loro reddito. Quanto abbiamo da imparare ancora.
seagulls
05-09-2018, 17:21
Molto interessante e scritto con la giusta dose di ironia: il paragone con Don Lurio la battuta più simpatica! I miei complimenti. Aspettiamo i resto.
Bravo e complimenti per lo spirito con cui hai gestito il momento
Samsung S7
GIORNO 08 – 10 AGOSTO 2018
Khorugh – Kalai Khum (244 km in moto)
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Non mi par vero. Sono di nuovo in sella, bello arzillo e pimpante. Non vedo l’ora di mettermi in marcia. Alberto un po’ meno, per via della congestione birrosa di ieri sera.
Si parte. Oggi sarà un tappa lunga ma bellissima. La M41, in questo penultimo tratto, percorre infatti una stretta valle incassata tra le montagne a ridosso del confine Afgano per tutta la sua lunghezza. Il fiume Panj sulla sinistra, costituisce la linea di separazione tra queste due terre, qui vicinissime.
Da questa ardita via, secoli fa, passavano le carovane che affrontavano la lunga via della seta verso l’Oriente. Chissà a quel tempo come deve essere stato attraversare questi luoghi, quali incertezze e quante difficoltà avranno incontrato i temerari viaggiatori di allora. Per un istante vorrei poter tornare indietro nel tempo, per osservare quell’andirivieni di persone, animali e mercanzie...
Ma torniamo con i piedi per terra. Usciamo da Khorugh e imbocchiamo la valle del Panj. Questo primo tratto di strada attraversa piccoli paesi di poche case soltanto. In uno di questi, anzi in questo esattamente…
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… vengo però inseguito, assalito e azzannato da un grosso cane.
Ce ne sono molti, tutti aggressivi e feroci. In ogni villaggio almeno uno esce all’improvviso e di traverso dai margini della strada, si affianca alla moto o si mette davanti. Quindi spicca un salto a bocca spalancata.
Guidiamo sempre attentissimi per poter aprire in tempo il gas. E’ questione di una frazione di secondo, se vogliamo fregare queste bestie in velocità. Ma non sempre è possibile.
E questo è il risultato.
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E’ la prima volta che vengo morsicato e ne avrei fatto volentieri a meno. Fortunatamente la cordura ha protetto il contatto diretto, ma il morso stretto e potente è comunque entrato nella carne. Almeno non sono caduto, altrimenti non so come sarebbe finita.
E anche questa è andata.
Il fondo stradale è un misto di asfalto distrutto e sterrato. La guida risulta piuttosto faticosa e fastidiosa, ma il paesaggio ci piace. Il fiume si allarga e ci prendiamo il tempo per qualche fotografia.
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Arriviamo così al primo check point sorvegliato dalla polizia tagika. Controllo veloce e indolore. Qui sono tutti unbribable in effetti.
Al di là del fiume, l’Afghanistan ci osserva immobile e deserto. Sarebbe a portata di mano, ma è off limits. Quindi guardare e non toccare. Eppure il fascino di mettere il becco dall’altra parte, anche se distante pochi metri, non avrebbe prezzo…
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Alberto non si sente bene. Trova l’unico albero di questa terra assolata e entra in catalessi…
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… mentre io, nel frattempo, vado in perlustrazione. Dall’altra parte del fiume deve esserci un altro mondo, così vicino ma imprendibile.
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La strada è ancora lunga. Bisogna rimettersi in marcia. Quindi a ritmo lento ci avviamo. Il Panj qui si fa più agitato. E’ l’unico rumore in questo silenzio assoluto. Il traffico è infatti pressoché nullo. Ogni tanto incrociamo un camion, poche macchine, moto nessuna.
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E’ da un po’ che non incontriamo più villaggi (e cani). La valle si restringe parecchio, quasi a formare un canyon; scompare del tutto ogni presenza umana.
Il fiume ogni tanto forma una spiaggia di sabbia. Alberto continua a non sentirsi bene. Ha bisogno di un’altra sosta. Cosa vuoi di più dalla vita? Ti porto a Rimini.
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Seconda catalessi…
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La strada afghana è scavata nella roccia. Ne approfitto per guardarmi intorno. In questo punto il confine è davvero ad un soffio. Pochi metri soltanto. Ci si potrebbe andare a piedi perché l’acqua è calma e poco profonda. Sarei quasi tentato…
… invece mi accontento di raccogliere un po’ di sabbia. Come a Rimini, uguale uguale… anche il color caffelatte dell’acqua.
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Ora che è bello abbronzato Alberto può ripartire più figo che mai. E anche bello spedito…
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Secondo check point. Questa volta dell’esercito. Anche qui nessun problema. Arriviamo quindi presso una trattoria gestita da due sorelle con prole al seguito.
I bimbi, curiosi come sempre, chiedono di indossare il casco e di salire sulla moto. Ci mancherebbe! Eccoli accontentati.
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Quindi mi faccio una foto ricordo con tutta la mia nuova famiglia. Due mogli e due figli. Ma anche no! A parte che sono due cartoni, basta e avanza quella che ho. Non se ne parla proprio. Signore… è stato bello, però ci si vede….
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Preferisco vedere l’Afghanistan, che non stanca mai. Ancora una volta qui solo ad un passo.
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Sempre deserto, sempre silenzioso. Sembra quasi irreale. Un momento però… vedo due afghani, i primi di questa lunga giornata e gli unici di tutto il viaggio. Provo a salutarli e ricambiano. E’ l’unico contatto possibile.
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Più avanti la valle si apre. Compaiono i primi villaggi dell’altro mondo che vorrei tanto toccare con mano. C’è anche un ponte che porterebbe dall’altra parte, ma è presidiato dai soldati. Non si passa.
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Non mi è mai capitato di desiderare un luogo come in questa situazione paradossale. Si, perché so che non si può e che forse non sarebbe prudente, però l’attrazione è di quelle fatali (e irrealizzabili), che ti entrano come un tarlo per sempre. L’Afghanistan resterà una terra proibita e impossibile, come una bella donna che non potrai mai avere. E forse, proprio per questo, sarà difficile dimenticarlo.
Un bel pò di chilometri più avanti incontriamo un gruppo di case vicino ad una cascata, che regala un prezioso refrigerio naturale a tutti coloro che necessariamente ci passano davanti, perché la strada è una sola. C’è un po’ di movimento. Un negozietto vende bibite fresche. Si paga dentro e si prende da bere direttamente alla fontana che fa da frigorifero. Un gruppo di inglesi impegnato nel Mongol Rally con carcasse da demolizione ha rotto il cambio. Aspettano un camion per caricare le macchine fino a Khorugh, da dove proveniamo. Auguri e figli maschi…
Siamo ormai in dirittura d’arrivo. Ricompaiono i cani e i primi villaggi. Terzo e ultimo check point, anche questo veloce e innocuo. Quindi finalmente entriamo a Kalai-Kumb. Questa lunga tappa è terminata.
Ma dai! Accidenti è buio. Ce ne abbiamo messo di tempo. In effetti è da 11 ore che siamo in ballo, e la stanchezza si sente tutta. Non abbiamo voglia di cercare il solito tugurio dove dormire, quindi ci facciamo abbindolare dalle luci di un hotel degno di questo nome e con ben sette – dico sette - stelle.
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Entro, contratto il prezzo come al mercato delle pesche. Si può fare. Aggiudicato. Finalmente una camera e un bagno come Cristo comanda.
Alberto entra nella terza e ultima catalessi che lo porterà fino a domani mattina. Esco a cena da solo. Proprio sul fiume c’è una taverna, che però non serve alcolici. E dopo una giornata così ne ho un gran bisogno. Cerco un negozio dove compero due litri di birra e me la porto al ristorante. Birra al sacco!
Ordino un borsch e l’oste mi offre la frutta. Sto per andarmene e ringraziare quando si siedeno pure lui e due suoi amici. Arriva un pollo allo spiedo, verdure e altra frutta. Praticamente mi tocca ricominciare da capo. Tutto offerto ovviamente.
Gonfio come una cisterna raggiungo Alberto che è già nel mondo dei sogni. Che letto comodo ragazzi! Buonanotte a tutti, belli e brutti…
... il cane ha assaggiato maaaa ... sapevi di birra e ha mollato la presa ;)
Credo che trovarsi in una situazione del genere complicata da lingua, necessità di arrangiarsi (a saperlo fare), carenza del necessario e non andare in depressione sia un test non da poco, un'esperienza di vita che ti resterà per sempre come la gratitudine verso coloro che ti/vi hanno supportato.
E' un piacere sapere che ci sono persone come loro.
GIORNO 09 – 11 AGOSTO 2018
Kalai Khum – Dushambe (301 km in moto)
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Kalai-Khum è un’importante crocevia. Appena al di là del ponte sul fiume si impone, infatti, una scelta fondamentale.
A sinistra si abbandona definitivamente la M41 e si arriva a Dushambe per strada tutta asfaltata con un ampio giro a sud, passando per Kulob e Danghara. Sono 374 km in tutto, ma fattibili in giornata senza difficoltà. La maggior parte dei motoviaggiatori segue questa opzione.
A destra, invece, si rimane sull’ultimo tratto della M41, ma il percorso è molto meno frequentato. Fino a qualche anno fa, la traccia non era sempre transitabile a causa di frane o esondazioni del fiume. E ancor oggi non è detto che il passaggio sia sempre agevole. Tutto in effetti è mutevole in Pamir. Da più parti si sconsiglia di affrontare quest’ultimo tratto, se non mettendo in conto il rischio di dover tornare indietro. Questa seconda opzione è più corta della precedente (301 km), ma richiede – anche in condizioni ottimali - una giornata piena ed intensa, partendo di buon ora.
La prima parte è sterrata (133 km ininterrotti), mentre il resto (168 km) sono in teoria tutti ottimamente asfaltati. In realtà, già dal 2019, dovreste trovare tutto asfalto nuovo di pacca, perché quest’anno dovrebbero terminare i lavori di bitumazione di lunghi tratti molto prima di arrivare a Obigarm (in pratica, se guardate la mappa sopra, lo sterro si fermerà al “Police Check Point”, il resto sarà una pista da moto GP).
Questo cambia tutto perché lo sterro, alla fine della fiera, resta meno della metà.
Partiamo di buon mattino con tutta l’intenzione di fare il tratto più difficile. Chiediamo in paese e tutti ci dicono che si passa. Arriviamo quindi al primo check point, dove anche i soldatini ci confermano il passaggio.
Non deve esserci comunque un gran traffico da queste parti. Sbirciando sul quaderno a quadretti dei militari, dove vengono segnati tutti i passaggi, noto infatti che, negli ultimi tre giorni, è passata circa una ventina di veicoli in tutto. Meglio così. O forse no. Staremo a vedere.
La strada parte subito sterrata e attacca con una serie di ampi tornanti la rampa sud del Khaburabot Pass (3.252 metri). In realtà ci sarebbe qualche breve tratto di asfalto distrutto, ma chissà a quando risale. In pratica si guida sullo sterro dall’inizio alla fine.
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Il fondo è leggermente più roccioso dei tratti percorsi sino ad ora. In parecchi punti l’acqua di ruscelletti trasversali invade la carreggiata e dilava il terreno lasciando in bella vista i sassi nudi e crudi, mai superiori comunque alla dimensione di un’arancia. Non incontriamo difficoltà particolari, anzi procediamo come al solito a dirla tutta.
Saliamo distanziati e rilassati. Il panorama è piuttosto diverso da quello del Pamir, più roccioso, ricorda vagamente i nostri passi alpini, traffico escluso.
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La progressione sarà tutta tranquilla. A parte un cane da pastore che ovviamente ci insegue e tenta di assalirci. Ma ormai abbiamo imparato a nostre spese come gestire queste situazioni. In qualche punto la strada risulta scavata nella roccia in marcata esposizione, tuttavia le condizioni sono le migliori che potessimo incontrare e abbiamo trovato tutto facile e guidabile fino al passo.
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La sommità si sente da lontano… e dalla puzza: quella di centinaia di capre al pascolo, che razzolano ovunque.
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Chi le comanda è Nereddu, pastore sardo della Barbagia trapiantato qui.
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Gli offriamo un biscotto e lui ricambia con il cappello… che ricordo molto bene perché ho ancora un certo prurito.
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Sul passo c’è anche una fermata dell’autobus. A richiesta però.
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Le capre pascolano indisturbate e ignare di dove mettono le zampe. Ce ne accorgiamo leggendo il cartello a fianco di Pippineddu, il figlio di Antoneddu, a bordo del suo compagno di merende a quattro zampe pure lui.
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Nessuno peraltro se ne cura più di tanto, se non forse quando viene all’improvviso sparata in orbita qualche capra.
Sull’altro versante è tutta una distesa di prati, infinita e indefinita. La strada scende assecondando le ondulazioni delle montagne con ampie svolte. Anche da questa parte si guida con facilità e non troviamo alcun ostacolo degno di nota.
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Più in basso la valle si apre e il fiume si dilata tra le ghiaie. La Lada qui sotto è di Cuccureddu, parente stretto dei nostri amici silvopastorali.
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Questo fiume, che pare innocuo, è invece spesso incazzato e fonte di rogne non da poco. Fino all'altr'anno, ad esempio, questo ponte qui…
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… stava messo COSI’ (http://www.pascolimukkosi.com/files/pamir/188.mp4)
Insomma, è per dire che non c’è limite ai casini, soprattutto in questo ultimo tratto della M41. Ad ogni buon conto, salvo disgrazie o diluvi, si passa o si dovrebbe poter quasi sempre passare, senza troppe complicazioni, o con nessuna come fortunatamente è capitato a noi.
Arrivati al villaggio di Tavildara, dove secondo gli autoctoni riprenderebbe l’asfalto (ma così non è), la strada prosegue nella lunga valle del fiume Obikhingou, nel primo tratto piuttosto ampia, nel secondo invece stretta e incassata tra pareti friabili e boscose.
Il percorso non è tutto in discesa, ma presenta una serie di saliscendi e di curve che assecondano gli gli estri della montagna. Qualche guado, un po’ di fondo smosso, ma nulla di più.
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Sulla sommità di un dosso, alti sul torrente, Alberto buca l’anteriore. Non c’è un filo d’ombra come al solito, ma lui, lesto e diligente si mette subito all’opera… con una nutrita serie di assistenti e fornitori di passaggio.
Sì, perché la chiave del 12 che ci ha dato Muztoo è fatta di pongo e rischia di spanare i bulloni. Come per incanto passa una macchina e ci regala una chiave very professional. Problema risolto.
Stalloniamo il copertone, togliamo la camera d’aria bucata e infiliamo quella nuova che sempre Muztoo ci aveva dato di riserva. Come da copione, insomma. La gonfiamo con la pompa della Barbie di cui pure ci ha fatto omaggio, ma non si gonfia. Smonta tutto: pizzicata in ben due punti. Non è colpa nostra: la camera è fatta di carta velina di suo.
Che vuoi che sia! Tanto abbiamo mastice e pezze. Ehm… per averceli ce li abbiamo, solo che il mastice è del ’78 e il tubetto è praticamente vuoto disidratato. Questa non ci voleva.
Scatta quindi la gara, tra tutte le macchine di passaggio, a chi ha la colla giusta. Salta fuori di tutto, mastice sigillante, bicomponente scaduta, attack, vinavil… ma nulla che tiene la pezza.
Così alla fine di tutta ‘sta caciara, carico la ruota e vado in cerca di un meccanico. Ne becco uno a 20 km di distanza: un omino barbuto e minuto, di età indecifrabile ma avanzata, sistema tutto senza proferire parola. Onesto (un dollaro) e abile (non ho mai visto rimontare un copertone solo pestandoci sopra con le ciabatte senza usare i ferri).
Problema risolto, ma con tutto quel via vai di gente, peraltro gentile e disponibile, abbiamo perso due ore e mezza.
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Poco dopo termina lo sterrato e inizia l’asfalto: perfetto, nuovo di stecca e ampio. La goduria è breve, perché più avanti sono tutti fermi a tempo indeterminato. Stanno asfaltando. Un poliziotto con Mercedes dirige le operazioni. Garbatamente chiedo se con le moto possiamo passare. Telefona al capocantiere. Mi fa cenno di andare. E così facciamo, guidando sul bitume appena steso come su un sabbione.
Abbiamo risparmiato così un sacco di tempo, ore e ore di attesa, senza vie alternative.
Più avanti incontriamo ancora parecchi chilometri sterrati pronti e livellati per essere asfaltati dall’impresa turca che ha preso l’appalto. Oltre sarà tutto asfalto fino a Dushambe, veloce e senza altri intoppi.
Arriviamo nella capitale che è già buio e non sappiamo dove andare a dormire. Nelle grandi città le guide sono poco pratiche, perché si fa fatica a trovare sul navigatore le posizioni esatte degli alberghi, che non sempre sono scritti allo stesso modo.
Al capolinea dell’autobus, autisti e controllori ci suggeriscono un hotel e si offrono di farci strada… ma con l‘autobus che è di quelli con i fili per aria. Ci accodiamo, ci spariamo tutte le fermate e alla fine arriviamo a destinazione.
Il posto è orribile e inquietante, ma siamo stanchi e non ci va di cercare ancora.
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Alla reception ci sta un puttanone sulla settantina che vuole essere pagata in contanti e in anticipo (fortunatamente solo per la camera). Fa un caldo boia. Ci assegna una suite, ma l’aria condizionata c’è solo in una stanza ed è pure rotta, mentre uno dei due letti è a misura di pigmeo.
Con difficoltà ottengo di cambiare. Nella seconda camera l’aria condizionata funziona, ma bisogna salire sul frigorifero per accenderla perché manca il telecomando. Tutto puzza di fumo stantio e di fogna perché gli scarichi perdono. Non c’è nulla di aggiustato e tutto, pulizia compresa, risale agli anni cinquanta quando questo catafalco è stato costruito.
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Per due notti ci adatteremo, poi demoliremo tutto.
Intanto pensiamo alla pappatoia. Pizza americana in fast food tagiko e hamburger di pollo. Tutto buono. Speriamo che lo sia anche la batteria nuova che stiamo aspettando…
GIORNO 10 – 12 AGOSTO 2018
Dushambe – Dushambe (zero chilometri in moto)
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La sorella di Ali manda di buon mattino suo marito in autobus a consegnarci la batteria, e noi restituiamo quella avuta in prestito. Farà un lungo viaggio fino a Khorugh, al suo gentilissimo proprietario.
Qualcosa però non quadra. Le misure non sono uguali. E per forza, l’avevano misurata a spanne, o meglio a dita. Alberto comunque escogita un modo per incastrarla… in qualche modo. Sembra ben salda. Speriamo di non perderla.
Colazione stralusso nel ristorante di questo lussuosissimo albergo che, visto di giorno, fa molto ufficio del catasto.
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A proposito, per parcheggiare, nonostante fosse tutto gratuito e di spazio ne ce fosse a iosa, ci era stato chiesto un obolo dalla guardia notturna, puntualmente richiesto anche da quella diurna… Peggio delle sanguisughe ‘sti morti di inedia.
Dushambe parte già con un nome da pirla. Sì, perché in tagiko significa lunedì. Ma dico io: si può chiamare una città come un giorno della settimana! Fino agli anni venti del secolo scorso era un villaggio di pastori, ora è la capitale del Tagikistan con 800 mila abitanti.
Di antico non c’è nulla. Solo palazzi governativi inavvicinabili, grandi viali deserti e giardini faraonici sprecati e ignorati. Brutta è dire poco, almeno secondo i nostri gusti.
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Tutto è così autocelebrativo, asettico, quasi irreale, distante. Il palazzo presidenziale, dove sta piazzato da 25 anni filati l’attuale presidente, plurieletto a ripetizione (alla faccia della democrazia), è infotografabile e sorvegliatissimo. Il regno dei potenti è un altro mondo, lontano da quello della gente comune. E così deve essere.
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Lungo i viali, visto che quest’anno è dedicato alla celebrazione del turismo, ci sono gigantografie delle bellezze del paese. A parte qualcuna di antica, tutto il resto sono progetti di costruzioni faraoniche ancora da realizzare, superalberghi, centri sportivi, residenze estive del presidente e così via.
Mah… siamo piuttosto perplessi. Solo noi però, perché per il resto non c’è gente in giro. Sembra una città sfollata da poco.
Tutte le fontane sono vuote. Solo alla sera ne abbiamo trovata una illuminata e funzionante. Questa. Per il resto calma piatta.
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Non vediamo l’ora di partire da questa bruttura metropolitana. Siamo belli riposati. Stasera si cena alla turca, senza birra. La Pamir Highway è finita. Da domani inizia il rientro a Osh.
GIORNO 11 – 13 AGOSTO 2018
Dushambe – Isfara (432 km in moto)
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La strada che da Dushambe sale verso nord è veramente ottima e nuova di zecca. Si fila veloci, stando attenti a non farsi beccare dalla polizia imboscata sotto i platani.
Lunghi tratti non continui sono a pedaggio, però le moto non pagano. Del resto in Tagikistan praticamente non ce ne sono, per cui tanto vale farle viaggiare gratis. La perdita economica è davvero minima.
Ad ogni casello, sia in entrata che in uscita, casellanti e poliziotti si fanno in quattro per dirci dove e come passare, di solito in contromano. La cosa curiosa è che nei tratti a pedaggio ci sono paesi (in pratica è come se da noi piazzassero dei caselli sulle strade statali), per cui non ci è chiaro se chi ci abita per entrare e uscire debba pagare ogni volta.
Arriviamo a razzo ad un altro fondamentale bivio: diritti si sale alla famosa galleria per asfalto ottimo, mentre a destra c’è l’incognita dell’Anzolb Pass (3.372 metri).
Sappiamo che ora la galleria è illuminata, tuttavia, se le luci sono come i lumini che abbiamo incontrato nelle gallerie più brevi che precedono quella più lunga famosa, anche no!
Chiediamo ad un gruppo di camionisti se il passo è transitabile. Ognuno dice la sua: capiamo che si passa solo in moto, ma non ci è chiaro come sia messa la strada. Tanto vale provare.
Partiamo pieni di incertezze, e soprattutto con il terrore di bucare il posteriore, perché siamo senza mastice e la camera di riserva che abbiamo dietro è bucata. La strada comincia subito a salire e non sta messa benissimo, perché di fatto è abbandonata a se stessa e chiusa al traffico da parecchio tempo.
Il fondo è più accidentato di quelli fino ad ora percorsi, però si procede senza particolari casini. In qualche punto troviamo massi enormi che lasciano solo uno stretto varco per passarci a fianco e, in altri punti, frane scavalcabili solo in moto.
Giunti in cima, un ricovero per pastori e capre in mezzo alle antenne sono tutto ciò che esiste.
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Anche questa è fatta. E a futura memoria ci mettiamo in posa.
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Poi a me viene il solito attacco di deficienza…
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Dall’altro versante, nuove montagne si perdono all’orizzonte dietro ai pascoli. Il percorso sembra più facile: intuiamo le serpentine che scendono a fondovalle e da quassù non dovrebbero presentare ostacoli.
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Col fischio. Perché dopo qualche centinaio di metri, c’è un'altra frana da superare, fattibile solo in moto. E pensare che il pastore poco prima ci ha detto che lui sale tranquillamente in macchina. Saranno le radiazioni delle antenne…
In realtà fa più impressione che altro e la scavalchiamo senza problemi.
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Questo era l’ultimo ostacolo. La discesa infatti scorre tranquilla fino in fondovalle, che pullula di piccoli villaggi senza auto perché qua la gente si sposta sugli asini. Fortunatamente un solo cane incazzato.
Ad un posto di blocco un pulotto anzianotto con panzetta si mette il cappello e scatta sull’attenti. Poveretto, voleva fare bella figura. Il suo compare, invece scazzato, ci controlla svogliatamente i passaporti e ci fa passare. Seguono altri villaggi lungo la strada piuttosto scassata fino ad incontrare di nuovo l’asfalto.
E via filati verso Khujand, la seconda città del Tagikistan. Avremmo potuto fermarci qui, e sarebbe stato anche meglio, tuttavia abbiamo ancora tempo e decidiamo di proseguire.
Arriviamo ad Isfara, l’ultimo avamposto tagiko prima del confine. Cerchiamo da dormire, ma l’unico albergo a nostra conoscenza è chiuso in quanto semi crollato. Fermiamo un tizio a caso lungo la strada, che subito ci dà una mano a trovare una sistemazione.
In città non c’è molto, anzi c’è un’unica guest house degna di questo nome, ma è piena. Quindi dopo un po’ di giri ci sistemiamo in un altro tugurio di quelli belli di ghisa, gestito da un vecchio marinaio della flotta russa.
Le moto ce le fanno parcheggiare dentro un laboratorio di serramenti in alluminio. Quindi siamo invitati a cena fuori dal tizio incontrato per strada, che passa a prenderci con la sua Lada.
Faceva il direttore di banca, ma è stato licenziato quando questa è fallita l’anno scorso, come quasi tutte le banche di questo paese. Ha voglia di raccontarci della sua vita e dei suoi affari e di riprendere il suo inglese arrugginito. Così scopriamo che si è reinventato: ha messo su una sauna a pagamento e una fabbrica di graniglie per l’edilizia (in pratica con un macinino da caffè in mezzo a un campo, macina una pietra locale e le bottiglie vuote di birra). Fa buoni affari a quanto pare.
Ma soprattutto guadagna sull’importazione illegale di valuta dalla Russia: in pratica tutto il nero derivante dalla vendita di albicocche disidratate, di cui Isfara è uno dei maggiori produttori mondiali. Ci spiega il meccanismo di corruzione che ha messo in piedi e le modalità che ha escogitato per far entrare illegalmente milioni di dollari in contanti. E’ un lavoro duro e rischioso e le ruote da ungere sono parecchie. Vi risparmio però i dettagli…
Mangiamo benissimo borsch e spiedini di carne in un garden restaurant di sua conoscenza piuttosto imboscato. Sebbene ci sia il Ramadan, la cameriera cessa e grassa, ma gentile, riesce a procurarci la birra, che arriva al tavolo dentro buste di platica nere per non dare nell’occhio… almeno fino a quando non ci mettiamo a scolarcela a canna.
Non riusciamo ad offrire la cena, né a pagare la nostra parte…
Questa sarà la nostra ultima notte in Tagikistan.
GIORNO 12 – 14 AGOSTO 2018
Isfara – Osh (254 km in moto)
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La frontiera è davvero a due passi. Dalla parte tagika però la troviamo chiusa da un cancello. Tutti in fila fuori, camion e pedoni. Noi ovviamente passiamo davanti. Un soldatino mi fa cenno di spettare. Ma figurati! Scendo, gli parlo, lo agito e ci apre il cancello.
Qua è tutto un altro mondo. Sono veloci, operativi e computerizzati. Tennologici insomma. Ci chiedono quanto abbiamo pagato ai loro compari all’ingresso nel paese. Rispondiamo candidamente: 37 dollari. Alzano gli occhi al cielo, come per dire “siamo alle solite” e ci fanno passare.
A pochi metri c’è la frontiera Kirghisa. Qui tutto è ancora più veloce. Perquisizione solo dei bagagli di Alberto, per via della sua faccia losca e colpevole. Io vengo risparmiato. Quindi il soldatino attacca con il solito Celentano confondendolo con Cutugno. Canticchio le prime parole della famosa canzone e lui accenna un balletto. Promossi anche ‘sto giro. Possiamo proseguire con tutti gli onori.
E via di nuovo su strade splendide, nuove e scorrevoli fino quasi ad Osh. La steppa è qui leggermente ondulata e sempre secca incendiata. Gli ultimi cento chilometri sono invece più fastidiosi, perché si passa in mezzo ai paesi e la strada è ancora quella vecchia.
Arriviamo ad Osh dove Stas Zhukov ci sta aspettando, felice come una Pasqua di rivederci. E anche Gigetto, il suo cocker…
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Beh, cocker mica tanto. Comunque è lui che comanda.
Raccontiamo a Stas della faccenda Muztoo e lui scrive a George per rifrescargli la memoria. Ci sistema quindi nella sua stanza migliore. Ci sentiamo di nuovo a casa…
GIORNO 13 – 15 AGOSTO 2018
Osh - Osh (33 km in moto)
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E venne il giorno della resa dei conti.
Per prima cosa andiamo in moto fino all’aeroporto per capire se i nostri biglietti scritti con la biro sono buoni. All’ufficio della compagnia aerea non c’è nessuno, ma un’impiegata molto gentile della concorrenza ce lo conferma. Con quelli possiamo andare direttamente al check-in.
Bene. E una è fatta. Ora dobbiamo restituire le moto a Muztoo. Per puro caso in città incontro Oybek con un cliente. Mi fermo e lui mi accoglie con un sorriso ebete, facendo finta di niente. Con sguardo truce gli ricordo il fattaccio e gli do appuntamento per mezzogiorno. Cambia subito espressione e mi conferma l’incontro.
Nel frattempo passiamo da Stas e gli chiediamo se può darci assistenza psicologica e soprattutto un passaggio visto che saremo a piedi.
Arriviamo da Muztoo. Ci fanno accomodare tra mille convenevoli. Al che passo direttamente all’attacco. Gli dico che gli ho dato soldi buoni per una moto che buona non era. Gli ficco pure in testa un concetto semplice: se spacco la moto io perché mi dimentico di cambiare l’olio è colpa mia, mentre se si spacca da sola è colpa sua. Gli ricordo anche il fattaccio della batteria caduta.
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Oybek, assistito da uno dei suoi meccanici inciabattati, prova a controbattere, invocando le clausole di esonero della sua responsabilità scritte sul contratto, ma non gli lascio spazio: voglio il rimborso del noleggio dei tre giorni in cui non ho potuto usare la moto, nonché delle 450 bombe scucite al driver e, infine, del prezzo pagato per la batteria nuova.
Non ne veniamo fuori. Ripeto tutta la pantomima all’impiegata nell’ufficio. Alla fine, dopo un combattimento fino all’ultimo colpo, esco con 700 dollari in mano: praticamente sono riuscito a farmi rimborsare tutto. Ancora non ci credo.
Il pomeriggio lo passiamo a festeggiare da Stas, che, soddisfatto pure lui, ci offre un’anguria.
Nel frattempo è arrivato, dopo in lungo viaggio, un russo di Vladivostok, anche lui ospite da Stas. Sta facendo manutenzione ad un vero pezzo di ghisa: una Honda ST1000 Pan European, una moto per niente adatta agli sterri che ci sono da queste parti.
Come fosse la cosa più normale del mondo mi fa vedere le foto di dove è passato. Altro che Pamir! Questo è sghiandato forte. Praticamente ha fatto solo ghiaioni e sentieri impossibili.
Ma per i russi, si sa, tutto è normale.
Sta cambiando l’olio agli ammortizzatori. Viaggia con bagaglio ridotto a zero, ma con dietro un’officina completa: si è portato pure i pistoni di ricambio.
Visto che il tizio mi sembra piuttosto sul pezzo, gli chiedo informazioni sulla famosa Strada delle Ossa – la famigerata Road of Bones, 2000 km nella Siberia orientale che arrivano a Magadan sul Pacifico, una delle strade più inculate del mondo - pressoché impossibile da guidare, con guadi allucinanti e interminabili.
Lui non l’ha fatta, ma chiede subito ai suoi amici russi, qualche info. In pochi secondi sul suo telefono arriva di tutto, ma soprattutto foto e video che hanno polverizzato all’istante ogni mia insensata curiosità.
Non è una strada, è un suicidio.
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Nel pomeriggio facciamo un giro al bazar, che vende sostanzialmente porcherie, fatta eccezione per i tipici cappelli kirghizi che stiamo cercando. Ne comperiamo quattro, di colori diversi, per poterli abbinare con il nostro guardaroba.
Costano pochi spiccioli, ma è così divertente mettersi a trattare. Anzi fa parte del gioco.
Tutti incappellati, passiamo dalla banca per cambiare i dollari di Muztoo e quel che ci è rimasto. Quindi, per l’ultima cena, torniamo al ristorante italiano in taxi.
A proposito di taxi, non riesco a capire come qua i taxisti non sappiano mai dove andare. Gli dici l’indirizzo e non capiscono, glielo scrivi e non capiscono, glielo fai vedere sulla mappa e non capiscono. C’è chi si mette gli occhiali, chi telefona al collega per chiedere aiuto, chi ti dice che ha capito, ma poi non sa dove andare.
Ma, dico io, è la vostra città; siete taxisti. Come cacchio fate a lavorare?
Tocca quindi fermarne contemporaneamente quattro o cinque e salire sul più svelto… di comprendonio. E così praticamente quasi ogni volta che ne abbiamo avuto bisogno.
Dopo l’ultima cena, l’ultima notte in queste terre. Sarà agitata perché non ci par vero che quest’avventura sia già finita. Domani sveglia alle cinque. Sogni d’oro…
GIORNO 15 e 16 – 15 e 16 AGOSTO 2018
Osh – Verona (zero chilometri in moto)
Stas, efficiente come sempre, ci fa trovare un taxi (di quelli svegli) già pronto fuori ad aspettarci. Sono le 5 e 30 del mattino.
Lo salutiamo e abbracciamo, non per l’ultima volta, ne siamo certi. E’ stato per noi un vero amico, leale, disinteressato e fantastico.
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All’aeroporto c’è una fila interminabile. Ma toh, chi si rivede!
Vi ricordate il responsabile dei servizi a terra della S7 Airlines che mi aveva offerto quell’allucinante colazione appena ho messo piede in suolo Kirghizo?
Ebbene, è proprio lui. Mi riconosce e apre apposta un check in tutto per noi. Fila azzerata. Ma non solo. Ci assegna pure i posti migliori, quelli dove puoi allungare le gambe. Meglio di così.
E non è finita. Viene a salutarci sulla pista e si fa pure un selfie. Azz… ormai abbiamo agganci everywhere!
Il voli sono lunghi e noiosi, del resto la distanza è parecchia. A Mosca, c’è il solito casino. Anzi molto di più. I gates di imbarco sono congestionati. Chiamano più voli a distanza di cinque minuti e la gente in fila si mescola e blocca il passaggio. Non ci si muove veramente.
Ancora poche ore e siamo a Verona. Accompagno Alberto in stazione e lo abbraccio. Non serve dire altro. Quello che abbiamo vissuto insieme, nel bene e nel male, è già TUTTO…
CONCLUSIONI
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Siamo partiti pieni di incertezze, abbiamo incontrato qualche problema, ma soprattutto siamo rimasti stravolti dalla bellezza di queste terre, e da tutte le persone splendide che ci hanno disinteressatamente aiutato, Ali e Stas prima di tutti.
Oltre ad un viaggio in moto, è stata un’esperienza di vita che resterà impressa nelle nostre menti a lungo, credo per sempre.
Alberto si è rivelato uno splendido amico, affidabile, onesto e sincero. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza, perché senza di lui tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
Se posso permettermi di dare un consiglio, ancorché dal basso della mia inesperienza, dico che il Pamir è davvero una meta irrinunciabile per un motociclista curioso e sensibile. I paesaggi, i luoghi, le strade e la sua gente consentono di comprendere tante cose, che da qui, comodamente ci sfuggono.
Sarebbe un peccato perdere un’occasione così grande.
Mi sento però anche di sconsigliare questo viaggio con una moto a noleggio, a meno che non andiate pazzi per gli imprevisti. Troppe sono le incognite che un mezzo di altri, soprattutto da queste parti dove non esiste assistenza (e diligenza), può nascondere. In pratica il noleggio, almeno come l’abbiamo sperimentato noi, è un po’ un pacco regalo... con possibile sorpresa.
Ci sono poi le incertezze dei luoghi. Siamo in Asia Centrale dopotutto, lontano dal mondo che siamo abituati a vivere. Noi siamo stati molto fortunati perché non ha mai piovuto e abbiamo trovato le strade nelle migliori condizioni possibili, ma tutto è così mutevole da queste parti. Basta un diluvio, un fiume che esonda, una frana improvvisa e tutto cambia in un istante.
Pertanto questo viaggio potrebbe mettere in difficoltà chi decide di affrontarlo in autonomia come prima esperienza asiatica. Viaggiare da soli, poi, richiede abilità meccaniche non da poco e capacità di autocontrollo psicologico nelle eventuali situazioni difficili che dovessero presentarsi. L’ideale sarebbe, a mio avviso, un gruppo di non più di quattro persone, affiatate e collaudate, così in caso di problemi due restano e due partono a cercare aiuto. Non di più. Già in quattro non è semplice trovare la stessa sinergia.
Un’ultima cosa. Prima di partire ho conosciuto Sergio Leonardi, trentino DOC, classe 1935, che l’altr’anno a ottant’anni suonati si è fatto il Pamir, Wakhan Valley compresa. Non ci credete? Ecco le prove:
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La sua, sì che è un’IMPRESA STRAORDINARIA, vista l’età, il fisico e l’altitudine. Eppure la naturalezza e la semplicità con cui mi ha raccontato del suo viaggio, come se fosse la cosa più normale di questo mondo, mi ha davvero spiazzato. Mi sono sentito meno di uno zero. Poi mi son detto: se ce l’ha fatta lui, posso provare anch’io. E così è stato.
Tra l’altro, Sergio, ottantatrè anni a ottobre, è appena tornato da un lungo viaggio in Iran…
Questo per dirvi: non fatevi intimorire da quel che è successo a noi. In un modo o nell’altro se ne viene fuori. Assecondate piuttosto la scimmia che è in voi. Quella non mente mai…
E con questo, vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro le migliori avventure!
antonio78
09-09-2018, 11:15
Complimenti.. mi hai fatto sognare e fantasticare..davvero mooolto bello.. !!! Ho stampato tutto per far leggere il viaggio ad un amico che non è sul forum.. leggeva e gli si illuminavano gli occhi... grazie
GiorgioneS75
09-09-2018, 14:39
Grazie Massimo per aver condiviso questo bel viaggio.
Ringrazio voi per aver avuto la pazienza di leggervi tutta questa pappardella.
Per antonio78 e per tutti coloro a cui può interessare, alla fine del POST 14, è possibile scaricare in un unico file PDF tutto il racconto.
complimenti ancora per il bellissimo report!
da come l'ho vissuto io confermo i luoghi e le sensazioni stupende e l'ospitalità incredibile delle persone incontrate.
io rimarcherei maggiormente le pessime condizioni delle strade e le difficoltà nel percorrerle che non permettono un attimo di distrazione per godersi appieno i panorami e soprattutto il modo criminale in cui guidano i locali ma questo è anche frutto dei 2 incidenti (uno mio lieve ed uno più serio di uno dei miei 2 compagni).
le decine/centinaia di km di toule ondulè (non so come si chiama in italiano!) in mezzo alla polvere e dovendo rimanere nella sottile striscia di terra battuta lasciata dai veicoli non sono proprio una passeggiata e meglio avere un po' di preparazione per affrontarle, assolutamente sconsigliato andarci con moto pesanti (men che meno con una moto nuova) come il GS1200 anche se ne ho incontrati (tutti però pentiti)
è un viaggio impegnativo sia per il fisico che per la moto
Grazie. Come al solito, in gamba e modesto. Sicuramente un riferimento.
Sicuramente non sarà la stessa cosa.....ma un po ho viaggiato anch'io in quei posti stupendi grazie al tuo racconto, te ne sono veramente grato ciao
Grazie Massimo per aver voluto condividere la tua esperienza e per averla saputa raccontare con la giusta dose di ironia ma ricca di consigli ed informazioni utili per tutti quelli che questo viaggio per adesso lo sognano solamente.
Se passi dalle mie parti hai una bevuta assicurata...Grandissimi!!!!
Semplicemente....bellissimo, sia il viaggio che il report. Complimenti sinceri.
Mi accodo ai complimenti; non credo che lo farò ma saper che è fattibile è già una bella cosa.
Grazie per averlo condiviso
rombodituono
10-09-2018, 12:39
Dopo aver noleggiato nel 2014, ed aver vissuto tanti problemi come voi, sono giunto alla tua medesima conclusione: mai più moto a noleggio.
Sei stato bravissimo nel farti restituire i soldi, questi noleggiatori devono capire a forza di rimborsi che nessuno pretende che niente si rompa in assoluto, ma che almeno devono fare in modo di evitare di rovinare viaggi molto costosi in posti difficili per negligenze banali.
Posso accettare una moto malconcia in India, dove noleggiare una Royal Enfield costa 15/20$ al giorno. Per 100$ pretendo che tutto il controllabile sia controllato e adeguato (gomme, camere, batterie, kit riparazione e attrezzi, bagagli ecc..).
Carroarmato
18-09-2018, 11:47
Mi associo ai complimenti sia per il magnifico viaggio sia per il report, che trasmette esattamente quella sensazione di imprevedibilità e fatalismo che accompagna esperienze simili.
Sei/siete stati molto bravi a gestire soprattutto gli imprevisti che di solito si evolvono in una serie successiva di contro-imprevisti a catena, fino alla soluzione finale che a volte non si sa se e come arriverà...
Davvero bravi, un'avventura fantastica!
Rispolvero questo thread per segnalarvi che, alla fine del primo post, ho inserito il link al video che ho montato.
Sono appena dieci minuti che riassumono l'essenza di questo viaggio.
Se non avete voglia di tornare all'inizio, potete visionarlo anche cliccando QUI (https://youtu.be/T8okG51Pdyo)
frenky999
23-05-2024, 23:09
Dopo averti letto e riletto durante autunno/inverno organizzato il viaggio e finalm. ci siamo 15gg e si parte (speriamo). Grazie mille di tutte le info. anche se datate ma molto interessanti. Mi son preso un Transdalp 600 revisionato risistemato anche perchè il programma/progetto è di lasciar là la moto e l'anno 2025 si prosegue da Osh verso mete piu lontane. Ciao Grazie 1000
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