trottalemme
04-12-2015, 19:14
https://viaggiandoincontrare.files.wordpress.com/2015/12/img_0077.jpg
Sono le quattro del mattino. Il cielo è ancora nero. Piccoli rumori furtivi mi avvertono che Dimitri e la sua famiglia sono già in movimento. Sono loro ospite a Malga Fossernica di Fuori per condividere uno scampolo della vita di chi produce il burro d’alpeggiocome si faceva un tempo e come si è ricominciato a fare da qualche anno nelle valli di Primiero e Vanoi. Ieri sono arrivato con la moto a Fossernica di Dentro su bella strada al cospetto di Cima d’Asta e lì l’ho lasciata per una passeggiata di un’oretta che mi ha portato qui. Lontano, ovattato, il generatore di corrente comincia a ronzare. Qualche minuto ancora e Dimitri accenderà la luce per darmi il buongiorno. Comincia un’altra giornata che non si fermerà fino a notte.
Alle sei arriva Biagio con la Land Rover. È partito un’ora fa da Canal San Bovo, mille metri più in basso, un tornante dopo l’altro di strada bianca nel bosco. Come tutti i giorni, viene a prendere il latte per il caseificio e c’è il tempo di scambiare due chiacchiere sulle novità in valle, sul tempo e sulla salute delle vacche. Se l’argomento non c’è, lo si cerca perché quassù a tenere rapporti stretti con tutti c’è solo da guadagnarci.
Intanto le vacche sono state munte e le loro poste pulite; lentamente escono nel “campigolo”, il prato sotto casa. Qui intorno l’erba è pregiata: ci sono l’arnica, l’iperico maculato, il timo selvatico e un’altra quarantina di specie vegetali, tra graminacee, leguminose ed essenze che donano al burro profumi particolari e qualità organolettiche ineguagliabili. Oggi è giorno di burrificazione e rimarranno qui vicino. In altri giorni, invece, Dimitri, Lily e Ottaviano le spingono su pascoli che distano anche due ore di marcia, secondo una rotazione dei pascoli che garantisce l’alimentazione ottimale delle bovine e un uso del prato tale da mantenerlo rigoglioso.
L’uscita delle vacche è il momento di gloria di Pippo, il cane pastore che corre qua e là fra le bestie per tenerle assieme, senza mai perdere di vista Lily che gli indica quali rincorrere e riportare indietro. Anche Dimitri corre intorno gridando per tenerle vicine ed evitare che si montino l’una con l’altra. Non ha tempo per me e lo capisco. Nonostante l’apparenza bucolica, il pascolo è un ambiente pericoloso che richiede grande attenzione.
Quando è tutto tranquillo, seguo Dimitri nel laboratorio immacolato. Dimitri riempie bidoni e bidoni di acqua fresca di fonte. Non pensavo ne servisse tanta.
Biagio ha portato via il latte parzialmente scremato e la panna, affiorata durante la notte in uno strato denso e soffice, riposa ora in due bidoncini dai quali Dimitri la versa nella zangola, un cilindro di acciaio inossidabile che gira alla velocità di un vecchio quarantacinque giri e nel quale il burro, sbattendo, si amalgama e si separa dal latticello.
È il momento dei lavaggi del burro con l’acqua che Dimitri aveva raccolto. Uno, due, tre, quattro, anche cinque, finché l’acqua esce limpida come era entrata.
Dimitri non smette un attimo di parlare. Forse è il suo senso dell’ospitalità e forse la sua natura gentile che ha bisogno di raccontarsi e ascoltare storie. Non rallenta tuttavia il suo lavoro. Deve ora impastare a mano, pezzo per pezzo, quei 25 chili di burro che riposano ben amalgamati nella zangola, operazione fondamentale perché il Botìro duri a lungo senza irrancidire.
Si prepara con lunghe immersioni delle mani nell’acqua fredda. Quando quasi non le sente più, prende un grosso tocco di burro, lo stende, lo piega, lo preme, lo strizza, lo batte. Ricomincia da capo e ancora e ancora. Quando è compatto come la pasta del provolone fresco, lo mette da parte e avanti con un altro. Ci vogliono un paio di ore per lavorare tutto il burro della giornata.
È il momento di Lily e della sua grazia nel dare forma ai pani di Botìro. Utilizza stampi in legno di cirmolo, piccole opere d’arte scolpite dagli artigiani della valle, nei quali stipa di burro; poi, con piccoli colpi sul piano di lavoro, lo stacca dallo stampo ed eccolo lì Botìro: una scultura giallo paglierino adagiata al centro della carta da imballo.
Ora il Botìro è messo a riposarein cella frigorifera per qualche ora prima di essere confezionato nella sua elegante scatola bianca e sigillato con la fascetta del presidio Slow Food che certifica la rigorosa applicazione del disciplinare di produzione.
Terminata la burrificazione, c’è ancora molto da fare e la giornata è lunga prima di mettere a ricovero la mandria in stalla, mungere, pulire ancora una volta e spegnere il generatore di corrente. Le quattro del giorno dopo arriveranno presto.
Questa è la vita di Dimitri, Lily e Ottaviano per cento giorni all’anno, senza sosta. Mi sorprende la loro letizia nella quale mi sento coinvolto. Non c’è televisione a Malga Fossernica di Fuori e le parole, a volte rade e a volte fitte, hanno un valore che in valle abbiamo dimenticato, frastornati dal rumore in cui viviamo.
ALTRE FOTO QUI. (http://viaggiandoincontrare.com/2015/12/04/la-valle-di-primiero-e-il-suo-burro-2/)
Sono le quattro del mattino. Il cielo è ancora nero. Piccoli rumori furtivi mi avvertono che Dimitri e la sua famiglia sono già in movimento. Sono loro ospite a Malga Fossernica di Fuori per condividere uno scampolo della vita di chi produce il burro d’alpeggiocome si faceva un tempo e come si è ricominciato a fare da qualche anno nelle valli di Primiero e Vanoi. Ieri sono arrivato con la moto a Fossernica di Dentro su bella strada al cospetto di Cima d’Asta e lì l’ho lasciata per una passeggiata di un’oretta che mi ha portato qui. Lontano, ovattato, il generatore di corrente comincia a ronzare. Qualche minuto ancora e Dimitri accenderà la luce per darmi il buongiorno. Comincia un’altra giornata che non si fermerà fino a notte.
Alle sei arriva Biagio con la Land Rover. È partito un’ora fa da Canal San Bovo, mille metri più in basso, un tornante dopo l’altro di strada bianca nel bosco. Come tutti i giorni, viene a prendere il latte per il caseificio e c’è il tempo di scambiare due chiacchiere sulle novità in valle, sul tempo e sulla salute delle vacche. Se l’argomento non c’è, lo si cerca perché quassù a tenere rapporti stretti con tutti c’è solo da guadagnarci.
Intanto le vacche sono state munte e le loro poste pulite; lentamente escono nel “campigolo”, il prato sotto casa. Qui intorno l’erba è pregiata: ci sono l’arnica, l’iperico maculato, il timo selvatico e un’altra quarantina di specie vegetali, tra graminacee, leguminose ed essenze che donano al burro profumi particolari e qualità organolettiche ineguagliabili. Oggi è giorno di burrificazione e rimarranno qui vicino. In altri giorni, invece, Dimitri, Lily e Ottaviano le spingono su pascoli che distano anche due ore di marcia, secondo una rotazione dei pascoli che garantisce l’alimentazione ottimale delle bovine e un uso del prato tale da mantenerlo rigoglioso.
L’uscita delle vacche è il momento di gloria di Pippo, il cane pastore che corre qua e là fra le bestie per tenerle assieme, senza mai perdere di vista Lily che gli indica quali rincorrere e riportare indietro. Anche Dimitri corre intorno gridando per tenerle vicine ed evitare che si montino l’una con l’altra. Non ha tempo per me e lo capisco. Nonostante l’apparenza bucolica, il pascolo è un ambiente pericoloso che richiede grande attenzione.
Quando è tutto tranquillo, seguo Dimitri nel laboratorio immacolato. Dimitri riempie bidoni e bidoni di acqua fresca di fonte. Non pensavo ne servisse tanta.
Biagio ha portato via il latte parzialmente scremato e la panna, affiorata durante la notte in uno strato denso e soffice, riposa ora in due bidoncini dai quali Dimitri la versa nella zangola, un cilindro di acciaio inossidabile che gira alla velocità di un vecchio quarantacinque giri e nel quale il burro, sbattendo, si amalgama e si separa dal latticello.
È il momento dei lavaggi del burro con l’acqua che Dimitri aveva raccolto. Uno, due, tre, quattro, anche cinque, finché l’acqua esce limpida come era entrata.
Dimitri non smette un attimo di parlare. Forse è il suo senso dell’ospitalità e forse la sua natura gentile che ha bisogno di raccontarsi e ascoltare storie. Non rallenta tuttavia il suo lavoro. Deve ora impastare a mano, pezzo per pezzo, quei 25 chili di burro che riposano ben amalgamati nella zangola, operazione fondamentale perché il Botìro duri a lungo senza irrancidire.
Si prepara con lunghe immersioni delle mani nell’acqua fredda. Quando quasi non le sente più, prende un grosso tocco di burro, lo stende, lo piega, lo preme, lo strizza, lo batte. Ricomincia da capo e ancora e ancora. Quando è compatto come la pasta del provolone fresco, lo mette da parte e avanti con un altro. Ci vogliono un paio di ore per lavorare tutto il burro della giornata.
È il momento di Lily e della sua grazia nel dare forma ai pani di Botìro. Utilizza stampi in legno di cirmolo, piccole opere d’arte scolpite dagli artigiani della valle, nei quali stipa di burro; poi, con piccoli colpi sul piano di lavoro, lo stacca dallo stampo ed eccolo lì Botìro: una scultura giallo paglierino adagiata al centro della carta da imballo.
Ora il Botìro è messo a riposarein cella frigorifera per qualche ora prima di essere confezionato nella sua elegante scatola bianca e sigillato con la fascetta del presidio Slow Food che certifica la rigorosa applicazione del disciplinare di produzione.
Terminata la burrificazione, c’è ancora molto da fare e la giornata è lunga prima di mettere a ricovero la mandria in stalla, mungere, pulire ancora una volta e spegnere il generatore di corrente. Le quattro del giorno dopo arriveranno presto.
Questa è la vita di Dimitri, Lily e Ottaviano per cento giorni all’anno, senza sosta. Mi sorprende la loro letizia nella quale mi sento coinvolto. Non c’è televisione a Malga Fossernica di Fuori e le parole, a volte rade e a volte fitte, hanno un valore che in valle abbiamo dimenticato, frastornati dal rumore in cui viviamo.
ALTRE FOTO QUI. (http://viaggiandoincontrare.com/2015/12/04/la-valle-di-primiero-e-il-suo-burro-2/)