Acrostico
05-07-2015, 16:27
Renato Rinaldi
Piero Zanini
Durante il confine.
Camminando tra Topolò e Abitanti.
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Topolò.
Abitanti.
Da Topolò ad Abitanti.
Ma anche, da Abitanti a Topolò.
Nei nomi dei luoghi, diceva Thoreau, c’è tutta la poesia del mondo. E tra un nome e l’altro? Cosa c’è tra questi due luoghi che si chiamano Topolò e Abitanti? Che c’hanno entrambi dei bei nomi. Cosa incontreremo traversando da uno all’altro, che è poi come girarci in mezzo ? A piedi, ci siamo detti, per prendersi un tempo per guardare, uno per ascoltare, un’altro per scambiare qualche parola con chi ci abita in questo mezzo, lungo il cammino, tra Topolò e Abitanti. E magari per sentirsi chiedere, ad un certo punto: cosa ci fate qui?
Che ‘qui’, per un lungo tratto di questo tragitto, ‘qui’ vuol dire sul confine, che è nel bosco, lungo il fiume, tra i filari delle viti, in città, qui e là, tra l’Italia e (oggi) la Slovenia. Perchè c’è, il confine. Ed è lì. Come traccia nella biografia di chi è di questi luoghi. Come promemoria di una misura che si ripete, nel paesaggio. Come tramite, per noi, cioè come sentiero traverso per collegare Topolò e Abitanti, e provare a passare da uno a l’altro. Attraverso questo specchio. Un po’ come fa Alice. Per conoscere, passo a passo. Col corpo, col respiro. Cercando un sentimento. E vedere se e come due luoghi possono stare uno dentro l’altro, e viceversa. E noi con loro.
Durante il confine... Così lo dice una signora incontrata poco dopo la partenza. Ed è magnifica questa espressione, questo participio presente che si fa preposizione, offrendoci una sospensione di spazio e tempo che contiene in sé tutto il senso di questa passeggiata e delle scarne parole che l’accompagnano. … Perchè, aggiunge la signora, durante il confine per sette anni non si poteva andare di là neanche per lavorare i campi ; … dopo è venuto che si poteva andare a pulire i prati, ma dovevi fare il giro e non potevi neanche chiamare. Stare zitti, lavorare, finire a quell’ora e partire. C’era l’orario.
Durante il confine. Perchè si, un confine dura, ha un suo tempo, una sua durata, ed è anche duro, oppone resistenza ed è resistente. Perchè c’è un’ostinazione del confine, anche se all’apparenza si mostra in abbandono, arruginito, come in decomposizione. Che a volte, invece, si è spostato solo un po’ più in là. O un po’ più in profondità. O ha solo cambiato forma.
Durante il confine. L’andamento è a zig-zag. E non potrebbe essere altrimenti, volendo congiungere due bordi, due lembi di mondo come questi, tentando un legame tra persone, geografie e storie che a volte si somigliano, a volte no, a volte possono andare assieme, a volte no. Che oggi, a forza di addomesticarlo (troppo, ci ricordava già un secolo fa Joseph Conrad) per andare diritti e veloci, abbiamo perso di vista il ruolo che lo zigzagare può avere nel tenere assieme le cose del mondo, che poi sono quelle della vita. Che non ci ricordiamo più che c’è stato un tempo in cui il mondo durava. E durando ci imponeva imprevisti, soste, incontri, deviazioni, scoperte, distrazioni. Dando modo e tempo di ri-vedere la direzione, di comprendere il contesto quando questo mutava, e anche di stupirsi e riflettere sopra il proprio stupore. Si può ancora fare, certo, ma non è più un modo comune del mondo, di quello nostro occidentale almeno, quello di provarne la sua durata, di misurarne la consistenza e la finitezza, misurandosi allo stesso tempo con la durata delle cose che fanno l’esistenza. Di volta in volta, da luogo a luogo, dentro una relazione. Tra presenza e assenza, perchè quest’ultima è un contraltare necessario della prima.
Durante il confine, a un certo punto, le cose si ingarbugliano. Perchè è così che succede a praticarli i confini. Che uno crede di essere da una parte e invece senza accorgersene si ritrova dall’altra. Perplesso. Che ha sbagliato strada. E là, qualcuno, che non si sa mai il pericolo che si corre, lo fa notare con discrezione a chi di dovere. Che venendoti incontro non può far altro che chiederti, anche con un po’ di imbarazzo: cosa ci fa qui ? E poi ti dice : mi segua. Il resto è teatro.
il vecchio : E’ venuto senza… ha sbagliato strada ? dove vi ha preso ?
il camminatore : Qui…
il vecchio : Che cosa cercava?
il camminatore : Niente, facevo una passeggiata…
il vecchio : Ah, ah, ah… Ho sentito il poliziotto parlare… dice che lei non ha fatto niente, solo che non è entrato per la strada. Capisce qual’è il problema?
il camminatore : Non ho visto il confine…
il vecchio : Il confine non è mica segnato da nessuna parte. Mai da nessuna parte i confini si segnano. Lei non capisce lui e lui non capisce lei.
il camminatore : Mah, lui capisce…
il vecchio : Qui solo i vecchi come me e quelli che lavorano giù parlano un po’ d’italiano. Siamo vicino al confine, ci arrangiamo. Anche quando il confine era a 100 km abbiamo sempre parlato sloveno. La lingua ufficiale era l’italiano, noi parlavamo sloveno.
…
il poliziotto sloveno : Verrà con me su al valico di Neblo, ha la roba in Italia, no ? Qual’è la sua volontà? Ritornare in Italia ?
il camminatore : Si.
il poliziotto sloveno : Allora devo scrivere le carte, verificare la vostra personalità, se la persona che è qua è originale, le vostre precedenze, ecc. Fare quella multa, prendere i soldi da voi, perciò ci possiamo già fermare giù in bottega che cambia da euro a talleri, perchè io gli euro ancora non li posso prendere. … Mi dispiace, ma devo fare il mio lavoro, vorrei lasciarvi andare così, ma poi la gente chiama e l’ispettore della polizia ha i suoi parenti da questa parte. Mi hanno visto, mi hanno detto, e sarà sicuramente controllato quello che ho fatto.
…
il camminatore : Il confine è li ?
il poliziotto sloveno : Non sono sicuro, non conosco qua, non conosco il posto esatto… Anche noi qualche volta facciamo di andare a piedi vicino al confine, e controlliamo anche quei sassi con scritti su i numeri, sassi, ho detto così, ma non so come si dice…
il camminatore : … pietre.
il poliziotto sloveno : … pietre, ecco, che sopra c’è scritto come va il confine, o dritto o storto… e quelle pietre sono anche in vigna..
il camminatore : Io non l’ho trovato.
il poliziotto sloveno : Di solito la pietra mostra il confine, ma il confine viene anche dove c’è l’acqua, dove scorre giù tra Golo Brdo e …
il camminatore : Sono passato sul ponticello, ma non c’era niente…
il poliziotto sloveno : Lei è venuto da quella parte? Da quella parte è Italia … e dove è entrato lei?
il camminatore : Glielo faccio vedere… da quelle case sono sceso giù per la vigna fino al canale e ho cercato un pontincello per attraversarlo…
il poliziotto sloveno : Ecco, quel canale era il confine. La gente che vive qua vicino ha la terra su questo posto. Andiamo a guardare.
il camminatore : Ecco è qui, me lo ricordo perchè mi sono fermato a guardare i pesci.
il poliziotto sloveno : Si, ma non so come va adesso il confine, perchè può essere che il confine va più su…
il camminatore : Sulla mappa manca il pezzettino…
il poliziotto sloveno : Andiamo un po’ avanti, forse si vedrà qualche pietra … adesso non vedo nessuna pietra neanch’io. Dovrei andare anch’io a piedi un giorno per vedere dove va il confine…
il camminatore : Non capita spesso di vedere gente, se hanno chiamato subito la polizia ?
il poliziotto sloveno : Di solito no. Succede che la gente di proposito va attraverso il confine là dove non ci siamo noi. Ecco, qua stanno cominciando a fare il casinò, ma ho anche sentito che faranno delle terme con l’acqua calda…
…
il poliziotto sloveno : La legge è scritta così che non sai mai come fare. Ho parlato con il capo che mi ha detto che posso fare come vi ho detto prima. Darvi la multa che è di 20.000 talleri, se la paga subito paga la metà, così che quei 10.000 talleri me li dovrà dare. Poi il mio capo vi porterà giù in Italia e là potrà andare come vuole… nel frattempo io scrivo il verbale.
…
il capo : Ecco, vi consegno questa persona, questo è il verbale…
il poliziotto italiano : Ma ha fatto qualcosa?
il capo : - No, non ha fatto niente…
…
il poliziotto italiano : Perchè ti hanno consegnato a noi? Se ti avessero lasciato dieci metri più in là tu saresti passato in Italia come un normale turista, ma siccome ti hanno consegnato a noi, adesso non sappiamo come fare…
Durante il confine. Sulla soglia, tra continuità e cambiamento, si intrecciano ragioni, attese, desideri, contraddizioni, dolori. Vale per i luoghi e ancor più per le persone, perché sono loro a farli, i luoghi. Che è un’esperienza fragile questa dei momenti di transizione, del ricercare un altro equilibrio. Perchè essere « tra » le cose non è mica tanto una questione di posizione (dove sono?), quanto di relazione (chi sono rispetto a chi ?) … Che mio nonno raccontava la sua storia come se fosse una fiaba, ma era invece una tragedia. … E quante volte sono venuti qua che scappavano e non sapevano dov’erano, se erano in Italia o se erano ancora di là, … per questo le case vicino al confine avevano tutte le pareti per fuori, vicino alle finestre, dipinte in blu. … Anche la nostra era così, però le abbiamo fatte bianche perchè mi dava fastidio. … Blu, blu, sai? Quel blu, blu... Per far sapere che c’era il confine, che magari le persone sapevano che erano lì… Dipinte in blu, solo le finestre.
Cosa vuol dire poi congiungere Topolò e Abitanti? Perché non è mica la stessa cosa fare la strada in un senso oppure nell’altro. Le cose che si incontrano partendo da Topolò e arrivando a Abitanti non è mica certo che si incontrino anche seguendo la direzione contraria, da Abitanti a Topolò. Né che si mostrino allo stesso modo. Né che noi sappiamo guardarle con gli stessi occhi. Che le cose che vediamo scendendo per un pendio non sono mai quelle che vediamo quando quello stesso pendio lo affrontiamo in salita. Ogni volta c’è qualcosa che rimane nascosto e qualcos’altro che invece si mostra. Perchè se le cose hanno un verso, come diceva la nonna di un amico, allora il modo con cui decidiamo di guardarle determina almeno in parte anche ciò che poi riusciremo a vedere. Per guardarle altrimenti, per vedere altro, dobbiamo scostarci un po’, staccarci e scartare dalle nostre abitudini, anche quelle percettive, che spesso ci resistono. Che a volte bisogna starci su a lungo sulle cose, per avere delle visioni. E’ un esercizio etico, prima ancora che estetico. Perchè là fuori, le cose spesso cambiano più in fretta di quanto riusciamo a cambiare le immagini che di quelle stesse cose si sono sedimentate dentro di noi. Che ormai, facciamo fatica a guardare il mondo in faccia, nel suo accadere. E come capita a un personaggio di Cortazar, cominciamo a vederlo un po’ più morbido di quello che è, come banalizzato. Che a lui, dentro quella storia, le cose dure non gli piacevano mica.
Da Topolò ad Abitanti, per esempio, si va verso il mare, anche se all’arrivo poi il mare non c’è. Però se ne sente la vicinanza. E’ lì intorno, il mare, lo si sente nella luce, nell’aria e un po’ anche nelle parole di chi si incontra lungo la strada o, come adesso, seduti felicemente al tavolo di una gostilna con un bicchiere di terrano in mano. (Che un po’ dà alla testa.) Da Abitanti a Topolò, invece, il mare sfila via, a occidente, e si avvicina la montagna. … Montagna, insomma, non è che sia proprio montagna - ci ha detto un signore che prova ad abitarci - è montagna nel senso che c’è disagio. Che è un bel modo di dire, questo. Perchè la montagna non è mica solo né sempre una questione d’altitudine. La montagna è scomoda e restarci costa fatica. Eppure, com’è questa storia che chi è in città vuole uscirne e chi è fuori invece vuole andarci, in città. Che vien da ridere a pensarci su un attimo…
Durante il confine, che è un po’ come dire ‘nel frattempo’, ci si guarda in giro e si cerca casa. Una casa per abitare. … Che c’è qualcuno qui che cerca casa da comprare o casa d’affitto, però poi non si sa mica se verrà mai ad abitarci, qui… perché non è poi più così scontato, abitare, da queste parti. … Che qui è avaro il mondo, ha detto un altro, e uno si sente un po’ di contrabbando. Che è come dire sentirsi alla macchia a casa propria.
Camminando, le voci e i silenzi si sovrappongono, vibrando nella loro parzialità, esprimendo umori e inquietudini di una condizione dello stare, disegnando piccole geografie personali. Raccontando di un’instabilità che è del vivere come del paesaggio, del sentimento come dell’attenzione. E che appartiene anche a quel cronotopo che è ogni confine. Che a volte le storie si inceppano, e bisogna aspettare, starci su, perchè tornino possibili. Che il tempo è tutto una piega, come una pasta sfoglia, diceva un tedesco.
… Perchè, Igor è l’ultimo nato qui, trentatre anni fa…
… Perché, ormai, non c’è più anima viva, sei sepolto… abbandonato tutto
… Perchè, era tutto pulito, tutto pulito. Tutto tagliato, tutto pulito. Mi piaceva tutto pulito, mi piaceva che rimaneva qualcuno, ma per fortuna che non sono rimasti.
… Perchè, sentieri abbandonati e interviste non mi piacciono tanto. … Che vita, siamo quattro gatti. Quella signora col cagnolino sa tutto quello che vuole. Noi siamo persi, siamo vecchi, lei sa tutto e ha tutto il tempo. … Io sono venuta nuora da lontano, dalla Jugoslavia.
… Perchè, c’ho pensato più di una volta a come vivevo a Parigi e a come vivo qua… che non ci tornerei mica.
… Perchè, meglio poca gente, meno rogne... meno rogne. Mi lamento solo dei servizi, per quanto riguarda la gente, meglio che ce ne sia poca! … Perché qua... vedi che silenzio, guarda! Qua uno parla e… come noi che parliamo qua … e il mondo che ci ascolta tutto, perché qua è silenzio totale, come nella tomba.
… Perchè, quando sono cresciuti i miei figli c’era più gente, ma a volte dico che era meglio se non c’era nessuno. … Perchè non potevano giocare a pallone, perchè non potevano gridare, perchè erano tutti anziani e gli dava fastidio… “ e là non giochi, e là non vai”. … Adesso che non c’è quasi nessuno si sta meglio. Sono morti tutti, più o meno.
Durante il confine. Qualcuno dice che è malata, la montagna, e porta ad ammalarsi. Che da Cogne a Topolò c’è sempre qualcosa in comune. C’è una devianza montana, un’instabilità che porta ad un cattivo umore, ad un’astiosità nei confronti di tutti quelli che ti stanno intorno, ad una chiusura. Sarà che a starci dentro, ad abitarci in montagna, qui come altrove, le cose tanto morbide poi non sono.
… Perchè, il comune ha una sola entrata e non c’ha nessuna uscita. Dove vuoi andare? Tu sei venuto da Topolò e, o vai a Tribil di nuovo o vai a Clodig, qua non ci sono uscite. E poi d’inverno non se ne parla, è come se fossi inchiodato su una tavola! Qua fai il giro, qua proprio fai il giro, fai Clodig e ritorni di nuovo giù a Clodig. Qua è finito il mondo! Qua è finito, al massimo puoi fare quello che hai fatto tu: andare a Topolò! E però tornare di nuovo giù a Clodig.
… Perchè, uno sa solo che quando va via di qua… va un po’ più in là, fa uufffh… E ha l’impressione di andare in un posto dove comunque un’enorme zavorra di problemi, di cose che ti incarogniscono, che ti fanno star male e … svaniscono. Poi ce ne sono altre che sono comuni a tutti, ma qui ce ne sono alcune in più, alcune che non ci sono da altre parti… L’inquietudine si assorbe, come una spugna. Mette agitazione, mette voglia di essere a… non so… capisci!? Sono tutte dinamiche di conflitto, tutto viene vissuto in una maniera pesante, conflittuale, non c’è serenità, tutto viene tradotto in guerra.
Perchè, la gente andava via, una volta che vedeva il mondo, vedeva che c’era una porta più grande e non tornava indietro. Adesso c’è qualche rincoglionito che torna indietro, quelli che hanno sputato nel piatto e sono andati via ritornano indietro, ma sai perché? Perché hanno paura di crepare, mettiamo a Milano, e vorrebbero crepare di nuovo sui passi del padre. Però non si accorgono che hanno lasciato crepare il padre nel letto senza che vedesse nessuno dei figli. Io non tornerei indietro, mi tirerei un colpo in testa! E dimmi se sbaglio…
… Perchè, hanno ragione i ragazzi che vanno via, non c’è più niente. L’ultimo inverno è stato tristissimo, mi sono dovuto abituare al silenzio venendo da Napoli.
Durante il confine. Che tra Topolò e Abitanti il mare non c’è. Ci sono tante altre cose, il silenzio, per esempio, ma il mare quello no. Però lo si intravvede, di tanto in tanto. … Che è tutta una questione di spaesamento, suggeriva Max Ernst, che di questo genere di cose ne sapeva. Così, ad essere onesti fino in fondo, non è che poi una volta che la camminata si conclude e si arriva ad Abitanti, di abitanti se ne incontrino molti. Almeno, a noi non è capitato. Certo, qualcuno ritorna, ogni tanto, per un giorno o due, così, perchè… sono belle le pietre, adesso, è bello Abitanti, perchè è fuori città, piace … ma solo per venirci un giorno o due! Perchè poi dopo tutti tornano là… a vomitare!
Durante il confine. Ma cosa gliene frega alla gente qua, del confine. Che facciano quello che vogliono: tanto comandano loro! Gli scontri più accesi erano per il mare, perché la Slovenia, come tutti, vuole il mare, no? Alpini! Loro sono alpini, che vadano su, no qua! E invece vogliono il mare, capito? C’erano grossi problemi verso Pirano. A Capodistria mi hanno detto che qua è ancora tutto un punto interrogativo. I confini sono provvisori e da definire, hanno detto. Perché loro darebbero ai croati non so quali boschi, ma che gliene frega ai croati! Loro vorrebbero che i croati cedessero un pezzo di mare. Che ai croati il mare non manca, ma… da cocciuti non lo mollano! Che poi era tutta roba italiana, questa.
Durante il confine. Non è viva adesso la frontiera, ma però erano tremendi sa? Erano quei vecchi caimani sulle frontiere, vecchi ancora della vecchia Jugoslavia. Poi è diventata Slovenia, finché adesso sono entrati in Europa. E noi quando si veniva qua e portavamo qualche pianta ti guardavano e ti dicevano … “no questo, no quello, no così, no colà” … Ma finirà una volta? Adesso grazie a Dio che siamo liberi come in America, vai di qua, vai di là…
Perché, mi ricordo, a scuola dovevi fare le poesie, le recite… mi ricordo, mi hanno fatto un bel cuore grande e rosso e dovevo spezzarlo: mezzo cuore a Tito e mezzo alla mamma...
Che questa è solo una parte di quello che ci è accaduto a noi, durante il confine, né più né meno. Passo dopo passo, immagine dopo immagine. Cercando una casa per abitare. Tanto altro, per fortuna, è ancora lì, come metamorfosi possibile, tra Topolò e Abitanti.
FINE
nota:
La camminata tra Topolò e Abitanti è stata compiuta a tappe tra l’autunno 2006 e la primavera 2007. Un grazie particolare alle persone che lungo la strada, e anche a lato di essa (e sono tante), hanno scambiato con noi parole sulla vita e sui luoghi