Massimo
25-01-2005, 08:44
Riporto qui sotto il testo della sentenza n. 27 del 24 gennaio 2005 che ha dichiarato l'illegittimità "della decurtazione dei punti in mancanza di identificazione del trasgressore e quindi di immediata contestazione dell'infrazione"
SENTENZA N. 27
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Valerio ONIDA Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno
2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito con modificazioni nella legge 1°
agosto 2003, n. 214, e dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiunto dall'art.
7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della
strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), modificato dall'art. 7, comma 3,
lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n.
214, promossi con ordinanze dell'8 novembre 2003 dal Giudice di pace di Voltri, del 5 dicembre 2003 dal
Giudice di pace di Mestre, del 23 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Ficarolo, del 16 marzo 2004 dal
Giudice di pace di Bra, del 17 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Mestre, del 26 gennaio 2004 dal Giudice di
pace di Montefiascone, del 30 e del 26 aprile 2004 dal Giudice di pace di Lanciano, del 12 maggio 2004 dal
Giudice di pace di Carrara e del 10 maggio 2004 (n. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Casale Monferrato,
rispettivamente iscritte ai nn. 120, 267, 465, 503, 569, 575, 643, 658, 701, 721 e 722 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 23, 25, 26, 32, 36 e 38, prima serie speciale,
dell'anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto in fatto
1.¾ Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale - per la violazione degli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della
Costituzione - dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151
(Modifiche ed integrazioni al codice della strada), aggiunta dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.
Il medesimo giudice rimettente - ipotizzando esclusivamente il contrasto con l'art. 3 della Costituzione - ha
sollevato questione di legittimità costituzionale anche dell'art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285
del 1992, introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85),
nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del già segnalato d.l. n.
151 del 2003, come modificato - a propria volta - dalla summenzionata legge di conversione n. 214 del 2003.
Il suddetto articolo 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 è censurato dal rimettente genovese «nella
parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente la segnalazione della
decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico del proprietario del
veicolo, salvo che lo stesso non comunichi entro 30 giorni i dati personali e della patente del conducente».
I Giudici di pace di Mestre (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004),
Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e
Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004), hanno, a loro volta, sollevato questione di legittimità
costituzionale - deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 25 (l'indicazione di quest'ultimo
parametro apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della Costituzione - sempre dell'art. 126-bis,
comma 2 (ma, invero, la prima ordinanza di rimessione pronunciata dal rimettente di Mestre parrebbe
investire l'intero articolo), del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.1.¾ Riferisce il primo dei rimettenti (r.o. n. 120 del 2004) di essere investito della decisione del ricorso
proposto - a norma dell'art. 204-bis del codice della strada - avverso un verbale di contestazione di infrazione
stradale, «con il quale è stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 137,55 e la sanzione
amministrativa accessoria della decurtazione di punti sei dal punteggio attribuito alla patente di guida di
veicoli a motore». Deduce, altresì, il Giudice di pace di Genova che il ricorrente «non ha provveduto al
versamento della somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta, come previsto dal
comma 3 del predetto art. 204-bis», evidenziando, inoltre, che l'interessato - nel suo ricorso - ha sottolineato
che «il veicolo al momento dell'infrazione era in uso alla propria moglie».
Ciò premesso, il giudice a quo ipotizza - innanzitutto - il contrasto dell'art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285
del 1992, con gli artt. 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione.
La norma di legge suddetta, infatti, violerebbe l'art. 3 della Carta fondamentale sotto il profilo della
irragionevole disparità di trattamento realizzata tra quanti adiscono le vie giudiziali per l'annullamento del
verbale di contestazione dell'infrazione stradale, e coloro che - in alternativa - decidano o di proporre, allo
stesso scopo, ricorso amministrativo all'autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d.
"ordinanza-ingiunzione", giacché «l'incombente procedurale di cui al comma 3 dell'art. 204-bis non è
imposto a chi ricorra al prefetto ai sensi dell'art. 203» del d.lgs. n. 285 del 1992, ovvero a chi, ai sensi degli artt.
204-bis e 205, ricorra al giudice di pace avverso l'ordinanza ingiunzione del prefetto. Un secondo motivo
d'incostituzionalità, prosegue il rimettente, sarebbe, inoltre, ravvisabile in relazione all'art. 24, primo comma,
della Costituzione, giacché l'imposizione dell'onere procedurale previsto dalla norma impugnata limiterebbe
ingiustificatamente «la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti», non essendo difatti «dettata da
ragioni di giustizia o di carattere processuale». Infine, conclude sul punto il rimettente, un ulteriore
autonomo profilo d'incostituzionalità dovrebbe riscontrarsi riguardo all'art. 113, secondo comma, della
Costituzione, atteso che esso «prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
amministrazione non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione».
Inoltre, il Giudice di pace di Genova solleva questione di legittimità costituzionale anche dell'art. 126-bis,
comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.
Siffatta disposizione, «nella parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente, la
segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico
del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro 30 giorni, i dati personali e della
patente del conducente», sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, configurando «un caso di
responsabilità oggettiva a carico del proprietario del veicolo», giacché questi risponderebbe «per fatto altrui».
Orbene, prosegue il giudice a quo, mentre il ricorso a tale modello di responsabilità «può apparire corretto»
nelle ipotesi previste dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (poiché in tali casi la
responsabilità solidale del proprietario del veicolo, «per l'aspetto puramente riparatorio», risponde alla
duplice necessità di evitare che «molte norme sulla circolazione stradale» restino eluse, e che i danneggiati in
sinistri stradali possano «non ottenere il giusto risarcimento»), è, per contro, irragionevole che il proprietario
del veicolo sia punito per un fatto che non ha commesso, o che non ha neppure concorso a realizzare.
D'altra parte, osserva ulteriormente il rimettente, l'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), enuncia «il principio della responsabilità personale in tema di sanzioni amministrative di
natura punitiva» (a tale categoria appartenendo la misura della decurtazione dei punti dalla patente,
dovendo essa considerarsi sanzione accessoria avente carattere strettamente «punitivo personale»), di talché
la disposizione impugnata - nella misura in cui introdurrebbe una deroga a tale principio - realizzerebbe
«una disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune norme del codice della strada ed i trasgressori di
altre norme amministrative».
Infine, conclude il rimettente genovese, «poiché nel nostro ordinamento è consentito ad una persona fisica di
essere proprietario di veicoli a motore pur non essendo titolare di patente di guida», l'art. 126-bis, comma 2,
del d.lgs. n. 285 del 1992 realizzerebbe «una disparità di trattamento tra soggetti proprietari del veicolo
oggetto dell'infrazione muniti della patente di guida e quelli che ne sono privi, risultando di fatto punibili
con la decurtazione del punteggio solo i primi».
1.2.¾ Il Giudice di pace di Mestre, con due distinte ordinanze (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), ha sollevato -
ipotizzando il contrasto, nella prima ordinanza, con il solo art. 3 della Costituzione, e, nella seconda, anche
con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale - questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis, comma
2 (ma, come già rilevato, la prima ordinanza di rimessione parrebbe censurare l'intero articolo), del d.lgs. n.
285 del 1992.
1.2.1.¾ In particolare, nella prima delle due ordinanze (r.o. n. 267 del 2004), il giudice a quo censura la
disposizione suddetta «nella parte in cui non prevede l'inapplicabilità della sanzione accessoria della
detrazione dei punti sulla patente di guida in difetto della normativa di attuazione dei previsti corsi di
recupero».
Il rimettente descrive, preliminarmente, l'oggetto del giudizio a quo, consistente nella decisione di un ricorso
(proposto avverso verbale di contestazione di infrazione risalente al 3 luglio 2003) nel quale si «deduce
l'illegittimità della norma che introduce la sanzione accessoria della detrazione dei punti» dalla patente di
guida, atteso che «la nuova disciplina sarebbe incompleta non essendo stata introdotta la puntuale disciplina
dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero, secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente
sanzionato il recupero dei punti detratti».
Ciò premesso, il Giudice di pace di Mestre (sempre nella prima - r.o. n. 267 del 2004 - delle due ordinanze da
esso pronunciate) deduce come «la disciplina applicabile al momento della contestata infrazione» risulti
quella prevista dal d.l. n. 151 del 2003, che avrebbe fissato quale data di entrata in vigore del d.lgs. n. 9 del
2002 (cioè il testo normativo recante la disciplina relativa alla "patente a punti") quella del 1° luglio 2003.
Poiché, però, soltanto con decreto ministeriale del 29 luglio 2003 (Programmi dei corsi per il recupero dei
punti della patente di guida), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 agosto 2003, sono state «introdotte le
norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi di recupero previsti dall'art. 126-bis» del codice della strada,
emergerebbe secondo il rimettente «dalla descritta successione di norme (.) l'impossibilità giuridica, per un
trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003» (tale essendo l'evenienza ricorrente nel
caso oggetto del giudizio a quo) di «accedere al meccanismo di recupero dei punti persi».
In forza di tali rilievi, il Giudice di pace di Mestre pone in luce come, «a fronte dell'imposizione di una
sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa», risulti «in concreto negato al soggetto
sanzionato l'accesso incondizionato ai benefici previsti, con evidente ed ingiustificata disparità di
trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata», ciò che renderebbe
la disciplina suddetta non conforme a Costituzione.
Su tali presupposti, quindi, il rimettente - non senza osservare, in punto di rilevanza della questione
sollevata, come la stessa «all'evidenza» risulti «pregiudiziale rispetto alla decisione della causa» devoluta al
suo esame - ha concluso per la declaratoria d'incostituzionalità della norma impugnata.
1.2.2.¾ Con la seconda delle citate ordinanze (r.o. n. 569 del 2004), il Giudice di pace di Mestre censura sotto
altro profilo - per violazione degli articoli 3, 24 e 27 della Costituzione - l'art. 126-bis del codice della strada.
Il rimettente - premesso di giudicare del ricorso proposto avverso il verbale con cui la polizia municipale di
Venezia contestava al proprietario di un veicolo, «benché non conducente», l'avvenuta violazione dell'art.
142, comma 9, del codice della strada - deduce che il suddetto art. 126-bis violerebbe «gli artt. 3 e 27 della
Costituzione in quanto prevede una sanzione amministrativa personale in virtù di una responsabilità
oggettiva» (e segnatamente nella parte in cui stabilisce che la decurtazione del punteggio dalla patente venga
effettuata a carico del proprietario del veicolo, in caso di perdurante mancata identificazione del conducente
responsabile dell'infrazione), nonché «gli artt. 24 e 27 della Costituzione», nella parte in cui dispone (al
comma 2) che, qualora il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente
del veicolo, si applichi «a suo carico la sanzione prevista dall'art. 180, comma 8» del medesimo codice della
strada.
Con riferimento, in particolare, alla prima censura (quella che ipotizza la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.), il
giudice a quo assume che la previsione della decurtazione dei punti dalla patente, a carico del proprietario
del veicolo, «appare in contrasto con l'insieme del sistema sanzionatorio» previsto per le contravvenzioni
stradali (sistema, a suo dire, «costituito da norme che applicano i principî costituzionali»), e ciò «in quanto la
solidarietà passiva del conducente e del proprietario è prevista solo per le sanzioni pecuniarie» (giusto il
disposto dell'articolo 196 del codice della strada), risultando «non (.) trasmissibili le sanzioni non pecuniarie
(.) ad altro soggetto diverso da quello che ha commesso la violazione» (in virtù di quanto stabilito dall'art.
210 del medesimo codice).
Quanto, invece, alla seconda censura, e cioè il prospettato contrasto con gli artt. 24 e 27 della Carta
fondamentale, la stessa si fonda sulla constatazione che l'impugnato art. 126-bis - là dove fa carico al
proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente autore dell'infrazione -
costringe il proprietario del veicolo che non conosce il conducente (come nel caso di specie, «dove il
proprietario è legale rappresentante di due società, e il ciclomotore è utilizzato dai dipendenti e dai parenti»)
«ad una omissione», che ha come effetto «il pagamento di una pena pecuniaria e l'irrogazione della pena
accessoria della decurtazione dei punti della patente», quest'ultima essendo destinata, inoltre, a "modificarsi"
- secondo il rimettente - «a seconda delle condizioni e status del proprietario», il quale soltanto «se titolare di
patente viene colpito»
Orbene, tale regime sanzionatorio - essendo previsto per un'omissione che, il più delle volte (anche in
ragione del notevole lasso di tempo che usualmente trascorre tra l'accertamento dell'infrazione a carico del
conducente e la richiesta dei suoi dati personali, e della patente di guida, rivolta al proprietario del veicolo),
si risolve in una «incolpevole dimenticanza del fatto» - appare al rimettente in contrasto con l'art. 27 della
Costituzione. «Mutuando dal diritto penale», egli osserva, «è necessario che l'atto positivo o negativo sia
posto in essere con coscienza e volontà», ciò che non può certamente dirsi per una semplice "dimenticanza".
Deduce, infine, il giudice a quo che nella eventualità in cui il proprietario - il quale pure non sia stato il
conducente del veicolo - corrispondesse «la sanzione pecuniaria in misura ridotta, non potrebbe proporre
ricorso in quanto gli viene impedito dallo stesso art. 126-bis»; ciò che induce il rimettente ad eccepire «la
violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.)».
1.3.¾ Il Giudice di pace di Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004) ha sollevato, del pari, questione di legittimità
costituzionale - per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. - dell'art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992,
«nella parte in cui dispone la decurtazione del punteggio della patente di guida nei confronti del
proprietario del veicolo nei cui riguardi è stato accertato il superamento dei limiti di velocità, qualora non
risulti identificato colui che si trovava alla guida del veicolo al momento in cui fu commessa l'infrazione
contestata».
Il rimettente - ricostruita la fattispecie concreta sottoposta al suo esame - ipotizza, innanzitutto, da parte
della disposizione impugnata, la «violazione del principio "nemo tenetur se detegere" che discende, quale
corollario, da quanto stabilito dall'art. 24 della legge fondamentale». Il comma 2 del citato art. 126-bis, nel
richiedere, infatti, al proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente
(non identificato al momento dell'accertamento dell'illecito amministrativo), «non distingue (.) tra i possibili
destinatari della delazione che viene imposta», di talché, ove la persona del conducente e del proprietario
coincidessero, quest'ultimo «sarebbe obbligato a confessare la propria colpa».
«Ne deriva», prosegue il giudice a quo, «il contrasto dell'art. 126-bis» con il principio sopra richiamato (nemo
tenetur se detegere), «e quindi con l'art. 24» della Costituzione.
In relazione, invece, all'ipotizzata violazione dell'art. 3 della Costituzione, il rimettente sottolinea che la
sanzione della decurtazione dei punti dalla patente «viene applicata in modo diverso» nei confronti delle
persone giuridiche rispetto alle persone fisiche, posto che nel primo caso «si applica la sanzione pecuniaria
di cui all'articolo 180» del codice della strada, «mentre nel secondo la decurtazione dei punti della patente di
guida», dando così luogo ad una «ingiustificata disparità di trattamento» tra le due ipotesi.
1.4.¾ Dubita, altresì, della legittimità costituzionale della medesima disposizione - giacché in contrasto con
gli articoli 24 e 27 della Costituzione - anche il Giudice di pace di Bra (r.o. n. 503 del 2004).
La previsione - da parte dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 - di una «sanzione accessoria personale» a
carico del proprietario del veicolo, che ometta di comunicare chi effettivamente fosse alla guida del veicolo
in occasione della violazione di norme del codice della strada, sarebbe - secondo il rimettente - in «evidente
contrasto con il principio della responsabilità personale dettato dall'art. 27, primo comma, della
Costituzione», giacché, «pur essendo tale norma riferita alla responsabilità penale, essa è uniformemente
interpretata come estensibile a tutte le sanzioni che colpiscono la persona».
Evidenzia, inoltre, il giudice a quo come il suddetto art. 126-bis del codice della strada preveda anche, per
l'omessa comunicazione di cui sopra, «il pagamento di una sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 180,
comma 8, del medesimo codice». Dall'applicazione di tale previsione deriverebbe per il proprietario del
veicolo - allorché questi non sia in grado di comunicare i dati relativi alla persona ed alla patente del
conducente (come avviene, sottolinea il rimettente, «in quasi tutte le famiglie, in caso di uso promiscuo del
mezzo») - una situazione «paradossale», giacché egli sarebbe, di fatto, costretto ad «autodenunciarsi», per
evitare almeno il pagamento della sanzione pecuniaria suddetta. Si verrebbe, in tal modo, a realizzare una
lesione del «suo diritto di difesa - rectius: autodifesa - sancito dall'art. 24 Cost.», in «spregio al principio del
nemo tenetur se detegere».
Infine, secondo il Giudice di pace di Bra, essendo di soli 30 giorni il termine per effettuare la comunicazione
contemplata dalla norma sospettata di costituzionalità, e dunque «nettamente inferiore al termine di 60
giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto» (ai sensi degli articoli 203 e 204-bis del d.lgs. n.
285 del 1992), da ciò «consegue il paradosso per cui potrebbe venire irrogata una sanzione accessoria in
mancanza di un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio, logico prima ancora
che giuridico, secondo cui la sanzione accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o
venga successivamente meno quella principale».
Su tali basi - e non senza porre in luce, conclusivamente, come, obbligando il proprietario del veicolo a
comunicare il nominativo del conducente responsabile dell'accertata infrazione stradale, la norma de qua
lascerebbe «in capo al cittadino e non allo Stato la decisione su chi debba subire la sanzione» - il rimettente
ha concluso per l'accoglimento della questione di costituzionalità sollevata.
1.5.¾ Il contrasto tra l'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 e gli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della
Costituzione è ipotizzato dal Giudice di pace di Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004).
Riassume, in primo luogo, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di essere investito di un
ricorso proposto avverso un verbale di contestazione dell'infrazione stradale di cui all'art. 142, comma 8, del
codice della strada.
Nel precisare che il ricorrente - non essendo «in grado, dato il tempo trascorso, di indicare la persona fisica al
volante al momento dell'accertamento dell'infrazione» - ha provveduto «al pagamento della sanzione
pecuniaria», eccependo però l'incostituzionalità «della sanzione amministrativa della decurtazione» del
punteggio dalla patente, il Giudice di pace di Montefiascone ha sollevato - in relazione ai parametri
summenzionati - questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 126-bis «nella parte in cui pone a
carico del proprietario del veicolo la decurtazione dei punti della patente connessa a violazioni commesse da
terzi».
Ad avviso del rimettente, difatti, «il sistema sanzionatorio testé indicato crea un'ingiustificata disparità di
trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche», giacché esso può «applicarsi soltanto ai proprietari
muniti di patente di guida», mandando invece «esenti da sanzione coloro che ne sono sprovvisti», così
incentivando - oltretutto - la «diseducativa tendenza a intestare le vetture ai non patentati».
Accanto all'ipotizzata violazione dell'art. 3 Cost., il rimettente - non senza evidenziare come la prassi,
originata dall'applicazione della norma impugnata, di denunciare un prossimo congiunto quale conducente
responsabile dell'infrazione darebbe luogo ad una situazione di «contrasto con la tutela dei vincoli familiari
costituzionalmente protetti» - prospetta, quale ulteriore censura, la violazione dell'art. 27 della Carta
fondamentale. Tale articolo, difatti, «enuncia il principio della personalità della pena», valevole anche per
una «sanzione afflittiva che limita la libertà personale e l'autonomia di locomozione» (qual è la decurtazione
dei punti dalla patente), non a caso «intrasmissibile ad altri soggetti come previsto dall'art. 210» del
medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.¾ Con due distinte ordinanze (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), il Giudice di pace di Lanciano ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.1.¾ Nel primo caso (r.o. n. 643 del 2004), è ipotizzata la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione ad
opera della suddetta disposizione di legge, «nella parte in cui prevede che la decurtazione dei punti avviene
al proprietario del veicolo quando il conducente rimane sconosciuto», nonché là dove stabilisce che «se
proprietario è una persona giuridica questa può liberarsi pagando solo una somma di denaro».
Il rimettente - nel premettere che la risoluzione della questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini
della definizione del giudizio di cui esso è investito, giacché, «dati tutti gli elementi della fattispecie
concreta», la norma impugnata è tra quelle «di cui non è da escludere l'applicazione per la risoluzione della
causa», poiché nel caso di specie «non è stata identificata la conducente dell'auto de qua» - deduce la
violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.
A suo dire, infatti, per effetto della previsione contenuta nell'impugnata disposizione, «non tutti i cittadini
avrebbero pari dignità sociale e sarebbero eguali davanti alla legge», né tutti «potrebbero agire per la tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi». La norma de qua - prosegue il rimettente - «introduce una singolare
sanzione a carattere intermittente o eventuale a secondo di chi sia il proprietario del mezzo» (essendo essa
«applicabile solo nel caso in cui il titolare del mezzo sia patentato»), dando, inoltre, luogo, «all'interno dei
destinatari patentati», ad un (ulteriore) «discrimine non ragionevole» a carico di chi «non vuole indicare chi
tra i familiari ha preso l'auto oppure non sa, non conosce chi ha utilizzato l'auto».
Ipotizza, infine, il giudice a quo un'ulteriore violazione degli stessi parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.),
sotto altro profilo.
Qualora, difatti, il proprietario del veicolo risulti una persona giuridica, a carico del suo legale
rappresentante che ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente si applicherebbe
esclusivamente la sanzione amministrativa prevista dall'art. 180 comma 8 del codice della strada (e cioè una
sanzione solo pecuniaria), con «evidente (.) discriminazione tra il proprietario di un'autovettura che sia
persona giuridica e chi non lo è, in quanto il legale rappresentante ha la possibilità di effettuare il pagamento
in denaro senza alcuna decurtazione di punteggio», evenienza non prevista, invece, nell'altra ipotesi.
In forza di tali rilevi - nonché conclusivamente osservando come «la possibilità di irrogare sanzioni senza la
contestazione immediata, anche se prevista dalla legge» (ed alla base della possibilità di punire il
proprietario del veicolo in luogo del conducente rimasto sconosciuto), costituirebbe «di per sé una
compromissione del diritto di difesa, in contrasto con quanto statuito dall'art. 24, secondo comma, della
Costituzione» - il rimettente ha chiesto la declaratoria d'incostituzionalità della disposizione impugnata.
1.6.2.¾ Con la seconda ordinanza (r.o. n. 658 del 2004), lo stesso Giudice di pace di Lanciano deduce il
contrasto con gli artt. 24 e 27 della Costituzione dell'art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992.
Il giudice a quo deduce, in primo luogo, l'esistenza di un contrasto tra la disposizione impugnata e l'art. 24
Cost., giacché quest'ultimo - «in ossequio all'antico brocardo nemo tenetur se detegere» - sancisce «il diritto a
non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con l'Autorità per la propria
incriminazione», diritto, viceversa, pregiudicato dalla norma suddetta.
Quanto, invece, alla prospettata violazione dell'art. 27 Cost., il rimettente osserva che con «l'introduzione
della perdita dei punti sulla patente» l'illecito amministrativo, consistente nell'inosservanza delle regole sulla
circolazione stradale, avrebbe acquistato «la configurazione di un vero e proprio reato con sanzione anche di
carattere afflittivo oltre che pecuniaria», di talché, a causa dell'applicazione della sanzione de qua, «il reatocontravvenzione
verrebbe addebitato per responsabilità oggettiva violando l'art. 27 della nostra
Costituzione».
Rileva, inoltre, il Giudice di pace di Lanciano come la disposizione impugnata si presenti in contrasto con la
configurazione che alla responsabilità amministrativa è stata conferita dalla già ricordata legge n. 689 del
1981.
Se è vero, difatti, che il suo art. 6 (con disposizione che risulta, per così dire, "doppiata" - nella materia delle
infrazioni stradali - da quella contenuta nell'art. 196 del d.lgs. n. 285 del 1992) ha «introdotto l'istituto della
solidarietà, di derivazione civilistica, prevedendo la responsabilità in solido, con l'autore dell'illecito, del
proprietario della cosa che servì a commettere la violazione», deve, però, riconoscersi che siffatta
"solidarietà" «comporta il pagamento della somma pecuniaria scaturita dalla violazione amministrativa, e
non invece l'assoggettamento ad altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario, come quella della
detrazione dei punti della patente prevista dall'art. 126-bis».
1.7.¾ Deduce, altresì, il contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione dell'art. 126-bis del codice della
strada, anche il Giudice di pace di Carrara (r.o. n. 701 del 2004).
Ricostruisce, in primis, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di essere stato adito per
l'annullamento di un verbale di accertamento «riferito alla violazione relativa all'uso di telefono cellulare
durante la guida», verbale «notificato alla ricorrente in quanto proprietaria del veicolo e "responsabile in
solido" della violazione». Deduce, inoltre, che l'interessata - nel proprio ricorso - assumeva «che non era lei
opponente alla guida», essendo, in ogni caso, «impossibile per gli accertatori rilevare la circostanza
contestata» (e cioè l'uso dell'apparecchio telefonico, atteso che la vettura di sua proprietà «sarebbe dotata di
vetri oscurati»), e che comunque l'automobile «non era stata usata dalla ricorrente nelle circostanze di tempo
e di luogo contestate», né «prestata ad alcuno».
Chiesto, su tali basi, l'accoglimento dell'opposizione, la ricorrente «eccepiva anche questione di legittimità
costituzionale dell'art. 126-bis» del codice della strada, questione che l'adito giudicante ha reputato rilevante,
giacché solamente ove tale norma «fosse conforme a Costituzione si dovrebbe applicare, all'esito sfavorevole
per l'opponente del giudizio, anche la sanzione accessoria della perdita di cinque punti della patente di
guida all'opponente».
In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente premette la necessità di chiarire
la «natura giuridica della decurtazione dei punti della patente», contestando la ricostruzione proposta dal
Ministero dell'Interno attraverso apposite circolari, essendo tale istituto «contraddittoriamente definito, da
un lato, come misura avente "carattere cautelare" e dall'altro misura che "integra il sistema delle sanzioni
pecuniarie accessorie" previste dal Codice della Strada». La constatazione che si è in presenza di un «istituto
di natura afflittiva e permanente (la decurtazione non ha effetti temporanei e provvisori)», porta il giudice a
quo a ritenere la misura in esame «una sanzione amministrativa personale».
«Così ricostruita» - prosegue il rimettente - «la natura della misura in rapporto alla propria funzione, ne
risultano però evidenziati anche gli aspetti di contrasto con le norme e i principî costituzionali del sistema
sanzionatorio del codice della strada», giacché, in particolare, l'articolo 196 del d.lgs. n. 285 del 1992
«prevede la solidarietà passiva - per conducente e proprietario del veicolo - per le sole sanzioni pecuniarie»,
così come il successivo art. 210 stabilisce «per diretta conseguenza (.) l'intrasmissibilità delle sanzioni non
pecuniarie ad altri soggetti, diversi da chi abbia materialmente compiuto la violazione».
Orbene, assume il Giudice di pace di Carrara, siffatto «impianto normativo» costituirebbe coerente
applicazione dei principî costituzionali (e segnatamente di quello secondo cui la «responsabilità penale è
personale»), che, seppur riferiti ai reati, sarebbero tuttavia «estesi a tutte le violazioni per le quali siano
previste sanzioni che colpiscono una persona», donde l'ipotizzata violazione - da parte della disposizione
impugnata - dell'art. 25 (recte: 27) della Costituzione. La previsione, difatti, della «possibile irrogazione di
sanzioni amministrative personali per una sorta di "responsabilità oggettiva"», costituisce una scelta
legislativa «che mal si attaglia con i principi costituzionali di cui all'art. 25» (recte: 27) della Costituzione, i
quali risultano «pacificamente applicabili nell'impianto normativo delle sanzioni amministrative», come
disciplinato dalla legge n. 689 del 1981.
Deduce il rimettente, inoltre, la violazione anche dell'art. 3 della Costituzione, giacché la disposizione
impugnata realizzerebbe una «disparità di trattamento», innanzitutto «nel caso in cui il proprietario della
vettura - obbligato solidalmente alla decurtazione - non sia in possesso della patente di guida», ovvero
quando, pur essendo «giuridicamente proprietario», «di fatto non eserciti il possesso dell'auto» (tale sarebbe,
in particolare, la condizione delle «imprese di leasing», rispetto alle quali oltretutto la sanzione colpirebbe «il
legale rappresentante della società, individuato con criteri del tutto soggettivi e casuali», quali quelli
connessi alla titolarità della carica).
Né, d'altra parte, il prospettato dubbio di costituzionalità, per violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale,
potrebbe essere superato - conclude il giudice a quo - ove si ritenga che la sanzione della decurtazione dei
punti dalla patente «colpisca il proprietario non in quanto tale, ma per l'omissione delle informazioni»
indicate nell'art. 126-bis, in quanto «tale comportamento omissivo è già di per sé stesso punito dalla sanzione
amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 180, comma 8» del medesimo codice della strada.
Ipotizza, infine, il Giudice di Pace di Carrara anche la violazione degli articoli 24 e 25 della Costituzione, in
quanto, nell'ipotesi in cui «il proprietario del veicolo sia lo stesso conducente, cui non sia stata
immediatamente contestata la violazione», questi «si vedrebbe costretto ad autodenunciarsi, a pena di
incorrere in doppio provvedimento punitivo», e cioè «da un lato la decurtazione del punteggio e dall'altro la
sanzione pecuniaria per l'omissione dei dati dell'effettivo conducente».
Tale evenienza, però, non pare compatibile con la scelta compiuta dal nostro ordinamento - «come ogni
ordinamento liberale» - in favore del principio che esclude (persino in materia penale) «che si possa essere
costretti ad agire contro sé stessi», atteso che sono «i soggetti che accertano l'illecito ad essere tenuti ad
individuare l'effettivo trasgressore».
1.8.¾ La violazione del solo articolo 24 della Costituzione - da parte del già più volte ricordato art. 126-bis
del d.lgs. n. 285 del 1992 - è dedotta anche dal Giudice di pace di Casale Monferrato, con due ordinanze (r.o.
nn. 721 e 722 del 2004) di pressoché identico contenuto (le stesse, invero, differiscono unicamente in ragione
del fatto che, nel primo caso, proprietaria dell'autovettura, a carico della quale è stata accertata l'infrazione
stradale, risulta essere una persona giuridica).
Deducendo che ambedue i giudizi, dei quali esso è investito, non potrebbero essere definiti
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale della norma sopracitata»,
il rimettente assume che l'obbligo da essa imposto a carico del proprietario del veicolo (indicare le generalità
del conducente al momento dell'avvenuta contestazione, nel caso in cui l'identificazione del trasgressore non
avvenga immediatamente) risulta «sanzionato diversamente, a seconda che il proprietario sia una persona
fisica o giuridica».
In entrambi i casi, tuttavia, «il diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost. risulta compresso», e ciò sotto vari
profili; in primo luogo perché «la norma prevede una responsabilità oggettiva del proprietario del veicolo»,
e cioè un «istituto estraneo al nostro diritto sanzionatorio, sia penale, sia amministrativo». La norma
stabilisce, inoltre, «l'obbligo di denuncia (o delazione) del conducente del veicolo», obbligo ipotizzabile, però,
«solo in capo a determinati soggetti, che rivestono funzioni pubbliche». Infine, allorché le persone del
proprietario e del conducente, autore dell'infrazione, coincidano, «la norma imporrebbe un vero e proprio
obbligo di confessare, limitando irrimediabilmente il diritto di difesa del cittadino», essendo «il diritto al
silenzio (.) ormai patrimonio acquisito al nostro ordinamento».
2.¾ È intervenuto, nei soli giudizi originati dalle ordinanze di rimessione pronunciate dai Giudici di pace di
Genova, sezione distaccata di Voltri, e Mestre (r.o. nn. 120 e 267 del 2004), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nel primo caso la difesa erariale si limita a «riportarsi alle deduzioni formulate nei precedenti atti di
intervento in cause simili» (e segnatamente quelle originate dalle ordinanze r.o. nn. 997 e 998 del 2003,
peraltro già definite da questa Corte con la sentenza n. 114 del 2004), assumendo l'infondatezza della
questione prospettata.
Nel secondo caso l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce che la questione sollevata sarebbe
«inammissibile e comunque infondata».
Rileva la difesa erariale, quanto all'inammissibilità della questione, che il giudice rimettente - censurando la
disposizione impugnata nella parte in cui precluderebbe l'accesso, ai corsi di recupero dei punti della patente,
ai soggetti sanzionati tra il 1° luglio 2003 (giorno a cui risale l'entrata in vigore della norma relativa alla
decurtazione del punteggio della patente) ed il successivo 6 agosto (giorno, invece, della pubblicazione del
già ricordato decreto ministeriale recante la disciplina relativa ai corsi suddetti) - avrebbe omesso di
«precisare quale pregiudizio in concreto abbia subito il ricorrente dal presunto ritardo nella istituzione dei
corsi di recupero», e quindi «come la questione di costituzionalità prospettata d'ufficio dal giudice a quo
possa assumere rilevanza nel giudizio».
Nel merito, invece, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che «né la normativa primaria, né tanto meno il
decreto ministeriale prevedono meccanismi di preclusione temporale per l'iscrizione a tali corsi in relazione
alla data di decurtazione del punteggio». L'art. 6 del suddetto decreto si limita, difatti, a prevedere
l'impossibilità d'iscrizione ad uno dei corsi «se prima non si sia ricevuta la comunicazione da parte del
Ministero competente della decurtazione» operata, nulla stabilendo, invece, «circa l'esistenza di un termine
massimo entro il quale un cittadino dovrebbe iscriversi al corso di recupero».
Considerato in diritto
1.- I giudici di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), Mestre (r.o. n. 569 del 2004),
Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn.
643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004) hanno
sollevato questione di legittimità costituzionale - deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24,
25 (l'indicazione di quest'ultimo parametro apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della
Costituzione - dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85),
nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27
giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), come modificato - a propria volta -
dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.
La disposizione de qua è sospettata di incostituzionalità nella parte in cui prevede che, nel caso di mancata
identificazione del conducente, «responsabile della violazione» delle norme del codice della strada per le
quali «è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente», la segnalazione
della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida debba essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo, «salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all'organo di
polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione».
1.1.- Deducono taluni dei predetti rimettenti (e segnatamente il Giudice di pace di Genova, sezione
distaccata di Voltri, nonché quelli di Mestre, Ficarolo, Montefiascone, Lanciano e Carrara) la violazione
dell'art. 3 della Costituzione, ravvisata sotto diversi profili. Innanzitutto, perché la disposizione impugnata
configurerebbe una "sanzione intermittente", operando soltanto nei confronti dei proprietari di veicoli che
risultino muniti di patente (r.o. nn. 120, 575, 643 e 701 del 2004), ovvero esclusivamente nei confronti delle
persone fisiche e non anche di quelle giuridiche (r.o. nn. 465 e 643 del 2004); in secondo luogo, perché la
stessa - in contrasto con la previsione di cui all'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), che fissa il principio della "personalità" della responsabilità amministrativa - realizzerebbe
un'ingiustificata «disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune norme del codice della strada ed i
trasgressori di altre norme amministrative» (r.o. n. 120 del 2004).
Il contrasto con il parametro di cui all'art. 3 Cost. è ipotizzato, inoltre, anche in relazione al difetto di
ragionevolezza che connoterebbe la disposizione de qua (r.o. nn. 120 e 569 del 2004). Essa, difatti, opera un
intervento, consistente nella previsione di un'ipotesi di responsabilità "per fatto altrui", che - se appare
«corretto» nei casi contemplati dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (giacché qui la
responsabilità solidale del proprietario del veicolo, «per l'aspetto puramente riparatorio», risponde alla
duplice necessità di evitare che «molte norme sulla circolazione stradale» restino «eluse» e che i danneggiati
in sinistri stradali possano «non ottenere il giusto risarcimento»; così in particolare r.o. n. 120 del 2004) -
risulta, invece, irragionevole nel caso di specie, trattandosi di applicare una sanzione di natura «personale»
(così, nuovamente, r.o. n. 120 del 2004).
1.2.- L'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, inoltre, sarebbe in contrasto - secondo quanto ipotizzato
dai rimettenti di Mestre, Ficarolo, Bra, Lanciano, Carrara e Casale Monferrato - con l'art. 24 della
Costituzione, e ciò sotto un triplice alternativo profilo.
Da un lato si assume che «la possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione immediata, anche se
prevista dalla legge», costituirebbe «di per sé una compromissione del diritto di difesa» (r.o. n. 643 del 2004).
Per altro verso, invece, si sottolinea che - qualora le persone del proprietario del veicolo e del conducente,
responsabile dell'infrazione, coincidano - la necessità di evitare (almeno) l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di cui all'art. 180, comma 8, del codice della strada (comminata a carico del proprietario che non
provveda a soddisfare la richiesta di comunicare i "dati personali e della patente" del conducente), dovrebbe
indurre il destinatario della richiesta suddetta ad autodenunciarsi, con conseguente violazione del principio
del nemo tenetur se detegere (r.o. nn. 465, 503, 658, 701, 721 e 722 del 2004).
Infine, si deduce la violazione del diritto di difesa anche sotto un ulteriore profilo (r.o. n. 503 del 2004),
evidenziando come la previsione di un termine di appena trenta giorni, entro il quale il proprietario del
veicolo deve comunicare i dati personali e della patente del conducente responsabile dell'infrazione, risulti
«nettamente inferiore al termine di sessanta giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto, al
fine di conseguire l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione stradale». Orbene, tale
"sfasatura" temporale comporterebbe l'eventualità che sia «irrogata una sanzione accessoria in mancanza di
un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio, logico prima ancora che giuridico,
secondo cui la sanzione accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o venga
successivamente meno quella principale».
1.3.- Viene, infine, ipotizzata - dai soli giudici di pace di Bra, Mestre, Montefiascone, Lanciano (ma
esclusivamente nell'ordinanza r.o. n. 658 del 2004) e Carrara - la violazione anche dell'art. 27 della
Costituzione.
Si assume, difatti, che il principio - sancito dal primo comma di tale articolo - secondo cui la «responsabilità
penale è personale» deve intendersi riferito anche alla responsabilità amministrativa.
2.- Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha, inoltre, sollevato
questione di legittimità costituzionale - per contrasto con gli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo
comma, della Costituzione - dell'art. 204-bis, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, disposizione
introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del già citato d.l. n. 151 del 2003, aggiunta dalla legge di conversione
n. 214 del 2003.
Il rimettente lamenta la irragionevole disparità di trattamento - realizzata dalla disposizione di legge
impugnata - tra quanti adiscono le vie giudiziali per l'annullamento del verbale di contestazione
dell'infrazione stradale, e coloro che, in alternativa, decidano o di proporre, allo stesso scopo, ricorso
amministrativo all'autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d. "ordinanza-ingiunzione",
giacché «l'incombente procedurale di cui al comma 3 dell'art. 204-bis» del codice della strada (versamento di
una "cauzione", prevista a pena d'inammissibilità dell'iniziativa esperita) risulterebbe stabilito solamente
nella prima delle tre ipotesi. Si deduce, inoltre, che l'imposizione dell'onere procedurale de quo limiterebbe
ingiustificatamente «la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti», non essendo difatti «dettata da
ragioni di giustizia o di carattere processuale», contravvenendo inoltre al precetto costituzionale il quale
«prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione non può essere esclusa o
limitata a particolari mezzi di impugnazione».
3.- Infine, un'ulteriore questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 è
sollevata dal Giudice di pace di Mestre (nella prima ordinanza - r.o. n. 267 del 2004 - da esso pronunciata),
sotto un profilo del tutto diverso da quelli testé illustrati.
È dedotta l'irragionevole disparità di trattamento - e dunque il contrasto con l'art. 3 Cost. - che la
disposizione in esame realizzerebbe a carico di taluni utenti della strada, esclusi ratione temporis dalla
possibilità di partecipazione ai corsi per il recupero del punteggio detratto dalla patente, giacché sanzionati
anteriormente all'avvento del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 29 luglio 2003
(Programmi dei corsi per il recupero dei punti della patente di guida) con il quale sono state «introdotte le
norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi di recupero previsti dall'art. 126-bis» del codice della strada.
Secondo il rimettente, difatti, i soggetti che abbiano subito la decurtazione di punti dalla propria patente di
guida in ragione di infrazioni commesse tra il 1° luglio 2003 ed il successivo 6 agosto (cioè a dire in un arco
temporale che, nella prospettazione del giudice a quo, sarebbe compreso tra la data dell'entrata in vigore
della nuova normativa relativa alla "patente a punti" e quella della pubblicazione del decreto ministeriale
concernente i c.d. "corsi di recupero") sarebbero impossibilitati ad accedere a tali corsi, essendo divenute
operative le norme di dettaglio sulla loro organizzazione soltanto successivamente alla pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale suddetto (e dunque il 6 agosto 2003).
4.- Ciò premesso in merito alle iniziative assunte dai diversi giudici a quibus, deve preliminarmente disporsi
- data la connessione oggettiva esistente tra le varie ordinanze di rimessione - la riunione dei relativi giudizi
ai fini di una unica decisione.
Quanto, invece, al contenuto di quest'ultima, appare necessario definire, in via preliminare, tra le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120
del 2004), quella avente ad oggetto l'art. 204-bis, comma 3, del codice della strada, nonché, di seguito, quella
posta dal rimettente di Mestre nella prima delle due ordinanze da esso pronunciate (r.o. n. 267 del 2004).
5.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata dal
rimettente genovese, è manifestamente inammissibile.
La disposizione de qua è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n.
114 del 2004, la quale ha rilevato che l'imposizione dell'onere economico da essa previsto finisce «con il
pregiudicare l'esercizio dei diritti che l'art. 24 della Costituzione proclama inviolabili, considerato che il
mancato versamento comporta un effetto preclusivo dello svoglimento del giudizio, incidendo direttamente
sull'ammissibilità dell'azione esperita».
6.- La questione sollevata dal Giudice di pace di Mestre con l'ordinanza r.o. n. 267 del 2004 è, invece,
infondata.
Secondo il rimettente, dalla previsione contenuta nell'art. 126-bis del codice della strada discenderebbe la
«impossibilità giuridica, per un trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003», di
accedere ai corsi di recupero della patente, essendo divenute operative le norme di dettaglio
sull'organizzazione dei corsi stessi solo successivamente a tale periodo, di talché, «a fronte della imposizione
di una sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa», sarebbe «in concreto negato al
soggetto sanzionato l'accesso incondizionato ai benefici previsti, con conseguente ingiustificata disparità di
trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata».
L'impugnato articolo 126-bis ha previsto e disciplinato il sistema della c.d. patente a punti, stabilendo che
all'atto del rilascio della patente vengano attribuiti venti punti, annotati in una apposita anagrafe nazionale
(comma 1). Tale punteggio è destinato a subire decurtazioni a seguito della comunicazione, alla suddetta
anagrafe, della «violazione di una delle norme per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente ovvero di una tra le norme di comportamento di cui al titolo V» dello stesso
codice della strada (meglio indicate in una apposita tabella ad esso allegata). Il comma 4 del medesimo art.
126-bis dispone che, fuori dai casi di perdita totale del punteggio e purché questo non sia del tutto esaurito, è
consentito ai trasgressori di recuperare un certo numero di punti mediante la frequenza di corsi di
aggiornamento, organizzati dalle autoscuole ovvero da soggetti pubblici o privati a ciò espressamente
autorizzati. L'ultimo periodo del comma sopra indicato dispone che «con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti sono stabiliti i criteri per il rilascio dell'autorizzazione, i programmi e le
modalità di svolgimento dei corsi di aggiornamento».
L'art. 126-bis in esame è entrato in vigore a decorrere dal 30 giugno 2003 (secondo quanto previsto dall'art. 8
del già citato d.l. n. 151 del 2003); da tale data è dunque divenuto operativo il sistema della patente a punti. Il
decreto ministeriale che ha disciplinato i corsi di recupero, per contro, è stato adottato in data 29 luglio 2003
ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il successivo 6 agosto 2003.
L'infrazione al codice della strada, sottoposta al giudizio del giudice rimettente, è stata commessa il 3 luglio
2003, dopo cioè l'entrata in vigore della disposizione censurata e prima della pubblicazione del decreto.
Secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe incostituzionale, in quanto «la nuova disciplina sarebbe
incompleta non essendo stata introdotta la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero,
secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente sanzionato il recupero dei punti detratti».
La censura prospettata non può essere accolta per due ragioni, ciascuna delle quali ha carattere assorbente.
In primo luogo, anche per le infrazioni commesse tra il 30 giugno 2003 e la data di entrata in vigore del già
menzionato decreto ministeriale relativo all'organizzazione dei corsi di recupero dei punti perduti
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2003) era ed è possibile l'accesso ai corsi stessi. Da un lato,
infatti, nessuna preclusione di carattere temporale per l'iscrizione ai medesimi è prevista, né dall'articolo 126-
bis del codice della strada, né dal d.m. 29 luglio 2003, essendo - dall'altro - del tutto logico che la
partecipazione ai predetti corsi debba avvenire in epoca successiva all'accertamento dell'infrazione ed alla
applicazione delle due sanzioni combinate, la prima di natura pecuniaria, e la seconda concernente la
decurtazione del punteggio. Nessun pregiudizio, dunque, può derivare al soggetto che abbia commesso
l'infrazione al codice della strada nel suddetto arco di tempo, atteso che nessuna preclusione per la
partecipazione ai corsi di recupero è ipotizzabile per il contravventore.
In secondo luogo, l'eventuale ritardo imputabile all'autorità amministrativa nel porre in essere gli atti di
adempimento di una determinata normativa non può tradursi in una ragione di illegittimità costituzionale
della normativa stessa.
7.- In relazione, invece, alla questione di legittimità del comma 2 del medesimo art. 126-bis del codice della
strada (sollevata da tutti gli altri rimettenti, compreso il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di
Voltri, nella seconda parte della sua ordinanza, prima esaminata sotto un diverso profilo), occorre procedere
ad uno scrutinio differenziato in relazione ai diversi parametri evocati, presentandosi tale questione fondata
solo nei limiti di seguito precisati.
8.- È necessario, peraltro, premettere il quadro di fondo nel quale si colloca la disposizione oggetto di
censura, la cui legittimità costituzionale è posta in dubbio dai rimettenti nella parte in cui essa stabilisce che,
nel caso di mancata identificazione del contravventore, la decurtazione dei punti della patente «deve essere
effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla
richiesta, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della
commessa violazione».
L'originario comma 2 dell'art. 126-bis del codice della strada, introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15
gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1,
comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), disponeva che l'organo accertatore della violazione comportante
la perdita di punteggio dovesse dare notizia, entro trenta giorni dalla definizione della contestazione,
all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. In particolare, il comma in questione prevedeva che la
comunicazione dovesse essere effettuata «solo se la persona del conducente, quale responsabile della
violazione», fosse stata «identificata inequivocabilmente». In base a tale disposizione, quindi, nelle ipotesi in
cui non fosse stata possibile la identificazione del conducente, il proprietario rispondeva soltanto per il
pagamento della sanzione pecuniaria prevista per l'infrazione, stante il vincolo di solidarietà passiva con il
conducente, ma non subiva alcuna conseguenza relativamente alla decurtazione del punteggio della sua
patente. La decurtazione presupponeva, pertanto, l'avvenuta identificazione, in ogni caso, del conducente
del veicolo.
Soltanto in virtù di quanto stabilito dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151
(Modifiche ed integrazioni al codice della strada), nel testo a sua volta modificato dalla relativa legge di
conversione 1° agosto 2003, n. 214, l'ultima parte del comma 2 dell'art. 126-bis è stata sostituita, prevedendosi
che, nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione all'anagrafe nazionale degli abilitati
alla guida debba «essere effettuata a carico del proprietario del veicolo», aggiungendosi che il suddetto
proprietario, per evitare tale effetto pregiudizievole, è tenuto a comunicare, entro trenta giorni dalla richiesta
ricevutane, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento
della violazione commessa. È poi previsto che «se il proprietario del veicolo risulta una persona giuridica, il
suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine,
all'organo di polizia che procede». La norma in esame, infine, aggiunge che «se il proprietario del veicolo
omette di fornirli, si applica a suo carico la sanzione prevista dall'art. 180, comma 8», vale a dire quella
secondo la quale «chiunque senza giustificato motivo non ottempera all'invito dell'autorità di presentarsi,
entro il termine stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire
documenti ai fini dell'accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, è soggetto
alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 343,35 a euro 1.376,55».
Dall'insieme delle citate disposizioni emerge, dunque, che nel caso in cui proprietario del veicolo sia una
persona fisica munita di patente e l'infrazione sia punita, oltre che con la sanzione pecuniaria prevista da
altre norme del codice, specificamente indicate in una apposita tabella, anche con quella della decurtazione
del punteggio della patente, il proprietario del mezzo, da un lato, risponde in solido con il conducente per il
pagamento della sanzione pecuniaria principale (art. 196 del codice della strada), e, dall'altro, si vede detratti
i punti della patente. Tale ulteriore sanzione si applica, peraltro, quando non sia stato possibile identificare il
conducente e il proprietario medesimo, ricevutane apposita richiesta, abbia omesso di indicare all'autorità le
generalità ed i dati della patente del conducente che era alla guida del veicolo; indicazione che, invece, come
si è detto, determina l'inapplicabilità al proprietario della sanzione consistente nella decurtazione del
punteggio.
Ora, appare evidente che l'applicazione di questa ulteriore sanzione prescinde da qualsivoglia accertamento
della responsabilità personale del proprietario del veicolo in relazione alla violazione delle norme
concernenti la circolazione stradale.
9.- È alla luce di siffatta disciplina complessiva che deve essere effettuato lo scrutinio di costituzionalità
sollecitato dai rimettenti, i quali ritengono che la sanzione de qua sia incompatibile con uno o più dei
parametri costituzionali evocati.
9.1.- Viene, innanzi tutto, in rilievo la censura con la quale è stata dedotta la violazione dell'art. 24 della
Costituzione.
Assumono taluni dei giudici rimettenti che «la possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione
immediata» costituirebbe «di per sé una compromissione del diritto di difesa». Sotto altro aspetto, ancora
con riferimento al citato parametro costituzionale, viene dedotto che la disposizione censurata
pregiudicherebbe «il diritto a non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con
l'Autorità per la propria incriminazione»; diritto che sarebbe sancito «in ossequio all'antico brocardo nemo
tenetur se detegere». Infine, si assume che il diritto alla difesa risulterebbe pregiudicato, in ogni caso, dal
fatto che la disposizione in esame prevede un termine di appena trenta giorni, entro il quale il proprietario
del veicolo è tenuto a comunicare i dati personali e della patente del conducente responsabile dell'infrazione;
un termine, pertanto, «nettamente inferiore» a quello di sessanta giorni per proporre ricorso al giudice di
pace o al prefetto, al fine di conseguire l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione stradale.
L'irrogazione della sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di guida, sebbene risulti ancora
pendente il termine per adire le vie giudiziali o amministrative onde attingere la caducazione del verbale di
contestazione dell'infrazione, rappresenterebbe una menomazione del diritto di difesa.
9.1.1.- Va chiarito, in proposito, che la mancata previsione della contestazione "immediata" dell'infrazione
punita con una misura amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di difesa. E a ciò va
aggiunto che, in sostanza, la doglianza investe la possibilità - prevista dall'art. 4, comma 4, del decreto-legge
20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito
nella legge 1° agosto 2002, n. 168 - di non procedere alla contestazione immediata dell'infrazione rilevata, di
talché essa, più che indirizzarsi contro la previsione dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada,
avrebbe dovuto investire la disposizione che tale possibilità contempla.
9.1.2.- Quanto alla paventata necessità per il proprietario del veicolo di autodenunciarsi, il dubbio di
costituzionalità sollevato dai rimettenti appare fondarsi su di una inesatta esegesi del dato normativo. Si
consideri, difatti, che la disposizione impugnata espressamente stabilisce che la comunicazione all'anagrafe
nazionale degli abilitati alla guida dell'avvenuta perdita del punteggio dalla patente (e cioè l'adempimento
che ha come presupposto, nel caso di mancata identificazione del conducente responsabile della violazione,
proprio l'avvenuta inutile richiesta al proprietario del veicolo di fornire i dati personali e della patente del
predetto conducente) deve avvenire «entro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata»,
definizione che presuppone, a sua volta, che «siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o
giurisdizionali ammessi», ovvero - ed è proprio siffatta previsione ad essere dirimente rispetto alla censura
in esame - che «siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi».
In nessun caso, quindi, il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente
prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento del verbale di
contestazione dell'infrazione.
9.2.- Fondate sono, invece, le censure di violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della
irragionevolezza della disposizione, nel senso che essa dà vita ad una sanzione assolutamente sui generis,
giacché la stessa - pur essendo di natura personale - non appare riconducibile ad un contegno direttamente
posto in essere dal proprietario del veicolo e consistente nella trasgressione di una specifica norma relativa
alla circolazione stradale.
9.2.1.- A tale conclusione conduce la ricostruzione del contenuto della disposizione censurata alla luce della
disciplina generale del sistema sanzionatorio previsto per gli illeciti amministrativi, dalla legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
L'art. 3 di tale legge fissa due principî fondamentali: quello secondo il quale «nelle violazioni cui è
applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione,
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa» (primo comma); e quello secondo il quale «nel caso in cui la
violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da
sua colpa» (secondo comma). Il citato articolo ancora la responsabilità per comportamenti tipizzati dalla
norma al carattere personale d
SENTENZA N. 27
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Valerio ONIDA Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno
2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito con modificazioni nella legge 1°
agosto 2003, n. 214, e dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiunto dall'art.
7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della
strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), modificato dall'art. 7, comma 3,
lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n.
214, promossi con ordinanze dell'8 novembre 2003 dal Giudice di pace di Voltri, del 5 dicembre 2003 dal
Giudice di pace di Mestre, del 23 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Ficarolo, del 16 marzo 2004 dal
Giudice di pace di Bra, del 17 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Mestre, del 26 gennaio 2004 dal Giudice di
pace di Montefiascone, del 30 e del 26 aprile 2004 dal Giudice di pace di Lanciano, del 12 maggio 2004 dal
Giudice di pace di Carrara e del 10 maggio 2004 (n. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Casale Monferrato,
rispettivamente iscritte ai nn. 120, 267, 465, 503, 569, 575, 643, 658, 701, 721 e 722 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 23, 25, 26, 32, 36 e 38, prima serie speciale,
dell'anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto in fatto
1.¾ Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale - per la violazione degli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della
Costituzione - dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151
(Modifiche ed integrazioni al codice della strada), aggiunta dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.
Il medesimo giudice rimettente - ipotizzando esclusivamente il contrasto con l'art. 3 della Costituzione - ha
sollevato questione di legittimità costituzionale anche dell'art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285
del 1992, introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85),
nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del già segnalato d.l. n.
151 del 2003, come modificato - a propria volta - dalla summenzionata legge di conversione n. 214 del 2003.
Il suddetto articolo 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 è censurato dal rimettente genovese «nella
parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente la segnalazione della
decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico del proprietario del
veicolo, salvo che lo stesso non comunichi entro 30 giorni i dati personali e della patente del conducente».
I Giudici di pace di Mestre (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004),
Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e
Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004), hanno, a loro volta, sollevato questione di legittimità
costituzionale - deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 25 (l'indicazione di quest'ultimo
parametro apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della Costituzione - sempre dell'art. 126-bis,
comma 2 (ma, invero, la prima ordinanza di rimessione pronunciata dal rimettente di Mestre parrebbe
investire l'intero articolo), del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.1.¾ Riferisce il primo dei rimettenti (r.o. n. 120 del 2004) di essere investito della decisione del ricorso
proposto - a norma dell'art. 204-bis del codice della strada - avverso un verbale di contestazione di infrazione
stradale, «con il quale è stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 137,55 e la sanzione
amministrativa accessoria della decurtazione di punti sei dal punteggio attribuito alla patente di guida di
veicoli a motore». Deduce, altresì, il Giudice di pace di Genova che il ricorrente «non ha provveduto al
versamento della somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta, come previsto dal
comma 3 del predetto art. 204-bis», evidenziando, inoltre, che l'interessato - nel suo ricorso - ha sottolineato
che «il veicolo al momento dell'infrazione era in uso alla propria moglie».
Ciò premesso, il giudice a quo ipotizza - innanzitutto - il contrasto dell'art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285
del 1992, con gli artt. 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione.
La norma di legge suddetta, infatti, violerebbe l'art. 3 della Carta fondamentale sotto il profilo della
irragionevole disparità di trattamento realizzata tra quanti adiscono le vie giudiziali per l'annullamento del
verbale di contestazione dell'infrazione stradale, e coloro che - in alternativa - decidano o di proporre, allo
stesso scopo, ricorso amministrativo all'autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d.
"ordinanza-ingiunzione", giacché «l'incombente procedurale di cui al comma 3 dell'art. 204-bis non è
imposto a chi ricorra al prefetto ai sensi dell'art. 203» del d.lgs. n. 285 del 1992, ovvero a chi, ai sensi degli artt.
204-bis e 205, ricorra al giudice di pace avverso l'ordinanza ingiunzione del prefetto. Un secondo motivo
d'incostituzionalità, prosegue il rimettente, sarebbe, inoltre, ravvisabile in relazione all'art. 24, primo comma,
della Costituzione, giacché l'imposizione dell'onere procedurale previsto dalla norma impugnata limiterebbe
ingiustificatamente «la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti», non essendo difatti «dettata da
ragioni di giustizia o di carattere processuale». Infine, conclude sul punto il rimettente, un ulteriore
autonomo profilo d'incostituzionalità dovrebbe riscontrarsi riguardo all'art. 113, secondo comma, della
Costituzione, atteso che esso «prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
amministrazione non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione».
Inoltre, il Giudice di pace di Genova solleva questione di legittimità costituzionale anche dell'art. 126-bis,
comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.
Siffatta disposizione, «nella parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente, la
segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico
del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro 30 giorni, i dati personali e della
patente del conducente», sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, configurando «un caso di
responsabilità oggettiva a carico del proprietario del veicolo», giacché questi risponderebbe «per fatto altrui».
Orbene, prosegue il giudice a quo, mentre il ricorso a tale modello di responsabilità «può apparire corretto»
nelle ipotesi previste dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (poiché in tali casi la
responsabilità solidale del proprietario del veicolo, «per l'aspetto puramente riparatorio», risponde alla
duplice necessità di evitare che «molte norme sulla circolazione stradale» restino eluse, e che i danneggiati in
sinistri stradali possano «non ottenere il giusto risarcimento»), è, per contro, irragionevole che il proprietario
del veicolo sia punito per un fatto che non ha commesso, o che non ha neppure concorso a realizzare.
D'altra parte, osserva ulteriormente il rimettente, l'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), enuncia «il principio della responsabilità personale in tema di sanzioni amministrative di
natura punitiva» (a tale categoria appartenendo la misura della decurtazione dei punti dalla patente,
dovendo essa considerarsi sanzione accessoria avente carattere strettamente «punitivo personale»), di talché
la disposizione impugnata - nella misura in cui introdurrebbe una deroga a tale principio - realizzerebbe
«una disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune norme del codice della strada ed i trasgressori di
altre norme amministrative».
Infine, conclude il rimettente genovese, «poiché nel nostro ordinamento è consentito ad una persona fisica di
essere proprietario di veicoli a motore pur non essendo titolare di patente di guida», l'art. 126-bis, comma 2,
del d.lgs. n. 285 del 1992 realizzerebbe «una disparità di trattamento tra soggetti proprietari del veicolo
oggetto dell'infrazione muniti della patente di guida e quelli che ne sono privi, risultando di fatto punibili
con la decurtazione del punteggio solo i primi».
1.2.¾ Il Giudice di pace di Mestre, con due distinte ordinanze (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), ha sollevato -
ipotizzando il contrasto, nella prima ordinanza, con il solo art. 3 della Costituzione, e, nella seconda, anche
con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale - questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis, comma
2 (ma, come già rilevato, la prima ordinanza di rimessione parrebbe censurare l'intero articolo), del d.lgs. n.
285 del 1992.
1.2.1.¾ In particolare, nella prima delle due ordinanze (r.o. n. 267 del 2004), il giudice a quo censura la
disposizione suddetta «nella parte in cui non prevede l'inapplicabilità della sanzione accessoria della
detrazione dei punti sulla patente di guida in difetto della normativa di attuazione dei previsti corsi di
recupero».
Il rimettente descrive, preliminarmente, l'oggetto del giudizio a quo, consistente nella decisione di un ricorso
(proposto avverso verbale di contestazione di infrazione risalente al 3 luglio 2003) nel quale si «deduce
l'illegittimità della norma che introduce la sanzione accessoria della detrazione dei punti» dalla patente di
guida, atteso che «la nuova disciplina sarebbe incompleta non essendo stata introdotta la puntuale disciplina
dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero, secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente
sanzionato il recupero dei punti detratti».
Ciò premesso, il Giudice di pace di Mestre (sempre nella prima - r.o. n. 267 del 2004 - delle due ordinanze da
esso pronunciate) deduce come «la disciplina applicabile al momento della contestata infrazione» risulti
quella prevista dal d.l. n. 151 del 2003, che avrebbe fissato quale data di entrata in vigore del d.lgs. n. 9 del
2002 (cioè il testo normativo recante la disciplina relativa alla "patente a punti") quella del 1° luglio 2003.
Poiché, però, soltanto con decreto ministeriale del 29 luglio 2003 (Programmi dei corsi per il recupero dei
punti della patente di guida), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 agosto 2003, sono state «introdotte le
norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi di recupero previsti dall'art. 126-bis» del codice della strada,
emergerebbe secondo il rimettente «dalla descritta successione di norme (.) l'impossibilità giuridica, per un
trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003» (tale essendo l'evenienza ricorrente nel
caso oggetto del giudizio a quo) di «accedere al meccanismo di recupero dei punti persi».
In forza di tali rilievi, il Giudice di pace di Mestre pone in luce come, «a fronte dell'imposizione di una
sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa», risulti «in concreto negato al soggetto
sanzionato l'accesso incondizionato ai benefici previsti, con evidente ed ingiustificata disparità di
trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata», ciò che renderebbe
la disciplina suddetta non conforme a Costituzione.
Su tali presupposti, quindi, il rimettente - non senza osservare, in punto di rilevanza della questione
sollevata, come la stessa «all'evidenza» risulti «pregiudiziale rispetto alla decisione della causa» devoluta al
suo esame - ha concluso per la declaratoria d'incostituzionalità della norma impugnata.
1.2.2.¾ Con la seconda delle citate ordinanze (r.o. n. 569 del 2004), il Giudice di pace di Mestre censura sotto
altro profilo - per violazione degli articoli 3, 24 e 27 della Costituzione - l'art. 126-bis del codice della strada.
Il rimettente - premesso di giudicare del ricorso proposto avverso il verbale con cui la polizia municipale di
Venezia contestava al proprietario di un veicolo, «benché non conducente», l'avvenuta violazione dell'art.
142, comma 9, del codice della strada - deduce che il suddetto art. 126-bis violerebbe «gli artt. 3 e 27 della
Costituzione in quanto prevede una sanzione amministrativa personale in virtù di una responsabilità
oggettiva» (e segnatamente nella parte in cui stabilisce che la decurtazione del punteggio dalla patente venga
effettuata a carico del proprietario del veicolo, in caso di perdurante mancata identificazione del conducente
responsabile dell'infrazione), nonché «gli artt. 24 e 27 della Costituzione», nella parte in cui dispone (al
comma 2) che, qualora il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente
del veicolo, si applichi «a suo carico la sanzione prevista dall'art. 180, comma 8» del medesimo codice della
strada.
Con riferimento, in particolare, alla prima censura (quella che ipotizza la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.), il
giudice a quo assume che la previsione della decurtazione dei punti dalla patente, a carico del proprietario
del veicolo, «appare in contrasto con l'insieme del sistema sanzionatorio» previsto per le contravvenzioni
stradali (sistema, a suo dire, «costituito da norme che applicano i principî costituzionali»), e ciò «in quanto la
solidarietà passiva del conducente e del proprietario è prevista solo per le sanzioni pecuniarie» (giusto il
disposto dell'articolo 196 del codice della strada), risultando «non (.) trasmissibili le sanzioni non pecuniarie
(.) ad altro soggetto diverso da quello che ha commesso la violazione» (in virtù di quanto stabilito dall'art.
210 del medesimo codice).
Quanto, invece, alla seconda censura, e cioè il prospettato contrasto con gli artt. 24 e 27 della Carta
fondamentale, la stessa si fonda sulla constatazione che l'impugnato art. 126-bis - là dove fa carico al
proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente autore dell'infrazione -
costringe il proprietario del veicolo che non conosce il conducente (come nel caso di specie, «dove il
proprietario è legale rappresentante di due società, e il ciclomotore è utilizzato dai dipendenti e dai parenti»)
«ad una omissione», che ha come effetto «il pagamento di una pena pecuniaria e l'irrogazione della pena
accessoria della decurtazione dei punti della patente», quest'ultima essendo destinata, inoltre, a "modificarsi"
- secondo il rimettente - «a seconda delle condizioni e status del proprietario», il quale soltanto «se titolare di
patente viene colpito»
Orbene, tale regime sanzionatorio - essendo previsto per un'omissione che, il più delle volte (anche in
ragione del notevole lasso di tempo che usualmente trascorre tra l'accertamento dell'infrazione a carico del
conducente e la richiesta dei suoi dati personali, e della patente di guida, rivolta al proprietario del veicolo),
si risolve in una «incolpevole dimenticanza del fatto» - appare al rimettente in contrasto con l'art. 27 della
Costituzione. «Mutuando dal diritto penale», egli osserva, «è necessario che l'atto positivo o negativo sia
posto in essere con coscienza e volontà», ciò che non può certamente dirsi per una semplice "dimenticanza".
Deduce, infine, il giudice a quo che nella eventualità in cui il proprietario - il quale pure non sia stato il
conducente del veicolo - corrispondesse «la sanzione pecuniaria in misura ridotta, non potrebbe proporre
ricorso in quanto gli viene impedito dallo stesso art. 126-bis»; ciò che induce il rimettente ad eccepire «la
violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.)».
1.3.¾ Il Giudice di pace di Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004) ha sollevato, del pari, questione di legittimità
costituzionale - per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. - dell'art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992,
«nella parte in cui dispone la decurtazione del punteggio della patente di guida nei confronti del
proprietario del veicolo nei cui riguardi è stato accertato il superamento dei limiti di velocità, qualora non
risulti identificato colui che si trovava alla guida del veicolo al momento in cui fu commessa l'infrazione
contestata».
Il rimettente - ricostruita la fattispecie concreta sottoposta al suo esame - ipotizza, innanzitutto, da parte
della disposizione impugnata, la «violazione del principio "nemo tenetur se detegere" che discende, quale
corollario, da quanto stabilito dall'art. 24 della legge fondamentale». Il comma 2 del citato art. 126-bis, nel
richiedere, infatti, al proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente
(non identificato al momento dell'accertamento dell'illecito amministrativo), «non distingue (.) tra i possibili
destinatari della delazione che viene imposta», di talché, ove la persona del conducente e del proprietario
coincidessero, quest'ultimo «sarebbe obbligato a confessare la propria colpa».
«Ne deriva», prosegue il giudice a quo, «il contrasto dell'art. 126-bis» con il principio sopra richiamato (nemo
tenetur se detegere), «e quindi con l'art. 24» della Costituzione.
In relazione, invece, all'ipotizzata violazione dell'art. 3 della Costituzione, il rimettente sottolinea che la
sanzione della decurtazione dei punti dalla patente «viene applicata in modo diverso» nei confronti delle
persone giuridiche rispetto alle persone fisiche, posto che nel primo caso «si applica la sanzione pecuniaria
di cui all'articolo 180» del codice della strada, «mentre nel secondo la decurtazione dei punti della patente di
guida», dando così luogo ad una «ingiustificata disparità di trattamento» tra le due ipotesi.
1.4.¾ Dubita, altresì, della legittimità costituzionale della medesima disposizione - giacché in contrasto con
gli articoli 24 e 27 della Costituzione - anche il Giudice di pace di Bra (r.o. n. 503 del 2004).
La previsione - da parte dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 - di una «sanzione accessoria personale» a
carico del proprietario del veicolo, che ometta di comunicare chi effettivamente fosse alla guida del veicolo
in occasione della violazione di norme del codice della strada, sarebbe - secondo il rimettente - in «evidente
contrasto con il principio della responsabilità personale dettato dall'art. 27, primo comma, della
Costituzione», giacché, «pur essendo tale norma riferita alla responsabilità penale, essa è uniformemente
interpretata come estensibile a tutte le sanzioni che colpiscono la persona».
Evidenzia, inoltre, il giudice a quo come il suddetto art. 126-bis del codice della strada preveda anche, per
l'omessa comunicazione di cui sopra, «il pagamento di una sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 180,
comma 8, del medesimo codice». Dall'applicazione di tale previsione deriverebbe per il proprietario del
veicolo - allorché questi non sia in grado di comunicare i dati relativi alla persona ed alla patente del
conducente (come avviene, sottolinea il rimettente, «in quasi tutte le famiglie, in caso di uso promiscuo del
mezzo») - una situazione «paradossale», giacché egli sarebbe, di fatto, costretto ad «autodenunciarsi», per
evitare almeno il pagamento della sanzione pecuniaria suddetta. Si verrebbe, in tal modo, a realizzare una
lesione del «suo diritto di difesa - rectius: autodifesa - sancito dall'art. 24 Cost.», in «spregio al principio del
nemo tenetur se detegere».
Infine, secondo il Giudice di pace di Bra, essendo di soli 30 giorni il termine per effettuare la comunicazione
contemplata dalla norma sospettata di costituzionalità, e dunque «nettamente inferiore al termine di 60
giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto» (ai sensi degli articoli 203 e 204-bis del d.lgs. n.
285 del 1992), da ciò «consegue il paradosso per cui potrebbe venire irrogata una sanzione accessoria in
mancanza di un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio, logico prima ancora
che giuridico, secondo cui la sanzione accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o
venga successivamente meno quella principale».
Su tali basi - e non senza porre in luce, conclusivamente, come, obbligando il proprietario del veicolo a
comunicare il nominativo del conducente responsabile dell'accertata infrazione stradale, la norma de qua
lascerebbe «in capo al cittadino e non allo Stato la decisione su chi debba subire la sanzione» - il rimettente
ha concluso per l'accoglimento della questione di costituzionalità sollevata.
1.5.¾ Il contrasto tra l'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 e gli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della
Costituzione è ipotizzato dal Giudice di pace di Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004).
Riassume, in primo luogo, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di essere investito di un
ricorso proposto avverso un verbale di contestazione dell'infrazione stradale di cui all'art. 142, comma 8, del
codice della strada.
Nel precisare che il ricorrente - non essendo «in grado, dato il tempo trascorso, di indicare la persona fisica al
volante al momento dell'accertamento dell'infrazione» - ha provveduto «al pagamento della sanzione
pecuniaria», eccependo però l'incostituzionalità «della sanzione amministrativa della decurtazione» del
punteggio dalla patente, il Giudice di pace di Montefiascone ha sollevato - in relazione ai parametri
summenzionati - questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 126-bis «nella parte in cui pone a
carico del proprietario del veicolo la decurtazione dei punti della patente connessa a violazioni commesse da
terzi».
Ad avviso del rimettente, difatti, «il sistema sanzionatorio testé indicato crea un'ingiustificata disparità di
trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche», giacché esso può «applicarsi soltanto ai proprietari
muniti di patente di guida», mandando invece «esenti da sanzione coloro che ne sono sprovvisti», così
incentivando - oltretutto - la «diseducativa tendenza a intestare le vetture ai non patentati».
Accanto all'ipotizzata violazione dell'art. 3 Cost., il rimettente - non senza evidenziare come la prassi,
originata dall'applicazione della norma impugnata, di denunciare un prossimo congiunto quale conducente
responsabile dell'infrazione darebbe luogo ad una situazione di «contrasto con la tutela dei vincoli familiari
costituzionalmente protetti» - prospetta, quale ulteriore censura, la violazione dell'art. 27 della Carta
fondamentale. Tale articolo, difatti, «enuncia il principio della personalità della pena», valevole anche per
una «sanzione afflittiva che limita la libertà personale e l'autonomia di locomozione» (qual è la decurtazione
dei punti dalla patente), non a caso «intrasmissibile ad altri soggetti come previsto dall'art. 210» del
medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.¾ Con due distinte ordinanze (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), il Giudice di pace di Lanciano ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.1.¾ Nel primo caso (r.o. n. 643 del 2004), è ipotizzata la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione ad
opera della suddetta disposizione di legge, «nella parte in cui prevede che la decurtazione dei punti avviene
al proprietario del veicolo quando il conducente rimane sconosciuto», nonché là dove stabilisce che «se
proprietario è una persona giuridica questa può liberarsi pagando solo una somma di denaro».
Il rimettente - nel premettere che la risoluzione della questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini
della definizione del giudizio di cui esso è investito, giacché, «dati tutti gli elementi della fattispecie
concreta», la norma impugnata è tra quelle «di cui non è da escludere l'applicazione per la risoluzione della
causa», poiché nel caso di specie «non è stata identificata la conducente dell'auto de qua» - deduce la
violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.
A suo dire, infatti, per effetto della previsione contenuta nell'impugnata disposizione, «non tutti i cittadini
avrebbero pari dignità sociale e sarebbero eguali davanti alla legge», né tutti «potrebbero agire per la tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi». La norma de qua - prosegue il rimettente - «introduce una singolare
sanzione a carattere intermittente o eventuale a secondo di chi sia il proprietario del mezzo» (essendo essa
«applicabile solo nel caso in cui il titolare del mezzo sia patentato»), dando, inoltre, luogo, «all'interno dei
destinatari patentati», ad un (ulteriore) «discrimine non ragionevole» a carico di chi «non vuole indicare chi
tra i familiari ha preso l'auto oppure non sa, non conosce chi ha utilizzato l'auto».
Ipotizza, infine, il giudice a quo un'ulteriore violazione degli stessi parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.),
sotto altro profilo.
Qualora, difatti, il proprietario del veicolo risulti una persona giuridica, a carico del suo legale
rappresentante che ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente si applicherebbe
esclusivamente la sanzione amministrativa prevista dall'art. 180 comma 8 del codice della strada (e cioè una
sanzione solo pecuniaria), con «evidente (.) discriminazione tra il proprietario di un'autovettura che sia
persona giuridica e chi non lo è, in quanto il legale rappresentante ha la possibilità di effettuare il pagamento
in denaro senza alcuna decurtazione di punteggio», evenienza non prevista, invece, nell'altra ipotesi.
In forza di tali rilevi - nonché conclusivamente osservando come «la possibilità di irrogare sanzioni senza la
contestazione immediata, anche se prevista dalla legge» (ed alla base della possibilità di punire il
proprietario del veicolo in luogo del conducente rimasto sconosciuto), costituirebbe «di per sé una
compromissione del diritto di difesa, in contrasto con quanto statuito dall'art. 24, secondo comma, della
Costituzione» - il rimettente ha chiesto la declaratoria d'incostituzionalità della disposizione impugnata.
1.6.2.¾ Con la seconda ordinanza (r.o. n. 658 del 2004), lo stesso Giudice di pace di Lanciano deduce il
contrasto con gli artt. 24 e 27 della Costituzione dell'art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992.
Il giudice a quo deduce, in primo luogo, l'esistenza di un contrasto tra la disposizione impugnata e l'art. 24
Cost., giacché quest'ultimo - «in ossequio all'antico brocardo nemo tenetur se detegere» - sancisce «il diritto a
non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con l'Autorità per la propria
incriminazione», diritto, viceversa, pregiudicato dalla norma suddetta.
Quanto, invece, alla prospettata violazione dell'art. 27 Cost., il rimettente osserva che con «l'introduzione
della perdita dei punti sulla patente» l'illecito amministrativo, consistente nell'inosservanza delle regole sulla
circolazione stradale, avrebbe acquistato «la configurazione di un vero e proprio reato con sanzione anche di
carattere afflittivo oltre che pecuniaria», di talché, a causa dell'applicazione della sanzione de qua, «il reatocontravvenzione
verrebbe addebitato per responsabilità oggettiva violando l'art. 27 della nostra
Costituzione».
Rileva, inoltre, il Giudice di pace di Lanciano come la disposizione impugnata si presenti in contrasto con la
configurazione che alla responsabilità amministrativa è stata conferita dalla già ricordata legge n. 689 del
1981.
Se è vero, difatti, che il suo art. 6 (con disposizione che risulta, per così dire, "doppiata" - nella materia delle
infrazioni stradali - da quella contenuta nell'art. 196 del d.lgs. n. 285 del 1992) ha «introdotto l'istituto della
solidarietà, di derivazione civilistica, prevedendo la responsabilità in solido, con l'autore dell'illecito, del
proprietario della cosa che servì a commettere la violazione», deve, però, riconoscersi che siffatta
"solidarietà" «comporta il pagamento della somma pecuniaria scaturita dalla violazione amministrativa, e
non invece l'assoggettamento ad altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario, come quella della
detrazione dei punti della patente prevista dall'art. 126-bis».
1.7.¾ Deduce, altresì, il contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione dell'art. 126-bis del codice della
strada, anche il Giudice di pace di Carrara (r.o. n. 701 del 2004).
Ricostruisce, in primis, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di essere stato adito per
l'annullamento di un verbale di accertamento «riferito alla violazione relativa all'uso di telefono cellulare
durante la guida», verbale «notificato alla ricorrente in quanto proprietaria del veicolo e "responsabile in
solido" della violazione». Deduce, inoltre, che l'interessata - nel proprio ricorso - assumeva «che non era lei
opponente alla guida», essendo, in ogni caso, «impossibile per gli accertatori rilevare la circostanza
contestata» (e cioè l'uso dell'apparecchio telefonico, atteso che la vettura di sua proprietà «sarebbe dotata di
vetri oscurati»), e che comunque l'automobile «non era stata usata dalla ricorrente nelle circostanze di tempo
e di luogo contestate», né «prestata ad alcuno».
Chiesto, su tali basi, l'accoglimento dell'opposizione, la ricorrente «eccepiva anche questione di legittimità
costituzionale dell'art. 126-bis» del codice della strada, questione che l'adito giudicante ha reputato rilevante,
giacché solamente ove tale norma «fosse conforme a Costituzione si dovrebbe applicare, all'esito sfavorevole
per l'opponente del giudizio, anche la sanzione accessoria della perdita di cinque punti della patente di
guida all'opponente».
In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente premette la necessità di chiarire
la «natura giuridica della decurtazione dei punti della patente», contestando la ricostruzione proposta dal
Ministero dell'Interno attraverso apposite circolari, essendo tale istituto «contraddittoriamente definito, da
un lato, come misura avente "carattere cautelare" e dall'altro misura che "integra il sistema delle sanzioni
pecuniarie accessorie" previste dal Codice della Strada». La constatazione che si è in presenza di un «istituto
di natura afflittiva e permanente (la decurtazione non ha effetti temporanei e provvisori)», porta il giudice a
quo a ritenere la misura in esame «una sanzione amministrativa personale».
«Così ricostruita» - prosegue il rimettente - «la natura della misura in rapporto alla propria funzione, ne
risultano però evidenziati anche gli aspetti di contrasto con le norme e i principî costituzionali del sistema
sanzionatorio del codice della strada», giacché, in particolare, l'articolo 196 del d.lgs. n. 285 del 1992
«prevede la solidarietà passiva - per conducente e proprietario del veicolo - per le sole sanzioni pecuniarie»,
così come il successivo art. 210 stabilisce «per diretta conseguenza (.) l'intrasmissibilità delle sanzioni non
pecuniarie ad altri soggetti, diversi da chi abbia materialmente compiuto la violazione».
Orbene, assume il Giudice di pace di Carrara, siffatto «impianto normativo» costituirebbe coerente
applicazione dei principî costituzionali (e segnatamente di quello secondo cui la «responsabilità penale è
personale»), che, seppur riferiti ai reati, sarebbero tuttavia «estesi a tutte le violazioni per le quali siano
previste sanzioni che colpiscono una persona», donde l'ipotizzata violazione - da parte della disposizione
impugnata - dell'art. 25 (recte: 27) della Costituzione. La previsione, difatti, della «possibile irrogazione di
sanzioni amministrative personali per una sorta di "responsabilità oggettiva"», costituisce una scelta
legislativa «che mal si attaglia con i principi costituzionali di cui all'art. 25» (recte: 27) della Costituzione, i
quali risultano «pacificamente applicabili nell'impianto normativo delle sanzioni amministrative», come
disciplinato dalla legge n. 689 del 1981.
Deduce il rimettente, inoltre, la violazione anche dell'art. 3 della Costituzione, giacché la disposizione
impugnata realizzerebbe una «disparità di trattamento», innanzitutto «nel caso in cui il proprietario della
vettura - obbligato solidalmente alla decurtazione - non sia in possesso della patente di guida», ovvero
quando, pur essendo «giuridicamente proprietario», «di fatto non eserciti il possesso dell'auto» (tale sarebbe,
in particolare, la condizione delle «imprese di leasing», rispetto alle quali oltretutto la sanzione colpirebbe «il
legale rappresentante della società, individuato con criteri del tutto soggettivi e casuali», quali quelli
connessi alla titolarità della carica).
Né, d'altra parte, il prospettato dubbio di costituzionalità, per violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale,
potrebbe essere superato - conclude il giudice a quo - ove si ritenga che la sanzione della decurtazione dei
punti dalla patente «colpisca il proprietario non in quanto tale, ma per l'omissione delle informazioni»
indicate nell'art. 126-bis, in quanto «tale comportamento omissivo è già di per sé stesso punito dalla sanzione
amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 180, comma 8» del medesimo codice della strada.
Ipotizza, infine, il Giudice di Pace di Carrara anche la violazione degli articoli 24 e 25 della Costituzione, in
quanto, nell'ipotesi in cui «il proprietario del veicolo sia lo stesso conducente, cui non sia stata
immediatamente contestata la violazione», questi «si vedrebbe costretto ad autodenunciarsi, a pena di
incorrere in doppio provvedimento punitivo», e cioè «da un lato la decurtazione del punteggio e dall'altro la
sanzione pecuniaria per l'omissione dei dati dell'effettivo conducente».
Tale evenienza, però, non pare compatibile con la scelta compiuta dal nostro ordinamento - «come ogni
ordinamento liberale» - in favore del principio che esclude (persino in materia penale) «che si possa essere
costretti ad agire contro sé stessi», atteso che sono «i soggetti che accertano l'illecito ad essere tenuti ad
individuare l'effettivo trasgressore».
1.8.¾ La violazione del solo articolo 24 della Costituzione - da parte del già più volte ricordato art. 126-bis
del d.lgs. n. 285 del 1992 - è dedotta anche dal Giudice di pace di Casale Monferrato, con due ordinanze (r.o.
nn. 721 e 722 del 2004) di pressoché identico contenuto (le stesse, invero, differiscono unicamente in ragione
del fatto che, nel primo caso, proprietaria dell'autovettura, a carico della quale è stata accertata l'infrazione
stradale, risulta essere una persona giuridica).
Deducendo che ambedue i giudizi, dei quali esso è investito, non potrebbero essere definiti
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale della norma sopracitata»,
il rimettente assume che l'obbligo da essa imposto a carico del proprietario del veicolo (indicare le generalità
del conducente al momento dell'avvenuta contestazione, nel caso in cui l'identificazione del trasgressore non
avvenga immediatamente) risulta «sanzionato diversamente, a seconda che il proprietario sia una persona
fisica o giuridica».
In entrambi i casi, tuttavia, «il diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost. risulta compresso», e ciò sotto vari
profili; in primo luogo perché «la norma prevede una responsabilità oggettiva del proprietario del veicolo»,
e cioè un «istituto estraneo al nostro diritto sanzionatorio, sia penale, sia amministrativo». La norma
stabilisce, inoltre, «l'obbligo di denuncia (o delazione) del conducente del veicolo», obbligo ipotizzabile, però,
«solo in capo a determinati soggetti, che rivestono funzioni pubbliche». Infine, allorché le persone del
proprietario e del conducente, autore dell'infrazione, coincidano, «la norma imporrebbe un vero e proprio
obbligo di confessare, limitando irrimediabilmente il diritto di difesa del cittadino», essendo «il diritto al
silenzio (.) ormai patrimonio acquisito al nostro ordinamento».
2.¾ È intervenuto, nei soli giudizi originati dalle ordinanze di rimessione pronunciate dai Giudici di pace di
Genova, sezione distaccata di Voltri, e Mestre (r.o. nn. 120 e 267 del 2004), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nel primo caso la difesa erariale si limita a «riportarsi alle deduzioni formulate nei precedenti atti di
intervento in cause simili» (e segnatamente quelle originate dalle ordinanze r.o. nn. 997 e 998 del 2003,
peraltro già definite da questa Corte con la sentenza n. 114 del 2004), assumendo l'infondatezza della
questione prospettata.
Nel secondo caso l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce che la questione sollevata sarebbe
«inammissibile e comunque infondata».
Rileva la difesa erariale, quanto all'inammissibilità della questione, che il giudice rimettente - censurando la
disposizione impugnata nella parte in cui precluderebbe l'accesso, ai corsi di recupero dei punti della patente,
ai soggetti sanzionati tra il 1° luglio 2003 (giorno a cui risale l'entrata in vigore della norma relativa alla
decurtazione del punteggio della patente) ed il successivo 6 agosto (giorno, invece, della pubblicazione del
già ricordato decreto ministeriale recante la disciplina relativa ai corsi suddetti) - avrebbe omesso di
«precisare quale pregiudizio in concreto abbia subito il ricorrente dal presunto ritardo nella istituzione dei
corsi di recupero», e quindi «come la questione di costituzionalità prospettata d'ufficio dal giudice a quo
possa assumere rilevanza nel giudizio».
Nel merito, invece, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che «né la normativa primaria, né tanto meno il
decreto ministeriale prevedono meccanismi di preclusione temporale per l'iscrizione a tali corsi in relazione
alla data di decurtazione del punteggio». L'art. 6 del suddetto decreto si limita, difatti, a prevedere
l'impossibilità d'iscrizione ad uno dei corsi «se prima non si sia ricevuta la comunicazione da parte del
Ministero competente della decurtazione» operata, nulla stabilendo, invece, «circa l'esistenza di un termine
massimo entro il quale un cittadino dovrebbe iscriversi al corso di recupero».
Considerato in diritto
1.- I giudici di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), Mestre (r.o. n. 569 del 2004),
Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn.
643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004) hanno
sollevato questione di legittimità costituzionale - deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24,
25 (l'indicazione di quest'ultimo parametro apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della
Costituzione - dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85),
nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27
giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), come modificato - a propria volta -
dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.
La disposizione de qua è sospettata di incostituzionalità nella parte in cui prevede che, nel caso di mancata
identificazione del conducente, «responsabile della violazione» delle norme del codice della strada per le
quali «è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente», la segnalazione
della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida debba essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo, «salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all'organo di
polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione».
1.1.- Deducono taluni dei predetti rimettenti (e segnatamente il Giudice di pace di Genova, sezione
distaccata di Voltri, nonché quelli di Mestre, Ficarolo, Montefiascone, Lanciano e Carrara) la violazione
dell'art. 3 della Costituzione, ravvisata sotto diversi profili. Innanzitutto, perché la disposizione impugnata
configurerebbe una "sanzione intermittente", operando soltanto nei confronti dei proprietari di veicoli che
risultino muniti di patente (r.o. nn. 120, 575, 643 e 701 del 2004), ovvero esclusivamente nei confronti delle
persone fisiche e non anche di quelle giuridiche (r.o. nn. 465 e 643 del 2004); in secondo luogo, perché la
stessa - in contrasto con la previsione di cui all'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), che fissa il principio della "personalità" della responsabilità amministrativa - realizzerebbe
un'ingiustificata «disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune norme del codice della strada ed i
trasgressori di altre norme amministrative» (r.o. n. 120 del 2004).
Il contrasto con il parametro di cui all'art. 3 Cost. è ipotizzato, inoltre, anche in relazione al difetto di
ragionevolezza che connoterebbe la disposizione de qua (r.o. nn. 120 e 569 del 2004). Essa, difatti, opera un
intervento, consistente nella previsione di un'ipotesi di responsabilità "per fatto altrui", che - se appare
«corretto» nei casi contemplati dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (giacché qui la
responsabilità solidale del proprietario del veicolo, «per l'aspetto puramente riparatorio», risponde alla
duplice necessità di evitare che «molte norme sulla circolazione stradale» restino «eluse» e che i danneggiati
in sinistri stradali possano «non ottenere il giusto risarcimento»; così in particolare r.o. n. 120 del 2004) -
risulta, invece, irragionevole nel caso di specie, trattandosi di applicare una sanzione di natura «personale»
(così, nuovamente, r.o. n. 120 del 2004).
1.2.- L'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, inoltre, sarebbe in contrasto - secondo quanto ipotizzato
dai rimettenti di Mestre, Ficarolo, Bra, Lanciano, Carrara e Casale Monferrato - con l'art. 24 della
Costituzione, e ciò sotto un triplice alternativo profilo.
Da un lato si assume che «la possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione immediata, anche se
prevista dalla legge», costituirebbe «di per sé una compromissione del diritto di difesa» (r.o. n. 643 del 2004).
Per altro verso, invece, si sottolinea che - qualora le persone del proprietario del veicolo e del conducente,
responsabile dell'infrazione, coincidano - la necessità di evitare (almeno) l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di cui all'art. 180, comma 8, del codice della strada (comminata a carico del proprietario che non
provveda a soddisfare la richiesta di comunicare i "dati personali e della patente" del conducente), dovrebbe
indurre il destinatario della richiesta suddetta ad autodenunciarsi, con conseguente violazione del principio
del nemo tenetur se detegere (r.o. nn. 465, 503, 658, 701, 721 e 722 del 2004).
Infine, si deduce la violazione del diritto di difesa anche sotto un ulteriore profilo (r.o. n. 503 del 2004),
evidenziando come la previsione di un termine di appena trenta giorni, entro il quale il proprietario del
veicolo deve comunicare i dati personali e della patente del conducente responsabile dell'infrazione, risulti
«nettamente inferiore al termine di sessanta giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto, al
fine di conseguire l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione stradale». Orbene, tale
"sfasatura" temporale comporterebbe l'eventualità che sia «irrogata una sanzione accessoria in mancanza di
un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio, logico prima ancora che giuridico,
secondo cui la sanzione accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o venga
successivamente meno quella principale».
1.3.- Viene, infine, ipotizzata - dai soli giudici di pace di Bra, Mestre, Montefiascone, Lanciano (ma
esclusivamente nell'ordinanza r.o. n. 658 del 2004) e Carrara - la violazione anche dell'art. 27 della
Costituzione.
Si assume, difatti, che il principio - sancito dal primo comma di tale articolo - secondo cui la «responsabilità
penale è personale» deve intendersi riferito anche alla responsabilità amministrativa.
2.- Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha, inoltre, sollevato
questione di legittimità costituzionale - per contrasto con gli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo
comma, della Costituzione - dell'art. 204-bis, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, disposizione
introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del già citato d.l. n. 151 del 2003, aggiunta dalla legge di conversione
n. 214 del 2003.
Il rimettente lamenta la irragionevole disparità di trattamento - realizzata dalla disposizione di legge
impugnata - tra quanti adiscono le vie giudiziali per l'annullamento del verbale di contestazione
dell'infrazione stradale, e coloro che, in alternativa, decidano o di proporre, allo stesso scopo, ricorso
amministrativo all'autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d. "ordinanza-ingiunzione",
giacché «l'incombente procedurale di cui al comma 3 dell'art. 204-bis» del codice della strada (versamento di
una "cauzione", prevista a pena d'inammissibilità dell'iniziativa esperita) risulterebbe stabilito solamente
nella prima delle tre ipotesi. Si deduce, inoltre, che l'imposizione dell'onere procedurale de quo limiterebbe
ingiustificatamente «la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti», non essendo difatti «dettata da
ragioni di giustizia o di carattere processuale», contravvenendo inoltre al precetto costituzionale il quale
«prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione non può essere esclusa o
limitata a particolari mezzi di impugnazione».
3.- Infine, un'ulteriore questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 è
sollevata dal Giudice di pace di Mestre (nella prima ordinanza - r.o. n. 267 del 2004 - da esso pronunciata),
sotto un profilo del tutto diverso da quelli testé illustrati.
È dedotta l'irragionevole disparità di trattamento - e dunque il contrasto con l'art. 3 Cost. - che la
disposizione in esame realizzerebbe a carico di taluni utenti della strada, esclusi ratione temporis dalla
possibilità di partecipazione ai corsi per il recupero del punteggio detratto dalla patente, giacché sanzionati
anteriormente all'avvento del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 29 luglio 2003
(Programmi dei corsi per il recupero dei punti della patente di guida) con il quale sono state «introdotte le
norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi di recupero previsti dall'art. 126-bis» del codice della strada.
Secondo il rimettente, difatti, i soggetti che abbiano subito la decurtazione di punti dalla propria patente di
guida in ragione di infrazioni commesse tra il 1° luglio 2003 ed il successivo 6 agosto (cioè a dire in un arco
temporale che, nella prospettazione del giudice a quo, sarebbe compreso tra la data dell'entrata in vigore
della nuova normativa relativa alla "patente a punti" e quella della pubblicazione del decreto ministeriale
concernente i c.d. "corsi di recupero") sarebbero impossibilitati ad accedere a tali corsi, essendo divenute
operative le norme di dettaglio sulla loro organizzazione soltanto successivamente alla pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale suddetto (e dunque il 6 agosto 2003).
4.- Ciò premesso in merito alle iniziative assunte dai diversi giudici a quibus, deve preliminarmente disporsi
- data la connessione oggettiva esistente tra le varie ordinanze di rimessione - la riunione dei relativi giudizi
ai fini di una unica decisione.
Quanto, invece, al contenuto di quest'ultima, appare necessario definire, in via preliminare, tra le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120
del 2004), quella avente ad oggetto l'art. 204-bis, comma 3, del codice della strada, nonché, di seguito, quella
posta dal rimettente di Mestre nella prima delle due ordinanze da esso pronunciate (r.o. n. 267 del 2004).
5.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata dal
rimettente genovese, è manifestamente inammissibile.
La disposizione de qua è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n.
114 del 2004, la quale ha rilevato che l'imposizione dell'onere economico da essa previsto finisce «con il
pregiudicare l'esercizio dei diritti che l'art. 24 della Costituzione proclama inviolabili, considerato che il
mancato versamento comporta un effetto preclusivo dello svoglimento del giudizio, incidendo direttamente
sull'ammissibilità dell'azione esperita».
6.- La questione sollevata dal Giudice di pace di Mestre con l'ordinanza r.o. n. 267 del 2004 è, invece,
infondata.
Secondo il rimettente, dalla previsione contenuta nell'art. 126-bis del codice della strada discenderebbe la
«impossibilità giuridica, per un trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003», di
accedere ai corsi di recupero della patente, essendo divenute operative le norme di dettaglio
sull'organizzazione dei corsi stessi solo successivamente a tale periodo, di talché, «a fronte della imposizione
di una sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa», sarebbe «in concreto negato al
soggetto sanzionato l'accesso incondizionato ai benefici previsti, con conseguente ingiustificata disparità di
trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata».
L'impugnato articolo 126-bis ha previsto e disciplinato il sistema della c.d. patente a punti, stabilendo che
all'atto del rilascio della patente vengano attribuiti venti punti, annotati in una apposita anagrafe nazionale
(comma 1). Tale punteggio è destinato a subire decurtazioni a seguito della comunicazione, alla suddetta
anagrafe, della «violazione di una delle norme per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente ovvero di una tra le norme di comportamento di cui al titolo V» dello stesso
codice della strada (meglio indicate in una apposita tabella ad esso allegata). Il comma 4 del medesimo art.
126-bis dispone che, fuori dai casi di perdita totale del punteggio e purché questo non sia del tutto esaurito, è
consentito ai trasgressori di recuperare un certo numero di punti mediante la frequenza di corsi di
aggiornamento, organizzati dalle autoscuole ovvero da soggetti pubblici o privati a ciò espressamente
autorizzati. L'ultimo periodo del comma sopra indicato dispone che «con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti sono stabiliti i criteri per il rilascio dell'autorizzazione, i programmi e le
modalità di svolgimento dei corsi di aggiornamento».
L'art. 126-bis in esame è entrato in vigore a decorrere dal 30 giugno 2003 (secondo quanto previsto dall'art. 8
del già citato d.l. n. 151 del 2003); da tale data è dunque divenuto operativo il sistema della patente a punti. Il
decreto ministeriale che ha disciplinato i corsi di recupero, per contro, è stato adottato in data 29 luglio 2003
ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il successivo 6 agosto 2003.
L'infrazione al codice della strada, sottoposta al giudizio del giudice rimettente, è stata commessa il 3 luglio
2003, dopo cioè l'entrata in vigore della disposizione censurata e prima della pubblicazione del decreto.
Secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe incostituzionale, in quanto «la nuova disciplina sarebbe
incompleta non essendo stata introdotta la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero,
secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente sanzionato il recupero dei punti detratti».
La censura prospettata non può essere accolta per due ragioni, ciascuna delle quali ha carattere assorbente.
In primo luogo, anche per le infrazioni commesse tra il 30 giugno 2003 e la data di entrata in vigore del già
menzionato decreto ministeriale relativo all'organizzazione dei corsi di recupero dei punti perduti
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2003) era ed è possibile l'accesso ai corsi stessi. Da un lato,
infatti, nessuna preclusione di carattere temporale per l'iscrizione ai medesimi è prevista, né dall'articolo 126-
bis del codice della strada, né dal d.m. 29 luglio 2003, essendo - dall'altro - del tutto logico che la
partecipazione ai predetti corsi debba avvenire in epoca successiva all'accertamento dell'infrazione ed alla
applicazione delle due sanzioni combinate, la prima di natura pecuniaria, e la seconda concernente la
decurtazione del punteggio. Nessun pregiudizio, dunque, può derivare al soggetto che abbia commesso
l'infrazione al codice della strada nel suddetto arco di tempo, atteso che nessuna preclusione per la
partecipazione ai corsi di recupero è ipotizzabile per il contravventore.
In secondo luogo, l'eventuale ritardo imputabile all'autorità amministrativa nel porre in essere gli atti di
adempimento di una determinata normativa non può tradursi in una ragione di illegittimità costituzionale
della normativa stessa.
7.- In relazione, invece, alla questione di legittimità del comma 2 del medesimo art. 126-bis del codice della
strada (sollevata da tutti gli altri rimettenti, compreso il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di
Voltri, nella seconda parte della sua ordinanza, prima esaminata sotto un diverso profilo), occorre procedere
ad uno scrutinio differenziato in relazione ai diversi parametri evocati, presentandosi tale questione fondata
solo nei limiti di seguito precisati.
8.- È necessario, peraltro, premettere il quadro di fondo nel quale si colloca la disposizione oggetto di
censura, la cui legittimità costituzionale è posta in dubbio dai rimettenti nella parte in cui essa stabilisce che,
nel caso di mancata identificazione del contravventore, la decurtazione dei punti della patente «deve essere
effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla
richiesta, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della
commessa violazione».
L'originario comma 2 dell'art. 126-bis del codice della strada, introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15
gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1,
comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), disponeva che l'organo accertatore della violazione comportante
la perdita di punteggio dovesse dare notizia, entro trenta giorni dalla definizione della contestazione,
all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. In particolare, il comma in questione prevedeva che la
comunicazione dovesse essere effettuata «solo se la persona del conducente, quale responsabile della
violazione», fosse stata «identificata inequivocabilmente». In base a tale disposizione, quindi, nelle ipotesi in
cui non fosse stata possibile la identificazione del conducente, il proprietario rispondeva soltanto per il
pagamento della sanzione pecuniaria prevista per l'infrazione, stante il vincolo di solidarietà passiva con il
conducente, ma non subiva alcuna conseguenza relativamente alla decurtazione del punteggio della sua
patente. La decurtazione presupponeva, pertanto, l'avvenuta identificazione, in ogni caso, del conducente
del veicolo.
Soltanto in virtù di quanto stabilito dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151
(Modifiche ed integrazioni al codice della strada), nel testo a sua volta modificato dalla relativa legge di
conversione 1° agosto 2003, n. 214, l'ultima parte del comma 2 dell'art. 126-bis è stata sostituita, prevedendosi
che, nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione all'anagrafe nazionale degli abilitati
alla guida debba «essere effettuata a carico del proprietario del veicolo», aggiungendosi che il suddetto
proprietario, per evitare tale effetto pregiudizievole, è tenuto a comunicare, entro trenta giorni dalla richiesta
ricevutane, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento
della violazione commessa. È poi previsto che «se il proprietario del veicolo risulta una persona giuridica, il
suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine,
all'organo di polizia che procede». La norma in esame, infine, aggiunge che «se il proprietario del veicolo
omette di fornirli, si applica a suo carico la sanzione prevista dall'art. 180, comma 8», vale a dire quella
secondo la quale «chiunque senza giustificato motivo non ottempera all'invito dell'autorità di presentarsi,
entro il termine stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire
documenti ai fini dell'accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, è soggetto
alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 343,35 a euro 1.376,55».
Dall'insieme delle citate disposizioni emerge, dunque, che nel caso in cui proprietario del veicolo sia una
persona fisica munita di patente e l'infrazione sia punita, oltre che con la sanzione pecuniaria prevista da
altre norme del codice, specificamente indicate in una apposita tabella, anche con quella della decurtazione
del punteggio della patente, il proprietario del mezzo, da un lato, risponde in solido con il conducente per il
pagamento della sanzione pecuniaria principale (art. 196 del codice della strada), e, dall'altro, si vede detratti
i punti della patente. Tale ulteriore sanzione si applica, peraltro, quando non sia stato possibile identificare il
conducente e il proprietario medesimo, ricevutane apposita richiesta, abbia omesso di indicare all'autorità le
generalità ed i dati della patente del conducente che era alla guida del veicolo; indicazione che, invece, come
si è detto, determina l'inapplicabilità al proprietario della sanzione consistente nella decurtazione del
punteggio.
Ora, appare evidente che l'applicazione di questa ulteriore sanzione prescinde da qualsivoglia accertamento
della responsabilità personale del proprietario del veicolo in relazione alla violazione delle norme
concernenti la circolazione stradale.
9.- È alla luce di siffatta disciplina complessiva che deve essere effettuato lo scrutinio di costituzionalità
sollecitato dai rimettenti, i quali ritengono che la sanzione de qua sia incompatibile con uno o più dei
parametri costituzionali evocati.
9.1.- Viene, innanzi tutto, in rilievo la censura con la quale è stata dedotta la violazione dell'art. 24 della
Costituzione.
Assumono taluni dei giudici rimettenti che «la possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione
immediata» costituirebbe «di per sé una compromissione del diritto di difesa». Sotto altro aspetto, ancora
con riferimento al citato parametro costituzionale, viene dedotto che la disposizione censurata
pregiudicherebbe «il diritto a non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con
l'Autorità per la propria incriminazione»; diritto che sarebbe sancito «in ossequio all'antico brocardo nemo
tenetur se detegere». Infine, si assume che il diritto alla difesa risulterebbe pregiudicato, in ogni caso, dal
fatto che la disposizione in esame prevede un termine di appena trenta giorni, entro il quale il proprietario
del veicolo è tenuto a comunicare i dati personali e della patente del conducente responsabile dell'infrazione;
un termine, pertanto, «nettamente inferiore» a quello di sessanta giorni per proporre ricorso al giudice di
pace o al prefetto, al fine di conseguire l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione stradale.
L'irrogazione della sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di guida, sebbene risulti ancora
pendente il termine per adire le vie giudiziali o amministrative onde attingere la caducazione del verbale di
contestazione dell'infrazione, rappresenterebbe una menomazione del diritto di difesa.
9.1.1.- Va chiarito, in proposito, che la mancata previsione della contestazione "immediata" dell'infrazione
punita con una misura amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di difesa. E a ciò va
aggiunto che, in sostanza, la doglianza investe la possibilità - prevista dall'art. 4, comma 4, del decreto-legge
20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito
nella legge 1° agosto 2002, n. 168 - di non procedere alla contestazione immediata dell'infrazione rilevata, di
talché essa, più che indirizzarsi contro la previsione dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada,
avrebbe dovuto investire la disposizione che tale possibilità contempla.
9.1.2.- Quanto alla paventata necessità per il proprietario del veicolo di autodenunciarsi, il dubbio di
costituzionalità sollevato dai rimettenti appare fondarsi su di una inesatta esegesi del dato normativo. Si
consideri, difatti, che la disposizione impugnata espressamente stabilisce che la comunicazione all'anagrafe
nazionale degli abilitati alla guida dell'avvenuta perdita del punteggio dalla patente (e cioè l'adempimento
che ha come presupposto, nel caso di mancata identificazione del conducente responsabile della violazione,
proprio l'avvenuta inutile richiesta al proprietario del veicolo di fornire i dati personali e della patente del
predetto conducente) deve avvenire «entro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata»,
definizione che presuppone, a sua volta, che «siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o
giurisdizionali ammessi», ovvero - ed è proprio siffatta previsione ad essere dirimente rispetto alla censura
in esame - che «siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi».
In nessun caso, quindi, il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente
prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento del verbale di
contestazione dell'infrazione.
9.2.- Fondate sono, invece, le censure di violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della
irragionevolezza della disposizione, nel senso che essa dà vita ad una sanzione assolutamente sui generis,
giacché la stessa - pur essendo di natura personale - non appare riconducibile ad un contegno direttamente
posto in essere dal proprietario del veicolo e consistente nella trasgressione di una specifica norma relativa
alla circolazione stradale.
9.2.1.- A tale conclusione conduce la ricostruzione del contenuto della disposizione censurata alla luce della
disciplina generale del sistema sanzionatorio previsto per gli illeciti amministrativi, dalla legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
L'art. 3 di tale legge fissa due principî fondamentali: quello secondo il quale «nelle violazioni cui è
applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione,
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa» (primo comma); e quello secondo il quale «nel caso in cui la
violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da
sua colpa» (secondo comma). Il citato articolo ancora la responsabilità per comportamenti tipizzati dalla
norma al carattere personale d