Wotan
20-08-2007, 21:14
PROLOGO
Era dall’inizio di agosto che mi dicevo che nella settimana di Ferragosto avrei voluto fare un giro in moto un po’ più lungo del solito.
Ciondolando pigramente per Roma e dintorni, tra una cena di pesce a Fregene, una grigliata di carne a Piramide e un pasticcio di opera a Caracalla, avevo cominciato a vagare per gli scaffali di Feltrinelli in cerca di guide e mappe varie, senza avere le idee molto chiare: Normandia? Alpi? Praga? Boh.
In ogni caso, bisognava cominciare a mettere a punto la moto.
I PREPARATIVI
Martedì 7 agosto
Tagliando fatto da 6000 km, va bene così. Olio ok. Liquidi freni e frizione sono a livello. Le pasticche dovrebbero essere a posto (e comunque da quando sono sceso da Campo Imperatore senza poter usare i freni me ne porto una scorta completa). Le Pilot Road 2 sono ancora belle rotonde, ma dopo 10.000 km il battistrada della posteriore è quasi ai marcatori di usura; meglio cambiarle subito.
In mattinata arranco fino all’officina di Luigi, il simpatico filibustiere da cui mi servo da anni, a Porta Pia. “Lui’, ce le hai le Pilot Road 2?” “Qui no. Te faccio sape’ se le rimedio.”
Nel pomeriggio mi chiama: “Nun se trovano da nessuna parte.” “Che altro hai?” “E passa, dai!”
Ripasso. Ha solo le Pilot Road vecchio tipo e le Z6, e entrambe non mi entusiasmano. Mi promette un prezzaccio, "Ci penso e ti faccio sapere.", ma non sono convinto.
Sguinzaglio Holz, l’amico di una vita, il re delle officine.
Mercoledì 8 agosto
Nel pomeriggio Holz mi telefona l’indirizzo del suo gommista che, ovviamente, ha le PR2. Fantastico, prendo un appuntamento per venerdì mattina, dato che giovedì prevediamo di andare a fare un giro fuori Roma.
A fine telefonata prendo la moto per fare un giretto e zac! si accende la spia dell’ABS. Porcavacca. Eppure i livelli erano a posto. Possibile che le pasticche posteriori siano finite dopo soli 7000 km (in genere me ne durano 9000)?
Verifico, e per sicurezza le smonto: ce n’è ancora un 25%. Smonto anche le anteriori, stanno al 50% circa; tocca far fare una diagnosi, ma ormai è tardi per andare in officina.
Giovedì 9 agosto
Di prima mattina mi fiondo da Collalti. Mi accoglie un meccanico che conosco poco, ma che mi riconosce.
“Eh, non possiamo farci niente, domani chiudiamo e siamo sotto organico”.
“Potreste almeno collegare la moto alla diagnostica, così posso sapere se è una fesseria tipo il livello degli altri due circuiti frenanti (quelli non visibili al comune mortale) oppure si è rotta la centralina e mi devo suicidare?”
“Spiacente, non facciamo in tempo a fare neanche questo.” Insisto per almeno venti minuti per un operazione che ne richiede sì e no dieci, che se me la faceva al volo perdeva meno tempo. Qui hanno probabilmente termine i miei sei anni di assiduo rapporto con Collalti, mi dispiace per Alfredo. Formalmente non ho subito alcuna scortesia o irregolarità, ma da cliente abituale non trovo accettabile un simile comportamento.
Vado da BMW Roma in via Prenestina, dove peraltro da qualche mese sono in forza i gentilissimi Pino e Tonino, precedentemente capiofficina da Collalti.
Tonino mi ascolta e guarda la moto. “Cambia le pasticche posteriori, al novantanove percento è quello.”
Vado a casa e le cambio al volo, dopodichè raggiungo Holz sul Terminillo e ci spariamo i soliti 300 km di goduria appenninica (Leonessa e Lago di Campotosto), senza che la spia dell’ABS dia alcun cenno di vita. Fantastico!
Venerdì 10 agosto
In mattinata prendo la moto per andare a cambiare le gomme, e si riaccende la spia dell’ABS. Porcacciadiquella@#?%!
Volo a Prenestina. “Toni’, si è verificato l’altro uno percento!” “Attacchiamo la spina e vediamo.”
Intanto sposto il gommista al primo pomeriggio, facendo gli scongiuri.
Per fortuna, dopo una mezz’oretta Tonino torna con la moto a posto; effettivamente era basso uno dei due livelli stealth, rabbocco fatto e tutto a posto, “Quant’è?” “Ci mancherebbe, buone ferie!”. Grande, come sempre.
Nel pomeriggio vado all’EUR dal gommista, D’Olivo a via Pigafetta. Lavora molto bene e me le mette 315 Euri tutto compreso. Dopo di me chiude il negozio e va in ferie.
Ovviamente si mette a piovere a scroscio; le gomme cerate rendono il ritorno a casa (a Talenti) indimenticabile.
Il mezzo è a posto. Resta solo da decidere dove andare e quando.
Sabato 11 agosto
Comincio a delineare i contorni di un viaggetto con passaggio nel Tirolo austriaco, dove c’è Holz in vacanza con la famiglia. Va lì da sei anni, ma sempre in macchina, e non è mai riuscito a farsi il Grossglockner in moto; sarebbe l’occasione per farlo rosicare ben benino.
Ma il meteo dice che al nord piglierò l’acqua da tutte le parti. Non mi pare una buona idea.
Medito quindi un giro in Sardegna, o in Sicilia, o forse in Puglia, ma magari me ne vado all’Elba a casa di amici, oppure a Ponza in barca di altri amici: poche idee, ma confuse. Niente mi attira sul serio, e intanto il tempo passa.
Domenica 12 agosto
Me la sparo con mia figlia a S. Stefano. Bagni e giochi a non finire. Non penso ad altro.
Lunedì 13 agosto
Il meteo austriaco sembra essere più favorevole. Decido di partire il giorno dopo, la mattina o al massimo nel primo pomeriggio, per poi rientrare sabato 18 sera a S. Stefano da mia figlia. Pianifico un percorso di massima, scarico le mappe sul navigatore e faccio i bagagli, dopodichè trascorro il resto della giornata a rosolarmi al sole di Maccarese con il mio amore adorato.
Martedì 14 agosto
In mattinata chiamo un albergo di Longarone (sopra Belluno), dove prevedo di passare la notte. Mi risponde la proprietaria, parlata veneta e voce simpatica, e mi dice che c’è posto.
Poi torno a Maccarese con il mio amore, e ci sto talmente bene che decido di fregarmene della partenza. Richiamo Longarone, parlo col marito della padrona e disdico. Torno a casa alle 20, felice e abbrustolito.
Doccia. Mi sento bene, per niente stanco nonostante abbia dormito sì e no cinque ore la notte precedente; mi è piaciuto molto guidare la moto al rientro.
Decido quindi di partire nonostante l’ora e andare verso nord, non importa dove arrivo (Firenze? Bologna?), meglio che non fare un tubo a casa. Mangio qualcosa di energetico, monto le borse laterali, carico i bagagli e la dotazione di sicurezza obbligatoria in Austria (triangolo e giubbino prelevati dall’auto e kit di primo soccorso acquistato da Lidl, come ogni QdE che si rispetti), setto le sospensioni, serro due bulloni del topcase che se ne vogliono andare per fatti loro e mi muovo. Sono le 20.50.
IL VIAGGIO
Imbocco l’Autosole e faccio il pieno. Traffico praticamente inesistente; mi impongo di rispettare il limite e mi piazzo a 130 di GPS con il regolatore di velocità inserito, una comodità davvero preziosa in tempi di autovelox.
Presto diventa buio e inizio a viaggiare sotto un mare di stelle. Seguo la Polare, le fanno da ali il Grande Carro e Cassiopea; Giove risplende maestoso alla mia sinistra.
Il motore sibila sui 4500 giri, l’assetto è azzeccato. Le gomme nuove, ormai rodate, fanno il loro dovere. Man mano che viaggio comincio a sentire meglio la moto, finché il mio corpo entra in sintonia con le sospensioni e la strada diventa una nuvola.
Il tempo e i chilometri scivolano via senza fatica. Passo Firenze di slancio (che bello, i lavori sono quasi finiti!) e mi fermo sull’Appennino a fare il pieno. Stranamente non ho sonno, forse anche per il piacevole freschetto. Il navigatore, settato ottimisticamente su Longarone, mi dice che potrei arrivarci alle 2. Richiamo l’albergo, è di nuovo la simpaticona che risponde.
“Senta, io alla fine sono partito, ma arriverei molto tardi.” “Quanto tardi?” “Alle due.” “Ostrega! A quell’ora siamo a letto! Ma se proprio decide di arrivare, suoni il campanello e noi risponderemo alla chiamata.” “Farò il possibile per evitarglielo.”
Riparto e continuo col mio passo legale e costante. Stranamente scopro che, almeno in autostrada, lasciare i piedi ciondoloni a sfiorare l’asfalto, con le caviglie appoggiate alle pedane, è una posizione molto comoda.
Supero Bologna, poi Ferrara (dove mi fanno compagnia dei fantastici fuochi d’artificio e una stella cadente da primato), poi Rovigo e ancora Padova.
A Mestre (tangenziale deserta!) comincia a pesarmi la stanchezza. Decido di uscire a Treviso (chissà dov’è Paolob? Ma non mi pare l’ora di verificarlo), dove mi cade l’occhio sull’insegna dell’Hotel Roy. Sembra vicino, ma quasi mi perdo per raggiungerlo, e quando arrivo, la porta d’ingresso è chiusa dall’interno con una catena. Trovo la cosa così stupida che mi incazzo abbastanza da risvegliarmi, e riparto.
Decido di approfittare dell’adrenalina per fare una tirata a 200 (per l’esattezza 207 GPS, con le valige non mi pare il caso di andare oltre, anche se l’assetto è impeccabile) e recuperare il tempo perduto; arrivo a Belluno in un soffio, e di lì a Longarone è un passo.
Trovo l’albergo (Hotel Posta) miracolosamente aperto, con due uomini che parlano seduti ad un tavolo all’esterno. Mi squadrano,
“Salve! Non credevo di trovare qualcuno sveglio a quest’ora!”
Mi risponde evidentemente il marito della proprietaria, burbero: “ Lei è quello di Roma che ha chiamato e richiamato?”
“Proprio lui!”
“Se non era per mia moglie, col piffero che gliela davo la stanza, a uno che ci ripensa tutte quelle volte!”
“Comunque, ci ha creduto abbastanza da rimanere in piedi ad aspettarmi!”
“Non si illuda, è un caso, giusto perché mi ha tenuto sveglio questo signore qui.”, signore che sghignazza come un pazzo alla scena e mi scuote vigorosamente il braccio dicendo che lo devo ringraziare per aver tenuto sveglio l'albergatore. Non mi sembra proprio da sbellicarsi dalle risate, ma lui è contento.
Mercoledì 15 agosto
Sveglia alle 9, colazione e partenza, destinazione St. Johann im Pongau, a sud di Salisburgo, dove Holz e famiglia mi aspettano nel pomeriggio presso la pensione Ötzmooshof (per capire come si pronuncia e cosa vuol dire ci ho messo una serata intera, lasciate perdere entrambe le cose).
Si impone il passaggio per il Grossglockner; faccio quindi rotta per Dobbiaco e Lienz. La via più breve sarebbe per Cortina, ma visto il mio eroismo della sera precedente ho tempo in abbondanza e decido di fare una strada che non conosco, passando per Domegge (mai viste tante fabbriche di occhiali!) e Auronzo fino al lago di Misurina.
Il tempo è bello, l'aria è frizzante e il cielo azzurro vivo, sembra di poter toccare le vette con le dita.
Con tutta calma arrivo al confine austriaco e mi infilo nella prima stazione di servizio. Immaginavo di usare l'inglese, visto che il poco tedesco che conosco è in soffitta da almeno dieci anni, ma al saluto dell’esercente rispondo istintivamente nella sua lingua. Chiedo la vignette, e preso dal mio slancio tedescofono la pronuncio “fig-nette”, per scoprire subito che ho fatto una grezza, visto che gli austriaci la pronunciano esattamente come faremmo noi leggendola in italiano.
Ne esistono varie versioni, secondo il tipo di veicolo e la durata; per dieci giorni in moto pago circa 5 Euro. Mi chiedo che ci fa Autostrade con tutti i soldi che gli diamo.
Incollata la vignette, mi rendo conto che il mio cellulare ha perso il campo. È un telefono aziendale non abilitato all’estero; il fatto di trascorrere qualche giorno senza questa seccatura mi mette addosso un discreto buonumore.
Riparto alla volta di Lienz e poi della Grossglockner Hochalpenstrasse, la strada a pagamento (circa 17 Euro per una moto) che valica il massiccio omonimo.
Circolare in Austria (e in Mitteleuropa in generale) rimane sempre un’esperienza molto piacevole, per la chiarezza della segnaletica, i limiti di velocità ragionevoli (e non messi a casaccio come spesso avviene da noi) e la diffusa disciplina di tutti gli utenti, che rende istintivo rispettare le norme.
Al riguardo, faccio tre annotazioni particolari.
Striscia di mezzeria continua: è rarissima! Anche nelle strade piene di curve c’è la striscia tratteggiata, quella continua viene messa solo in prossimità degli incroci e nei tratti particolarmente pericolosi, punto e basta! Sta alla responsabilità del conducente valutare se può passare o no, secondo le circostanze.
Divieto di sorpasso: è sempre motivato ed è quasi sempre corredato di un cartello che deroga al divieto nel caso dei trattori agricoli.
Limiti di velocità: i relativi cartelli hanno sempre un pannello che spiega il perché della limitazione (ad esempio, per ridurre i rumori in prossimità di un centro abitato).
Sono particolari che denotano civiltà al volante e sensibilità dell’amministrazione per i bisogni degli utenti.
Passeggiando con gran piacere raggiungo il Grossglockner. I paesaggi sono molto belli, ma tutto sommato non vedo nulla che possa far sfigurare un qualsiasi passo dolomitico. La strada è molto comoda e agevole, e questo toglie un po’ di gusto all’ascensione, nonostante il passo raggiunga i 2500 metri.
Lungo il percorso faccio due deviazioni.
Con la prima raggiungo il Kaiser-Franz-Josefs-Höhe, un belvedere che affaccia sul ghiacciaio Pasterze, il più grande della zona. Sorpassando una coda di auto infinita, giungo ad un piazzale che ha tutto l’aspetto del molo d’imbarco di un traghetto estivo. Scopro che si tratta di un’area-polmone, dove fanno sostare temporaneamente (ma a lungo, a giudicare dalle facce dei passeggeri e dai messaggi diffusi dagli altoparlanti) le auto dirette al belvedere, in attesa che nel piccolo parcheggio al termine della strada si liberi qualche posto. Senza dubbio è una soluzione razionale, ma la trovo un tantino demenziale. Comunque, le moto sono autorizzate ad imbarcarsi direttamente.
La seconda deviazione è su una breve e ripida strada in pavè che conduce ad un picco chiamato Edelweiss-Spitze. A quota 2571, consente una vista mozzafiato su tutto il Tirolo ed è pieno di motociclisti (in generale molto benvoluti in tutto il comprensorio). Nel locale negozio di souvenir compro, oltre all’adesivino del Grossglockner da attaccare sul parafango della moto, una marmotta di peluche per mia figlia: ha un miliardo di pupazzi di ogni tipo, ma credo (a ragione, scoprirò in seguito) che nonne e zie varie non abbiano ancora scoperto questo animale.
Lungo il percorso mi fermo su una piazzola di sosta panoramica, nella quale è allestito un piccolo museo geologico, con schemi della morfologia del Grossglockner e un discreto campionario di massi di vario tipo, ciascuno corredato della sua targhetta di metallo gialla che indica il nome della roccia in 5 o 6 lingue. Più in là nella piazzola scopro altri massi la cui targhetta, munita di una maniglia, reca solo un punto interrogativo. Sollevo la maniglia e sotto appare una seconda targhetta con la risposta. Sulle prime mi viene da ridere, ma poi considero che si tratta di un'idea veramente carina, frutto di una mente magari un po' secchiona, ma attenta e gentile.
Dopo un pranzo prevedibilmente demenziale (ordino penne all’arrabbiata e mi arrivano delle discrete penne alla puttanesca, però completamente ricoperte di un’insalata alla vinaigrette!), riparto alla volta di St. Johann.
La pensione Ötzmooshof si trova un po’ fuori dall’abitato, ed è un grazioso chalet piazzato a mezza costa su una collina, da cui si gode una bella visuale della valle e del monte Hochkönig. Al mio arrivo alle 15,30, in anticipo rispetto al previsto, trovo ad accogliermi i due proprietari, Hubert e Christl, persone di una cordialità non comune, intenti a preparare gli ingredienti del sontuoso barbecue previsto per la cena.
Poco dopo arrivano anche Holz (che puntualmente rosica alla vista dell'adesivo sul mio parafango) con moglie e figlia, una gran bella famiglia, e poi alcuni loro amici italiani, con cui trascorro una serata splendida, in maniche di camicia (cosa piuttosto rara da quelle parti) e sotto lo splendore della Via Lattea.
Giovedì 16 agosto
La mattina, nonostante avessi ipotizzato di restare un’altra giornata, me ne vado. Mi sta venendo una gran nostalgia di mia figlia e perciò decido di raggiungerla venerdì sera anziché sabato sera. Potrei anche restare e fare il ritorno tutto in una tirata, ma per completare il mio viaggio devo almeno raggiungere Monaco, dove ho una piccola missione da compiere, e il Passo dello Stelvio, senza il quale un viaggio sulle Alpi non è un vero viaggio.
Complice della decisione è anche il tempo, che è cambiato; nuvole minacciose nascondono il sole e le vette circostanti, e non mi sembra il caso di partecipare alla prevista escursione a piedi sui monti con relativa cena.
Mi metto dunque in rotta alle 10 verso Salisburgo e da lì punto per Monaco. Il traffico è molto sostenuto, e nonostante l’autostrada abbia parecchi tratti senza limite, impiego quasi due ore e mezza per fare 170 km, parte dei quali sotto una pioggia per fortuna non troppo intensa.
A Monaco me ne infischio del Museo BMW (dove avevo inizialmente pensato di passare) e vado dritto al Deutsches Museum, il museo della scienza e della tecnica. Non vedendo un posto per le moto, chiedo al custode dove parcheggiare, e allibito mi sento dire che posso metterla su un marciapiede! Mi sento quasi a casa.
Per fare il biglietto c’è una fila chilometrica, per cui lascio perdere. In effetti la mia missione non è visitare il museo, ma setacciare il negozio del museo, una specie di super Città del Sole, a caccia di regali per mia figlia. Trovo diverse cosette interessanti (raggiungendo i limiti di capienza delle valigie) e dopo un ottimo piatto di scaloppine al limone (!) in un ristorante italiano, riparto in direzione sud.
Un’autostrada mi conduce fino a Garmisch-Partenkirchen, da dove proseguo tra le curve e le raffiche di una pioggia torrenziale per Ehrwald e Landeck. Colgo l’occasione per ringraziare mamma BMW per la mia costosissima, ma fantastica combinazione Tourguard, che ormai al quarto anno di onorato servizio si è mantenuta perfettamente asciutta all’interno e non si è minimamente impregnata nonostante le ore di acqua scrosciante, e la Michelin per le Pilot Road 2, semplicemente magnifiche sul bagnato.
Raggiungo il Passo di Resia, molto bello e caratterizzato dai due enormi generatori eolici posti ai due lati della strada. In effetti è davvero molto, molto ventoso, tanto da farmi provare per la prima volta problemi di stabilità alla guida; per fortuna la pioggia è cessata da poco e la strada asciutta.
Raggiungo la Valle dell’Adige e a Spondigna imbocco la statale dello Stelvio. Alla vista del cartello indicatore del 48° tornante non riesco proprio a trattenere un sorriso di soddisfazione; stanco, ma felice, do l’assalto alla salita con determinazione, sverniciando quel poco che trovo in giro, e alle 19 sono in cima.
Ceno ottimamente in un ristorante sul passo. Mi viene quasi la tentazione di dormire sul posto, ma il demone chilometrico ha di nuovo il sopravvento; poco prima delle 21 inizio la discesa verso Bormio con i suoi "miseri" 37 tornanti.
Percorro tutta la Valtellina a velocità codice, una tortura che auguro a pochi. Dopo aver passato un centinaio di tunnel e migliaia di cartelli con il limite a 50, alle 23,40 raggiungo Milano, dove mi regalo una notte in un buon 4 stelle, meritatissimo.
Venerdì 17 agosto
Piove a dirotto. A colazione mi imbatto in un mâitre appassionato di moto BMW. La chiacchierata si allunga piacevolmente e questo è un bene, perché permette al sole di uscire.
Parto quindi con comodo, rotta per Parma e poi per il passo della Cisa.
La statale del passo è molto bella, lunga e piacevole; in effetti il percorso consta di una successione di diversi passi, di cui la Cisa è il più alto. Lungo la strada mi fermo a pranzo in una trattoria (è la prima che si trova scendendo dal passo verso Pontremoli, non ricordo il nome), dove, dopo aver mangiato ottime tagliatelle ai funghi, vedo passare un piatto di “testaroli”, specie di grandi maltagliati rettangolari fatti con un impasto un po’ spugnoso tipo crêpes e conditi con pesto alla genovese, e decido di prenderne mezza porzione al posto del secondo: veramente stupendi! Per tutto il pranzo (antipasto, un primo e mezzo, contorno, acqua, vino e caffè) spendo 15 Euro; a Roma ci avrei preso sì e no una pizza con acqua minerale.
Riparto e scendo in Lunigiana; attraverso pigramente Pontremoli e Aulla (anche qui i limiti di velocità sono ridicoli come in Valtellina) fino a raggiungere la costa a Massa, dopodichè imbocco l’autostrada per Rosignano e poi l’Aurelia (di cui apprezzo il limite a 110) fino all’Argentario.
Gli occhi azzurri e il sorriso di mia figlia abbracciata alla Marmotta del Grossglockner mi sembrano la cosa più bella del mondo.
EPILOGO
In tre giorni esatti ho percorso 2312 chilometri ad una media di circa 76 km/h, con un consumo medio di quasi 21 km/l. Il Kappone si è confermato una moto spettacolare per confort, affidabilità, consumi, sicurezza (grazie anche alle Pilot Road 2) e piacere di guida.
È il viaggio in moto più lungo che ho fatto finora. Mi ha dato modo di riflettere a lungo sulle scelte difficili che ho fatto negli ultimi tempi, mi ha ricordato che stare ogni tanto un po’ soli con se stessi fa bene allo spirito, mi ha fatto capire che è possibile stare in sella per intere giornate senza problemi e, soprattutto, mi ha dato l’ennesima conferma del fatto che la mia meravigliosa figlia e il mio amore adorato sono quanto di più importante ci sia nella mia vita.
Era dall’inizio di agosto che mi dicevo che nella settimana di Ferragosto avrei voluto fare un giro in moto un po’ più lungo del solito.
Ciondolando pigramente per Roma e dintorni, tra una cena di pesce a Fregene, una grigliata di carne a Piramide e un pasticcio di opera a Caracalla, avevo cominciato a vagare per gli scaffali di Feltrinelli in cerca di guide e mappe varie, senza avere le idee molto chiare: Normandia? Alpi? Praga? Boh.
In ogni caso, bisognava cominciare a mettere a punto la moto.
I PREPARATIVI
Martedì 7 agosto
Tagliando fatto da 6000 km, va bene così. Olio ok. Liquidi freni e frizione sono a livello. Le pasticche dovrebbero essere a posto (e comunque da quando sono sceso da Campo Imperatore senza poter usare i freni me ne porto una scorta completa). Le Pilot Road 2 sono ancora belle rotonde, ma dopo 10.000 km il battistrada della posteriore è quasi ai marcatori di usura; meglio cambiarle subito.
In mattinata arranco fino all’officina di Luigi, il simpatico filibustiere da cui mi servo da anni, a Porta Pia. “Lui’, ce le hai le Pilot Road 2?” “Qui no. Te faccio sape’ se le rimedio.”
Nel pomeriggio mi chiama: “Nun se trovano da nessuna parte.” “Che altro hai?” “E passa, dai!”
Ripasso. Ha solo le Pilot Road vecchio tipo e le Z6, e entrambe non mi entusiasmano. Mi promette un prezzaccio, "Ci penso e ti faccio sapere.", ma non sono convinto.
Sguinzaglio Holz, l’amico di una vita, il re delle officine.
Mercoledì 8 agosto
Nel pomeriggio Holz mi telefona l’indirizzo del suo gommista che, ovviamente, ha le PR2. Fantastico, prendo un appuntamento per venerdì mattina, dato che giovedì prevediamo di andare a fare un giro fuori Roma.
A fine telefonata prendo la moto per fare un giretto e zac! si accende la spia dell’ABS. Porcavacca. Eppure i livelli erano a posto. Possibile che le pasticche posteriori siano finite dopo soli 7000 km (in genere me ne durano 9000)?
Verifico, e per sicurezza le smonto: ce n’è ancora un 25%. Smonto anche le anteriori, stanno al 50% circa; tocca far fare una diagnosi, ma ormai è tardi per andare in officina.
Giovedì 9 agosto
Di prima mattina mi fiondo da Collalti. Mi accoglie un meccanico che conosco poco, ma che mi riconosce.
“Eh, non possiamo farci niente, domani chiudiamo e siamo sotto organico”.
“Potreste almeno collegare la moto alla diagnostica, così posso sapere se è una fesseria tipo il livello degli altri due circuiti frenanti (quelli non visibili al comune mortale) oppure si è rotta la centralina e mi devo suicidare?”
“Spiacente, non facciamo in tempo a fare neanche questo.” Insisto per almeno venti minuti per un operazione che ne richiede sì e no dieci, che se me la faceva al volo perdeva meno tempo. Qui hanno probabilmente termine i miei sei anni di assiduo rapporto con Collalti, mi dispiace per Alfredo. Formalmente non ho subito alcuna scortesia o irregolarità, ma da cliente abituale non trovo accettabile un simile comportamento.
Vado da BMW Roma in via Prenestina, dove peraltro da qualche mese sono in forza i gentilissimi Pino e Tonino, precedentemente capiofficina da Collalti.
Tonino mi ascolta e guarda la moto. “Cambia le pasticche posteriori, al novantanove percento è quello.”
Vado a casa e le cambio al volo, dopodichè raggiungo Holz sul Terminillo e ci spariamo i soliti 300 km di goduria appenninica (Leonessa e Lago di Campotosto), senza che la spia dell’ABS dia alcun cenno di vita. Fantastico!
Venerdì 10 agosto
In mattinata prendo la moto per andare a cambiare le gomme, e si riaccende la spia dell’ABS. Porcacciadiquella@#?%!
Volo a Prenestina. “Toni’, si è verificato l’altro uno percento!” “Attacchiamo la spina e vediamo.”
Intanto sposto il gommista al primo pomeriggio, facendo gli scongiuri.
Per fortuna, dopo una mezz’oretta Tonino torna con la moto a posto; effettivamente era basso uno dei due livelli stealth, rabbocco fatto e tutto a posto, “Quant’è?” “Ci mancherebbe, buone ferie!”. Grande, come sempre.
Nel pomeriggio vado all’EUR dal gommista, D’Olivo a via Pigafetta. Lavora molto bene e me le mette 315 Euri tutto compreso. Dopo di me chiude il negozio e va in ferie.
Ovviamente si mette a piovere a scroscio; le gomme cerate rendono il ritorno a casa (a Talenti) indimenticabile.
Il mezzo è a posto. Resta solo da decidere dove andare e quando.
Sabato 11 agosto
Comincio a delineare i contorni di un viaggetto con passaggio nel Tirolo austriaco, dove c’è Holz in vacanza con la famiglia. Va lì da sei anni, ma sempre in macchina, e non è mai riuscito a farsi il Grossglockner in moto; sarebbe l’occasione per farlo rosicare ben benino.
Ma il meteo dice che al nord piglierò l’acqua da tutte le parti. Non mi pare una buona idea.
Medito quindi un giro in Sardegna, o in Sicilia, o forse in Puglia, ma magari me ne vado all’Elba a casa di amici, oppure a Ponza in barca di altri amici: poche idee, ma confuse. Niente mi attira sul serio, e intanto il tempo passa.
Domenica 12 agosto
Me la sparo con mia figlia a S. Stefano. Bagni e giochi a non finire. Non penso ad altro.
Lunedì 13 agosto
Il meteo austriaco sembra essere più favorevole. Decido di partire il giorno dopo, la mattina o al massimo nel primo pomeriggio, per poi rientrare sabato 18 sera a S. Stefano da mia figlia. Pianifico un percorso di massima, scarico le mappe sul navigatore e faccio i bagagli, dopodichè trascorro il resto della giornata a rosolarmi al sole di Maccarese con il mio amore adorato.
Martedì 14 agosto
In mattinata chiamo un albergo di Longarone (sopra Belluno), dove prevedo di passare la notte. Mi risponde la proprietaria, parlata veneta e voce simpatica, e mi dice che c’è posto.
Poi torno a Maccarese con il mio amore, e ci sto talmente bene che decido di fregarmene della partenza. Richiamo Longarone, parlo col marito della padrona e disdico. Torno a casa alle 20, felice e abbrustolito.
Doccia. Mi sento bene, per niente stanco nonostante abbia dormito sì e no cinque ore la notte precedente; mi è piaciuto molto guidare la moto al rientro.
Decido quindi di partire nonostante l’ora e andare verso nord, non importa dove arrivo (Firenze? Bologna?), meglio che non fare un tubo a casa. Mangio qualcosa di energetico, monto le borse laterali, carico i bagagli e la dotazione di sicurezza obbligatoria in Austria (triangolo e giubbino prelevati dall’auto e kit di primo soccorso acquistato da Lidl, come ogni QdE che si rispetti), setto le sospensioni, serro due bulloni del topcase che se ne vogliono andare per fatti loro e mi muovo. Sono le 20.50.
IL VIAGGIO
Imbocco l’Autosole e faccio il pieno. Traffico praticamente inesistente; mi impongo di rispettare il limite e mi piazzo a 130 di GPS con il regolatore di velocità inserito, una comodità davvero preziosa in tempi di autovelox.
Presto diventa buio e inizio a viaggiare sotto un mare di stelle. Seguo la Polare, le fanno da ali il Grande Carro e Cassiopea; Giove risplende maestoso alla mia sinistra.
Il motore sibila sui 4500 giri, l’assetto è azzeccato. Le gomme nuove, ormai rodate, fanno il loro dovere. Man mano che viaggio comincio a sentire meglio la moto, finché il mio corpo entra in sintonia con le sospensioni e la strada diventa una nuvola.
Il tempo e i chilometri scivolano via senza fatica. Passo Firenze di slancio (che bello, i lavori sono quasi finiti!) e mi fermo sull’Appennino a fare il pieno. Stranamente non ho sonno, forse anche per il piacevole freschetto. Il navigatore, settato ottimisticamente su Longarone, mi dice che potrei arrivarci alle 2. Richiamo l’albergo, è di nuovo la simpaticona che risponde.
“Senta, io alla fine sono partito, ma arriverei molto tardi.” “Quanto tardi?” “Alle due.” “Ostrega! A quell’ora siamo a letto! Ma se proprio decide di arrivare, suoni il campanello e noi risponderemo alla chiamata.” “Farò il possibile per evitarglielo.”
Riparto e continuo col mio passo legale e costante. Stranamente scopro che, almeno in autostrada, lasciare i piedi ciondoloni a sfiorare l’asfalto, con le caviglie appoggiate alle pedane, è una posizione molto comoda.
Supero Bologna, poi Ferrara (dove mi fanno compagnia dei fantastici fuochi d’artificio e una stella cadente da primato), poi Rovigo e ancora Padova.
A Mestre (tangenziale deserta!) comincia a pesarmi la stanchezza. Decido di uscire a Treviso (chissà dov’è Paolob? Ma non mi pare l’ora di verificarlo), dove mi cade l’occhio sull’insegna dell’Hotel Roy. Sembra vicino, ma quasi mi perdo per raggiungerlo, e quando arrivo, la porta d’ingresso è chiusa dall’interno con una catena. Trovo la cosa così stupida che mi incazzo abbastanza da risvegliarmi, e riparto.
Decido di approfittare dell’adrenalina per fare una tirata a 200 (per l’esattezza 207 GPS, con le valige non mi pare il caso di andare oltre, anche se l’assetto è impeccabile) e recuperare il tempo perduto; arrivo a Belluno in un soffio, e di lì a Longarone è un passo.
Trovo l’albergo (Hotel Posta) miracolosamente aperto, con due uomini che parlano seduti ad un tavolo all’esterno. Mi squadrano,
“Salve! Non credevo di trovare qualcuno sveglio a quest’ora!”
Mi risponde evidentemente il marito della proprietaria, burbero: “ Lei è quello di Roma che ha chiamato e richiamato?”
“Proprio lui!”
“Se non era per mia moglie, col piffero che gliela davo la stanza, a uno che ci ripensa tutte quelle volte!”
“Comunque, ci ha creduto abbastanza da rimanere in piedi ad aspettarmi!”
“Non si illuda, è un caso, giusto perché mi ha tenuto sveglio questo signore qui.”, signore che sghignazza come un pazzo alla scena e mi scuote vigorosamente il braccio dicendo che lo devo ringraziare per aver tenuto sveglio l'albergatore. Non mi sembra proprio da sbellicarsi dalle risate, ma lui è contento.
Mercoledì 15 agosto
Sveglia alle 9, colazione e partenza, destinazione St. Johann im Pongau, a sud di Salisburgo, dove Holz e famiglia mi aspettano nel pomeriggio presso la pensione Ötzmooshof (per capire come si pronuncia e cosa vuol dire ci ho messo una serata intera, lasciate perdere entrambe le cose).
Si impone il passaggio per il Grossglockner; faccio quindi rotta per Dobbiaco e Lienz. La via più breve sarebbe per Cortina, ma visto il mio eroismo della sera precedente ho tempo in abbondanza e decido di fare una strada che non conosco, passando per Domegge (mai viste tante fabbriche di occhiali!) e Auronzo fino al lago di Misurina.
Il tempo è bello, l'aria è frizzante e il cielo azzurro vivo, sembra di poter toccare le vette con le dita.
Con tutta calma arrivo al confine austriaco e mi infilo nella prima stazione di servizio. Immaginavo di usare l'inglese, visto che il poco tedesco che conosco è in soffitta da almeno dieci anni, ma al saluto dell’esercente rispondo istintivamente nella sua lingua. Chiedo la vignette, e preso dal mio slancio tedescofono la pronuncio “fig-nette”, per scoprire subito che ho fatto una grezza, visto che gli austriaci la pronunciano esattamente come faremmo noi leggendola in italiano.
Ne esistono varie versioni, secondo il tipo di veicolo e la durata; per dieci giorni in moto pago circa 5 Euro. Mi chiedo che ci fa Autostrade con tutti i soldi che gli diamo.
Incollata la vignette, mi rendo conto che il mio cellulare ha perso il campo. È un telefono aziendale non abilitato all’estero; il fatto di trascorrere qualche giorno senza questa seccatura mi mette addosso un discreto buonumore.
Riparto alla volta di Lienz e poi della Grossglockner Hochalpenstrasse, la strada a pagamento (circa 17 Euro per una moto) che valica il massiccio omonimo.
Circolare in Austria (e in Mitteleuropa in generale) rimane sempre un’esperienza molto piacevole, per la chiarezza della segnaletica, i limiti di velocità ragionevoli (e non messi a casaccio come spesso avviene da noi) e la diffusa disciplina di tutti gli utenti, che rende istintivo rispettare le norme.
Al riguardo, faccio tre annotazioni particolari.
Striscia di mezzeria continua: è rarissima! Anche nelle strade piene di curve c’è la striscia tratteggiata, quella continua viene messa solo in prossimità degli incroci e nei tratti particolarmente pericolosi, punto e basta! Sta alla responsabilità del conducente valutare se può passare o no, secondo le circostanze.
Divieto di sorpasso: è sempre motivato ed è quasi sempre corredato di un cartello che deroga al divieto nel caso dei trattori agricoli.
Limiti di velocità: i relativi cartelli hanno sempre un pannello che spiega il perché della limitazione (ad esempio, per ridurre i rumori in prossimità di un centro abitato).
Sono particolari che denotano civiltà al volante e sensibilità dell’amministrazione per i bisogni degli utenti.
Passeggiando con gran piacere raggiungo il Grossglockner. I paesaggi sono molto belli, ma tutto sommato non vedo nulla che possa far sfigurare un qualsiasi passo dolomitico. La strada è molto comoda e agevole, e questo toglie un po’ di gusto all’ascensione, nonostante il passo raggiunga i 2500 metri.
Lungo il percorso faccio due deviazioni.
Con la prima raggiungo il Kaiser-Franz-Josefs-Höhe, un belvedere che affaccia sul ghiacciaio Pasterze, il più grande della zona. Sorpassando una coda di auto infinita, giungo ad un piazzale che ha tutto l’aspetto del molo d’imbarco di un traghetto estivo. Scopro che si tratta di un’area-polmone, dove fanno sostare temporaneamente (ma a lungo, a giudicare dalle facce dei passeggeri e dai messaggi diffusi dagli altoparlanti) le auto dirette al belvedere, in attesa che nel piccolo parcheggio al termine della strada si liberi qualche posto. Senza dubbio è una soluzione razionale, ma la trovo un tantino demenziale. Comunque, le moto sono autorizzate ad imbarcarsi direttamente.
La seconda deviazione è su una breve e ripida strada in pavè che conduce ad un picco chiamato Edelweiss-Spitze. A quota 2571, consente una vista mozzafiato su tutto il Tirolo ed è pieno di motociclisti (in generale molto benvoluti in tutto il comprensorio). Nel locale negozio di souvenir compro, oltre all’adesivino del Grossglockner da attaccare sul parafango della moto, una marmotta di peluche per mia figlia: ha un miliardo di pupazzi di ogni tipo, ma credo (a ragione, scoprirò in seguito) che nonne e zie varie non abbiano ancora scoperto questo animale.
Lungo il percorso mi fermo su una piazzola di sosta panoramica, nella quale è allestito un piccolo museo geologico, con schemi della morfologia del Grossglockner e un discreto campionario di massi di vario tipo, ciascuno corredato della sua targhetta di metallo gialla che indica il nome della roccia in 5 o 6 lingue. Più in là nella piazzola scopro altri massi la cui targhetta, munita di una maniglia, reca solo un punto interrogativo. Sollevo la maniglia e sotto appare una seconda targhetta con la risposta. Sulle prime mi viene da ridere, ma poi considero che si tratta di un'idea veramente carina, frutto di una mente magari un po' secchiona, ma attenta e gentile.
Dopo un pranzo prevedibilmente demenziale (ordino penne all’arrabbiata e mi arrivano delle discrete penne alla puttanesca, però completamente ricoperte di un’insalata alla vinaigrette!), riparto alla volta di St. Johann.
La pensione Ötzmooshof si trova un po’ fuori dall’abitato, ed è un grazioso chalet piazzato a mezza costa su una collina, da cui si gode una bella visuale della valle e del monte Hochkönig. Al mio arrivo alle 15,30, in anticipo rispetto al previsto, trovo ad accogliermi i due proprietari, Hubert e Christl, persone di una cordialità non comune, intenti a preparare gli ingredienti del sontuoso barbecue previsto per la cena.
Poco dopo arrivano anche Holz (che puntualmente rosica alla vista dell'adesivo sul mio parafango) con moglie e figlia, una gran bella famiglia, e poi alcuni loro amici italiani, con cui trascorro una serata splendida, in maniche di camicia (cosa piuttosto rara da quelle parti) e sotto lo splendore della Via Lattea.
Giovedì 16 agosto
La mattina, nonostante avessi ipotizzato di restare un’altra giornata, me ne vado. Mi sta venendo una gran nostalgia di mia figlia e perciò decido di raggiungerla venerdì sera anziché sabato sera. Potrei anche restare e fare il ritorno tutto in una tirata, ma per completare il mio viaggio devo almeno raggiungere Monaco, dove ho una piccola missione da compiere, e il Passo dello Stelvio, senza il quale un viaggio sulle Alpi non è un vero viaggio.
Complice della decisione è anche il tempo, che è cambiato; nuvole minacciose nascondono il sole e le vette circostanti, e non mi sembra il caso di partecipare alla prevista escursione a piedi sui monti con relativa cena.
Mi metto dunque in rotta alle 10 verso Salisburgo e da lì punto per Monaco. Il traffico è molto sostenuto, e nonostante l’autostrada abbia parecchi tratti senza limite, impiego quasi due ore e mezza per fare 170 km, parte dei quali sotto una pioggia per fortuna non troppo intensa.
A Monaco me ne infischio del Museo BMW (dove avevo inizialmente pensato di passare) e vado dritto al Deutsches Museum, il museo della scienza e della tecnica. Non vedendo un posto per le moto, chiedo al custode dove parcheggiare, e allibito mi sento dire che posso metterla su un marciapiede! Mi sento quasi a casa.
Per fare il biglietto c’è una fila chilometrica, per cui lascio perdere. In effetti la mia missione non è visitare il museo, ma setacciare il negozio del museo, una specie di super Città del Sole, a caccia di regali per mia figlia. Trovo diverse cosette interessanti (raggiungendo i limiti di capienza delle valigie) e dopo un ottimo piatto di scaloppine al limone (!) in un ristorante italiano, riparto in direzione sud.
Un’autostrada mi conduce fino a Garmisch-Partenkirchen, da dove proseguo tra le curve e le raffiche di una pioggia torrenziale per Ehrwald e Landeck. Colgo l’occasione per ringraziare mamma BMW per la mia costosissima, ma fantastica combinazione Tourguard, che ormai al quarto anno di onorato servizio si è mantenuta perfettamente asciutta all’interno e non si è minimamente impregnata nonostante le ore di acqua scrosciante, e la Michelin per le Pilot Road 2, semplicemente magnifiche sul bagnato.
Raggiungo il Passo di Resia, molto bello e caratterizzato dai due enormi generatori eolici posti ai due lati della strada. In effetti è davvero molto, molto ventoso, tanto da farmi provare per la prima volta problemi di stabilità alla guida; per fortuna la pioggia è cessata da poco e la strada asciutta.
Raggiungo la Valle dell’Adige e a Spondigna imbocco la statale dello Stelvio. Alla vista del cartello indicatore del 48° tornante non riesco proprio a trattenere un sorriso di soddisfazione; stanco, ma felice, do l’assalto alla salita con determinazione, sverniciando quel poco che trovo in giro, e alle 19 sono in cima.
Ceno ottimamente in un ristorante sul passo. Mi viene quasi la tentazione di dormire sul posto, ma il demone chilometrico ha di nuovo il sopravvento; poco prima delle 21 inizio la discesa verso Bormio con i suoi "miseri" 37 tornanti.
Percorro tutta la Valtellina a velocità codice, una tortura che auguro a pochi. Dopo aver passato un centinaio di tunnel e migliaia di cartelli con il limite a 50, alle 23,40 raggiungo Milano, dove mi regalo una notte in un buon 4 stelle, meritatissimo.
Venerdì 17 agosto
Piove a dirotto. A colazione mi imbatto in un mâitre appassionato di moto BMW. La chiacchierata si allunga piacevolmente e questo è un bene, perché permette al sole di uscire.
Parto quindi con comodo, rotta per Parma e poi per il passo della Cisa.
La statale del passo è molto bella, lunga e piacevole; in effetti il percorso consta di una successione di diversi passi, di cui la Cisa è il più alto. Lungo la strada mi fermo a pranzo in una trattoria (è la prima che si trova scendendo dal passo verso Pontremoli, non ricordo il nome), dove, dopo aver mangiato ottime tagliatelle ai funghi, vedo passare un piatto di “testaroli”, specie di grandi maltagliati rettangolari fatti con un impasto un po’ spugnoso tipo crêpes e conditi con pesto alla genovese, e decido di prenderne mezza porzione al posto del secondo: veramente stupendi! Per tutto il pranzo (antipasto, un primo e mezzo, contorno, acqua, vino e caffè) spendo 15 Euro; a Roma ci avrei preso sì e no una pizza con acqua minerale.
Riparto e scendo in Lunigiana; attraverso pigramente Pontremoli e Aulla (anche qui i limiti di velocità sono ridicoli come in Valtellina) fino a raggiungere la costa a Massa, dopodichè imbocco l’autostrada per Rosignano e poi l’Aurelia (di cui apprezzo il limite a 110) fino all’Argentario.
Gli occhi azzurri e il sorriso di mia figlia abbracciata alla Marmotta del Grossglockner mi sembrano la cosa più bella del mondo.
EPILOGO
In tre giorni esatti ho percorso 2312 chilometri ad una media di circa 76 km/h, con un consumo medio di quasi 21 km/l. Il Kappone si è confermato una moto spettacolare per confort, affidabilità, consumi, sicurezza (grazie anche alle Pilot Road 2) e piacere di guida.
È il viaggio in moto più lungo che ho fatto finora. Mi ha dato modo di riflettere a lungo sulle scelte difficili che ho fatto negli ultimi tempi, mi ha ricordato che stare ogni tanto un po’ soli con se stessi fa bene allo spirito, mi ha fatto capire che è possibile stare in sella per intere giornate senza problemi e, soprattutto, mi ha dato l’ennesima conferma del fatto che la mia meravigliosa figlia e il mio amore adorato sono quanto di più importante ci sia nella mia vita.