Visualizza la versione completa : TRANSANDINA: Diario di viaggio
Carissimi, grazie al rinnovato entusiasmo da parte di molti verso il viaggio di questa estate, dopo la partecipazione di Pennanera e Trucci alla trasmissione di Licia Colò, ho pensato di pubblicare qui il diario di viaggio.
Ancora non l'ho finito, lo pubblicherò a pezzi, qualche giorno per volta anche per facilitare la lettura visto che alla fine sarà molto lungo. Ma forse sempre troppo corto e sintetico per chi certe cose le ha vissute.
Spero di far piacere a qualcuno.
Eccovi a seguire i primi giorni.
Metterò anche un po' di foto relative al giorno che racconto. Le foto sono un po' di tutti, se qualche autore riconosce foto proprie e vuole essere citato (o non vuole che utilizzi la sua foto) me lo dica che la rimuovo.
14 Agosto, venerdì. Partono le Moto
Oggi abbiamo appuntamento a Livorno per riempire il container con le moto. Parto presto con un furgone caricato la sera prima. Dentro ci sono la moto, lo zaino con la maggior parte degli indumenti, le valigie della moto riempite con pantaloni, giacca, stivali, olio, piccoli ricambi, e tutto quello che mi è servito per riempire ogni minimo interstizio.
Oggi per la prima volta conosco il gruppo al completo, qualcuno l’ho già incontrato, anzi, ad onor del vero il viaggio è nato da un gruppetto di motociclisti raccolti attorno ad un sogno coltivato dentro un forum; con tutti gli altri mi sono scambiato decine di email e telefonate.
Oggi inizia il viaggio.
Alle 9,30 sono all’appuntamento dopo essermi perso un paio di volte nella zona industriale di Livorno, cominciamo bene – mi dico – pensando a cosa succederà nelle periferie di Lima…
Alla spicciolata arrivano tutti: Alfredo su Suzuki DR650, Cristiano su Honda Dominator, Gael su KTM 640 adventure, Franco su Dominator, Fabio su DR650, Cesare su Aprilia Pegaso trial, Luca con un’altra pegaso con solo qualche anno in più (sigh). Poi ci sono le Bmw che tutti quelli che non ce l’hanno guardano storti. “Ma quanto c****o pesa?!?”, “Ah, quelle lì si rompono”, “…e sposta questa nave!”. A spingere una a una le ciccione passano Claudio, Luis e Luca con le loro GS1100, Momo con la GS100PD, Angelo con la GS1200, Mascam e Ale, che sarei io, con le GS1150 adventure. E speriamo di riportarle intere. Sulla rampa del container passa anche Maurizio che spinge con molta più scioltezza la sua GS650. Naturalmente ci sono anche Mara e Trucci, le passeggere di Momo e Angelo, e a Guayaquil conosceremo anche Giovanni, unico partecipante al seguito su mezzo di appoggio, che si rivelerà la carta vincente del viaggio in molte situazioni.
Moto dopo moto riempiamo progressivamente il container, sistemiamo attentamente bagagli e gomme di riserva tra una moto e l’altra, o sulle selle. E moto dopo moto diventano sempre più frenetici i calcoli sullo spazio che rimane. “C’entrano, c’entrano”, “No, per me non c’entrano”, “Si che c’entrano, precise…”. Alla fine ci sono entrate. Sistemata la quindicesima moto resta lo spazio necessario delle moto di Andrea, una Yamaha XT600 e di Romolo, una Kawasaki KLR650, entrambe reduci da viaggi che hanno fatto la storia del motoclub AnM. In molti sbaviamo sugli adesivi sui loro serbatoi e in ogni più piccolo anfratto disponibile.
Ci emozioniamo un po’ alla chiusura del container, con la procedura dell’apposizione del sigillo che aggiunge sacralità alla scena. E’ fatta, ormai si parte, non ce lo toglie nessuno. Tra qualche settimana saremo in sella alle nostre moto sulle Ande. O in sella alle Ande sulle nostre moto.
3 Agosto, giovedì. Parto io
Partire da solo mi è sempre piaciuto. Partire da solo con un incarico da svolgere ancora di più. Trovarsi solo in aeroporti di città che non conosci e che non ti conoscono mi da una sensazione di libertà assoluta. Arrivo a Guayaquil che è il pomeriggio del venerdì, il cielo è plumbeo, fa caldo ma neanche quanto mi aspettavo. Prendo subito un taxi con l’indirizzo dell’hotel california in mano e la promessa che lo pagheranno alla reception visto che io ho solo biglietti di grosso taglio.
Il resto del pomeriggio, come i successivi due giorni, li passo a redermi conto di dove sono, passeggiando lungo il Malecon, salendo sul cerro Santa Ana, andando allo stadio a vedere il Derby locale, invitato da Francisco, l’agente di dogana che seguirà la mia pratica nei giorni successivi.
Guayaquil non è Buenos Aires o Rio, me ne sono accorto dalle volte che sono entrato dentro i centri commerciali. Posso dire di averli visitati tutti.
Una cosa interessante, a dire il vero, mi è capitata. Nell’albergo ho conosciuto un ufficiale dell’esercito impegnato sul fronte della Farc che dalla Colombia spesso si spinge oltre il confine. Mi ha raccontato un sacco di cose allucinanti sulla guerriglia e la vita nella foresta, parlando anche di vulcani e centri energetici. Poi però finiamo a guardare assieme il gran premio di F1...
Finalmente arriva lunedì, che passo tra uffici e uffici assieme al fidato Francisco. E martedì, che passo tra uffici e uffici. Martedì parte il gruppo dall’Italia. E martedì pomeriggio apro il container e scarico una a una le moto, verificando eventuali danni che per fortuna non ci sono.
Mercoledì terminiamo le ultime pratiche di sdoganamento e con Hugo Velarde che è arrivato nella notte dal Perù andiamo a prendere il gruppo all’aeroporto. Sempre col pulmino di Hugo, dopo aver lasciato i bagagli in albergo, andiamo tutti assieme a ritirare le moto dal terminal della Dole. Panico per una moto che non parte, lì per lì non riusciamo a risolvere il problema anche se Mascam ha già capito che basterà escludere l’antifurto. Carichiamo la moto su un pick up della dole e partiamo in gruppo verso l’albergo. Compatti percorriamo i grandi viali di Guayaquil che è già buio. Il traffico è pazzesco, noi distratti dall’emozione di guidare la nostra moto tanto lontano da casa, ma arriviamo senza problemi all’hotel. In garage bastano dieci minuti a risolvere il problema alla GS di Claudio. Invertendo la polarità nel ricollegare la batteria aveva bruciato l’antifurto che quindi escludeva l’accensione del motore. E’ bastato escludere l’antifurto. Cioè, è bastato che Mascam escludesse l’antifurto.
Stanchissimi, resta solo da placare la fame prima di buttarsi sul letto. E lo facciamo in un’anonima tavola calda vicino all’albergo che ci promette piatti veloci, abbondanti e una tavolata unica.
10 Agosto, giovedì. Guayaquil – Mancora: Inizia il viaggio
Alle 9 siamo pronti per partire, qualche foto di rito, le interviste di una tv locale e siamo già di nuovo in mezzo al traffico, questa volta in direzione sud per uscire dalla città. Io apro il gruppo di 17 moto, Hugo lo chiude col pulmino. Neanche cinque kilometri che mi perdo la svolta per il ponte de las Americas. Non posso fare a meno di immaginare le battute e i dubbi dentro i caschi dei miei compagni. Non perdiamo molto tempo per riguadagnare la strada giusta e in pochi chilometri siamo fuori da Guayaquil. Inizia una lunga distesa di bananeti e inizia anche a piovere. Una pioggerellina leggera che non da troppo fastidio se non per il fatto di rendere estremamente scivoloso l’asfalto. Per fortuna le curve sono poche, anzi quasi nessuna e alle 13 arriviamo a Huaquillas, alla frontiera col Perù. Il problema di un gruppo di 17 moto è che qualsiasi attività comune, come mangiare, far benzina, timbrare documenti, fa perdere un sacco di tempo se coordinata male. Abbiamo fame, decidiamo di mangiare sparsi tra le varie bancarelle e ristorantini. Ovviamente a qualcuno tocca il pollo ad altri i crackers. Ma non possiamo permetterci di perdere troppo tempo, davanti abbiamo il passaggio alla migracion e alla dogana per l’uscita dall’Ecuador, quindi polizia e dogana peruviana e altri 300km se vogliamo rispettgare la tabella di marcia che ci siamo imposti per i primi giorni. Tenteremo di recuperare una giornata da spendere più a sud, galoppando lungo gli infiniti rettilinei del nord del Perù.
L’uscita dall’ecuador è abbastanza veloce. In molti ci avvisano di stare molto attenti ai furti alla frontiera peruviana, 3 km più avanti. In effetti appena entriamo dentro il paese di Huaquillas ci troviamo inglobati in un istante in un traffico pazzesco, è anche giorno di mercato, e mezzi di ogni genere attraversano l’unico ponte che collega i due paesi: poco più di una passerella di 3 metri di larghezza. La confusione è pazzesca, ogni moto ha un capannello attorno che neanche al motorshow si vede, e noi, uno a uno, ci presentiamo dentro al gabbiotto della dogana per timbrare i nostri carnet. Alla fine arriva la prima richiesta di “contributo libero” per aver velocizzato le pratiche. Inevasa.
Quando siamo in grado di ripartire sono ormai le quattro. Abbiamo ancora circa due ore e mezza di luce. Il paesaggio è molto cambiato rispetto all’Ecuador. Niente più infinite distese di banani e frutteti ma colline di sabbia grigia che a un certo punto incontrano l’oceano, crollandogli addosso. Ogni tanto qualche paese di pescatori e villaggi turistici molto naif e evidemente in stagione di chiusura. Mi viene da pensare alla canzone “il mare d’inverno”. Si, si vedono anche pescherecci sgarrupati dentro piccoli porticcioli che puzzano di gabbiano.
Arriviamo a Mancora che è buio. Che è come arrivare a Talamone alle 21 del 10 febbraio. Ma non ci vuole molto a trovare un alberghetto dove ci sistemiamo, noi nelle camere, le moto nel cortile interno, difronte alle camere. Grazie a Hugo riesco anche a cambiare un po’ di soldi (dal ferramenta del paese) e a prenotare una cena a base di pesce in quello che pare l’unico ristorante aperto del paese. E quello che le poche persone in giro ti raccomandano anche come il migliore. Quando si dice l’importanza di saper scegliere. E comunque il morale nel dopocena è alto. Siamo tutti proiettati nei giorni che ci aspettano e quasi quasi ripartiremmo anche subito. Forse per questo prendiamo una decisione sbagliata: vista la scarsa possibilità di sbagliare strada nella tappa di domani, procederemo sciolti con appuntamenti nelle località maggiori. Con la sicurezza del pulmino che comunque chiuderà il gruppo.
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11 Agosto, venerdì. Mancora – Trujillo: kilometri infiniti
La giornata è bella. Già alle 8 il sole è alto e l’aria tiepida. Appena usciti da Mancora la strada comincia ad arrampicarsi su un promontorio con una vista mozzafiato sull’oceano. L’asfalto è nuovo e le curve disegnate col compasso, incontriamo una macchina ogni 10km. Il resto immaginatelo voi. A Sullana ci ritroviamo tutti per uno spuntino e ci diamo appuntamento all’ingresso di Chiclayo, oltre i 200km del deserto di Sechura. L’infinito rettilineo circondato da piccole dune lo percorriamo superandoci ripetutamente a vicenda, perdendosi, ritrovandosi oltre l’orizzonte di una gobba, scattando foto. A un certo punto vedo Gael fermo sul bordo della strada e mi fermo con lui. La sua moto trafila olio da diversi punti. Ma non si tratta di perdite copiose, per ora va. Arrivo all’appuntamento che mancano ancora 4 o 5 moto. Dopo quasi un’ora non si vede ancora nessuno. In effetti a Piura, poco prima dell’ingresso nel deserto, avevo visto che qualche moto aveva mancato una svolta e si era cacciata nel traffico del centro. Avevo anche provato a riprenderli ma le dimensioni della mia moto non mi avevano permesso di raggiungerli nel traffico. Ma contavo sul fatto che si sarebbero accorti dell’errore e chiedendo alla gente avrebbero recuperato l’unica strada giusta. Finalmente arrivano tutti e scopriamo che non si sono accorti di niente, hanno percorso una strada che costeggia il deserto, allungando il percorso di 100km.
Riparto con gli ultimi quasi due ore dopo il grosso del gruppo, la destinazione è quella prevista: Trujillo. Nel tragitto ci fermiamo su un ponte attratti dall’assembramento di persone: un autobus è finito di sotto e si sta tentando di recuperarlo. Per fortuna le persone sono già tutte in salvo, tranne l’unica vittima che c’è stata nell’incidente.
Sulle strade peruviane sono frequenti i posti blocco, e a uno di questi veniamo fermati dopo che in 6 o 7 abbiamo percorso uno svincolo in senso di marcia contrario. Provo a spiegare al poliziotto che se avevamo sbagliato in molti significava che le indicazioni non erano chiare ma lui si dimostra sensibile solo al piccolo contributo per la benzina della jeep…
Ormai è buio. Sono nel gruppetto di coda attardato dalla polizia. Arriviamo a trujillo alle 21, sfiniti. Proviamo a rinfrancarci con una ricca cena a abase di carne ma siamo tutti un po’ tesi: le prime due tappe sono state massacranti, siamo sempre arrivati al buio, ci sono state incomprensioni che hanno ritardato il gruppo, dovremo ripianificare i giorni successivi per recuperare una mezza giornata. Inoltre uno dei partecipanti ha perso 900 dollari, non sa dove, non sa quando. Decidiamo di cambiare itinerario per il giorno successivo. Non rinunciamo a visitare chan chan, ma anziché raggiungere Caraz dal passo Callan, lo faremo dal Cañon del Pato, dovrebbe permetterci di risparmiare delle ore.
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12 Agosto, sabato. Trujillo – Caraz: si comincia a fare sul serio
Ma si, diciamola tutta. Noi siamo un gruppo di motociclisti; certo, belli i bassorilievi chimu, interessante sapere che dentro i muri c’è anche il succo di cactus, ma siamo un gruppo di motociclisti, siamo venuti qui per montare in sella e dare gas, sognare difronte a panorami così lontano dai nostri quotidiani, sentire ogni kilometro scorrere sotto le gomme. E possibilmente allontanarci dalla sicurezza della strada percorsa da giapponesi sui pullman. E oggi ci toglieremo la voglia.
Partiamo da Trujillo alle 11,30, dopo aver visitato il sito di Chan chan. Purtroppo non abbiamo idea del tempo che ci vorrà per raggiungere Caraz, nessun gruppo in precedenza ha fatto questo percorso e i pareri che chiediamo in giro non sono molto convergenti. Per qualcuno è quasi tutta asfaltata e ci vogliono un paio di ore, per qualcun altro sono 150km di sterrato terribile. Qualcun altro aveva ragione.
Lasciamo la panamericana e la strada per una ventina di km si dirige veloce verso le ande, ancora asfaltata. Il panorama è molto bello, una valle coltivata a mais e in lontananza le prime vette innevate. All’inizio dello sterrato ci ricompattiamo. Questa volta le indicazioni sono precise: viene individuato un apripista, una scopa e ci ricompatteremo ogni 30km esatti. Io chiudo il gruppo.
La pista è dura da subito. Il fondo è duro ma ci sono pietroni e buche capaci di spaccare il carter. Non ci si siede mai sulla sella. A lato della pista le sponde opposte della valle si fanno sempre più vicine, in alcuni punti la pista è scavata nella roccia con pareti aggettanti.
Al primo appuntamento trovo soltanto le BMW, gli altri si sono avviati all’appuntamento successivo. Per decenza non vi racconto cosa mi passa in testa, ci sarà bisogno di qualche puntualizzazione sul significato di compattarsi. C’è già stata una caduta tra i romani, per colpa dell’abs rimasto inserito. Nulla di grave, solo un taglio in una narice per averla sbattuta contro il cupolino. Anche io rischio di cadere in un paio di occasioni per evitare grosse pietre viste all’ultimo momento. Riparto assieme a loro e dopo pochi km vediamo Andrea e Romolo fermi lungo la pista. L’XT ha forato, il KLR ha rotto il supporto del bauletto. Carichiamo il bauletto sul pulmino, ripariamo la foratura e ripartiamo. Io in fondo.
Ralllento fino a rimanere solo. Il pulmino non riesce comunque a starmi dietro, anche se predisposto per terreni duri non supera i 20km/h. Guido per un’oretta in totale solitudine, in una valle tra le ande del perù, col la moto, la mia moto. Quante volte l’ho immaginato e adesso ci sono. Quando certe cose le immagini non pensi mai alla fatica e al sudore. Ma sono felice come un bambino e mi scopro a cantare dentro al casco.
Purtroppo dura poco. Ad un certo punto vedo un camion fermo sulla pista (ogni tanto si incontra anche qualcuno) e davanti al camion mi sembra di intravedere la sagoma di una moto coricata. E’ la moto di Luca, che per un attimo di distrazione ha preso un canale di fango e si è steso. Nulla di grave, almeno per lui, ma nella caduta una pietra ha spaccato uno dei coprivalvole. La moto è ferma. Decidiamo di nasconderla in un rudere ai bordi della strada e di tornare a prenderla l’indomani con un mezzo capace di caricarla. Poi non sappiamo se saremo in grado di ripararla o la dovremo spedire fino ad Antofagasta.
Di nuovo, per il terzo giorno consecutivo, è buio. E stavolta sono su una pista dura, da solo, senza sapere se gli altri sono arrivati, con l’unica sicurezza del mezzo di appoggio qualche km dietro di me. Guido per un’altra ora abbondante da solo fino a che vedo delle luci lampeggianti in lontananza. Sono le BMW romane, assieme al pegaso di Luca che ha finito la benzina. Ne tiriamo fuori tre o quattro litri con la cannuccia dai serbatoi delle adventure mia e di Mascam e ripartiamo.
Arriviamo a Caraz dopo le 20. L’hotel è una visione rassicurante, affacciato sulla plaza de armas, in stile andino e con una cucina piena di trote aspettano solo di finire in padella. Dopo poco arriva Luca nel pulmino di Hugo e Alberto. Invece Romolo e Andrea, che erano tra i primi, non si vedono ancora. Non può essere successa che una cosa: hanno tirato dritto fino a Huaraz, 80km (per fortuna asfaltati) più a sud. In effetti dopo poco riusciamo a contattarli al cellulare, sono stati i primi ad arrivare, col sole e non si sono accorti di aver superato Caraz. Ci raggiungeranno domattina.
Luca riesce a trovare un fabbro capace di saldare l’alluminio, lo chiamano il mago delle moto; forse riusciremo a risolvere un problema che ci pareva insormontabile e ci faceva pensare alla prima moto capitolata al terzo giorno. Dobbiamo solo trovare un camion per recuperarla subito. Ma questo è un problema minore in Perù. Infatti alle 11 Luca è già di ritorno in paese con la sua moto. All’una la moto è a posto.
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Bene. Per oggi basta così. Ai prossimi giorni.
Anzi, mi autoregolo per capire se merita o no. Se questo 3d raggiunge le 100 visite (non repliche) continuo, sennò muore qui.
mitico Dott. Forzoni. :thumbup: :wink:
Continua, continua. Fregatene delle letture, meglio 50 persone interessate al topic, che 2500 "letture" della solita plastica/ghisa quotidiana. Dopo 5mn manco si ricordano di quello che hanno scritto o letto.
Conta post e conta letture sono delle cavolate intersiderali.
Ok, mi hai convinto. ;)
Ma dovrete aspettare qualche giorno per i prossimi capitoli. Inizialmente avevo deciso di postare, tal quale, il diario di viaggio che sto scrivendo per la relazione di AnM. E così ho fatto per i capitoli fino ad adesso. Ma mi rendo conto che in questo modo il racconto è meno appassionante e probabilmente scritto in maniera frettolosa.
Ho deciso di cambiare: scriverò per voi e poi riadatterò per AnM. Mi date più soddisfazione.
Continua ........
direi di evidenziarlo...
eugeniog
11-12-2006, 21:40
Continua ........
direi di evidenziarlo...
ok ;)
possiamo farne un "volumetto elettronico in formato pdf" per la "biblioteca" di QdE ;)
vitamina
11-12-2006, 23:08
Vai Alex, non vedo l'ora di leggere le prossime puntate!! :)
Kilimanjaro
11-12-2006, 23:21
Dai continua!!!!!!
Siete mitici!
Bravissimi, davvero.
:!: :!: :!:
Paolillo Parafuera
11-12-2006, 23:58
Bene. Per oggi basta così.
:mad: :mad: :protest: :protest: :protest: ;)
13 Agosto, domenica. Caraz – Parco Naz. Huascaran – Huaraz: sfida al soroche.
Dicono che per prevenire il soroche, o mal di montagna, sia necessario salire gradualmente, e noi ieri siamo passati dal livello del mare a circa 3000 metri, e essere riposati evitando gli sforzi, e noi abbiamo sul groppone la pista del giorno precedente e circa 1500km percorsi in tre giorni. Ma oggi è la prima vera tappa andina del viaggio, ci aspettano le lagune di Llanganuco e una salita vertiginosa fino ai 4800 metri della punta Olimpica. Vuol dire che stasera conteremo i morti. Anche le moto potrebbero soffrire l’altitudine, soprattutto quelle a carburatori. Oggi sarà la prova del nove per ciò che dovremo affrontare in Bolivia tra un paio di settimane.
Al mercato di Yungay ci procuriamo i viveri per il pranzo nel parco. Per quanto vedremo con il proseguire del viaggio posso dire che questo, assieme a quello di Caraz sia l’unico mercato rimasto ancora come ne avevo visti 13 anni fa. Un mercato per la gente che vende prodotti di consumo e non artigianato inutile e appetibile solo ai turisti. Si trova di tutto, frutta, verdura, carni comuni e meno (da queste parti il porcellino d’india è una prelibatezza), kit per strani riti sincretici, coca da masticare e un sacco di vestiti, scarpe, tessuti tradizionali.
La strada diventa sterrata appena usciti dal paese e comincia ad arrampicarsi sul finco di una collina marrone. D’improvviso, dietro ad una curva, quando non te l’aspetti perché sei troppo attento a evitare cani, buche, pietre e cani, eccolo. Il monte Huascaran, il più alto del Perù e secondo del continente offre un riferimento nel panorama che ti obbliga a cambiare scala. La collina sulla quale stavamo salendo diventa poco più di una duna e la strada sembra perdersi dentro un quadretto visto col teleobiettivo. Non crediamo ai nostri occhi, il paesaggio è cambiato di nuovo, succede spesso da un paio di giorni, adesso guidiamo a circa 4000 metri di altezza, in una valle i cui colori vengono amplificati dalla limpidezza dell’aria, attraversando paesini di cui probabilmente nemmeno gli abitanti sanno il nome e si limitano a chiamarli “lì” o “qui”. Qualcuno si azzarda a fare paragoni col paesaggio nepalese. Con me si può fare visto che non sono mai stato in Nepal. Chissà se il Nepal è pieno di cani con tendenze suicide e odio viscerale verso i motociclisti come qui.
Impazziamo, impazziamo letteralmente al primo contatto con le ande vere, non quelle viste da lontano. “Fammi una foto con lo sfondo della montagna”, “Si ma dopo me ne fai una mentre derapo all’uscita di curva davanti al ghiacciaio”. Solo la voglia di vedere cosa può aspettarci lassù in cima, dove si intuisce che la pista tende a spianare nella valle incastrata tra le montagne, riesce a farci rimontare in sella per percorrere più di 200 metri.
E lassù ci arriviamo, finalmente. Lo spettacolo, se possibile, è ancora più impressionante del primo sguardo sull’immensa montagna. Siamo in una valle evidentemente glaciale, un profilo a U perfetto, e alla base sembrano come adagiate da qualcuno che può due piccole lagune, una turchese l’altra blu oltremare. Dicono che siano generate dalle lacrime di una principessa. Doveva essere bellissima se solo le sue lacrime sono state in grado di generare una posto così strepitoso.
E’ l’ora di pranzo e ci sistemiamo sui prati ai bordi delle lagune di Llanganuco per consumare il nostro spuntino precolombiano con le nostre stoviglie in titanio. Oddio, le mie no. Un gruppo di domingueros (qui si chiamano così i villeggianti della domenica) peruviani ne approfitta per farsi fotografare sulle nostre moto. Mascam quasi ne approfitta per sposarsi.
Ingollato l’ultimo boccone con la smania di continuare a salire verso il cielo siamo pronti a ripartire. Ma i primi sintomi del soroche si fanno sentire nel gruppo. In tre o quattro decidono di aspettarci al campo base, Mascam sale, nonostante la nausea aumenti assieme al mal di testa.
Il gruppo diventa una lunga fila allungata sui tornanti infiniti della pista. Alzo la testa e vedo moto a centinaia di metri sopra di me, su una parete incredibimente ripida, sulla quale la strada si arrampica solo grazie a un tornante dopo l’altro. Alla fine saranno una sessantina in dieci kilometri. Sono rimasto solo con Claudio, lui ha la helmet cam sul casco e io me la godo a guidare in piedi davanti a lui, un po’ per scena, un po’ per reale necessità. Purtroppo incrociamo presto Mascam vinto dalla nausea, sta tornando indietro per riprendersi al sole dei pratoni.
Più continuiamo a salire e più aumenta il fiatone; certo, manca l’ossigeno, ma il respiro è rotto anche dalla fatica di guidare, dalla concentrazione per non commettere errori e soprattutto dall’emozione di avvicinarsi sempre di più al cielo, mentre il GPS è in continuo aggiornamento della componente verticale. 4500…iniziano i tornanti che scalano 20 metri su un raggio di 20 metri. 4600…..ci affacciamo su un terrazzo naturale da dove le lagune le vediamo piccole piccole. 4700…le lagune diventano sempre più piccole sotto di noi, ma non più distanti; quanto cavolo è ripida questa parete? In effetti più saliamo più la strada sembra un elemento estraneo al paesaggio, una strada di corda aggrappata alla parete. Dal passo, poco oltre i 4800 metri ci rendiamo conto dell’assurdità di questa strada, giustificata da qualche migliaio di anime che vive al di là della montagna. In Italia non ho visto mai nulla del genere, forse il mortirolo o il gavia, ma sterrati.
La discesa è più difficile della salita, con la paura che i 400kg che sto guidando mi sfuggano dal controllo proprio in mezzo ad un tornante o dove la strada è più ripida. Ma alla fine arriviamo tutti giù e alle lagune ci aspetta la sorpresa di Luca che ci ha raggiunto con la sua moto risaldata e perfettamente funzionante.
Ridiscendere verso Yungay è invece uno spasso. Con la luce calda che precede il tramonto, attenti ad ogni minimo spostamento di peso tra una pedana e l’altra ci tuffiamo un po’ troppo di corsa giù per curve e tornanti. Io rischio di centrare un autobus, blocco il posteriore in piedi, mi intraverso e solo alla fine vedo aprirsi uno spazio tra la fiancata e il fosso. Ci passo. Penso a Gael che è proprio dietro a me ma basta agganciare con la coda dell’occhio lo specchietto per accorgermi che è passato pure lui. Ragazzi state attenti, in posti così belli, insoliti e poco frequentati è facile farsi prendere la mano dal gas, ma si rischia molto.
In fondo alla discesa, su un lastrone di cemento, Luca si rende conto di quanto poco ci vuole a passare da una perfetta aderenza sui tasselli ad un’imperfetta aderenza sulla fiancata. Nessun danno e qualche graffio (alle valigie prestate da Claudio).
Rinuciamo alle terme perché stanchi, qualcuno di più a causa del soroche, e poi mancano ancora una sessantina di km a Huaraz. Anche oggi (quanto mi odia il mio gruppo?) arriviamo al buio. Ma entusiasti per la giornata vissuta e rinfrancati dalla vista dell’hotel, decisamente il migliore fino ad adesso e praticamente occupato solo da noi. La notizia buona è che nessuno è particolarmente predisposto a soffrire il soroche, si sono ripresi tutti. Quella cattiva è che la moto di Luca, il Pegaso, è l’unica che oltre i 4000 metri proprio non va, piscia benzina dallo scarico senza riuscire a bruciarla. Sulla salita della punta olimpica sembrava uno ciao, tant’è che a metà ha dovuto fare dietrofront. Questo è un problema da risolvere prima di arrivare in Bolivia.
Finalmente siamo sulle Ande, non smettiamo di dircelo. E ce ne accorgiamo a cena, quando il menu cambia radicalmente rispetto ai giorni precedenti e appena ci sediamo, puntuale come un orologio, si affaccia un musicista che ci propone il repertorio classico andino. Mi sento un po’ come un russo che gode a sentir cantare “O’ sole mio” in una trattoria comasca mentre mangia amatriciana, ma va bene così.
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Sorry. Le foto le ho caricate su flickr torte e non le raddrizza se posto il link.
Anzi, mi autoregolo per capire se merita o no. Se questo 3d raggiunge le 100 visite (non repliche) continuo, sennò muore qui.
"Meno siamo, meglio stiamo", come diceva Arbore. In fondo, gli apostoli eran solo 12 e han fatto anche troppo casino. Ciao ;)
Her ti ho pensato a Paracas. Ho capito cosa è successo al tuo amico e forse anche individuato il luogo. Mi dispiace.
Ma sapendolo, prestando molta attenzione lungo quella spiaggia, ci siamo divertiti un sacco.
raz.anus
12-12-2006, 13:03
:!: kontinua....ke mi appassiona.....:!: komplimenti...:D
E' come un buon libro..quando inizi non ti fermeresti più...bellissimo continua!! :D :D :D :D :D
Misterno
13-12-2006, 10:28
me incantó el diario tuyo. es muy interesante y lindo!
es casi por nosotros, como estar en el viaje con vosotros y vivir esta maravillosa experiencia!
proxima vez tengo, sin falta, que venir.
gracias y hasta pronto.
Mi sono perso qualche passaggio? ho visto che il diario si è interrotto..immagino che richieda del tempo scrivere tutto ma mi piaceva troppo..visto che un viaggio così dubito che lo farò mai mi ero appassionato a leggere del vostro!!:D
ale4zon ancora ancora ancora :bounce: :bounce:
Avete ragione, scusate. Ma i primi giorni li avevo già scritti, quindi è stato facile e veloce postarli uno dietro l'altro.
Il resto è tutto da scrivere e in questi giorni sono stato molto impegnato in aula. Dai che nei prossimi giorni arriveranno diversi aggiornamenti.
Avete ragione, scusate. Ma i primi giorni li avevo già scritti, quindi è stato facile e veloce postarli uno dietro l'altro.
Il resto è tutto da scrivere e in questi giorni sono stato molto impegnato in aula. Dai che nei prossimi giorni arriveranno diversi aggiornamenti.
:!: :D :!:
Intanto ho visto il racconto su transandina.alcooland.it..
FANTASTICO e ancora COMPLIMENTI..il filmato montato dalla RAI assume tutt'altro significato dopo aver letto i vostri racconti :D :D :!: :!:
Eccomi, qui. Scusate tutti, ho avuto ben altri pensieri per la testa ultimamente, quindi il racconto si è fermato da un mesetto. Oggi riprendo con la tappa successiva.
Spero di riuscire ad essere più costante, ma non lo prometto.
Nonostante la stanchezza accumulata nei giorni precedenti decidiamo di essere pronti a partire per le 7, ci aspetta un’altra lunga giornata, da Huaraz alla capitale sono quasi 500km e prima di uscire dal Callejon de Huaylas vogliamo fare una deviazione verso una piccola valle nella quale cresce la Puya Raimondii, una varietà di cactus dalla quale ogni cento anni sboccia un fiore che raggiunge i dieci metri di altezza, poi la pianta muore. Inoltre siamo un po’ preoccupati per l’ingresso a Lima, tutti ci hanno raccontato di un caos pazzesco lungo l’autostrada (ancora abbiamo il coraggio di chiamarla così) che porta verso il centro. Non vorremo certo arrivarci con il buio!
Alle 7 ci troviamo tutti nella hall dell’albergo. Siamo riposati e il morale è alto. Per la prima notte ci siamo fermati in un hotel degno di questo nome, i letti comodi e l’ambiente pulito ci servivano soprattutto per il morale, oltre che per rimettere a posto qualche osso e muscolo. Questa volta il briefing è preciso e dettagliato, non vogliamo rischiare di perdere tempo lungo il tragitto per incomprensioni, inoltre Gael si separa dal gruppo per raggiungere quanto prima il meccanico KTM a Lima e far sistemare la sua moto che continua a perdere olio qua e là.
La giornata è splendida, l’aria tersa non ci fa accorgere del freddo che fa alle 7,30 del mattino a 4000 metri di altitudine. Ci mettiamo un’ora a raggiungere la deviazione per la Puya Raimondii, guidando lungo una strada perfetta, lo sguardo si perde continuamente oltre la striscia di asfalto cercando inutilmente di abbracciare tutto assieme il panorama intorno. Snoccioliamo uno dopo l’altro paesini e curve, paesini e curve…il rosario del motociclista.
Dopo la deviazione la pista piega verso est, e a differenza di quelle percorse nei giorni seguenti è in ottime condizioni, larga e con un fondo duro, niente pietroni o grosse buche. Fatta apposta per i grossi bicilindrici. Curva dopo curva provo ad aprire sempre più il gas fino ad accorgermi di poter guidare in tutta sicurezza fino ad una velocità di 80-100km/h. Oltre non voglio spingermi, col cuore mi sento l’erede di Meoni, ma per fortuna ho sempre una testa che mi ricorda che vivo la maggior parte del mio tempo difronte ad un pc e che per dieci anni non ho guidato una moto. Però è divertente salire e scendere dalle pedane, impostare la prossima curva sbilanciandosi verso l’esterno, sentire il posteriore che scivola un po’ alla minima correzione di gas. Provare a vedersi da fuori e farsi foto con l’immaginazione. Non so dire quanti km abbiamo percorso, forse 20 o 30. Di sicuro troppo pochi perché presto intravedo la sbarra e il casotto che indicano l’entrata del parco. Mi fermo in cima ad una sella per scattare qualche foto agli altri che arrivano alla spicciolata. Quanto sono brutti, banali, turisti, rispetto alla mia immagine che mi ero costruito con la fantasia poco fa, quando putroppo non c’era nessuno a fotografarmi da quassù; guarda lì, quasi tutti seduti sulla sella, e alzatevi cacchio che vi sto facendo una foto…. Ovviamente anche io ero ero brutto banale e turista, ma provo a non pensarci.
I maxicactus sono veramente impressionanti così come la scenografia intorno: laghetti, torrenti, cime innevate che vomitano piccole lingue glaciali verso la valle. Ma in quel momento penso solo a risalire in sella per ripercorrere la pista. L’umore è altissimo, siamo tutti euforici per una giornata che per ora è semplicemente perfetta, tanto che non ci accorgiamo che qualcuno è sparito, e io commetto l’errore di non ricontare tutti i caschi prima di ripartire. Fabio si era spinto un km più avanti della piazzola nella quale ci eravamo fermati e la sua moto non ripartiva. Lo rivedremo all’incrocio con la strada principale, per paura di perderci ha fatto il ritorno come una speciale della dakar. Ecco, lui sa guidare, mica io. Mi è bastato vederlo negli ultimi cento metri. Peccato che non avessi in mano la macchina fotografica in quel momento.
Il resto del gruppo, con le bmw in fondo, percorre tranqullamente la via del ritorno, fermandosi spesso nei punti che avevamo memorizzato all’andata come ideali per scattare foto. L’andatura tranquilla non basta ad evitare una caduta di un GS, per fortuna senza conseguenze.
Ripresa la strada asfaltata continuiamo a salire fino ai 4600 metri del passo che introduce alla lunga discesa verso l’oceano. Ci fermiamo per uno spuntino a base di pane e formaggio fresco comprato lungo la strada al passo. Poche baracche di fango e lamiera, diversi camion fermi lungo la strada per mangiare e un panorama mozzafiato a 360°.
Per le successive due ore o forse tre ci divertiamo come pazzi a guidare in discesa, tra curve e tornanti infiniti, su un asfalto perfetto. Pensate alle nostre strade della domenica, quando ci ingarelliamo tra amici su e giù per il Bracco, la Futa, Viamaggio….Con un paio di differenze: il traffico è inesistente e i nostri passi finiscono sempre troppo presto, qui fai in tempo a stancare gambe e braccia, guardi l’altimetro e ti mancano ancora 3000 metri di dislivello, passa un’ora e ne mancano ancora 2000…..fantastico. Inoltre la mancanza di alberi lascia spazio alla vista, spesso si riescono a dominare i successivi 500 o 1000 metri di strada, avendo la possibilità di utilizzarla come una pista, da una banchina all’altra.
Ma arrivano i primi segnali che la giornata si sta guastando. Il cielo, limpido e azzurro in montagna, man mano che scendiamo comincia ad offuscarsi fino a quando, giunti a livello del mare, a una ventina di km dalla panamericana ci copre di una coltre grigia e inizia a piovigginare. Mancano ancora 200 km a Lima, sono le 15,30 e possiamo contare su 3 ore di luce. Dovremmo farcela ad arrivare prima del buio. Dovremmo.
Ma presto la pioggia si fa più consistente e il cielo scende sempre di più, trasformando la foschia in nebbia. Proseguiamo spediti per ancora un centinaio di km. Ma dopo una sosta per metterci tutti l’antipioggia entriamo in un muro di nebbia che ci impone di rallenare sotto i 50km/h. Nella testa di ognuno di noi comincia prima ad insinuarsi il sospetto, poi ad affermarsi la certezza che anche oggi arriveremo col buio. E con la nebbia.
Diventa impossibile tenere la visiera chiusa, almeno il freddo sulla fronte ci aiuta a mantenere la concentrazione. Cala il buio e la nebbia si inspessisce sempre di più. Mi metto in cima al gruppo e dietro di me un paio di moto con i faretti di profondità. Per una mezzora buona guidiamo nell’oscurità più totale, su una strada deserta della quale non intravediamo nemmeno i margini laterali. Riesco a malapena a vedere il becco della mia moto. E non posso fare a meno di pensare a cosa succederebbe se incappassi in una buca, un animale che attraversa, una macchina ferma sul ciglio a fari spenti. Poche volte la mia vita è stata tanto a rischio, un rischio consapevole e purtroppo calcolato e accettato per necessità. Gli altri dietro a me non è che siano troppo più tranquilli e rilassati, ma almeno hanno un fanalino rosso da seguire. Tutti in fila indiana a non più di 5 metri l’uno dall’altro per non rompere la colonna. A 15km/h.
Quando mi chiedevo come fosse possibile che da mezzora non incontrassimo nessun’altra auto ecco che un fanalino rosso arriva anche per me. Una piccola utilitaria ci supera a 30 o 40 km/h. La nostra salvezza. Mi accodo subito e con me tutta la colonna che mi segue. Sono fradicio, ho freddo, la fronte congelata e gli occhiali dentro al casco che gocciolano, ma quella macchina non la mollo per nessun motivo al mondo.
Quando arriviamo a Lima la nebbia si dissolve lasciando spazio alla pioggia. Non pesante, ma sempre pioggia. La strada a 4 corsie si fa più trafficata km dopo km e adesso ho il problema delle luci e dei fari in senso contrario che abbagliano le mie lenti bagnate. Non ci vedo niente, proprio niente, tranne le sagome di persone, biciclette, animali che sono ai margini della strada che ogni tanto la attraversano buttandosi come gatti in mezzo alle corsie. Terrore, di nuovo….quando e come finirà questa giornata? Ad un certo punto non ce la faccio più, mi rendo conto di essere completamente accecato e mando avanti angelo, che non ha gli occhiali, a guidare il gruppo.
Per fortuna io non so come ci si possa sentire quando il medico ti rassicura dal sospetto di una brutta malattia o quando esci da un’auto che ha girato su se stessa per 10 volte, ma ho immaginato quale deve essere la sensazione arrivando all’appuntamento con il mezzo di appoggio, all’ultimo casello dell’autostrada. Non ricordo se ci siamo abbracciati, se ci siamo scambiati aneddoti e commenti, di sicuro ho fumato, e non poco. Comunque l’ingresso a Lima, anche se in un pandemonio peggiore di Napoli dopo lo scudetto, ci è sembrato una bazzecola dopo quello che avevamo passato nelle ultime due ore. E non ci siamo nemmeno mai persi, filando sparati verso il nostro albergo in centro. Un miracolo, e non è stato l’unico della giornata. In albergo troviamo Gael che è arrivato alle 15, non ha trovato né nebbia né pioggia. E ha revisionato completamente la moto con 35 dollari.
Dopo la doccia il morale è ancora più alto. Sentiamo di essere riusciti in qualcosa di grande oggi. Non certo sperato o cercato, ma ci siamo riusciti, tutti assieme. Per la prima volta sentiamo di essere un gruppo, ognuno ha fatto esattamente ciò che doveva fare. E sublimiamo queste sensazioni con una ricca cena e un paio di giri di pisco in un ristorante a lato di Plaza de Armas.
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Oggi non abbiamo l’acqua alla gola e ve lo dico subito: la giornata non presenterà sorprese. Sveglia comoda, due passi per il centro, poi decidiamo di dividerci. Una parte del gruppo decide di fermarsi a visitare la cattedrale e il quartiere di Miraflores e poi proseguire verso sud. Gli altri, con me, visiteranno il museo de oro, collezione privata di preziosissimi manufatti precolombiani e ripartiranno più tardi per Paracas. Ci ritroveremo tutti alla sera all’Hotel EL Mirador.
Ci ributtiamo nel traffico con la massima diligenza per raggiungere senza intoppi il museo, situato in un quartiere periferico, una visita di un paio di ore e riaprtiamo. Alla prima sosta per la benzina scopro di avere una vite di 3 cm piantata nella gomma posteriore. In cinque minuti grazie al kit tubeless la gomma è riparata, ma riparto preoccupato per la tenuta della riparazione. Passano i kilometri e la pressione sembra tenere, bene.
Prima del tramonto siamo in prossimità della penisola di Paracas. Ci scarichiamo dei bagagli lasciandoli sul mezzo di appoggio diretto all’Hotel, mentre non non sappiamo resistere a una prima scorribanda sulla spiaggia. Solo dopo scopriamo che l’area che abbiamo scelto era interdetta anche al passaggio delle persone: si tratta di una zona di nidificazione di molte specie. Quasi quasi trovo inadeguata la gentilissima attitudine delle guardie che ci invitano pacatamente a spostarci dall’altro lato della strada, ci sentiamo tutti un po’ vandali pensando a quello che stavamo facendo.
Dopo il tramonto rientriamo in Hotel e ci concediamo una ricca cena a base di pesce tornando indietro alcune decine di km fino a Pisco per aggiudicarci il ristorante migliore a detta delle guide e di chi ci aveva preceduto nel viaggio. Opinione assolutamente condivisa anche da noi. Alticci, schivando proposte da un paio di pusher e travestiti, rientriamo in hotel cantando nel pulmino come ragazzini in gita.
Prima dell’alba, ancora un po’ storditi dal pisco della sera prima e dalle poche ore di sonno, ci vestiamo come omini della michelin per salire a bordo della barca che ci porterà a scorrazzare tra gli animali delle isole ballestas. Il freddo non aiuta a rendere gradevole la sensazione di salire su un motoscafo alle 5,45 del mattino con il marasma nello stomaco. Ma incredibilmente nessuno si sente male, molti dormono, compreso me, ma neanche uno di noi si sporge dal bordo a pasturare i pesci. La traversata dura una mezzora, durante la quale ci avviciniamo per qualche minuto alla costa della penisola di Paracas per osservare il grande candelabro preincaico. Non mi azzardo in strane interpretazioni tanto le trovate in ogni guida. Giunti alle isole l’odore di guano è vomitevole. Non so se avete presente l’odore del guano, un misto di fogna, piscio e uccello morto. Il guano, appunto. Non certo l’ideale per l’ora di colazione. Lo spettacolo di miliardi di esseri che ti volteggiano attorno, che si affacciano dal pelo dell’acqua, che si tuffano dagli scogli è incredibile, nonostante la giornata grigia. E nonostante l’odore di guano. In mezzo a questo miliardo di esseri ne compaiono due che oltre ad essere esseri sono anche umani. In una condizione che tutti giudichiamo disumana. Abbandonati sugli scogli accanto ad un molo malandato, in attesa di una barca che li riporti via dopo una settimana di lavoro ininterrotto al freddo e all’umido. Per raccogliere guano, ovviamente. 5 isole, 2 km quadrati in totale, miliardi di uccelli e due persone, per una settimana a raccogliere guano. Dopodichè tornano sulla terraferma, raccolgono una cinquantina di dollari in cambio di quintali di guano, e aspettano per un paio di giorni assieme alle famiglie il prossimo turno. Vabbè, pensiamo alla nostra colazione che ci aspetta in hotel, e poi al giro in off dentro al parco, e poi alle dune di huacachina, e poi a Nazca, e poi, e poi.
Rimessi i piedi a terra finalmente un po’ di sole pallido comincia timidamente a scaldare l’aria. Caffèlatte e tè scaldano i nostri stomaci malmessi, ci dobbiamo preparare per una delle giornate più emozionanti del viaggio, e siamo in piedi già da 3 ore. Il percorso tra l’hotel e l’ingresso del parco è breve, incontriamo di nuovo le guardie della sera prima, che sempre gentilissime ci spiegano cosa possiamo e non possiamo fare all’interno. Anche se siamo in moto e sarà facile farci prendere la mano e la manetta dovremo stare attenti a non lasciare mai i percorsi battuti per non arrecare danni al fragile ecosistema. Mica vorremo fare frittatine di uovo di albatro con le nostre ruote no?
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la penisola di Paracas, e alla prima occasione siamo tutti con le ruote sulla sabbia. E’ una sabbia perfetta, che ci possiamo fare? Infatti l’umidità dell’aria le conferisce una certa coesione che aiuta a mantenere sulla linea le nostre moto, anche le più pesanti. Arriviamo ad una scogliera affacciata sull’oceano. E giù foto. Saliamo su una cresta lungo un infinito scivolo di sabbia, e giù foto. Ci perdiamo tra i mille sentieri in mezzo ad un campo di dune. E giù foto. Ben presto scompariamo l’uno dalla vista dell’altro per sentirci soli, ma in tutta sicurezza in mezzo a questo mini deserto di 300km quadrati. Incredibile come questo posto si mangi tutto: giri una duna, un piccolo promontorio e non vedi più nessuno. A un certo punto scorgi una moto in cima alla duna accanto alla tua, poche centinaia di metri, provi a chiamare ma niente. Il deserto si mangia anche la voce. E allora rimonti in sella, corri, corri fino alla prossima duna, poi, siccome quella discesina ti è piaciuta molto rigiri e la rifai e poi provi il sentiero accanto e chissà dove porta. Tutto questo dura circa un paio di ore, fino a quando ci ritroviamo sulla scogliera che chiamano la Catedral, uno strapiombo sul mare di un centinaio di metri. E qui non siamo soli. Conosciamo 4 argentini che stanno girando il sudamerica correndo dietro al vento. Con i loro parapendii si gettano dalla scogliera per galleggiare sospesi nell’aria. Non si tratta di buttarsi da un aereo, da un ponte, da un palazzo con la meta di poggiare i piedi sul suolo 1000 o 100 metri sotto. Loro la terra l’abbandonano in orizzontale, una corsetta e i piedi si staccano sul ciglio della scogliera. E rimangono lì alla stessa altezza dei tuoi occhi, come un rapace che scruta il terreno in cerca della preda. Ripiango di soffrire di vertigini perché deve essere una sensazione unica quella di galleggiare in aria. Forse assomiglia un po’ ad immegersi con le bombole, chi lo sa….
Oh, dobbiamo ricordarci che siamo motociclisti e che il nostro sogno lo stiamo vivendo anche noi e che ci aspettano ancora 4000km, quindi rimontiamo in sella! Riprendiamo la panamericana, a malincuore dopo l’esperienza del deserto, la prima per molti, e all’ora di pranzo siamo già all’oasi di Ica Huacachina. A detta di tutti nel gruppo un pezzo di Algeria in Perù. Anzi, a detta di quelli che sono stati in Algeria. Huacachina è un campo di dune alte fino a trecento metri al cui centro sorge un’oasi verdissima. Al cui centro qualche furbo imprenditore ha costruito albeghi, ristoranti e soprattutto noleggia dune buggy guidati da pazzi furiosi. Partiamo con i nostri (ne servono due per contenerci tutti) e appena superata la cresta della prima duna nel nostro orizzonte si apre un panorama infinito di dune, nient’altro che dune. I buggies corrono fortissimi, i nostri piloti si divertono a lanciarli lungo discese folli, facendo riombare i 4000cc dei vecchi motori Ford, godono a maltrattare i nostri stomaci già provati con curve in parabolica sfruttando i fianchi delle dune. E noi ridiamo istericamente. A metà del tour ci fermiamo sul bordo della duna più alta per provare qualche discesa col sandboard. Nulla rispetto all’adrenalina di quando siamo a bordo dei buggies.
Il giro finisce presto, un’ora forse. Purtroppo, perché in un attimo si viene catapultati in un ambiente completamente differente da ciò che uno si aspetta in Perù. Per fortuna, perché i primi segnali di nausea cominciano a manifestarsi. Almeno in me. Altri 10 minuti e mostravo al resto del gruppo lo stato di digestione precoce del pejerrey fritto e impanato.
Ripartiamo tardi, sono già le 17 e arriveremo sicuramente al buio a Nazca, ma oggi non ce ne importa proprio niente, tanto è stata esaltante la giornata.
L’albergo di nazca è molto bello, forse il migliore fino ad adesso, con tanto di parco e piscina. E poi è proprio di fronte all’aeroporto da dove domani decolleremo per osservare dall’alto le linee di Nazca. E ci troviamo anche un’amica di Andrea, pure carina. Io comunque finisco la serata a chiacchierare con Hugo delle imminenti elezioni e di Alan Garcia, tanto per riportare un po’ i piedi per terra. Buonanotte a tutti. Che figata questo viaggio.
Ci svegliamo e non sappiamo che oggi sarà il giorno dell'incidente più serio del viaggio. Non sappiamo nemmeno che gli incidenti potrebbero essere due. Soltanto una grossa fortuna ha permesso di evitare il secondo e pesanti conseguenze dal primo.
Ma sono ancora le 9 del mattino e alla spicciolata ci svegliamo, facciamo colazione sotto le tettoie del bar open air dell'hotel tanto che sembra di stare in qualche atollo del pacifico, qualcuno aggiorna il sito dall'internet point, qualcun'altro va a procurarsi una torta per Angelo che oggi compie gli anni. Tra le 11 e le 13 la maggior parte del gruppo vola per osservare dall'alto le linee di Nazca. Niente di esaltante a detta di chi lo fa. Io avevo già dato 13 anni fa e non ci ho tenuto a ripetere l'esperienza, vista la mia avversione per tutto ciò che si stacca da terra, soprattutto se di lunghezza inferiore ai 70 metri.
Verso le due partiamo verso le Ande, la nostra destinazione è Puquio, un paesino senza alcun interesse particolare, se non quello di offrire da dormire e da mangiare sul lungo tragitto fino a Cuzco. Una tappa tranquilla insomma, qualcosa tipo 170km tutti asfaltati. SENZ'ALTRO oggi non arriveremo col buio...
Senza-altro, appunto, che se uno ci pensa bene significa letteralmente se non succede niente di imprevisto eccetera eccetera. E ti pare che quando ci aspetta una giornata soft non debba succedere qualcosa?
Ma andiamo con ordine. Lasciata Nazca la strada comincia a salire sulle prime colline che poi si fanno montagne in un continuo susseguirsi di curve. Chi non ha sintomi post volo se la gode tutta, altri che soffrono un po' di nausea sono costretti a qualche sosta lungo la strada.
Comunque siamo rilassati e felici, la guida è appagante e stiamo entrando nel vivo del viaggio: ci aspetta Cuzco, l'ombelico del mondo, e poi macchupicchu e finalmente la Bolivia.
Come ogni volta che ci troviamo su strade come queste, piene di curve e senza possibilità di inforcare deviazioni o bivii sbagliati, il gruppo si allunga. Io apro la fila, mascam la chiude. Ogni tanto mi giro a guardare di sotto la lunga carovana di moto che disegna un lungo serpente che si allunga fino a due o tre tornanti più in basso. Il sole è ancora alto sull'orizzonte ma grazie all'aria estremamente rarefatta tinge tutto di arancione sotto un cielo azzurrissimo.
All'ennesima occhiata verso il basso a cercare i miei compagni vedo una macchia rossa che procede ad almeno il doppio di velocità rispetto alle nostre moto. E' Alfredo in sella al suo dominator che corre come un pazzo, evidentemente per raggiungermi. Mi fermo subito sul ciglio della strada e non devo aspettarlo per molto. Già dall'espressione del suo viso dentro il casco aperto capisco che deve essere successo qualcosa che non è la solita svomitazzata post piper. Cristiano è caduto. Durante l'attraversamento di un gruppo di case un cane è sbucato fuori all'improvviso e lui non ha potuto evitarlo. No, non correva, ci rassicura Alfredo, ma la sua moto ha fatto una capriola in avanti e lui sotto. Sicuramente non è in grado di guidare, forse ha un dito rotto, e poi una brutta botta all'anca, non riesce a sorreggersi sulle gambe. Cazzo, penso, cazzo. Comunque il Maurizio, il nostro medico è con lui, continua a provare a tranquillizzarci Alfredo.
Rimonto in sella, l'incidente è successo una decina di km indietro, non dovrebbe volerci molto su questa strada. Comunque non faccio in tempo a raggiungere il posto che già vedo il pulmino di Hugo che chiude il gruppo avanzare verso di me. E Cristiano dentro al pulmino che mi fa OK con la mano, quella sana. L'altra ha il dito medio steccato dopo una lussazione alla falange perfettamente ricomposta da Maurizio senza nemmeno togliere il guanto. E ti voglio vedere a togliere un guanto quando il dito medio è piegato a 90 gradi rispetto al palmo, ma dalla parte sbagliata. Ma non è il dito a preoccupare, piuttosto l'enorme ematoma sul fianco che parte da metà tronco e arriva a metà coscia. Appena a Cuzco dovremo fare una radiografia per scongiurare fratture. Il sintomo evidente è che come mi avevano detto Cristiano non sta in piedi da sè. Comunque tiriamo tutti un sospiro di sollievo a vederlo anche troppo tranquillo in compagnia di Hugo e Alberto sul pulmino. La moto non è messa meglio, il cupolino è rotto ma in qualche modo è stato sistemato col nastro telato, il telaio è un po' piegato. Poi danni minori tipo frecce, leva frizione, serbatoio bozzato e rigato. Adesso la moto è nelle mani del nostro jolly, Luca, inizialmente al seguito sul mezzo di appoggio, ma che si rivelerà preziosissimo in questa e altre occasioni.
Riprendiamo la strada ancora in tempo per non arrivare dopo un'ora di guida al buio. Il percorso continua a salire fino a 4600 metri della Pampa Galera, paesaggio spettacolare al tramonto, alpaca, lama, vigogne tutto intorno a noi. E poi in una serie infinita di tornanti e curve scende di nuovo fino ai circa 3000 metri di Puquio. Mi fermo all'ingresso della città ad aspettare gli altri fino a Mascam che chiude il gruppo. Uno, due, tre, nove, undici.......mancano quattro o cinque moto. Le BMW. Passa mezzora e intanto è proprio buio e ad ogni minuto la temperatura sembra scendere di un grado, fa freddissimo e aspettiamo con ansia comparire i loro fari dall'ultima curva. Ogni 10, 15 minuti passa una macchina, chiediamo a tutti ma nessuno li ha visti. Visto che abbiamo ancora il problema di trovare posto per dormire a 20 persone e siamo in un paesino fuori da qualsiasi circuito turistico lascio il gruppo ad aspettare e vado da solo a cercare un hotel. Dopo mezz'ora sono di ritorno con la soluzione letto/cena in tasca, ma ancora gli altri non sono arrivati. E sono circa le 20, noi siamo arrivati da un paio di ore.
Finalmente un camionista ci dice di aver visto un gruppo di moto ferme a circa un'ora da lì (praticamente al passo) a riparare una ruota. Sospiro di sollievo. Altri 5 minuti e finalmente cominciamo a sentire in lontananza il rumore dei bicilindrici, a scorgere il bagliore dei fari. Non si trattava di una semplice foratura, Claudio ha centrato una grossa pietra con la ruota anteriore ad una velocità di 120km/h. NOn sa nemmeno lui come ha fatto a rimanere in piedi. La gomma era squarciata, il cerchione piegato. Ecco il motivo del ritardo, per cercare di ribattere il cerchio con attrezzi improvvisati e montare poi un pneumatico di riserva.
Sfiniti dalla stanchezza e dalla sensazione di pericolo scampato terminiamo la serata in una rosticceria. L'unico locale ancora in grado di darci cibo alle 10,30. Uno dei polli più buoni mai mangiati; uno non è tanto per dire, ne abbiamo mangiato uno a testa. Ad un certo punto si presenta uno con un registratore in mano che dice di volerci intervistare per la radio locale, domani saremo la notizia di apertura del notiziario.
Capite cos'è Puquio?
antoniox
31-01-2007, 12:27
Arf!!!
:d
appena ho mezzora carico le foto relative a ciascuna giornata come avevo iniziato a fare per i primi giorni. Durante il mese di interruzione del racconto imageshack ha inserito la registrazione nel sito e adesso non sono in grado di rintracciare quelle che avevo già caricato.
Vediamo se domani o al massimo venerdì riesco a postare foto e un'altra giornata. Poi per una settimana mi fermo che vado a sciare.
Grazie a tutti quelli che seguono questo 3d.
KappaElleTi
16-03-2007, 08:15
Aspettiamo che si sciolga la neve :)
ehm....ho la vigna da potare.
Dai, in settimana riprendo.....
:)
ilmaglio
18-03-2007, 05:56
... stasera ... trova il tempo stasera ... dopo il duro lavoro dei campi ...:wave:
Giuro, giuro, giuro....
che la prossima settimana riprendo il racconto.
kingcama
02-04-2007, 10:04
e chi si ricorda che devo lavorare dopo aver iniziato a leggere questo racconto??? aaargh,... non finirei mai...
Molto appassionante il narratore! molto bella l'avventura!
Complimenti! ed è comunque poco!
La sveglia è fissata molto presto, da Puquio a Cuzco sono più di 400km di curve e passi, ci siamo accordati per trovarci tutti in sella per le sei del mattino. Per fortuna la giornata si preannuncia fantastica fin dal mattino, l’aria è tersa e splende un sole tiepido in un cielo senza una nuvola neanche all’orizzonte. Uscire dal paese non è facilissimo, la mancanza totale di indicazioni ci obbliga a chiedere informazioni ad ogni angolo. I contadini pronti per il mercato ci guardano un po’ straniti, ma alla fine ci riconducono all’asfalto. E che asfalto. Sembra posato da una settimana, la strada piega dolce ad ogni curva e noi con lei. E ricominciamo a salire verso l’altopiano.
Dopo circa mezz’ora ci affacciamo sull’altopiano. Non è come da noi, che quando arrivi in cima, in qualsiasi cima, dall’altra parte vedi sotto e la strada ricomincia a scendere. Qui quando arrivi in cima il paesaggio si spiana in una distesa infinita di gobbe dolci e laghi; e all’orizzonte le vette aspre delle ande. Non c’è nessuna discesa dall’altra parte, almeno per decine e decine di km.
Superato il ciglio che ci introduce sull’altopiano ci fermiamo per ammirare il paesaggio mozzafiato difronte ad una laguna azzurra e piattissima, non tira un alito di vento ma fa un freddo boia. Qualcuno termometrodotato ci informa: 14 sotto zero. 4700 metri di altitudine. A stare fermi si riesce a percepire il tepore del sole, già alto, ma appena risaliti in moto ricominciamo a soffrire. Stringo forte le manopole riscaldate perché se solo sollevassi per un attimo le mani si raffredderebbero. Ogni tanto stendo le gambe a toccare i polpacci sui cilindri. Tutto fa brodo. Attraversiamo piccoli grumi di case di fango, dai quali spunta un po’ di fumo a significare che la gente c’è e aspetta che l’aria si scaldi un po’ prima di uscire ad iniziare la giornata. Che qui significa portare al pascolo lama e alpaca. Non riesco a immaginare altro.
Per fortuna non dura moltissimo, dopo un’altra mezz’ora la strada comincia a scendere di nuovo in un’enorme ferita di pietra nell’altopiano che prelude alle fertili valli sottostanti, e in breve ci troviamo tutti con una tazza di liquidi commestibili caldi in mano. Il paese in cui ci troviamo è qualcosa più di un piccolo grumo di case. Una doppia fila di baracche si stende sui lati della strada per un paio di centinaia di metri. Ha tutto l’aspetto di essere una posta lungo l’infinita strada che attraversa l’altopiano. In tutte le case offrono una tazza calda e pane fresco con uova per pochi spiccioli. Sul ciglio della strada delle persone stanno scuoiando un paio di alpaca appena macellati.
Si ferma anche un pulmann, viaggia con il cofano motore aperto perché nonostante il freddo, l’altitudine e le salite portano il motore allo stremo. Qui la gente è abituata a veder passare molta gente, ma nonostante questo siamo l’attrazione della giornata. Anzi, credo che capiti una volta all’anno di veder passare una mandria di barbudos in sella a motociclette grandi quanto una vacca di quelle che pascolano giù, verso il mare.
Non riesco a descrivervi meglio l’aria che si respira e quello che ci passa in testa qui. Sarà per l’effetto di una bevanda calda, sarà per la certezza che ci stiamo avvicinando a Cuzco, e ormai è alla nostra portata dopo quello che abbiamo passato nelle ultime 48 ore, ma è una delle poche occasioni in cui non sento nessuno dire “andiamo? Si riparte?”…
E comunque si riparte. La strada continua bellissima, il caldo aumenta ad ogni tornante e giunti a fondovalle ci troviamo a guidare su un percorso che corre a lato del fiume, disegnando curve ora larghe ora strette dove cominciamo a limare i pippolini sulla spalla delle gomme. Intorno a noi si ricomincia a vedere del verde intenso, attraversiamo ponti sopra il fiume blu cobalto e la tentazione di fermarsi per una foto è continua. Ma ancora più forte è la tentazione di rimanere in sella per la prossima curva. Sicuramente è il giorno in cui ci stiamo divertendo di più a guidare. E dura tanto, tre, quattro ore, non saprei dire…fino a quando giungiamo ad Abancay, una città nel cuore delle Ande, dove pranziamo.
Riprendiamo il cammino sulla strada che si inerpica verso un nuovo passo tra foreste di eucalipti e villaggi che sembrano usciti da un documentario del Nat.l Geographic. E poi scendiamo di nuovo, e risaliamo. Non si incontra nessuno per strada, la temperatura è perfetta, attorno ai 20 gradi, il sole splende alto. Ad ogni sosta vicino ad una casa, in un villaggio, c’è modo di scambiare quattro chiacchiere. Certo, gli argomenti sono sempre quelli: da dove venite, dove andate, quanto corre la moto, quanto costa. Ma è bello e giusto così. Sono le stesse cose che chiederei io al loro posto.
Mi fermo per pisciare, dopo aver accuratamente scelto il panorama migliore. Raramente capita di pisciare dentro un quadro. Davanti a me ho una valle che man mano che scende si stringe fino ad un profondo canyon. Ai lati, immensi picchi privi di vegetazione. Mi ricordo vagamente un panorama simile al parco Yosemite in California. Ma è tutta un’altra storia. Qui non ci sono frotte di famigliole col camper e bambini obesi, qui non siamo a poche centinaia di chilometri dalle più grandi metropoli del mondo. Qui non arriva il loro puzzo.
Mentre mi godo questi pensieri sento una macchina che si ferma vicino a me. E’ la polizia, mi chiedono se va tutto bene, se ho bisogno di qualcosa, solo per avermi visto fermo al bordo della strada. Riesce a starmi simpatica anche la polizia, da queste parti.
Ci raduniamo tutti per uno degli appuntamenti lungo il percorso. Anche se non c’è modo di sbagliare strada lo facciamo perché ci aiuterebbe nel caso continuassero a verificarsi imprevisti come nei giorni precendenti.
C’è da affrontare l’ultima salita prima di entrare nell’altopiano di cuzco. L’asfalto è sempre perfetto e le curva disegnate col compasso; la tentazione è forte e io e Mascam cediamo. Con i due adventure ci buttiamo a capofitto tra le curve e i tornanti, superandoci a vicenda, grattando le pedane e a volte i cavalletti. Lo sappiamo bene che sono cose che non andrebbero fatte a 10000km da casa ma che volete che vi dica. Noi non viaggiamo col camper, né con bambini obesi.
Sù in alto, sull’altopiano, la vicinanza di Cuzco, una grande città, viene annunciata da numerosi campi coltivati a mais, quinoa, grano. Le baracche globulari lasciano posto a perfette fattorie che immaginiamo abitate da anziane signore con racconti su vicereame e mezzadri sfaticati pronti per essere snocciolati. Ricominciamo a vedere mucche e cavalli dal pelo lucido. Ma è una campagna così diversa dalla nostra…di fili elettrici neanche l’ombra, di trattori nemmeno, la gente lavora i campi ancora con le bestie.
Siamo a Cuzco! Siamo nell’ombelico del mondo. La capitale dell’impero Inca. Siamo al distributore Grifo ad aspettare Atahualpa che ci guiderà al nostro albergo.
Da quando siamo partiti è la prima giornata in cui non saliremo in moto. Fa anche piacere, dopo 10 giorni e circa 3000 km. Non solo, le moto le riprenderemo tra tre giorni perché qui faremo base per l’escursione a Macchupicchu. E’ tutto perfetto: le moto sistemate dentro garage custoditi, l’albergo è bello, accogliente e a 300 metri dalla piazza principale e inoltre a pochi passi c’è un motonoleggio con un meccanico bravissimo. Ne approfittiamo per vulcanizzare le gomme forate nei giorni precedenti e per far sistemare la carburazione all’Aprilia di Luca che aveva faticato molto nei passi dei giorni precedenti.
Per oggi non facciamo programmi, ognuno se ne va a zonzo per i fatti suoi tra mercati, chiese coloniali, vicoli stretti, alla ricerca del proprio immaginario. Nel pomeriggio ci ritroviamo tutti un po’ per caso alla fortezza di Sachsayhuaman che sovrasta imponentemente la conca nella quale si stende la città.
Scendiamo nuovamente verso Cuzco a piedi e ceniamo nel ristorante consigliato da numerose relazioni di Avventure. Ovviamente ci troviamo altri 4 gruppi di Avventure nel Mondo. La cosa buffa è che anche per loro, che stanno viaggiando con pulmino, siamo degli alieni con le nostre moto. E’ bello anche sentirsi fighi, ogni tanto.
Dopo cena serata lunghissima tra i vari locali del centro, primi tra tutti il Kamikaze e il Mama Africa (Mama Africa? A Cuzco?). Sotto sotto un po’ di gente attorno ci mancava un po’. Soprattutto nella fascia di età 20-40 e dall’aspetto curato :).
KappaElleTi
06-04-2007, 16:24
non fare il furbastro, metti le foto ;)
Lungo la valle sagrada degli incas scorre il Rio Urubamba; la valle si chiama così perché rappresentava la riserva di cibo del centro dell’impero con i suoi campi fertili, buoni per il frumento e le bestie. A Pisac visitiamo le rovine abbarbicate sulla montagna, dove mettiamo a dura prova polmoni e gambe e, scesi di nuovo in paese, il mercato, ormai attrazione prevalentemente turistica. Le empanadas appena sfornate però sono da urlo.
Erano alcuni giorni che il freno posteriore di un GS1100 ogni tanto si surriscaldava e si bloccava. Adesso scopriamo che il calore ha fuso la guaina del cardano, la polvere rischia di entrare e sfasciare tutto. Riparazione improvvisata con un pezzo di gomma e dello scotch e siamo pronti a ripartire.
Dopo pranzo percorriamo altri 90 km lungo il fiume Urubamba fino a Ollantaytambo, dove la strada finisce e si è costretti a prendere il treno se si vuole raggiungere Aguas Calientes, ultimo paesino della valle ai piedi della montagna di Macchu Picchu.
Mentre siamo in treno penso a quanto è diverso, e anche anche rilassante, ogni tanto farsi portare in giro: ci stiamo spostando e non siamo noi a guidare. Vabbè, ogni tanto.
Sopra ai finestrini panoramici del treno intanto cominciano ad apparire dei nuvoloni neri molto minacciosi e appena mettiamo piede nella stazione di arrivo, che poi è poco più di una tettoia, si scatena il diluvio. Credo di non aver mai visto piovere con una tale violenza. Da noi qualcosa di simile può succedere in estate, ma l’acquazzone dura pochi minuti e poi smette e magari torna il sole. Su questo facevamo affidamento aspettando sotto la tettoia della stazione. Ma dopo mezz’ora il cielo non lascia alcuna speranza e quindi ci procuriamo delle mantelline di plastica in un banchino lì vicino (evidentemente la cosa succede spesso) e ci avviamo a piedi verso l’albergo. In dieci minuti di cammino, nonostante le mantelline, ci infradiciamo fino alle mutande. Continuerà a piovere fino a notte.
Vi siete chiesti perché il paese si chiama Aguas Calientes? Terme, certo. E allora, cosa meglio di un bagno caldo dopo le secchiate d’acqua che abbiamo preso in testa? Certo, continua a piovere e le terme sono all’aperto, ma è un dettaglio irrilevante quando ti trovi immerso nell’acqua a 40 gradi.
Però ci girano un po’ le palle perché se il tempo continuerà ad essere questo anche domani ci rovinerà la visita alle rovine. Ci addormentiamo con una preghierina ad Athaualpa e Inti, Dio del Sole.
ilmaglio
06-04-2007, 16:27
:D :D :D
stasera leggo e continuo a "compilare" il fascicolo unico ...
Da Aguas Calientes c’è un servizio di bus navetta per salire alle rovine. La prima corsa è alle 5,20 del mattino. Io avevo consigliato a tutti di prendere quella per essere a Macchupicchu con l’alba, di per sé uno spettacolo, e soprattutto quando ancora le frotte di turisti non sono arrivate. Comunque ciascuno era libero di salire quando voleva, l’unico appuntamento era alle 15 alla stazione per riprendere il treno per Ollantaytambo.
I temperari che hanno deciso di seguire il mio consiglio hanno scoperto che aveva smesso di piovere e quindi meritava davvero una levataccia del genere. Io non ce l’ho fatta, e sono arrivato alle rovine alle 10,30.
Macchupicchu è uno dei posti più incredibili del mondo, io non me la sento di raccontarvi le sensazioni che si provano a stare lì. C’ero già stato 13 anni prima e questo ha tolto molto alla mia esperienza ma tornarci una o dieci volte è un’emozione sempre nuova. Io non ci provo nemmeno a descriverla. E poi qui siamo su QdE, se volete maggiori dettagli andate su www.quellidellincas.com.
Torniamo a Cuzco che è già buio, giusto in tempo per una cena a base di braciole di Alpaca e per rituffarsi nella movida cusqueña.
Come promesso, sono tornato. Con calma anche le foto.
KappaElleTi
06-04-2007, 16:29
:)
bene ;)
p.s. sto aspettando che tu finisca...per iniziare a leggere, sono allergico alle puntate
Beh, siamo ancora a metà. E prevedo che le puntate sulla Bolivia saranno luuuuuuuuungheeeeee.......
KappaElleTi
09-08-2007, 13:13
Beh, siamo ancora a metà. E prevedo che le puntate sulla Bolivia saranno luuuuuuuuungheeeeee.......
luuuuuuunghisssime.....
:lol:
Proviamo a riprendere il racconto in questi giorni che sono a casa...
E' il 22 agosto, siamo più o meno a metà viaggio. Siamo riposati e carichi per partire di nuovo. Fremiamo nell'attesa e avvicinamento degli altopiani boliviani, della sabbia, del fango, del sale e, anche se ancora non ce lo immaginiamo, della neve. Manco fossimo tutti dakariani tenuti in punizione per un anno sulla tangenziale.
Sono le nove del mattino e saremmo quasi pronti a saltare in sellà, senonchè gael scopre di avere il posteriore bucato e approfitta del meccanico accanto all'hotel per una riparazione fatta bene. Nell'attesa Angelo fa cadere la propria moto dal cavalletto, e questa va a urtare il fanalino di un maggiolino. "Voglio cento pesos" reclama il proprietario. "Te ne do cinquanta" risponde Angelo. "Cento". "Cinquanta". "Ok, novanta e amici come prima". "Sessanta e più amici di prima". Alla fine la contrattazione si chiude a 70 pesos, circa 6€. Ce ne vorranno dieci volte tanti per la freccia rotta del gs, al rientro in Italia.
Cuzco è più grande di quanto ci immaginassimo, il viale a quattro corsie che punta a sud tagliando in due la città sembra non finire mai, quando, all'improvviso, i palazzi grigi, le pompe di benzina, le baracche di chi vende frutta e di tutto un po' e le quattro corsie spariscono per lasciare spazio alla solita striscia di asfalto perfetto che scorre in mezzo ai campi di Athaualpa e ai panorami preferiti da Manco Capac. Quello che è cambiato scorre lungo quella striscia di 4,5 metri di larghezza. Asfalto al posto di ciottoli. Motori al posto delle staffette a piedi. Ma a girare il casco di pochi gradi si ha l'impressione di sbirciare dentro al tempo. Ti immagini che l'acqua cristallina che fa da colonna sonora alla valle sia piovuta sulla testa pennuta degli incas, lassù, in cima alle vette innevate vicine ad Inti. Inti che ci scalda le ossa in una giornata meravigliosa, ormai ci stiamo abituando. L'aria è di una purezza inimmaginabile alle nostre coordinate, sono sicuro che se non ci fossero le montagne in mezzo si riuscirebbe a scorgere la sagoma di tre grosse navi provenire da est, laggiù nel grande lago dopo la pianura verde.
La strada sale e noi non ce ne accorgiamo nemmeno perchè non ci sono i soliti curvoni e tornanti, solo una impercettibile e continua salita semirettilinea, interrotta da brevi tratti con semicurve aperte su panorami di campi gialli e verdi, cielo azzurro e le solite montagne bianche a est e a ovest.
Al passo la Raya dobbiamo guardare il cartello per accorgerci di avere superato i 4600 metri di altitudine. I nostri corpi si sono ormai abituati e anche i motori delle mono carburano bene grazie all'intervento del meccanico di Cuzco. Al passo ci facciamo la più bella foto di gruppo del viaggio con le montagne a porseguire idealmente la linea formata dalle nostre 17 moto in fila una accanto all'altra e le 40 braccia alzate ad imitare le creste di ghiaccio.
Ancora qualche ora, e giungiamo in prossimità del bivio per il sito di Sillustani. Il titicaca è vicino, non è tardi e decidiamo di visitare le rovine che sorgono sulle rive di un lago blu cobalto. Al ritorno in sella ci aspetta un tramonto incredibile, anche se il sole va giù il colore delle cose continua a scaldare il nostro viaggio fino all'arrivo a Puno dove scopriamo che una pattuglia della polizia locale ci sta aspettando per scortarci fino all'albergo. Ce l'ha mandata il proprietario; la cosa normalmente avrebbe dovuto mettermi a disagio, ma confasso che ho un po' goduto di questo ingresso trionfale a sirene spiegate (e una velocità folle per una città peruviana) con le altre auto che si spostavano dalla carreggiata e la gente ai bordi della strada a chiedersi: ma chi sono questi scemi?
La sera, al ristornante, purtroppo, scopro di avere 39 di febbre. La mia personalissima maledizione del Titicaca. Anche 13 anni fa mi ero ammalato qui.
KappaElleTi
09-08-2007, 16:40
grande ale ;)
ilmaglio
09-08-2007, 18:16
... mi ero astenuto dal sollecitare l'impegno letterario, pensando che vi avevi rinunciato, tra figlio e festival ... Delle precedenti puntate ho fatto un unico file ..:wave:
La mia sveglia è puntata sulle 5 come quella di tutti gli altri. Proverò a sentirmi meglio per partecipare anch'io all'escursione alle isole degli Uros. Gli Uros è gente che la mattina, prima della prima barca dei turisti, si sveglia, si veste a modino e si trasferisce su isole di totora pressata galleggiante. La totora è una specie di bambù acquatico. E sulle isole flottanti fanno finta di fare tutto quello che facevano fino a pochi decenni fa. C'è chi pesca, chi intreccia foglie secche, c'è la scuola e l'ufficio postale. Ma appena calato il sole non ci sono più gli Uros. Vabbè, antropologicamente parlando rimane una bella escursione, basta assistervi con occhi svezzati e non credere alla favoletta del buon selvaggio.
Ma torniamo in albergo. Sono le 5. Suona la sveglia. Non faccio in tempo a spegnerla che già mi rendo conto di essere a pezzi. Ho ancora la febbre o quantomeno tutti i sintomi. Rinuncio quindi volentieri alla gita sul lago alle 6 del mattino in favore di un paio di ore di sonno in più.
Sono le 8 quando i miei compagni rientrano in albergo. Io sto un po' meglio, o faccio finta. Imbottirmi di antipiretici mi aiuta a far finta.
Comunque, alle 9,30 siamo tutti pronti a partire.
Pare strano, ma a Punto che è una cittadina bella grande non riusciamo a trovare benzina buona. In molte città del perù trovavamo anche la 98 ottani mentre qui al massimo 85. Decidiamo di partire lo stesso contando sui distributori sulla strada verso la Bolivia, abbastanza trafficata. Nisba, con il serbatoio agli sgoccioli, la maggior parte di noi, me compreso è costretto a rabboccare con brodaglia a 80 ottani rimediata in un distributore con la pompa a mano che sembra uscito da un film con John Wayne.
La strada però è meravigliosa, cacchio, dopo essere arrivati fino a qui chi se lo aspettava un nuovo cambio di scenario, questa volta domintato dall'oltreblu del lago titicaca che, non so se per l'altitudine, l'incidenza dei raggi solari, i minerali disciolti nelle acque o la microflora, assume un colore unico. Come unico è il contrasto col giallo intenso dei campi e il bagliore delle montagne della cordigliera boliviana che si innalza dietro all'altra sponda. Che dista decine di km, e anche questo dà l'idea della rarefazione e della purezza dell'aria. Ogni giorno ci viene da pensare: oggi è la tappa più bella.
Arriviamo alla frontiera, mi sembra di ricordare intorno a mezzogiorno. In cima alla salita si staglia l'arco che delimita il confine con la bolivia, nell'usuale fascia di terra di nessuno a tenere a debita distanza due popoli che hanno ben poco da rubarsi, e tutto da condividere, dalla lingua, all'aspetto, alle usanze alimentari, alla miseria. Ma di lì a poco su quest'ultimo aspetto ci ricrederemo.
Davanti a noi l'arco, si è detto. A destra il capannone della dogana e della polizia. A sinistra un paio di ristorantini difronte ai quali una matrona ultrasettantenne funge da cambio "ufficiale" in dogana sopra un banchino di legno che sembra di vendere pannocchie arrostite anzichè maneggiare mazzette da migliaia di dollari.
Iniziamo diligentemente la solita trafila burocratica. Prima a timbrare i passaporti, e ce la sbrighiamo con poco tempo. Poi è la volta dei carnet, e va un po' peggio. Il funzionario è uno ed è terribilmente lento. Davanti a noi 3 o 4 veicoli da sdoganare e poi noi che siamo venti. Per ogni carnet si prende almeno 5 minuti. Aggiungete lo stress per seguire la procedura su ogni carnet, per paura che si dimentichino di qualche timbro...
Nel frattempo mi accorgo che i poliziotti dell'edificio accanto hanno iniziato a fare capannello attorno alle nostre moto e si scambiano commenti e occhiate tutt'altro che disinteressate. Il loro compito sarebbe quello di controllare i bagagli, che non contengano merci la cui esportazione è proibita, e la rispondenza dei dati tra i carnet e i veicoli. Di fatto nè in Ecuador, nell'all'ingresso del Perù avevamo subito la minima perquisizione e il controllo dei numeri di motore e telaio era stato fatto a campione e in maniera molto sbrigativa.
Timbrato l'ultimo carnet in dogana qualcuno del gruppo mi chiama: "il capo della polizia vuole parlare col capo della spedizione." Si capisce subito che mi aspettano grane, e se dentro di me mi monta un nervoso da fame di tre giorni, mi impiongo di rimanere calmo tirando fuori la massima affabilità e paraculaggine di cui sono capace. "buenas dias señor, mucho gusto...si todos italianos, llegamos desde lejos para recorrer su hermoso pais con nuestras motocicletas....lastimas que ya nos despedimos de su patria linda....." I convenevoli non durano poco, c'è modo di parlare di motori e materazzi; ci vuole poco per capire che sta apparecchiando per fare un richiesta "alla quale non si può dire di no".
La richiesta arriva. 100 dollaroni e loro non muoveranno un dito, potremmo avere 100kg di coca nei bagagli e tutte le moto rubate e passeremmo lo stesso la frontiera. COme se esportare cocaina in Bolivia fosse un affare....
100 Dollari? Señor ma lo sa quanto guadagna un professore in italia (come fossimo tutti professori). Lo sa quanto guadagna un poliziotto in italia? E lei lo sa che in perù la polizia non ha i soldi per mettere benzina alle macchine?
Vabbè, 50. No, 80. Alla fine i dollari sono 65 e ci congediamo dal battaglione con abbracci che pare la partita Italia Marocco in Marrakech express.
Adesso abbiamo il problema dei bagagli. Hugo col suo pulmino non ci può seguire in Bolivia, dobbiamo scaricarli tutti e trainarli su carrelli per i 500 metri della terra di nessuno. Faccio rientrare nella mancia di 65 dollari il permesso del capo della polizia per far passare il pulmino fino all'arco che introduce in bolivia.
Sono passate tre ore e siamo sul lato boliviano. La prima cosa che notiamo è la presenza in tutti gli uffici di cartelli che ammoniscono dal pagare "mance" ai funzionari di dogana perchè "la bolivia è onesta". Ed in effetti non ci viene chiesto un centesimo. Solo un poliziotto, a pratiche tutte espletate, mi chiederà di pagargli una birra. Però una sorpresina ce l'abbiamo anche qui. Hugo non si è limitato ad avvicinarsi al confine, ma ha varcato l'arco, immigrando illegalmente in territorio boliviano. Viene invitato minacciosamente all'interno della gendarmeria, dove dopo qualche discussione e un risciacquone ce la caviamo con 10 dollari di multa. Ehm....multa....
Un'altra ora è andata. Purtroppo ci siamo fragati la visita a Copacabana e alla sua cattedrale, ma ormai è tardi, arriveremo comunque col buio e abbiamo giusto il tempo per caricare tutti i bagagli sul pullmann che ci hanno mandato da La Paz e ripartire.
Quello che ci aspetta, e lo dico senza ombra di dubbio, sono i più bei 40 km di tutto il viaggio. La strada è appena asfaltata, le curve si susseguono alte sul titicaca. E questa volta la cordigliera è lì a pochi km a formare una quinta naturale inimmaginabile. Non ci provo nemmeno a spiegarvi la felicità del motociclista in quella mezzora.
Arriviamo a Tiquina, dove le due rive del lago sono separate da uno stretto braccio di non più di 1 km. Si attraversa con delle improbabili chiatte realizzate mettendo assieme delle assi che sembrano recuperate da una ferrovia dismessa. Il pensiero che il pulmann attraverserà il lago con lo stesso mezzo ci rassicura nel caricare le moto. E in effetti la trversata passa tranquilla, anche se non è il caso di lasciare nemmeno per un attimo la propria moto, instabile sul cavalletto.
Ripartiamo che il sole sta tramontando e tutto attorno la terra si tinge dei soliti colori.
Vi avevo detto che ci saremmo ricreduti sulla miseria boliviana. In effetti da quando siamo entrati in bolivia abbiamo notato qualcosa di strano e solo adesso ci rendiamo conto che questa sensazione era data dall'ordine, dalla pulizia, dalle case dignitose, qualcuna anche carina, stile baita sul lago, che vediamo tutto attorno. Sia chiaro, non siamo in svizzera, ma il perù ci era sembrato molto più malmesso. Qualche giorno dopo ci ricrederemo di nuovo, rendendoci conto dell'enorme differenza di condizioni socioeconomiche tra il nord del paese, nei dintorni di La Paz, e il sud.
Si era detto che avremmo fatto buio. Si è fatto tanto buio. Varchiamo il casello di El Alto (eh si, le strade in bolivia si pagano, tutte) con l'illusione di essere arrivati. E invece El Alto, da sobborgo della capitale si è trasformato in una metropoli di più di 2 milioni di abitanti. La strada, adesso a quattro corsie, improvvisamente sparisce in un calvario di lavori non segnalati, con buche di mezzo metro e transenne in mezzo al buio. Ovviamente non mancano i soliti carretti trainati da asini, le biciclette, gli ubriachi e i bambini che attraversano peggio dei gatti, e i vecchi scuolabus louisiana anni 40 con fanalini e rifrangenti originali dell'epoca. Un altro casello introduce alla capitale, finalmente. Stavolta entriamo in un'autostrada vera, con tanto di guard rail e segnaletica, che in dieci minuti ti vomita nel centro di la paz e nel suo - relativo - benessere.
Per fortuna il proprietario dell'hotel prenotato si è offerto per scortarci perchè altrimenti ci saremmo sicuramente persi in un casino paragonabile solo a quello a cui avrei assistito a Bangkok, se solo fossi mai stato a Bangkok.
Siamo in Hotel, felici. Non sento più la febbre, anche se quando la misurerò il termometro continuerà a segnare i 38. Troviamo altri due gruppi di avventure che strabuzzano gli occhi alla notizia che siamo arrivati fino a lì, dall'ecuador, in moto. Tra gli altri ci sono un paio di ragazze moooooolto carine.
E io crollo a letto subito dopo cena. Forse anche per colpa di quello che ho bevuto a 3900 metri di altezza dopo le stracanate dei giorni precedenti.
A fatica, ma sto andando avanti. Ci avviciniamo all'altopiano boliviano, ai salares, alle lagune e alle disavventure più belle che mi siano mai capitate nella mia vita di motociclista.
Nei prossimi giorni posterò alcune foto per ciascuno dei giorni. Tenete duro.
Accidenti! Avrei voluto essere stato dei vostri........ :cool:
Intanto aspettiamo con trepidazione i racconti di viaggio in Bolivia. :D
Dai, se finisci tutta la pappa a Natale ti ci porto. :)
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Traduzione italiana Team: vBulletin-italia.it |